IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DELL'ABRUZZO - L'AQUILA

    Il  Tribunale  per  i minorenni di L'Aquila, riunito in Camera di
Consiglio nelle persone dei signori:
        1) dott. Giovanni Manera, Presidente estensore;
        2) dott.ssa Pia Di Giulio, Giudice O.;
        3) dott. Aldo Costanzo D'Alfonso, Componente privato;
        4) dott.ssa Paola Berardi, Componente privato;
    ha emesso la seguente ordinanza;
    nel  procedimento  di adozione internazionale n. 20/2001 relativo
al minore R. K. J., nato il 7 novembre 1996 in Leticia (Colombia).
    Letti gli atti, osserva in

                           Fatto e diritto

    Con istanza del 18 aprile 2001 i signori P. V. e C. A. chiedevano
che  questo  Tribunale  ordinasse la trascrizione, nei registri dello
stato   civile  del  loro  Comune  di  residenza,  del  provvedimento
straniero  di adozione del minore R. K. J., pronunciato dal Tribunale
Promiscuo di Famiglia di Leticia (Colombia) il 29 marzo 2001.
    Il   26   aprile  2001  il  P.M.M.  esprimeva  parere  favorevole
all'accoglimento dell'istanza.
    Comparsi  all'udienza  del  22  giugno 2001 davanti al Presidente
dott. Manera, i coniugi P. e C. dichiaravano che avevano visto per la
prima volta K. il 22 marzo 2001 e da allora lo avevano preso e tenuto
con  loro in Colombia per una ventina di giorni; che erano tornati in
Italia  l'11/4  c.a.;  che  avevano  incaricato,  per seguire la loro
pratica di adozione, il CIFA di Torino.
    Il  28 giugno 2001 questo T.M. acquisiva nuovamente il parere del
P.M.M.  e  quindi  deliberava nella Camera di Consiglio del 25 luglio
2001.

                      Rilevanza della questione

    La  soluzione  del dubbio se l'affido preadottivo della durata di
un  anno  costituisca  o  meno  tuttora un principio fondamentale del
nostro  diritto  di  famiglia e dei minori relativamente all'adozione
d'un   minore  straniero  e'  indubbiamente  rilevante  nel  presente
procedimento, poiche' solo se si ritiene che l'affido preadottivo non
costituisca un principio fondamentale il tribunale puo' (nel concorso
delle  altre  condizioni  richieste  dall'art. 35,  commi  2,  3 e 6)
ordinare  la  trascrizione  del  provvedimento estero di adozione nei
registri  dello  stato  civile  italiano,  mentre,  se si ritiene che
l'affido  preadottivo  della  durata di un anno sia ancora condizione
indispensabile per poter pronunciare l'adozione, mancando in concreto
l'esperimento  dell'affido,  lo  stesso  tribunale  deve rifiutare la
trascrizione  e continuare a "manipolare" il provvedimento straniero,
riconoscendolo  efficace come affidamento preadottivo (come sostenuto
da  alcuni  Autori:  cfr.,  in  tal senso, P. Morozzo della Rocca, La
riforma dell'adozione internazionale, Utet, 1999, pag. 96).

                     Non manifesta infondatezza

    La  questione  di  illegittimita'  costituzionale degli artt. 34,
comma  2  e  35,  commi  3 e 6 della legge n. 476/1998, ad avviso del
Collegio, oltre ad essere rilevante, non e' manifestamente infondata,
onde va rimessa al giudizio di codesta Onorevole Corte.
    E'  sufficiente  rilevare, al riguardo, che la legge n. 476/1998,
attuativa  della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993, ha innovato
profondamente  la  previgente disciplina dell'adozione internazionale
introdotta dalla legge n. 184/1983, ma disegnando un quadro normativo
caratterizzato  da  poche  certezze  e  da molti dubbi, ambiguita' ed
incertezze.
    Uno  dei  principi essenziali della nuova legge (che spesso viene
trascurato  a  passato  sotto  silenzio  o  non considerato nella sua
importanza   fondamentale)   e'   il   principio   di  sussidiarieta'
dell'adozione internazionale.
    Un  altro  punto  fermo  della  nuova  disciplina  (finalizzato a
contrastare   il  c.d.  mercato  dei  minori)  e'  l'obbligo  imposto
dall'art. 31  agli  aspiranti  genitori adottivi di rivolgersi ad uno
degli   Enti   autorizzati   (previsti  dall'art. 39-ter)  per  farsi
assistere    nello    svolgimento    delle   pratiche   di   adozione
internazionale.
    Anche  tale obbligo (sanzionato penalmente dalla nuova ipotesi di
reato  prevista dall'art. 72-bis della legge n. 476) ingenera qualche
perplessita' sulla natura di tali Enti, non riuscendosi a comprendere
come   gli  stessi  possano  essere  definiti  senza  fine  di  lucro
(art. 39-ter  lettera  d)  quando  i  coniugi  che  sono  costretti a
chiedere  la  loro  assistenza  spesso dichiarano apertamente di aver
dovuto versare per tale assistenza alcune decine di milioni.
    Altro  punto  qualificante  della  nuova disciplina dell'adozione
internazionale  e'  la diversita' di effetti riconosciuti dalla legge
n. 476  ai  provvedimenti  stranieri di adozione. Mentre, infatti, la
legge   n. 184/1983  stabiliva  che  i  provvedimenti  stranieri  (di
adozione,  d'affidamento  ecc.) non avevano efficacia in Italia senza
la  loro  delibazione da parte del T.m. ai sensi dell'art. 32, invece
la  legge  n. 476/1998 introduce una disposizione di maggior rispetto
dei   provvedimenti  stranieri,  in  quanto  "l'adozione  pronunciata
all'estero  produce  nell'ordinamento  italiano  gli  effetti  di cui
all'art. 27",  ossia l'acquisto dello stato di figlio legittimo degli
adottanti, l'assunzione del loro cognome e la cessazione dei rapporti
con la famiglia di origine.
    Mentre la c.d. "delibazione" del provvedimento straniero da parte
del  T.m., ai sensi dell'art. 32 della legge n. 184, non era una vera
delibazione,  in  quanto  il  c.d. provvedimento straniero non veniva
riconosciuto  come tale (cioe' come provvedimento straniero) efficace
nel  nostro  ordinamento, ma tale provvedimento era assunto solo come
presupposto  di  fatto  del  decreto con il quale il giudice italiano
costituiva   direttamente  ed  autonomamente  l'adozione  (dopo  aver
desunto,  dal  provvedimento straniero, la sussistenza dello stato di
effettivo abbandono del minore straniero all'estero ed il consenso al
suo  espatrio  definitivo in Italia), invece in base alla nuova legge
e' il provvedimento straniero in quanto tale che ha efficacia diretta
in Italia.
    Ma,   preso   atto  che  a  seguito  della  nuova  disciplina  il
provvedimento  straniero  di  adozione  pronunciato  all'estero prima
dell'arrivo del minore in Italia (ex art. 35) ha efficacia diretta in
Italia,   in   quanto   "l'adozione  pronunciata  all'estero  produce
nell'ordinamento  italiano  gli  effetti  di cui all'art. 27"; dubbi,
incertezze   e   discussioni   cominciano   a  sorgere  sulla  natura
dell'efficacia   del   provvedimento  straniero,  nel  senso  che  e'
controverso  se  il  provvedimento straniero di adozione abbia o meno
efficacia  automatica  in  Italia  (ai sensi degli artt. 64, 65 e ss.
della legge n. 218 del 1995).
    Nonostante  la  maggioranza  dei  commentatori  della nuova legge
ritenga che il provvedimento straniero abbia efficacia automatica nel
nostro  ordinamento  (cfr.,  in  tal  senso,  L.  Sacchetti, Il nuovo
sistema  dell'adozione  internazionale,  Maggioli, Rimini, 1999, pag.
128)  il  Collegio ritiene di non poter condividere tale opinione, in
quanto  essa riceve una smentita testuale ed inequivocabile dal fatto
che  i  commi  2 e 3 dell'art. 35 impongono al T.m. di verificare che
nel  provvedimento  straniero risulti la sussistenza delle condizioni
delle  adozioni internazionali previste dall'art. 4 della Convenzione
(art. 35, comma 2) e di accertare che l'adozione non sia contraria ai
principi fondamentali che regolano in Italia il diritto di famiglia e
dei minori (art. 35, comma 3).
    Il T.m. deve, cioe', verificare che le autorita' competenti dello
Stato  straniero abbiano stabilito che il minore era adottabile e che
abbiano constatato, dopo aver debitamente vagliato le possibilita' di
affidamento  del  minore  nello  Stato  di  origine,  che  l'adozione
internazionale  corrispondesse  al  suo  superiore  interesse (art. 4
Conv.  e  art. 35,  comma  1,  legge  n. 476/1998)  e  deve, inoltre,
accertare  che  l'adozione non sia contraria ai principi fondamentali
che  regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori (valutati
in  relazione  al superiore interesse del minore), onde, solo se tali
accertamenti  siano  positivi  (e  se  la C.A.I. abbia certificato la
conformita'  dell'adozione  alle  disposizioni  della  Convenzione ed
autorizzato  l'ingresso  ed  il  soggiorno  permanente  del minore in
Italia),  il  T.m.  puo'  ordinare  la trascrizione del provvedimento
straniero  nei  registri dello stato civile. Dalle superiori premesse
discende   la  conseguenza  che  il  T.m.  non  puo'  autorizzare  la
trascrizione   se   dal   provvedimento   straniero  non  risulti  la
sussistenza  dello  stato  di  abbandono  del  minore all'estero o la
constatata impossibilita' di sistemazione del minore nel suo Paese di
origine  (e,  ad  avviso  del  Collegio,  dal provvedimento straniero
devono risultare e nello stesso devono essere indicati specificamente
i  vari  tentativi  fatti in concreto per sistemare il minore nel suo
Paese  ed  evitare  lo  sradicamento  dalla  sua Nazione e l'espatrio
definitivo   all'estero,   consentito  solo  in  caso  di  constatata
impossibilita'   di   una  sistemazione  nel  Paese  di  origine:  il
fondamentale  criterio di sussidiarieta' dell'adozione internazionale
esige   che   siano  davvero  fatti  e  specificamente  indicati  nel
provvedimento  i  predetti tentativi di far restare il minore nel suo
Paese,  e  non  ci  si  puo'  appagare, per ritenere soddisfatto tale
principio,   di   una   mera   affermazione  generica,  che  dichiari
l'impossibilita'  di  sistemazione  del  minore  nel  suo Paese senza
indicare   gli   effettivi   predetti   tentativi,   altrimenti  tale
affermazione  diventa  una  vuota  clausola  di stile). Ugualmente la
trascrizione  non  puo'  essere  disposta  se  manchino  le  predette
certificazioni  della  C.A.I.  o se l'adozione si riveli contraria ai
principi  fondamentali che regolano in Italia il diritto dei famiglia
e  dei minori (art. 35, comma 3). Sembra pacifico che la C.A.I. possa
dichiarare   che  l'adozione  internazionale  risponde  al  superiore
interesse  del  minore  soltanto  se  dalla  documentazione trasmessa
dall'autorita'  straniera  risulti che il minore e' adottabile (ossia
in   stato   di   effettivo,   dichiarato   abbandono  all'estero)  e
l'impossibilita'  (nel  senso  dinanzi  precisato)  di  procedere  ad
un'adozione o ad un affidamento del minore nello Stato di origine.
    La  mancanza  della  prova  dello  stato  di abbandono del minore
all'estero o della inutile ricerca di una sistemazione del minore nel
Paese  di  origine  devono  bloccare  il  procedimento di adozione ed
indurre  il  T.m.  a  rifiutare  la trascrizione (cfr., in tal senso,
Sabina A.R. Galluzzo, Il diritto di famiglia e dei minori, Il sole 24
Ore,  1999,  n.389).  Alle  stesse conseguenze il T.m. deve pervenire
quando accerti la mancanza dei requisiti voluti dall'art. 35, comma 6
[alle   lettere  da  a)  ad  e)],  tutti  ritenuti  pacificamente  di
importanza   fondamentale.   Poiche'  la  verifica  e  l'accertamento
demandati al T.m. dall'art. 35, commi 2 e 3 integrano una valutazione
di  merito circa la conformita' o meno del provvedimento straniero di
adozione  ai  principi  della Convenzione ed ai principi fondamentali
che  regolano  in  Italia il diritto di famiglia e dei minori (il cui
esito  condiziona  la  trascrivibilita'  o  meno del provvedimento di
adozione  nei  registri dello stato civile), e' di tutta evidenza che
il  provvedimento  straniero  non puo' avere efficacia automatica nel
nostro  ordinamento, in quanto solo il positivo accertamento di tutti
i  predetti requisiti da parte del T.m. autorizza la trascrivibilita'
del  provvedimento  di  adozione  nei  registri  dello  stato civile,
trascrizione    che   il   T.m.   deve   rifiutare   quando   accerti
l'insussistenza dei requisiti voluti dalla legge.
    Cio'  chiarito, resta da stabilire se tra i principi fondamentali
che  regolano in Italia il diritto di famiglia e dei minori rientri o
meno  quello  di  un  anno di affidamento preadottivo, gia' richiesto
dalla  nostra legge per l'adozione sia nazionale (artt. 22 e 25 legge
n. 184/1983)   che  internazionale  (art. 33,  comma  1  della  legge
n. 184/1983)  e  non  piu'  richiesto  dall'art. 35,  commi  3  e 6 e
dall'art. 34,   comma   2   della   legge   n. 476   per   l'adozione
internazionale.
    La maggioranza degli Autori ritiene che un periodo di affidamento
preadottivo  (della  durata  di  un  anno)  non  costituisca  piu' un
principio  fondamentale del nostro diritto relativamente all'adozione
internazionale,  a  seguito  della  novella  piu' volte citata (legge
n. 476/1998)  (cfr.,  in  tal senso, L. Sacchetti, op. cit, pag. 129.
Contra: P. Morozzo, op. cit., pag. 96).
    Il  Collegio  ritiene  di  non  poter  condividere tale opinione,
considerata  la ratio dell'istituto dell'affidamento preadottivo, che
e'  quella  di  verificare  in  concreto  se l'inserimento del minore
adottabile  (o  in stato di dichiarato, definitivo abbandono e che ha
gia' subito seri pregiudizi dalla protratta mancanza di adeguate cure
parentali)   nella  nuova  famiglia  abbia  o  meno  probabilita'  di
successo,  tanto da poter poi procedere alla formale adozione. Invero
non  ha  senso  pronunciare  subito  l'adozione senza una verifica in
concreto  di  una positiva integrazione di quel particolare minore in
quella   nuova   particolare   famiglia,  poiche'  se  il  "rodaggio"
costituito dal periodo di affido non ha esito positivo, non ha alcuna
utilita'   inserire  formalmente  il  minore  nella  nuova  famiglia,
occorrendo   revocare   l'affido  preadottivo  e  procedere  a  nuovi
tentativi   di   altri  affidi  preadottivi,  e  cioe'  a  successivi
inserimenti  del  minore  adottabile  (e  privo di famiglia) in altri
nuclei  familiari.  Il "rodaggio" costituito dall'affido preadottivo,
ad avviso del Collegio, e' sempre necessario in ogni tipo di adozione
legittimante  (sia  nazionale  che  internazionale), poiche', data la
situazione  di  abbandono  in cui e' vissuto il minore (condizione di
fatto  indispensabile  per poterlo dichiarare adottabile), e' nozione
di   comune   esperienza  che  l'integrazione  d'un  minore  (che  ha
negativamente  sperimentato  sulla  sua pelle le negative conseguenze
della  carenza  non  temporanea  di  idonee  cure  parentali)  in una
famiglia  estranea  e'  sempre difficile ed aleatoria (anche quando i
minori siano in tenera eta', poiche', secondo i cultori delle scienze
umane, i bimbi risentono delle condizioni di vita sfavorevoli sin dal
seno  materno  ed  anche nei primi mesi di vita), donde la necessita'
d'un esperimento, che verifichi in concreto se l'integrazione di quel
particolare  minore  (adottabile) in quella nuova, peculiare famiglia
(non  biologica,  ma  degli  affetti)  abbia  o  meno probabilita' di
successo  e  consenta all'adottabile di inserirsi tanto proficuamente
nel  nuovo  nucleo  da  diventarne  parte integrante e nuovo membro o
figlio  legittimo  a  tutti gli effetti, come se fosse stato generato
biologicamente dagli adottanti.
    La  durata  di almeno un anno dell'affido preadottivo integra una
verifica  d'una  situazione  di fatto (integrazione piena d'un membro
estraneo  in  un  nuovo  nucleo  familiare),  che  e' ontologicamente
necessaria  in  ogni  forma  di  adozione  legittimante (nazionale ed
internazionale).  Il  "rodaggio" costituito dal periodo di un anno di
affido   preadottivo   (necessario  per  l'adozione  nazionale)  deve
ritenersi    ugualmente    indispensabile    anche   per   l'adozione
internazionale,  in  quanto  e'  evidente che, se e' sempre difficile
l'inserimento  di un minore adottabile italiano in una nuova famiglia
di  accoglienza o "degli affetti", le difficolta' di inserimento d'un
minore  straniero  in  una  nuova  famiglia  sono ancora maggiori, in
quanto il minore straniero (oltre ai traumi derivanti dall'abbandono,
che sono comuni a quelli risentiti dal minore italiano adottabile) ha
altri  gravi  problemi,  derivanti  dalla  sua  diversa  etnia, dalle
diverse  caratteristiche somatiche e biopsichiche, dall'avulsione dal
suo  ambiente  e  dal  traumatico  inserimento in un contesto sociale
completamente nuovo e diverso per lingua, costumi, tradizioni ecc.
    E', pertanto, illogico ed assurdo ritenere che l'inserimento d'un
minore  italiano  adottabile in una nuova famiglia sia una situazione
difficile   (che   richiede   l'esperimento   positivo  d'un  congruo
"rodaggio"   prima   di   potersi   procedere  all'adozione),  mentre
l'inserimento  d'un minore straniero adottabile in una nuova famiglia
di  accoglienza  rappresenti  una situazione piu' facile o meno grave
(di  quella  del  minore  italiano  adottabile)  e  per  la quale sia
possibile  pronunciare subito l'adozione senza farla precedere da una
congrua  durata  (che  per  l'adozione internazionale dovrebbe essere
anche  maggiore  di  quella  prevista  per un minore italiano) di una
seria  verifica  della piena integrazione del minore nel nuovo nucleo
familiare.
    Occorre  ricordare che, proprio per le difficolta' insite in ogni
inserimento  d'un  membro estraneo (quale un adottabile) in una nuova
famiglia  di accoglienza, la legge impone, per l'adozione d'un minore
italiano (ed in passato anche per il minore straniero: art. 33, comma
1  legge n. 184/1983) un periodo di affido preadottivo per verificare
se  il  trapianto  o "innesto" del minore nel nuovo nucleo si risolva
positivamente  o se si verifichino gravi difficolta' di ambientamento
(tali  da  far  revocare  l'affido)  ma  che,  anche  quando l'affido
preadottivo  abbia esito negativo, la legge prevede che il T.m. debba
ricercare  altre  nuove  famiglie disposte ad accogliere il minore, e
cioe'  di fare altri tentativi ponderati di nuovi affidi preadottivi,
non  potendo  il  minore  adottabile  (e  per  definizione  privo  di
famiglia)  restare  solo  e  crescere  e maturare senza una "propria"
idonea  famiglia  (cfr. artt. 2, 3, 29, 30, 31 Cost.). Considerata la
natura  e  la  finalita' dell'affido preadottivo, la legge prevede in
caso  di  suo  esito  negativo  la  revoca  dello stesso, proprio per
consentire  al T.m. di compiere ulteriori tentativi di trovare per il
minore  adottabile  un'idonea famiglia in grado di corrispondere alle
sue esigenze.
    Invece,  ritenendo  possibile  rendere  efficace il provvedimento
straniero  come  adozione  anche senza il preventivo esperimento d'un
congruo  periodo  di  affido  preadottivo, si introduce una ulteriore
disarmonia  nel sistema, perche' si impedisce che il minore straniero
non  integratosi  nella nuova famiglia adottiva possa essere inserito
in  altre  famiglie  adottive,  in quanto la legge, mentre prevede la
revoca  dell'affido  preadottivo (v. art. 23 legge n. 184/1983) quale
conseguenza  fisiologica  della  mancata  positiva  integrazione  del
minore   nel  nuovo  nucleo,  giustamente  non  contempla  la  revoca
dell'adozione,  in  quanto,  avendo l'adozione legittimante efficacia
piena, in nessun caso ne e' consentita la revoca.
    Percio'  coloro  che  ritengono  che  il  T.m.  possa ordinare la
trascrizione  del  provvedimento  straniero  di adozione nei registri
dello  stato  civile  italiano  anche quando l'adozione non sia stata
preceduta  da un anno di affidamento preadottivo, non considerano che
in  tal  modo  viene attuata un'odiosa e perniciosa discriminazione a
danno del minore straniero adottabile rispetto a quello italiano.
    Del  resto  il  nostro legislatore forse si e' reso conto di tali
disarmonie  quando  ha previsto (art. 34, comma 2) che "per almeno un
anno,  ai  fini  di  una corretta integrazione familiare e sociale, i
servizi socio-assistenziali degli enti locali e gli enti autorizzati,
assistono  gli  affidatari,  i  genitori  adottivi  ed  i  minori"  e
riferiscono in ogni caso al T.m. sull'andamento dell'inserimento e su
eventuali   difficolta'  per  gli  opportuni  interventi.  Ma  e'  da
sottolineare  che  l'assistenza  per  un  anno  e'  prevista  solo su
richiesta  degli interessati; che essa non equivale ad un vero affido
preadottivo e che tale assistenza non ha alcuna utilita' dopo che sia
stata  ordinata  la  trascrizione  del  provvedimento di adozione nei
registri  dello  stato civile, in quanto la trascrizione "produce gli
effetti  di  cui all'art. 27", ossia rende il minore figlio legittimo
degli  adottanti  (oltre che cittadino italiano) a tutti gli effetti,
onde  non  e'  piu' consentita la revoca dell'adozione ne' una tutela
piena  del  minore  straniero  (garantita  solo  da altri inserimenti
adottivi,  resi  impossibili  o  ostacolati  dall'acquisito status di
figlio  legittimo  ai  sensi  dell'art. 27). Alla facile, prevedibile
obiezione che anche i figli legittimi possono essere dati in adozione
quando  versino  in situazione di abbandono e' agevole replicare che,
se  cio e' vero, e', pero', altrettanto vero ed innegabile che, per i
minori  stranieri  divenuti  subito  figli degli adottanti italiani a
seguito  della  trascrizione della sentenza straniera di adozione nei
registri  dello  stato civile italiano, non puo' procedersi subito ad
altri  affidamenti  preadottivi (come sarebbe possibile se l'adozione
straniera  non  venisse  subito  trascritta  nei registri dello stato
civile),  ma  occorre  mettere  in moto la complessa procedura per la
dichiarazione  di  adottabiita'  e che solo quando tale dichiarazione
sara'   divenuta   definitiva   sara'  possibile  procedere  a  nuovi
affidamenti preadottivi.
    E'  vero  che  l'art. 35,  comma 6, lettera e) della legge n. 476
dispone  che  il  T.m.  non  puo' ordinare la trascrizione ... quando
"l'inserimento  del  minore nella famiglia adottiva si e' manifestato
contrario  al  suo  interesse", ossia quando si sono verificate gravi
difficolta'  di idonea convivenza e non si e' verificata una positiva
integrazione del minore straniero nella nuova famiglia. Ma, avendo la
legge  n. 476  eliminato  la  necessita'  del  periodo  di un anno di
affidamento preadottivo (richiesta dall'art. 33, comma 1, della legge
n. 184/1983)  quale  condicio  sine  qua non per poter riconoscere il
provvedimento  straniero quale adozione e non avendo parlato mai tale
legge  di  affidamento  preadottivo  quale principio fondamentale del
nostro  diritto  di famiglia e dei minori (relativamente all'adozione
internazionale),  il  giudice,  richiesto dagli interessati (come nel
caso  di specie) di ordinare subito la trascrizione del provvedimento
straniero  di  adozione  nei registri dello stato civile agli effetti
dell'art. 27,  non  potrebbe  rifiutare tale adempimento imponendo il
previo  esperimento di un anno di affidamento preadottivo, che non e'
previsto (e quindi e' escluso) dalla legge n. 476.
    Ad  infirmare la validita' delle considerazioni che precedono non
puo'  valere  il rilievo che il denunciato sospetto di illegittimita'
costituzionale non potrebbe sussistere perche' l'adozione nazionale e
quella  internazionale  riguarderebbero situazioni diverse, in quanto
e'  agevole  replicare  in  contrario  che  la  situazione  di  fatto
(difficolta'  di  inserimento  d'un minore adottabile in una famiglia
estranea)  e'  la  stessa sia nell'adozione nazionale e sia in quella
internazionale,  come  identica e' la situazione giuridica, in quanto
entrambe  tali forme di adozione hanno efficacia piena o legittimante
(ai sensi dell'art. 27), onde la denunciata disparita' di trattamento
appare  illogica  ed  irrazionale  e quindi evidente ed innegabile la
violazione  del principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 della
Carta costituzionale.
    I  rilievi  che precedono non sono smentiti dal fatto che con una
recentissima  pronuncia  la  Corte  costituzionale  ha  ribadito  che
rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore la possibilita' di
disciplinare  diversamente  i  procedimenti  di adozione nazionale ed
internazionale  (cfr.  Corte  costituzionale,  ordinanza  6-14 giugno
2001,  n. 192,  Pres.  Ruperto,  rel.  Contri;  Corte  costituzionale
sentenza  5  febbraio  1938,  n. 10,  in  Guida al diritto n. 7/1998,
56 ss.).
    Tale  principio  non  sembra  invocabile  nel  caso di specie per
affermare  l'infondatezza della presente eccezione di illegittimita',
poiche'  la  questione  decisa  nell'ordinanza  citata  riguardava un
problema diverso. Ed, invero, mentre il tribunale minorile napoletano
dubitava  della  legittimita' costituzionale della diversa disciplina
legislativa  che prevede un'astratta dichiarazione di idoneita' degli
aspiranti   genitori   adottivi  solo  nella  procedura  di  adozione
internazionale  e  non  pure  in  quella  di  adozione  nazionale, la
presente  questione  concerne  il dubbio se un periodo di affidamento
preadottivo  (della durata d'un anno) costituisca o meno un principio
fondamentale  del  nostro diritto di famiglia e dei minori, come tale
valido sia nell'adozione nazionale che in quella internazionale. Ed a
proposito   del   dubbio  di  illegittimita'  sollevato  dal  giudice
partenopeo  la  Consulta ha giustamente risposto che la questione era
manifestamente infondata, perche' la diversa disciplina si giustifica
con il fatto che nell'adozione nazionale l'"abbinamento" e' fatto dal
giudice  italiano  (donde la inutilita' di una generica dichiarazione
di  idoneita'  degli  adottanti),  mente nell'adozione internazionale
l'abbinamento  e'  fatto  dal  giudice  straniero,  onde  occorre una
preventiva, astratta dichiarazione di idoneita' per essere sicuri che
il  giudice  straniero affidi i minori a persone munite dei requisiti
voluti  dalla  nostra  legge.  Il  principio  affermato nella citata,
recente  ordinanza  non  sembra  applicabile al caso di specie, anche
perche',   se  le  procedure  dell'adozione  nazionale  e  di  quella
internazionale possono essere diverse, invece i requisiti sostanziali
richiesti  agli adottanti sono gli stessi (come confermato dal rinvio
dell'art. 30 all'art. 6 legge n. 184/1983 e succ. mod.) ed il periodo
di  affido  preadottivo,  quale  principio  fondamentale  dei  nostro
diritto   di   famiglia,   sembra  piu'  un  requisito  di  carattere
sostanziale  (analogo  a  quelli dei limiti di eta', della durata del
matrimonio e della non separazione) che una disposizione di carattere
processuale.  Ma, anche volendo ritenere che il periodo di affido sia
una   norma  procedimentale,  il  principio  della  diversita'  delle
procedure  non  potrebbe  giustificare la necessita' dell'esperimento
dell'affido  preadottivo  solo  nell'adozione nazionale e non pure in
quella  internazionale, in quanto la ratio dell'affido preadottivo e'
la  stessa  in  entrambe  tali  forme  di  adozione,  come sopra gia'
rilevato.
    Privo  di  pregio appare il rilievo che gli ordinamenti stranieri
non   prevedono   in   genere   l'affidamento   preadottivo,  perche'
l'affidamento  preadottivo  e'  un  principio fondamentale del nostro
diritto  minorile e perche' l'art. 35 comma 3 della legge n. 476/1998
autorizza  la  trascrizione della sentenza straniera di adozione solo
se   il  T.m.  riconosce  che  essa  non  e'  contraria  ai  principi
fondamentali  che  regolano  in  Italia  il diritto di famiglia e dei
minori,  con  la  conseguenza  della  non  trascrivibilita'  di  tale
sentenza straniera, se viene confermato che l'affidamento preadottivo
costituisce  tuttora  un principio fondamentale della nostra legge in
subiecta materia.
    La  sottolineata  disparita'  di  trattamento  appare  ancor piu'
evidente,  innegabile  ed  incomprensibile  quando  si ricordi che il
periodo  di  un anno di affidamento preadottivo e' richiesto non solo
per  l'adozione  dei minori italiani (artt. 22 e 25 legge n. 184/1983
anche  nel  testo modificato dalla legge n. 149/2001), ma anche per i
minori  stranieri  adottandi  a  norma  dell'art. 37-bis (ai quali si
applicano  gli  artt. 22  e  25  legge  n. 184/1983)  e  per i minori
stranieri  trasferiti  in  Italia  in forza d'un provvedimento non di
adozione,  ma di affidamento preadottivo ai sensi dell'art. 35, comma
4 della legge n. 476/1998.
    L'unico  rimedio  per  evitare le disarmonie sopra evidenziate ed
un'illogica  e  pregiudizievole  discriminazione del minore straniero
rispetto  a  quello  italiano  e'  quello  di  sollevare  la presente
eccezione di illegittimita' costituzionale.