ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 512 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal tribunale di Ravenna con ordinanza emessa il 26 settembre 2000, iscritta al n. 807 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, 1a serie speciale, dell'anno 2001. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che il tribunale di Ravenna ha sollevato, in riferimento all'art. 111, quinto comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 512 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente la lettura degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari solo quando ne e' divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili; che il giudice a quo chiamato a decidere sull'acquisizione al fascicolo per il dibattimento del verbale di una "individuazione fotografica" effettuata da una testimone nell'immediatezza del fatto per cui si procede, espone che tale atto e' "divenuto irripetibile a causa dell'incapacita' della teste di ricordare alcunche' in merito all'esito dello stesso, nonche' di focalizzare nella memoria l'effigie della persona all'epoca riconosciuta"; che tale impossibilita' di ripetizione non poteva peraltro ritenersi "imprevedibile al tempo delle indagini, stante da un lato l'eta' gia' matura della teste e dall'altro il lungo lasso di tempo che sarebbe verosimilmente trascorso tra il fatto e la celebrazione del dibattimento"; che la formulazione dell'art. 512 cod. proc. pen. precluderebbe quindi di disporre la lettura dell'atto, consentita solo ove l'impossibilita' di ripetizione derivi da fatti o circostanze imprevedibili; che la norma censurata, in quanto prevede "limiti estranei ed ulteriori" - in particolare, la "imprevedibilita' dell'irrepetibilita'" - all'operativita' delle deroghe al principio del contraddittorio nella formazione della prova, si porrebbe in contrasto con l'art. 111, quinto comma, Cost., ove si fa riferimento solo alla "accertata impossibilita' di natura oggettiva" della ripetizione della prova; che le regole dettate dall'art. 111, quinto comma, della Costituzione non si limiterebbero infatti a fissare "un contenuto minimo di garanzia" per l'imputato, si' da consentire al legislatore ordinario di introdurre ulteriori limiti e condizioni all'utilizzabilita' degli atti, ma sarebbero poste "anche a tutela dell'interesse all'accertamento della verita', del quale e' in primis portatrice la parte pubblica ovvero a tutela altresi' delle altre parti private che si assumono lese dal reato" le quali avrebbero quindi diritto ad utilizzare, nei casi consentiti, gli atti formati fuori del contraddittorio; che, ad avviso del rimettente, tale opzione interpretativa si basa sulla constatazione che il principio del giusto processo, enunciato dall'art. 111 Cost., si riferisce non solo all'imputato, ma a tutte le parti processuali, ed e' conforme alla corretta individuazione dello scopo del processo penale, ravvisabile nell'accertamento della verita'; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, non essendo condivisibile ne' la premessa interpretativa circa la prevedibilita' dell'impossibilita' di ripetizione dell'atto, ne' la chiave di lettura che viene fornita della norma costituzionale. Considerato che il rimettente muove dalla premessa interpretativa che nel caso sottoposto al suo esame si versi in una ipotesi di irripetibilita' di un atto assunto nel corso delle indagini preliminari, al quale - ove si trattasse di impossibilita' di ripetizione per fatti e circostanze imprevedibili - sarebbe applicabile la disciplina delle letture prevista dall'art. 512 cod. proc. pen; che il giudice a quo mostra peraltro di non cogliere la differenza tra oggettiva impossibilita' di ripetizione dell'assunzione dell'atto dichiarativo (quale potrebbe derivare da morte, irreperibilita', infermita' che determina una totale amnesia del testimone), rientrante nella sfera di applicazione dell'art. 512 cod. proc. pen., e mera incapacita' dedotta dal teste di richiamare alla memoria il contenuto dell'atto assunto durante le indagini preliminari, situazione appunto ravvisabile nel comportamento processuale di un testimone che afferma di non essere in grado di rispondere perche' non ricorda fatti o circostanze riferiti in precedenza; che all'evidenza nel caso di specie non si versa in un caso di oggettiva impossibilita' di procedere all'assunzione dell'atto (con riferimento ad una diversa situazione di fatto, comportante l'impossibilita' di ripetizione per infermita' sopravvenuta, e quindi l'applicabilita' dell'art. 512 cod. proc. pen., v. ordinanza n. 20 del 1995); che quindi, a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla prevedibilita' dell'impossibilita' di ripetizione dell'atto, l'art. 512 cod. proc. pen., ove interpretato correttamente, non e' applicabile alla situazione presa in esame dal giudice a quo; che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata per erroneita' del presupposto interpretativo. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.