IL TRIBUNALE

    Il giudice letti gli atti;

                            O s s e r v a

    Reputa questo giudice che preliminare ed assorbente di ogni altra
questione,  perche'  rilevante ai fini della decisione della presente
controversia,   sia  la  delibazione  della  costituzionalita'  della
normativa   dettata   in   materia   di   giuramento  suppletorio,  e
segnatamente  dell'art. 2736 n. 2) c.c., avuto riguardo all'art. 111,
primo comma e secondo comma Cost.
    Invero, il legislatore costituzionale nel novellare, con la legge
costituzionale  23 novembre 1999, n. 2, l'art. 111 della Costituzione
ha  avuto  modo  di  precisare che ogni processo, ivi compreso quello
civile,  per  essere giusto, deve svolgersi in contraddittorio tra le
parti davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
    Orbene,  il  rilievo  da  riconoscersi  ad  ogni  intervento  del
legislatore a modifica della norma fondamentale induce a ritenere che
quello  che occupa, lungi dall'essere pleonastico, perche' volto solo
ad  esplicitare  il  principio  gia'  immanente  nell'ordinamento (e,
quindi,  ricavabile  dall'assetto costituzionale precedente), secondo
cui  anche il processo civile deve svolgersi in condizioni di parita'
innanzi  ad  un  giudice  che - oltre che indipendente - sia terzo ed
imparziale,   ovvero   indifferente   all'esito   della  controversia
sottoposta al suo esame, abbia innovato profondamente il sistema.
    La   novella,   a   parere  di  questo  giudicante,  rafforza  la
convinzione   che   nel   nostro   ordinamento,   stante   il  tenore
dell'art. 106, primo comma Cost., la legittimazione all'esercizio del
potere  giurisdizionale tragga linfa anche dal continuo svolgersi del
pieno  contraddittorio tra le parti. Il che, pero', presuppone che il
libero convincimento del giudice si formi solo in virtu' di attivita'
processuali  che  le  parti abbiano compiuto in posizione di assoluta
parita'  e  giammai  quale  conseguenza  dell'esercizio  officioso di
poteri,  che,  per  definizione,  pongano  uno  dei  litiganti in una
situazione di superiorita' rispetto all'altro.
    Tale elemento di novita' potrebbe, dunque, comportare il sospetto
della  sopravvenuta  incostituzionalita'  di  tutti  quegli  istituti
processualcivilistici, la cui applicazione integri oggettivamente una
lesione  del  principio  di terzieta' e di parita' delle parti. E fra
questi  e'  da  annoverarsi il giuramento suppletorio, atteso che con
esso  il  giudice  rimette  l'esito  della causa alla condotta di una
delle parti.
    In  altre  parole,  il  giudice non puo' sciogliere il dubbio che
egli  stesso  nutre  sulla  vicenda  da  delibare,  disponendo  di un
istituto   che   gli   consente  di  intervenire  pesantemente  nella
dialettica  processuale,  obiettivamente  avvantaggiando  una parte a
scapito dell'altra.
    Invero,  chi  scrive  non  ignora che nella soggetta materia, con
sentenza  del  4  maggio  1972, n. 83, il giudice delle leggi ha gia'
avuto  occasione  di  pronunciarsi,  dichiarando  che l'istituto oggi
oggetto  di  denuncia  non produce conseguenze lesive dei principi di
uguaglianza e di difesa.
    Detta  posizione merita di essere rivista alla luce della riforma
costituzionale del 1999, posto che
        1)  la  condizione  di  semiplena  probatio  di  per  se' non
giustifica  il  ricorso  a tale strumento processuale, dovendo in tal
caso  il giudice o rigettare la domanda, perche' non sufficientemente
provata  in ossequio al principio generale di cui all'art. 2697 c.c.,
ovvero,  se possibile ed opportuno, esercitare ulteriormente i poteri
istruttori   d'ufficio,  specie  laddove  essi  siano  oggettivamente
diretti  all'accertamento  della  verita'  mediante l'acquisizione di
materiale probatorio da soggetti esterni al processo e terzi rispetto
alle  parti in lite. Palese, quindi, e' la differenza fra l'esercizio
di  tali poteri e l'istituto del giuramento suppletorio, che non puo'
ragionevolmente  opinarsi contribuisca all'acclaramento della vicenda
oggetto  di  lite, costituendo solo un mezzo per la definizione della
stessa;
        2)  d'altro  canto  il  vincolo  morale e sociale, principale
sprone a non giurare il falso, si e', come si osserva in letteratura,
nella presente epoca storica quanto meno allentato, se non venuto del
tutto meno;
        3)  peraltro,  la  legge  non  pone  alcun criterio certo che
regoli  la  discrezionalita'  del  giudice  nella  scelta della parte
operata a prestare il giuramento suppletorio. Ne' a tal fine soccorre
l'orientamento  elaborato  sul  punto dalla corte regolatrice perche'
non ha efficacia vincolante;
        4)    la   violazione   del   principio   che   la   dottrina
processualcivilistica  definisce di parita' delle armi fra le parti e
del  dovere  di  terzieta' del giudice si traduce ovviamente anche in
una  violazione  del diritto, sancito oggi dall'art. 111, primo comma
Cost.,  della  parte  non  scelta  per  il compimento dell'atto ad un
processo   giusto.   Essa,  difatti,  rimasta  sprovvista  di  poteri
processuali   attuali   (se   non   quello   di  chiedere  la  revoca
dell'ordinanza),  non puo' che limitarsi a sottostare alla scelta del
giudice,  assistere  inerme  alla  condotta  della  sua controparte e
subire   le   pesanti   conseguenze,   anche  esecutive,  non  sempre
rimediabili con la successiva condanna a prestare l'id quod interest;
        5)  quanto  precede  non  significa  dar  valore  ad astratti
modelli  processuali  a  danno della ragionevole durata del giudizio,
essendo  quest'ultimo  un  principio  comunque  recessivo  rispetto a
quelli di terzieta', imparzialita' e parita' delle parti.
    Quanto  alla  rilevanza,  evidenzia lo scrivente che, considerata
l'equiparazione degli effetti del giuramento suppletorio a quelli del
giuramento    decisorio,   non   appare   possibile   accogliere   la
riconvenzionale  spiegata,  se  non  sulla  base delle risultanze del
giuramento  prestato,  per  non essere le altre emergenze istruttorie
all'uopo idonee.