IL  TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA, NAPOLI, PRIMA
                              SEZIONE,

    Composto  dai  magistrati: dott. Giancarlo Coraggio - Presidente,
dott.  Luigi  Domenico  Nappi  -  consigliere  relatore  est.,  dott.
Alessandro Pagano - consigliere
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 7839/2001
R.G.  proposto  da  Lace  Afredo  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Salvatore  Aceto  di  Capriglia presso il cui studio e' elettivamente
domiciliato in Napoli - via G. Fiorelli n. 5;
    Contro  Ministero  delle  finanze  in  persona  del Ministro p.t.
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di
Napoli domiciliataria ope legis in Napoli - via Diaz n. 11
                         Per l'annullamento
    del  provvedimento  n. 17180  del  18 maggio 2001 con il quale il
Comando  regionale  Campania della Guardia di Finanza ha disposto nei
confronti  del  ricorrente  la  sospensione  ex  art. 4  della  legge
n. 97/2001;
    Visti tutti gli atti di causa;
    Uditi  all'udienza  dell'8 agosto 2001 il relatore dott. Luigi D.
Nappi e gli avv.ti come da verbale;
               Ritenuto in fatto e considerato in diritto
    1.  -  Con  il  presente  ricorso  notificato il 16 luglio 2001 e
depositato  il  successivo  19 luglio, Lace Alfredo, maresciallo capo
della   Guardia   di  Finanza,  si  duole  che  l'amministrazione  di
appartenenza lo abbia sospeso dal servizio ai sensi dell'art. 4 della
legge n. 97/2001.
    Articola pertanto tre motivi di gravame con cui deduce violazione
di  legge n. 97/2001 e legge 241/90) ed eccesso di potere per difetto
di presupposti;
    2. - Resiste l'amministrazione;
    3.  - All'udienza camerale indicata, la causa e' stata trattenuta
in decisione.
    4.  -  Osserva  il  Collegio  che  rilevante e non manifestamente
infondata  e'  la  questione  di  costituzionalita' dell'art. 4 della
legge n. 97/2001.
    Nella  presente  fattispecie  il  ricorrente  Lace  si  duole che
l'amministrazione gli abbia comminato la sospensione prevista da tale
normativa,  a seguito della sua condanna, non definitiva, pronunciata
il  27  febbraio  2001  dal  Tribunale di Messina per il reato di cui
all'art. 317 c.p.
    La  questione  e',  innanzitutto, rilevante atteso che la novella
recata  dalla  legge  97/2001  si applica, contrariamente a quanto si
sostiene nel gravame, anche al ricorrente.
    Si  afferma  infatti  che  l'amministrazione  finanziaria avrebbe
applicato  in  modo  retroattivo,  una  disposizione  posteriore alla
condanna de qua.
    Soccorre,  in argomento, il chiaro disposto dell'art. 10, recante
la  normativa  transitoria,  ove  si  afferma  (primo  comma) che "Le
disposizioni  della  presente  legge  si  applicano  ai  procedimenti
penali,   ai   giudizi   civili  e  ammistrativi  e  ai  procedimenti
disciplinari  in  corso  alla  data  di entrata in vigore della legge
stessa".
    Nel  caso in esame il procedimento penale a carico del Lace e' in
corso  atteso  che  il  Lace,  come  da  lui  espressamente affermato
ricorso, intende interporre appello avverso la citata sentenza.
    Parimenti  infondata  e'  la  censura  di  eccesso  di potere per
difetto  di presupposto atteso che nella fattispecie sussiste l'unico
presupposto  cui nella previsione della norma in esame e' subordinata
la irrogata sospensione.
    Non  e'  infine  accoglibile  la  censura  di  omesso  avvio  del
procedimento ex lege 241/1990 perche' si e' in presenza di un effetto
della   sentenza  penale  che  si  riverbera  in  modo  automatico  e
vincolante sul rapporto di servizio.
    Deve  dunque  dedursi che la fattispecie sottoposta all'esame del
TAR  sia  regolata dall'art. 4 della legge n. 97/2001: diviene allora
essenziale  l'esame  della norma, sotto il profilo della sua sospetta
incostituzionalita',  introducendosi  la  relativa  questione  che il
tribunale solleva d'ufficio.
    Vari sono i parametri della Carta costituzionale che il Tribunale
ritiene invocabili: gli articoli 3, 4, 24, 27, 35, 36, 97 Cost.
    In  particolare,  il  parametro  principale  e'  costituito dalla
ragionevolezza  del  bilanciamento  operato  dal  legislatore  tra le
esigenze   di   buon   andamento   e   imparzialita'  della  pubblica
amministrazione   e   tutela   dei  diritti  compressi  dalla  misura
cautelare.
    La Corte costituzionale gia' si e' espressa in argomento (sent. 3
giugno  1999 n. 206), rilevando che l'art. 15, comma 4-septies, della
legge 19 marzo 1990 n. 55 e' costituzionalmente legittimo nella parte
in  cui stabilisce che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche i
quali   abbiano   riportato   condanna,  anche  non  definitiva,  per
determinati delitti, siano sospesi immediatamente dall'ufficio.
    La  pronuncia  e'  particolarmente  pertinente in quanto la legge
n. 97/2001,  oltre  che per altre fondamentali esigenze, quali quella
di  contemperare  alcuni  aspetti  di  rilievo  pubblicistico  con la
disciplina    privatizzata    del    lavoro   presso   le   pubbliche
amministrazioni  ex  d.lgs. n. 29/1993 (ora d.lgs. n. 16 del 30 marzo
2001),  e'  intervenuta  proprio  per reinserire una norma di portata
analoga   a   quella   dell'art. 15   summenzionato,  attesa  la  sua
abrogazione ad opera del TUEL (d.lgs. n. 267/2000).
    L'abrogazione  disposta dal TUEL (salvo per cio' che riguarda gli
amministratori  e i componenti degli organi delle aziende sanitarie e
ospedaliere  e i consiglieri regionali) ha comportato, infatti, anche
l'effetto  di  eliminare  la  sospensione  automatica  dei dipendenti
pubblici, ponendo la necessita' di riformulazione della norma.
    Dall'esame  della  sentenza n. 206/1999 si evince che la Corte ha
svolto  il  suo  esame limitatamente alla compatibilita' dell'art. 15
comma   4-septies  citato,  in  relazione  alla  condanna  per  reato
associativo di stampo mafioso.
    Dallo  scrutinio  svolto, la Corte ha, in sintesi, dedotto che la
gravita'  di  quel  reato  abilita  il legislatore, senza lesione del
principio di ragionevolezza, a prevedere misure cautelari automatiche
per  il  dipendente  della  p.a.  condannato  anche  se  non  in  via
definitiva.
    Ad  avviso  di questo Tribunale, la sentenza della Corte ha pero'
altresi'  indicato  l'ipotesi  estrema,  oltre la quale la lesione di
quel principio non si pone come manifestamente infondata.
    Ed   infatti   la   condanna  di  un  dipendente  della  pubblica
amministrazione   per  un  delitto  riconducibile  alla  criminalita'
organizzata    appare    quanto    di    piu'   destabilizzante   per
l'amministrazione  stessa,  considerato,  da  un  lato,  il carattere
tendenzialmente irretrattabile della partecipazione alle associazioni
di  stampo  mafioso,  dall'altro, la peculiarita' di queste ultime di
porsi   in   senso   antagonista   alle  istituzioni,  con  modalita'
permanente.
    Se  quindi  il principio di ragionevolezza - principio "assoluto"
fra  i  valori  costituzionali  -  non puo' dirsi vulnerato in quella
ipotesi estrema, la tematica del bilanciamento razionale fra esigenze
sembra  porsi  in  fattispecie,  quale quella in esame, ove l'attuale
ricorrente  e'  stato  si'  condannato  per  un  reato di particolare
gravita'  (art. 317  c.p.)  ma tale episodio criminoso, almeno stando
all'imputazione,  e'  scollegato  da ambienti stabilmente criminali e
deve ritenersi realizzato uno actu.
    Sempre  dalla  sentenza n. 206/1999 si apprende che vi sono delle
ipotesi  in cui non e' irragionevole la discrezionalita' demandata al
legislatore   di   identificare   ipotesi  circoscritte  nelle  quali
l'esigenza  cautelare  e'  apprezzata  in  via  generale ed astratta;
tuttavia,  trattandosi  della  valutazione  di interessi strettamente
legati  all'attivita'  amministrativa,  non  v'e'  dubbio che, in via
ordinaria,  debba  essere  la  stessa  amministrazione  a compiere il
relativo  apprezzamento,  con  riguardo alle caratteristiche del caso
concreto.
    La  Corte,  da  sempre  attenta a limitare gli effetti automatici
sostanzialmente   sanzionatori,   dovra'   inoltre   valutare  se  la
discrezionalita' del legislatore nel determinare per legge il periodo
di   sospensione  dal  servizio  sia  stata  razionalmente  esplicata
nell'art. 4  della  legge n. 97/2001 ove la sospensione si rapporta a
un  periodo  di  tempo,  pari  a  quello  di prescrizione del reato e
percio'  di durata quanto mai lunga, tanto da dubitarsi che la stessa
abbia il carattere di provvedimento fondato su "esigenze cautelari".
    Il   presente   processo   va  quindi  sospeso,  disponendosi  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Con  distinta  ordinanza e' disposto l'accoglimento della domanda
cautelare    per    il   solo   tempo   necessario   all'espletamento
dell'incidente di costituzionalita'.