IL TRIBUNALE

    Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 4837/2000
promossa  con  ricorso  ex  art. 98 L.F. notificato in data 17 maggio
2000   a   ministero   dell'Aiutante  Ufficiale  giudiziario  addetto
all'Ufficio Notifiche del Tribunale di Monza da Moro Ambrogio S.p.a.,
elettivamente  domiciliata  in Monza, via Vittorio Emanuele II n. 26,
presso  lo  studio dell'avv. Cristina Carpinelli che la rappresenta e
difende per delega a margine del ricorso, ricorrente;
    Fallimento  Brenna S.p.a., elettivamente domiciliato in Sesto San
Giovanni,  via De Zorzi n.32 presso lo studio dell'avv. Flavio Rosati
che  lo  rappresenta  e  difende  per  delega  a  margine del ricorso
notificato, resistente;
    Pronuncia la seguente ordinanza.
    La  Ambrogio  Moro S.p.a., con ricorso ex art. 98 L.F. depositato
in  data  21  aprile 2000, ha proposto opposizione allo stato passivo
del  Fallimento  Brenna  S.r.l., divenuto esecutivo in data 12 aprile
2000,  nel quale il credito della ricorrente, relativo a forniture di
olii minerali, e' stato ammesso in via chirografaria per l'importo di
L.  277.358.473  con esclusione del privilegio ex art. 2758, comma 2,
relativo  al  credito  di  rivalsa  per  I.V.A.,  e del privilegio ex
art. 16.  comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504, relativo al credito
di  rivalsa per l'accisa, in ragione rispettivamente dell'assenza dei
beni  sui  quali esercitare il privilegio speciale per I.V.A. e della
mancata evidenziazione dell'accisa nelle fatture.
    Nel  corso  della  causa  la  ricorrente ha sollevato le seguenti
questioni di costituzionalita':
        a)  incostituzionalita'  dell'art. 2758,  comma 2, c.c., come
modificato  dall'art. 5,  legge 29 luglio 1975, n. 426, per contrasto
con  l'art. 3  della  Costituzione  in  quanto,  la norma, abrogando,
secondo  l'interpretazione giurisprudenziale consolidata, il disposto
dell'art. 18, comma 5, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (come modificato
dal   d.P.R.  23  dicembre  1974  n. 687,  che  aveva  introdotto  la
previsione  di un privilegio generale a favore del credito di rivalsa
I.V.A.  per  cessioni  di beni) e prevedendo che i crediti di rivalsa
verso  i  cessionari  e  i  committenti previsti dalle norme relative
all'imposta  sul  valore  aggiunto  sono  assistititi  da  privilegio
speciale sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali
si riferisce il servizio, ha creato una disparita' di trattamento tra
i  titolari  di  crediti  di  rivalsa  relativi  a  forniture di beni
suscettibili  di  essere effettivamente appresi in sede esecutiva e i
titolari  di  crediti di rivalsa relativi a forniture di beni che per
loro   natura;   trattandosi  di  energie,  combustibili  o  comunque
materiali  di rapido consumo, non consentono di fatto mai il realizzo
del privilegio.
        b)  incostituzionalita'  dell'art. 2758,  comma  2,  c.c. per
contrasto  con  l'art. 53  della  Costituzione  nella  parte  in cui,
secondo   l'interpretazione   prevalente,  ha  abrogato  il  disposto
dell'art. 18, comma 5, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, non assicurando
cosi'  ai fornitori di beni non suscettibili di materiale apprensione
in   sede   esecutiva  un'adeguata  garanzia  riguardo  all'effettivo
recupero dell'importo pagato a titolo d'imposta sul valore aggiunto e
facendo  pertanto  di  fatto,  in  tali ipotesi, gravare l'imposta su
soggetto diverso dal consumatore finale ossia su soggetto diverso dal
portatore  della  capacita'  contributiva (espressa per l'appunto dal
consumo) sulla quale il tributo si fonda;
        c)  incostituzionalita'  dell'art. 16,  comma  3,  d.lgs.  26
ottobre  1995  n. 504  per contrasto con l'art. 53 della Costituzione
nella   parte  in  cui,  in  caso  d'incapienza  del  patrimonio  del
cessionario,   soggetto   economicamente   e   giuridicamente  inciso
dall'imposta, fa gravare sul titolare dell'ultimo depositario fiscale
prima dell'immissione in consumo l'onere fiscale dell'accisa;
        d)  incostituzionalita'  dell'art. 16,  comma  3,  d.lgs.  26
ottobre  1995  n. 504  per contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
laddove   s'interpreti  la  norma  nel  senso  che  soggetto  passivo
dell'imposta  avente  diritto al privilegio generale relativamente al
credito  di  rivalsa  e' solamente l'ultimo depositario fiscale e non
anche  l'operatore  intermedio  tra  quest'ultimo  e  il  consumatore
finale;
        e)  incostituzionalita'  dell'art. 16,  comma  3,  d.lgs.  26
ottobre  1995  n. 504  per contrasto con l'art. 23 della Costituzione
nella  parte  in  cui,  prevedendo che i crediti vantati dai soggetti
passivi  dell'accisa  verso  i cessionari dei prodotti possono essere
addebitati  a  titolo di rivalsa e hanno privilegio generale sui beni
mobili  del  debitore  solo  qualora  l'accisa risulsti separatamente
evidenziata  nella  fattura  relativa alla cessione, surrettiziamente
introduce  a  carico  del titolare dell'ultimo deposito fiscale prima
dell'immissione  in  consumo una sanzione non prevista ne' altrimenti
delineata  da  alcuna norma di legge tributaria o contabile, a fronte
di una violazione meramente formale, inutile e parimenti non prevista
da alcuna norma di legge tributaria o contabile;
        f)  incostituzionalita'  dell'art. 16,  comma  3,  d.lgs.  26
ottobre  1995  n. 504  per  contrasto  con  l'art. 24, comma 1, della
Costituzione  nella  parte in cui non prevede che il soggetto passivo
dell'accisa,  che  non abbia separatamente evidenziato l'accisa nella
fattura  relativa  alla  cessione dei prodotti, possa provare di aver
assolto l'imposta, ai fini dell'azione di rivalsa verso i cessionari,
attraverso i libri contabili.
    Riguardo  alle  questioni di costituzionalita' cosi' prospettate,
si osserva:
        1.    -    quanto   alla   questione   di   costituzionalita'
dell'art. 2758,  comma  2, c.c., come modificato dall'art. 5 legge 29
luglio 1975 n. 426, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
                   Sulla rilevanza della questione
                   di legittimita' costituzionale
    Il  credito  della  ricorrente  a titolo di rivalsa per l.V.A. e'
stato  ammesso in via chirografaria, con esclusione del privilegio ex
art. 2758  comma 2, in quanto il combustibile oggetto delle forniture
era  stato  ovviamente  consumato  nello  svolgimento  dell'attivita'
produttiva  e  conseguentemente  non  e' stato rinvenuto dal curatore
fallimentare   in   sede   di   effettuazione   dell'inventario.   La
declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art. 2758, comma 2,
come  modificato  dall'art. 5 legge n. 426/1975, o meglio dell'art. 5
legge  n. 426/1975  nella  parte  in  cui  ha  modificato l'art. 2758
introducendo   il  testo  dell'attuale  comma  2,  determinerebbe  la
riviviscenza   della   norma  precedentemente  vigente  e  quindi  il
riconoscimento ai crediti di rivalsa del privilegio generale sui beni
mobili   di   cui   all'art. 2752   comma  3  c.c.,  con  conseguente
eliminazione  di  ogni differenza di tutela tra i titolari di crediti
di rivalsa in base alla tipologia dei beni oggetto della cessione. E'
pertanto  di tutta evidenza la rilevanza della questione nel presente
giudizio.
          Sulla non manifesta infondatezza della questione
                   di legittimita' costituzionale
    Il  legislatore,  prevedendo  che,  in  ogni  caso, il credito di
rivalsa  e'  munito  di privilegio speciale, ha omesso di considerare
che,  nel  caso  in cui il bene oggetto della cessione e' rapidamente
consumabile  o  consiste  di energia, la causa di prelazione non puo'
concretamente operare, in quanto risulta sostanzialmente (e, nel caso
di  energia,  assolutamente) impossibile apprendere tali beni in sede
di  pignoramento o di redazione dell'inventario da parte del curatore
fallimentare.  Il  legislatore  ha  quindi  previsto  una  disciplina
identica per fattispecie che, nella prospettiva dell'attuazione della
causa di prelazione prescelta, risultano nettamente difformi.
    E' vero che sempre si possono verificare circostanze di fatto che
concretamente  possono  inficiare  un  diritto e che, con riferimento
specifico alla materia delle cause di prelazione, anche il privilegio
generale non assicura alcuna tutela al creditore quando il patrimonio
del  debitore  risulta  incapiente e non per questo si e' prospettata
una  disparita' di trattamento tra i creditori che vengono a trovarsi
in   tale   situazione  e  i  creditori  che  possono  realizzare  il
privilegio.
    Tuttavia  si  tratta  di circostanze meramente eventuali, che non
connotano   a   priori   la   fattispecie  oggetto  della  disciplina
legislativa,   mentre   l'evidenziata  impossibilita'  di  apprendere
materialmente  determinati  beni  attiene  alla  loro stessa natura e
quindi  si  tratta  di una circostanza che e' idonea a introdurre una
differenziazione    tipologica    tra   le   situazioni   interessate
dall'intervento  legislativo  e,  come tale, non puo' non rilevare in
sede di verifica del rispetto del principio di eguaglianza.
    Non   appare   pertanto   dubitabile   che  la  norma  introdotta
dall'art. 5  legge  n. 426/1975  concretizza una violazione indiretta
del  principio  d'eguaglianza.  Ne' risulta sufficiente a superare la
disparita'  di  trattamento la previsione, ex art. 26 d.P.R. 633/1972
come  modificato  dal  d.l.  n. 79/1997,  della facolta' del soggetto
passivo  dell'imposta,  nel caso di accertata incapienza patrimoniale
del  cessionario  o  committente,  di emettere una nota di variazione
I.V.A.,  considerato  che  tale  facolta' presuppone, nell'ipotesi di
fallimento,  l'avvenuta  approvazione  del  piano di riparto finale e
quindi  di  norma  puo'  essere  esercitata  soltanto  vari anni dopo
l'insorgenza del debito.
    Non  parrebbero,  d'altro  canto,  ostativi  alla declaratoria di
illegittimita'  della  norma  i  limiti, delineati dalla stessa Corte
costituzionale,   riguardo  l'adozione  di  pronunzie  costituzionali
additive.
    La  Corte  ha statuito che "una decisione di tipo additivo e', in
linea   di   principio,   consentita  soltanto  quando  la  soluzione
adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione discrezionale,
ma  consegua  necessariamente  al  giudizio di legittimita'", per cui
l'intervento  del giudice costituzionale risulta inamissibile "quando
si  profili  una pluralita' di soluzioni derivanti da varie possibili
valutazioni"   spettanti   unicamente   al  legislatore  (cfr.  Corte
costituzionale  n. 84/1992).  La  Corte  ha  quindi  specificato tale
regola,  in materia di privilegi, affermando che "mentre e' possibile
sindacare  -  all'interno  di  una  specifica norma attributiva di un
privilegio  -  la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa di
fattispecie  identiche o omogenee a quella cui la causa di prelazione
e' riferita, certamente non consentito e' utilizzare lo strumento del
giudizio  di  legittimita'  per introdurre, sia pur in considerazione
del  rilievo  costituzionale  di un determinato credito, una causa di
prelazione,  con  strutturazione  di un autonomo modulo normativo che
codifichi  la tipologia del nuovo privilegio e il suo inserimento nel
sistema di quelli preesistenti".
    Nel   caso   di   specie,  in  ragione  della  peculiare  vicenda
legislativa che ha interessato la disciplina del privilegio spettante
ai  crediti  di  rivalsa  I.V.A.  (caratterizzata  dal  fatto  che il
legislatore  aveva  a  suo  tempo  introdotto,  con la previsione del
privilegio generale sui beni mobili, una disciplina idonea a superare
la  disparita'  di  trattamento  qui denunziata, ma "per un probabile
difetto di coordinamento normativo" - cfr. Corte cost. n. 25/1984 - ,
ha   successivamente   ripristinato   il   privilegio  speciale),  la
caducazione   della   norma  per  illegittimita'  costituzionale  non
implicherebbe  alcuna  scelta  discrezionale  da parte della Corte in
ordine  alla  definizione  della  nuova  disciplina ma determinerebbe
automaticamente,   come   gia'  evidenziato,  la  riviviscenza  della
precedente  normativa idonea a regolamentare compiutamente la materia
eliminando  la denunziata disparita' di trattamento. In altri termini
la  Corte  non  verrebbe chiamata a compiere valutazioni riservate al
legislatore,  ma  si  limiterebbe,  nell'ambito  dei  suoi  poteri, a
sanzionare  l'incostituzionalita'  della  norma  per  violazione  del
principio di eguaglianza.
    Certamente  questo intervento non si tradurrebbe in un'inclusione
nella  "norma attributiva di un privilegio di fattispecie identiche o
omogenee  a  quella  cui  la  causa di prelazione e' riferita", ma e'
evidente  che  lo  specifico  limite  cosi'  individuato  dalla Corte
attiene  all'ipotesi  in  cui  sia dedotta una violazione diretta del
principio  d'eguaglianza ossia un trattamento diseguale di situazioni
ritenute  equivalenti a cui s intenda porre rimedio estendendo l'area
di  applicazione  del  privilegio  rispetto  a  quella  delineata dal
legislatore.  Nel  caso  in  esame, essendo la violazione prospettata
sotto  il  profilo  dell'uniformita'  di  disciplina  di  fattispecie
differenti,  non  si  pone  un  problema  di  ammissibilita'  di  una
pronuncia   additiva   che   estenda  un  determinato  privilegio  ad
un'ipotesi  non prevista dal legislatore, dovendosi invece verificare
se  la  declaratoria  d'incostituzionalita'  e'  idonea  di per se' a
determinare   l'eliminazione  della  disparita'  senza  implicare  la
necessita'  di  una scelta tra molteplici soluzioni possibili. E, per
le ragioni appena indicate, la conclusione appare positiva.
    Ne'  puo'  ritenersi  che  la norma risultante da tale intervento
della  Corte potrebbe a sua volta essere oggetto di ulteriore censura
di  incostituzionalita' per disparita' di trattamento con riferimento
alla  circostanza  che  il  privilegio  generale sarebbe previsto per
tutte le cessioni di beni e non invece per le prestazioni di servizi.
Va   infatti  al  riguardo  rilevato  che  tale  differenziazione  di
disciplina sarebbe giustificata alla luce del fatto che mentre per le
cessioni  di  beni  il  cedente  e'  tenuto ad emettere la fattura al
momento  della  prestazione con il conseguente obbligo del versamento
integrale  dell'I.V.A.  maturata  per effetto dell'operazione, per le
prestazioni   di  servizi  l'art. 6  d.P.R.  n. 633/1972  prevede  la
possibilita' di emettere la fattura al momento del pagamento.
    Semmai  la  riviviscenza del privilegio generale per i crediti di
rivalsa  I.V.A.  potrebbe  destare  perplessita'  per l'incidenza che
verrebbe  ad  esplicare  nel  complessivo assetto dei privilegi ed in
particolare,  tenuto  conto  anche  dell'entita' di tali crediti, per
ulteriore  penalizzazione  dei  crediti chirografari. Ma si tratta di
una  preoccupazione che attenendo al piano della politica legislativa
in  materia  di  tutela  del  credito, non parrebbe poter inibire una
valutazione   d'illegittimita'  della  norma  vigente,  spettando  al
legislatore  eventualmente reintervenire sulla disciplina, risultante
per  effetto  (automatico)  della declaratoria d'incostituzionalita',
individuando  una diversa soluzione in grado di coniugare il rispetto
del   principio   d'eguaglianza   e   l'esigenza  di  non  indebolire
ulteriormente la tutela delle categorie di creditori meno protette.
    Alla  luce  di  tali  osservazioni  si ritiene che la Corte possa
diversamente  considerare  l'ammissibilita' della sollevata questione
di   costituzionalita'   rispetto   alla  ormai  risalente  pronuncia
n. 25/1984.
        2.    -    Quanto   alla   questione   di   costituzionalita'
dell'art. 2758,  comma  2,  c.c.  per  contrasto  con l'art. 53 della
Costituzione
    Riguardo  alla  prospettata  incostituzionalita'  dell'art. 2758,
comma  2, c.c. per contrasto con l'art. 53 della Costituzione si deve
osservare  che  appare ormai acquisito per buona parte della dottrina
che  l'I.V.A.  ha  natura  d'imposta  sul consumo e che il consumo e'
l'indicatore  della  capacita'  contributiva che giustifica, ai sensi
della   norma   costituzionale,  tale  imposta.  D'altro  canto  tale
ricostruzione  appare  pienamente  coerente  con  la  reale incidenza
economica  dell'I.V.A.,  posto  che  il  relativo  onere  e' sempre e
integralmente   traslato  nella  sfera  del  consumatore  finale,  e,
soprattutto,  con  la  sua  disciplina  giuridica,  tenuto  conto, al
riguardo,  che  il ribaltamento dell'onere sul consumatore finale non
e'  frutto  del  generico  meccanismo economico del trasferimento dei
costi  d'impresa nei prezzi ma rappresenta una vero obbligo giuridico
del  cedente,  avendo voluto il legislatore assicurare la neutralita'
del tributo per gli operatori economici sancendo l'inderogabilita' (e
quindi la non negoziabilita' in sede contrattuale) della regola della
rivalsa del cedente nei confronti del cessionario.
    Cio'   posto,   non   si  ritiene  tuttavia  fondata  l'eccezione
d'incostituzionalita',  non  apparendo  condivisibile la tesi secondo
cui  il  fatto  che in alcune ipotesi il privilegio speciale sui beni
ceduti  non  possa  essere  di  fatto mai realizzato (censurabile con
riferimento  al principio d'eguaglianza) implicherebbe una violazione
del   principio   della   capacita'  contributiva.  Il  principio  e'
rispettato  per  lo  stesso  fatto  che il legislatore ha previsto il
meccanismo della rivalsa con conseguente diritto del cedente, in caso
di   mancato   pagamento  da  parte  del  cessionario,  di  aggredire
esecutivamente  l'intero  patrimonio  del  cessionario. Il principio,
infatti,  non implica necessariamente l'attribuzione di un privilegio
al  titolare  del  diritto  di  rivalsa,  rientrando  la scelta dello
specifico   grado  di  tutela  nella  discrezionalita'  politica  del
legislatore.
    D'altra  parte,  nei  casi di grave incapienza del patrimonio del
debitore, anche un privilegio generale di elevatissimo grado potrebbe
risultare  insufficiente  ad  assicurare  il  realizzo del credito di
rivalsa e quindi, seguendo il ragionamento della ricorrente, dovrebbe
pervenirsi  alla conclusione dell'incostituzionalita' di ogni assetto
normativo  che  non  consenta  al  soggetto  passivo  dell'imposta il
recupero,  nei  confronti  dell'erario,  dell'I.V.A.  pagata.  Ma una
siffatta  conclusione  non  sarebbe corretta perche' l'accollo in via
definitiva  ad  un  soggetto  di un tributo che, in base al principio
della  capacita'  contributiva,  dovrebbe  gravare  su altro soggetto
rappresenterebbe,   in   un'ipotesi  come  quella  in  questione,  un
ragionevole  bilanciamento di interessi di eguale rilevanza sul piano
costituzionale,  tenuto  conto,  da  un  canto,  che anche il diritto
dell'Erario  al  pagamento  del tributo ha rilevanza costituzionale e
che,  d'altro  canto,  la  scelta  del  soggetto  a  favore del quale
eseguire la prestazione e' una scelta effettuata dal soggetto passivo
dell'imposta    nell'esercizio    della    propria   discrezionalita'
imprenditoriale.  In  altri  termini  non  vi  e'  ragione per cui la
conseguenza di valutazione non prudente o comunque il normale rischio
imprenditoriale  relativo  alla  possibile  inadempienza e incapienza
patrimoniale  degli  acquirenti  o  dei committenti debba essere, per
quanto  riguarda l'I.V.A, necessariamente posto a carico dell'Erario.
Si   deve  anche  considerare  che  l'accollo  definitivo  dell'onere
dell'I.V.A.  a  carico del cedente troverebbe giustificazione, sempre
nella  prospettiva  del  bilanciamento  degli  interessi configgenti,
anche  nell'esigenza  di  evitare  comportamenti  fraudolenti a danno
dell'Erario.
    Va  peraltro  rilevato  che  il legislatore, modificando con d.l.
n. 79/1997  l'art. 26  d.P.R.  n. 633/1972 per dare attuazione ad una
direttiva  C.E.E.  in  materia,  ha  attribuito  al  soggetto formale
dell'imposta,  nel  caso  di  accertata  incapienza  patrimoniale del
cessionario  o  committente,  la  facolta'  di  emettere  la  nota di
variazione  I.V.A.  con conseguente possibilita' (pur concretizzabile
in  tempi  di  norma  alquanto  lunghi)  di  liberarsi dall'onere del
tributo.  Il legislatore, attraverso la previsione della possibilita'
dell'emissione  della  nota  di  variazione,  ha quindi introdotto un
meccanismo   che   consente   al   cedente   di  evitare  di  vedersi
definitivamente  gravato  da  un  tributo  correlato  alla  capacita'
contributiva   di   altro   soggetto.   Ne   discende,   collocandosi
l'art. 2758,  comma  2  in  tale  piu' ampio contesto normativo, che,
anche  a  prescindere dalle considerazioni che precedono in ordine ad
un  diverso bilanciamento degli interessi rispettivamente del cedente
e  dell'Erario,  e'  comunque  da  escludersi  in radice ogni profilo
d'incostituzionalita' con riferimento all'art. 53 della Costituzione.
        3. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16,
comma  3,  d.lgs.  26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 53
della Costituzione.
    Valgono  sostanzialmente  le  considerazioni  formulate  al punto
precedente, dovendosi tra l'altro rilevare che, in materia di accisa,
il  credito  di rivalsa a favore del soggetto passivo dell'imposta e'
assistito  dal  privilegio generale di cui all'art. 2752 c.c. per cui
la  questione  di  costituzionalita'  e'  stata  sollevata  solo  con
riferimento    all'ipotesi    dell'   incapienza   patrimoniale   del
cessionario.
    Si  ritiene, quindi, che in materia di accisa, come in materia di
I.V.A.,  il  principio della capacita' contributiva e' rispettato per
lo  stesso  fatto  che il legislatore ha previsto il meccanismo della
rivalsa,  rappresentando  l'accollo  in via definitiva al cedente del
rischio  dell'incapienza  patrimoniale del cessionario un ragionevole
bilanciamento  tra  l'interesse del cedente di non vedersi gravato di
un  tributo correlato alla capacita' contributiva di altro soggetto e
l'interesse dell'Erario al pagamento del tributo.
    Quanto    all'asserita   duplicazione   dell'imposta   nel   caso
d'impossibilita'  di  realizzare  il  credito di rivalsa, non si vede
come   la  circostanza  di  portare  a  perdita  tale  credito  possa
configurarsi, sia sotto il profilo formale sia sul piano sostanziale,
come  un secondo pagamento del tributo, posto che il mancato realizzo
del  credito  di  rivalsa  si  risolve  nel  non  recupero dell'unico
pagamento di accisa effettuato.
        4. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16,
comma  3,  d.lgs.  26  ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 3
della Costituzione.
    Riguardo  all'ulteriore  profilo  d'incostituzionalita' ex art. 3
della  Costituzione,  prospettato  in relazione ad un'interpretazione
della   norma   che  identifichi  il  soggetto  passivo  dell'imposta
solamente  con  l'ultimo  depositario  fiscale  e quindi escluda ogni
altro  operatore  intermedio  dalla  possibilita'  di  far  valere il
credito  di  rivalsa con il privilegio ex art. 2752 c.c., va rilevato
che  dalla  lettura dell'intero T.U. ed in particolare degli artt. 1,
comma  2,  lettera  g),  2,  comma  4,  8  e  16,  comma 3, si evince
chiaramente  che  tra i soggetti passivi dell'imposta rientrano anche
gli  operatori  che, privi della licenza per l'esercizio del deposito
fiscale,  acquistino  i  prodotti spediti in regime sospensivo previa
effettuazione  della  prevista registrazione presso l'ufficio tecnico
della   finanza   o   previo   invio  a  tale  ufficio  dell'apposita
dichiarazione.   Non   si  verifica  pertanto  alcuna  disparita'  di
trattamento  tra i depositari fiscali e gli operatori che, assolvendo
tali   oneri   formali,   scelgono   di  diventare  soggetti  passivi
dell'imposta  con  tutte  le  relative  conseguenze  sul  piano degli
obblighi contabili e dei controlli fiscali e sul piano sanzionatorio.
    Del tutto giustificata appare invece la diversita' di trattamento
per  gli  operatori  che, non effettuando tale scelta, non instaurano
alcun   rapporto   con   l'Erario   e   quindi  non  assumono  alcuna
responsabilita'  fiscale.  Per tali soggetti l'accisa e', come per il
consumatore  finale,  solamente una componente del prezzo che si sono
civilisticamente obbligati a pagare al venditore e quindi rappresenta
un  normale  costo  d'esercizio che possono recuperare con la normale
rivendita del prodotto. La loro posizione e' pertanto sostanzialmente
differente da quella del soggetto passivo dell'imposta.
        5. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16,
comma  3,  d.lgs.  26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 23
della Costituzione.
    Anche  tale questione appare manifestamente infondata. Assorbente
risulta  l'osservazione che la norma non introduce una nuova sanzione
in materia tributaria ma configura l'evidenziazione dell'accisa nella
fattura  come  un  onere  per il cedente ai fini dell'esercizio della
rivalsa  e  per  il  riconoscimento  del  privilegio  per  cui il non
riconoscimento  del  privilegio  non  rappresenta  la  sanzione della
violazione  di  un obbligo ma la conseguenza del mancato assolvimento
dell'onere previsto.
    Si  deve  in ogni caso osservare che il decreto legislativo e' un
atto  con  forza  di  legge e quindi sarebbe pienamente idoneo, anche
sotto   il   profilo   della   riserva   di   legge,   a   introdurre
nell'ordinamento  l'obbligo  di  un  adempimento  formale  in materia
tributaria ed a prevedere la conseguente sanzione fiscale.
    Incidentalmente,   trattandosi   di   un  profilo  estraneo  alla
valutazione  di  costituzionalita' in quanto rimesso alla valutazione
discrezionale  del  legislatore,  si  puo'  comunque  rilevare che la
previsione  in esame non appare, come invece asserisce la ricorrente,
una  previsione particolarmente gravosa e priva di utilita', perche',
da  un canto, l'evidenziazione dell'accisa nella fattura elimina ogni
possibile   incertezza   sull'effettivo   prezzo   del   prodotto  e,
assicurando  una  maggiore  coerenza tra il contenuto delle scritture
contabili  del cedente e le fatture destinate ai cessionari, risponde
ad  esigenze di controllo fiscale, e, d'altro canto, di fatto l'unica
conseguenza  negativa  per  il  cedente  e' la perdita del privilegio
ossia  una  conseguenza  che  concretamente  rileva soltanto nel caso
d'incapienza  patrimoniale del cessionario (l'importo pagato a titolo
d'imposta  viene  infatti  comunque  traslato  in capo al cessionario
sotto  forma  di generico credito per il prezzo anziche' di credito a
titolo di rivalsa).
        6. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16,
comma  3,  d.lgs.  26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 24
della Costituzione.
    Insussistente   appare   infine   la  prospettata  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 16,  comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504
per contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
    Con la norma in esame il legislatore non ha inteso introdurre una
peculiare  disciplina restrittiva della prova dell'avvenuto pagamento
dell'accisa   ai   fini   dell'azione   di  rivalsa,  ma,  come  gia'
evidenziato,  sancire, sul piano del diritto sostanziale, un onere di
carattere  formale al cui assolvimento e' subordinato la possibilita'
di  addebitare,  a titolo di rivalsa, l'importo dell'imposta pagata e
soprattutto  (stante  il  carattere  meramente  formale  della  prima
conseguenza) il diritto al privilegio ex art. 2752 c.c.
    Del  tutto  incongrua  risulta  quindi  l'eccezione  relativa  al
profilo della tutela giurisdizionale, avendo il legislatore inciso, a
monte, sul piano della stessa disciplina del rapporto sostanziale tra
i soggetti interessati.
    D'altra  parte, volendo verificare la legittimita' costituzionale
della  previsione  della norma in esame (laddove ricollega al mancato
adempimento  formale  una  conseguenza  come quella della perdita del
privilegio)  con  riferimento  all'art. 53 della Costituzione, non si
puo',  in  promo  luogo,  che rilevare come nell'ordinamento non sono
affatto  infrequenti  le  ipotesi  di  diritti,  anche  di  rilevanza
costituzionale,  il cui esercizio e' condizionato all'assolvimento di
particolari  adempimenti  formali  senza  che cio', di per se', abbia
fatto   dubitare   della  conformita'  della  previsione  alla  norma
costituzionale  che  fonda  il  diritto.  In  secondo  luogo, anche a
prescindere  da questo primo assorbente rilievo, si devono richiamare
le considerazioni, svolte con riferimento all'I.V.A., sull'assenza di
un   vincolo   costituzionale,  ex  art. 53  Cost.,  che  imponga  al
legislatore,  al  fine  della  traslazione  dell'imposta sul soggetto
titolare  della  capacita'  contributiva,  il  riconoscimento  di  un
privilegio al creditore a titolo di rivalsa;