IL TRIBUNALE Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 4837/2000 promossa con ricorso ex art. 98 L.F. notificato in data 17 maggio 2000 a ministero dell'Aiutante Ufficiale giudiziario addetto all'Ufficio Notifiche del Tribunale di Monza da Moro Ambrogio S.p.a., elettivamente domiciliata in Monza, via Vittorio Emanuele II n. 26, presso lo studio dell'avv. Cristina Carpinelli che la rappresenta e difende per delega a margine del ricorso, ricorrente; Fallimento Brenna S.p.a., elettivamente domiciliato in Sesto San Giovanni, via De Zorzi n.32 presso lo studio dell'avv. Flavio Rosati che lo rappresenta e difende per delega a margine del ricorso notificato, resistente; Pronuncia la seguente ordinanza. La Ambrogio Moro S.p.a., con ricorso ex art. 98 L.F. depositato in data 21 aprile 2000, ha proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento Brenna S.r.l., divenuto esecutivo in data 12 aprile 2000, nel quale il credito della ricorrente, relativo a forniture di olii minerali, e' stato ammesso in via chirografaria per l'importo di L. 277.358.473 con esclusione del privilegio ex art. 2758, comma 2, relativo al credito di rivalsa per I.V.A., e del privilegio ex art. 16. comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504, relativo al credito di rivalsa per l'accisa, in ragione rispettivamente dell'assenza dei beni sui quali esercitare il privilegio speciale per I.V.A. e della mancata evidenziazione dell'accisa nelle fatture. Nel corso della causa la ricorrente ha sollevato le seguenti questioni di costituzionalita': a) incostituzionalita' dell'art. 2758, comma 2, c.c., come modificato dall'art. 5, legge 29 luglio 1975, n. 426, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto, la norma, abrogando, secondo l'interpretazione giurisprudenziale consolidata, il disposto dell'art. 18, comma 5, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (come modificato dal d.P.R. 23 dicembre 1974 n. 687, che aveva introdotto la previsione di un privilegio generale a favore del credito di rivalsa I.V.A. per cessioni di beni) e prevedendo che i crediti di rivalsa verso i cessionari e i committenti previsti dalle norme relative all'imposta sul valore aggiunto sono assistititi da privilegio speciale sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio, ha creato una disparita' di trattamento tra i titolari di crediti di rivalsa relativi a forniture di beni suscettibili di essere effettivamente appresi in sede esecutiva e i titolari di crediti di rivalsa relativi a forniture di beni che per loro natura; trattandosi di energie, combustibili o comunque materiali di rapido consumo, non consentono di fatto mai il realizzo del privilegio. b) incostituzionalita' dell'art. 2758, comma 2, c.c. per contrasto con l'art. 53 della Costituzione nella parte in cui, secondo l'interpretazione prevalente, ha abrogato il disposto dell'art. 18, comma 5, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, non assicurando cosi' ai fornitori di beni non suscettibili di materiale apprensione in sede esecutiva un'adeguata garanzia riguardo all'effettivo recupero dell'importo pagato a titolo d'imposta sul valore aggiunto e facendo pertanto di fatto, in tali ipotesi, gravare l'imposta su soggetto diverso dal consumatore finale ossia su soggetto diverso dal portatore della capacita' contributiva (espressa per l'appunto dal consumo) sulla quale il tributo si fonda; c) incostituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 53 della Costituzione nella parte in cui, in caso d'incapienza del patrimonio del cessionario, soggetto economicamente e giuridicamente inciso dall'imposta, fa gravare sul titolare dell'ultimo depositario fiscale prima dell'immissione in consumo l'onere fiscale dell'accisa; d) incostituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, laddove s'interpreti la norma nel senso che soggetto passivo dell'imposta avente diritto al privilegio generale relativamente al credito di rivalsa e' solamente l'ultimo depositario fiscale e non anche l'operatore intermedio tra quest'ultimo e il consumatore finale; e) incostituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 23 della Costituzione nella parte in cui, prevedendo che i crediti vantati dai soggetti passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti possono essere addebitati a titolo di rivalsa e hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore solo qualora l'accisa risulsti separatamente evidenziata nella fattura relativa alla cessione, surrettiziamente introduce a carico del titolare dell'ultimo deposito fiscale prima dell'immissione in consumo una sanzione non prevista ne' altrimenti delineata da alcuna norma di legge tributaria o contabile, a fronte di una violazione meramente formale, inutile e parimenti non prevista da alcuna norma di legge tributaria o contabile; f) incostituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 24, comma 1, della Costituzione nella parte in cui non prevede che il soggetto passivo dell'accisa, che non abbia separatamente evidenziato l'accisa nella fattura relativa alla cessione dei prodotti, possa provare di aver assolto l'imposta, ai fini dell'azione di rivalsa verso i cessionari, attraverso i libri contabili. Riguardo alle questioni di costituzionalita' cosi' prospettate, si osserva: 1. - quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 2758, comma 2, c.c., come modificato dall'art. 5 legge 29 luglio 1975 n. 426, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale Il credito della ricorrente a titolo di rivalsa per l.V.A. e' stato ammesso in via chirografaria, con esclusione del privilegio ex art. 2758 comma 2, in quanto il combustibile oggetto delle forniture era stato ovviamente consumato nello svolgimento dell'attivita' produttiva e conseguentemente non e' stato rinvenuto dal curatore fallimentare in sede di effettuazione dell'inventario. La declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art. 2758, comma 2, come modificato dall'art. 5 legge n. 426/1975, o meglio dell'art. 5 legge n. 426/1975 nella parte in cui ha modificato l'art. 2758 introducendo il testo dell'attuale comma 2, determinerebbe la riviviscenza della norma precedentemente vigente e quindi il riconoscimento ai crediti di rivalsa del privilegio generale sui beni mobili di cui all'art. 2752 comma 3 c.c., con conseguente eliminazione di ogni differenza di tutela tra i titolari di crediti di rivalsa in base alla tipologia dei beni oggetto della cessione. E' pertanto di tutta evidenza la rilevanza della questione nel presente giudizio. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale Il legislatore, prevedendo che, in ogni caso, il credito di rivalsa e' munito di privilegio speciale, ha omesso di considerare che, nel caso in cui il bene oggetto della cessione e' rapidamente consumabile o consiste di energia, la causa di prelazione non puo' concretamente operare, in quanto risulta sostanzialmente (e, nel caso di energia, assolutamente) impossibile apprendere tali beni in sede di pignoramento o di redazione dell'inventario da parte del curatore fallimentare. Il legislatore ha quindi previsto una disciplina identica per fattispecie che, nella prospettiva dell'attuazione della causa di prelazione prescelta, risultano nettamente difformi. E' vero che sempre si possono verificare circostanze di fatto che concretamente possono inficiare un diritto e che, con riferimento specifico alla materia delle cause di prelazione, anche il privilegio generale non assicura alcuna tutela al creditore quando il patrimonio del debitore risulta incapiente e non per questo si e' prospettata una disparita' di trattamento tra i creditori che vengono a trovarsi in tale situazione e i creditori che possono realizzare il privilegio. Tuttavia si tratta di circostanze meramente eventuali, che non connotano a priori la fattispecie oggetto della disciplina legislativa, mentre l'evidenziata impossibilita' di apprendere materialmente determinati beni attiene alla loro stessa natura e quindi si tratta di una circostanza che e' idonea a introdurre una differenziazione tipologica tra le situazioni interessate dall'intervento legislativo e, come tale, non puo' non rilevare in sede di verifica del rispetto del principio di eguaglianza. Non appare pertanto dubitabile che la norma introdotta dall'art. 5 legge n. 426/1975 concretizza una violazione indiretta del principio d'eguaglianza. Ne' risulta sufficiente a superare la disparita' di trattamento la previsione, ex art. 26 d.P.R. 633/1972 come modificato dal d.l. n. 79/1997, della facolta' del soggetto passivo dell'imposta, nel caso di accertata incapienza patrimoniale del cessionario o committente, di emettere una nota di variazione I.V.A., considerato che tale facolta' presuppone, nell'ipotesi di fallimento, l'avvenuta approvazione del piano di riparto finale e quindi di norma puo' essere esercitata soltanto vari anni dopo l'insorgenza del debito. Non parrebbero, d'altro canto, ostativi alla declaratoria di illegittimita' della norma i limiti, delineati dalla stessa Corte costituzionale, riguardo l'adozione di pronunzie costituzionali additive. La Corte ha statuito che "una decisione di tipo additivo e', in linea di principio, consentita soltanto quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione discrezionale, ma consegua necessariamente al giudizio di legittimita'", per cui l'intervento del giudice costituzionale risulta inamissibile "quando si profili una pluralita' di soluzioni derivanti da varie possibili valutazioni" spettanti unicamente al legislatore (cfr. Corte costituzionale n. 84/1992). La Corte ha quindi specificato tale regola, in materia di privilegi, affermando che "mentre e' possibile sindacare - all'interno di una specifica norma attributiva di un privilegio - la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa di fattispecie identiche o omogenee a quella cui la causa di prelazione e' riferita, certamente non consentito e' utilizzare lo strumento del giudizio di legittimita' per introdurre, sia pur in considerazione del rilievo costituzionale di un determinato credito, una causa di prelazione, con strutturazione di un autonomo modulo normativo che codifichi la tipologia del nuovo privilegio e il suo inserimento nel sistema di quelli preesistenti". Nel caso di specie, in ragione della peculiare vicenda legislativa che ha interessato la disciplina del privilegio spettante ai crediti di rivalsa I.V.A. (caratterizzata dal fatto che il legislatore aveva a suo tempo introdotto, con la previsione del privilegio generale sui beni mobili, una disciplina idonea a superare la disparita' di trattamento qui denunziata, ma "per un probabile difetto di coordinamento normativo" - cfr. Corte cost. n. 25/1984 - , ha successivamente ripristinato il privilegio speciale), la caducazione della norma per illegittimita' costituzionale non implicherebbe alcuna scelta discrezionale da parte della Corte in ordine alla definizione della nuova disciplina ma determinerebbe automaticamente, come gia' evidenziato, la riviviscenza della precedente normativa idonea a regolamentare compiutamente la materia eliminando la denunziata disparita' di trattamento. In altri termini la Corte non verrebbe chiamata a compiere valutazioni riservate al legislatore, ma si limiterebbe, nell'ambito dei suoi poteri, a sanzionare l'incostituzionalita' della norma per violazione del principio di eguaglianza. Certamente questo intervento non si tradurrebbe in un'inclusione nella "norma attributiva di un privilegio di fattispecie identiche o omogenee a quella cui la causa di prelazione e' riferita", ma e' evidente che lo specifico limite cosi' individuato dalla Corte attiene all'ipotesi in cui sia dedotta una violazione diretta del principio d'eguaglianza ossia un trattamento diseguale di situazioni ritenute equivalenti a cui s intenda porre rimedio estendendo l'area di applicazione del privilegio rispetto a quella delineata dal legislatore. Nel caso in esame, essendo la violazione prospettata sotto il profilo dell'uniformita' di disciplina di fattispecie differenti, non si pone un problema di ammissibilita' di una pronuncia additiva che estenda un determinato privilegio ad un'ipotesi non prevista dal legislatore, dovendosi invece verificare se la declaratoria d'incostituzionalita' e' idonea di per se' a determinare l'eliminazione della disparita' senza implicare la necessita' di una scelta tra molteplici soluzioni possibili. E, per le ragioni appena indicate, la conclusione appare positiva. Ne' puo' ritenersi che la norma risultante da tale intervento della Corte potrebbe a sua volta essere oggetto di ulteriore censura di incostituzionalita' per disparita' di trattamento con riferimento alla circostanza che il privilegio generale sarebbe previsto per tutte le cessioni di beni e non invece per le prestazioni di servizi. Va infatti al riguardo rilevato che tale differenziazione di disciplina sarebbe giustificata alla luce del fatto che mentre per le cessioni di beni il cedente e' tenuto ad emettere la fattura al momento della prestazione con il conseguente obbligo del versamento integrale dell'I.V.A. maturata per effetto dell'operazione, per le prestazioni di servizi l'art. 6 d.P.R. n. 633/1972 prevede la possibilita' di emettere la fattura al momento del pagamento. Semmai la riviviscenza del privilegio generale per i crediti di rivalsa I.V.A. potrebbe destare perplessita' per l'incidenza che verrebbe ad esplicare nel complessivo assetto dei privilegi ed in particolare, tenuto conto anche dell'entita' di tali crediti, per ulteriore penalizzazione dei crediti chirografari. Ma si tratta di una preoccupazione che attenendo al piano della politica legislativa in materia di tutela del credito, non parrebbe poter inibire una valutazione d'illegittimita' della norma vigente, spettando al legislatore eventualmente reintervenire sulla disciplina, risultante per effetto (automatico) della declaratoria d'incostituzionalita', individuando una diversa soluzione in grado di coniugare il rispetto del principio d'eguaglianza e l'esigenza di non indebolire ulteriormente la tutela delle categorie di creditori meno protette. Alla luce di tali osservazioni si ritiene che la Corte possa diversamente considerare l'ammissibilita' della sollevata questione di costituzionalita' rispetto alla ormai risalente pronuncia n. 25/1984. 2. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 2758, comma 2, c.c. per contrasto con l'art. 53 della Costituzione Riguardo alla prospettata incostituzionalita' dell'art. 2758, comma 2, c.c. per contrasto con l'art. 53 della Costituzione si deve osservare che appare ormai acquisito per buona parte della dottrina che l'I.V.A. ha natura d'imposta sul consumo e che il consumo e' l'indicatore della capacita' contributiva che giustifica, ai sensi della norma costituzionale, tale imposta. D'altro canto tale ricostruzione appare pienamente coerente con la reale incidenza economica dell'I.V.A., posto che il relativo onere e' sempre e integralmente traslato nella sfera del consumatore finale, e, soprattutto, con la sua disciplina giuridica, tenuto conto, al riguardo, che il ribaltamento dell'onere sul consumatore finale non e' frutto del generico meccanismo economico del trasferimento dei costi d'impresa nei prezzi ma rappresenta una vero obbligo giuridico del cedente, avendo voluto il legislatore assicurare la neutralita' del tributo per gli operatori economici sancendo l'inderogabilita' (e quindi la non negoziabilita' in sede contrattuale) della regola della rivalsa del cedente nei confronti del cessionario. Cio' posto, non si ritiene tuttavia fondata l'eccezione d'incostituzionalita', non apparendo condivisibile la tesi secondo cui il fatto che in alcune ipotesi il privilegio speciale sui beni ceduti non possa essere di fatto mai realizzato (censurabile con riferimento al principio d'eguaglianza) implicherebbe una violazione del principio della capacita' contributiva. Il principio e' rispettato per lo stesso fatto che il legislatore ha previsto il meccanismo della rivalsa con conseguente diritto del cedente, in caso di mancato pagamento da parte del cessionario, di aggredire esecutivamente l'intero patrimonio del cessionario. Il principio, infatti, non implica necessariamente l'attribuzione di un privilegio al titolare del diritto di rivalsa, rientrando la scelta dello specifico grado di tutela nella discrezionalita' politica del legislatore. D'altra parte, nei casi di grave incapienza del patrimonio del debitore, anche un privilegio generale di elevatissimo grado potrebbe risultare insufficiente ad assicurare il realizzo del credito di rivalsa e quindi, seguendo il ragionamento della ricorrente, dovrebbe pervenirsi alla conclusione dell'incostituzionalita' di ogni assetto normativo che non consenta al soggetto passivo dell'imposta il recupero, nei confronti dell'erario, dell'I.V.A. pagata. Ma una siffatta conclusione non sarebbe corretta perche' l'accollo in via definitiva ad un soggetto di un tributo che, in base al principio della capacita' contributiva, dovrebbe gravare su altro soggetto rappresenterebbe, in un'ipotesi come quella in questione, un ragionevole bilanciamento di interessi di eguale rilevanza sul piano costituzionale, tenuto conto, da un canto, che anche il diritto dell'Erario al pagamento del tributo ha rilevanza costituzionale e che, d'altro canto, la scelta del soggetto a favore del quale eseguire la prestazione e' una scelta effettuata dal soggetto passivo dell'imposta nell'esercizio della propria discrezionalita' imprenditoriale. In altri termini non vi e' ragione per cui la conseguenza di valutazione non prudente o comunque il normale rischio imprenditoriale relativo alla possibile inadempienza e incapienza patrimoniale degli acquirenti o dei committenti debba essere, per quanto riguarda l'I.V.A, necessariamente posto a carico dell'Erario. Si deve anche considerare che l'accollo definitivo dell'onere dell'I.V.A. a carico del cedente troverebbe giustificazione, sempre nella prospettiva del bilanciamento degli interessi configgenti, anche nell'esigenza di evitare comportamenti fraudolenti a danno dell'Erario. Va peraltro rilevato che il legislatore, modificando con d.l. n. 79/1997 l'art. 26 d.P.R. n. 633/1972 per dare attuazione ad una direttiva C.E.E. in materia, ha attribuito al soggetto formale dell'imposta, nel caso di accertata incapienza patrimoniale del cessionario o committente, la facolta' di emettere la nota di variazione I.V.A. con conseguente possibilita' (pur concretizzabile in tempi di norma alquanto lunghi) di liberarsi dall'onere del tributo. Il legislatore, attraverso la previsione della possibilita' dell'emissione della nota di variazione, ha quindi introdotto un meccanismo che consente al cedente di evitare di vedersi definitivamente gravato da un tributo correlato alla capacita' contributiva di altro soggetto. Ne discende, collocandosi l'art. 2758, comma 2 in tale piu' ampio contesto normativo, che, anche a prescindere dalle considerazioni che precedono in ordine ad un diverso bilanciamento degli interessi rispettivamente del cedente e dell'Erario, e' comunque da escludersi in radice ogni profilo d'incostituzionalita' con riferimento all'art. 53 della Costituzione. 3. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 53 della Costituzione. Valgono sostanzialmente le considerazioni formulate al punto precedente, dovendosi tra l'altro rilevare che, in materia di accisa, il credito di rivalsa a favore del soggetto passivo dell'imposta e' assistito dal privilegio generale di cui all'art. 2752 c.c. per cui la questione di costituzionalita' e' stata sollevata solo con riferimento all'ipotesi dell' incapienza patrimoniale del cessionario. Si ritiene, quindi, che in materia di accisa, come in materia di I.V.A., il principio della capacita' contributiva e' rispettato per lo stesso fatto che il legislatore ha previsto il meccanismo della rivalsa, rappresentando l'accollo in via definitiva al cedente del rischio dell'incapienza patrimoniale del cessionario un ragionevole bilanciamento tra l'interesse del cedente di non vedersi gravato di un tributo correlato alla capacita' contributiva di altro soggetto e l'interesse dell'Erario al pagamento del tributo. Quanto all'asserita duplicazione dell'imposta nel caso d'impossibilita' di realizzare il credito di rivalsa, non si vede come la circostanza di portare a perdita tale credito possa configurarsi, sia sotto il profilo formale sia sul piano sostanziale, come un secondo pagamento del tributo, posto che il mancato realizzo del credito di rivalsa si risolve nel non recupero dell'unico pagamento di accisa effettuato. 4. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Riguardo all'ulteriore profilo d'incostituzionalita' ex art. 3 della Costituzione, prospettato in relazione ad un'interpretazione della norma che identifichi il soggetto passivo dell'imposta solamente con l'ultimo depositario fiscale e quindi escluda ogni altro operatore intermedio dalla possibilita' di far valere il credito di rivalsa con il privilegio ex art. 2752 c.c., va rilevato che dalla lettura dell'intero T.U. ed in particolare degli artt. 1, comma 2, lettera g), 2, comma 4, 8 e 16, comma 3, si evince chiaramente che tra i soggetti passivi dell'imposta rientrano anche gli operatori che, privi della licenza per l'esercizio del deposito fiscale, acquistino i prodotti spediti in regime sospensivo previa effettuazione della prevista registrazione presso l'ufficio tecnico della finanza o previo invio a tale ufficio dell'apposita dichiarazione. Non si verifica pertanto alcuna disparita' di trattamento tra i depositari fiscali e gli operatori che, assolvendo tali oneri formali, scelgono di diventare soggetti passivi dell'imposta con tutte le relative conseguenze sul piano degli obblighi contabili e dei controlli fiscali e sul piano sanzionatorio. Del tutto giustificata appare invece la diversita' di trattamento per gli operatori che, non effettuando tale scelta, non instaurano alcun rapporto con l'Erario e quindi non assumono alcuna responsabilita' fiscale. Per tali soggetti l'accisa e', come per il consumatore finale, solamente una componente del prezzo che si sono civilisticamente obbligati a pagare al venditore e quindi rappresenta un normale costo d'esercizio che possono recuperare con la normale rivendita del prodotto. La loro posizione e' pertanto sostanzialmente differente da quella del soggetto passivo dell'imposta. 5. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 23 della Costituzione. Anche tale questione appare manifestamente infondata. Assorbente risulta l'osservazione che la norma non introduce una nuova sanzione in materia tributaria ma configura l'evidenziazione dell'accisa nella fattura come un onere per il cedente ai fini dell'esercizio della rivalsa e per il riconoscimento del privilegio per cui il non riconoscimento del privilegio non rappresenta la sanzione della violazione di un obbligo ma la conseguenza del mancato assolvimento dell'onere previsto. Si deve in ogni caso osservare che il decreto legislativo e' un atto con forza di legge e quindi sarebbe pienamente idoneo, anche sotto il profilo della riserva di legge, a introdurre nell'ordinamento l'obbligo di un adempimento formale in materia tributaria ed a prevedere la conseguente sanzione fiscale. Incidentalmente, trattandosi di un profilo estraneo alla valutazione di costituzionalita' in quanto rimesso alla valutazione discrezionale del legislatore, si puo' comunque rilevare che la previsione in esame non appare, come invece asserisce la ricorrente, una previsione particolarmente gravosa e priva di utilita', perche', da un canto, l'evidenziazione dell'accisa nella fattura elimina ogni possibile incertezza sull'effettivo prezzo del prodotto e, assicurando una maggiore coerenza tra il contenuto delle scritture contabili del cedente e le fatture destinate ai cessionari, risponde ad esigenze di controllo fiscale, e, d'altro canto, di fatto l'unica conseguenza negativa per il cedente e' la perdita del privilegio ossia una conseguenza che concretamente rileva soltanto nel caso d'incapienza patrimoniale del cessionario (l'importo pagato a titolo d'imposta viene infatti comunque traslato in capo al cessionario sotto forma di generico credito per il prezzo anziche' di credito a titolo di rivalsa). 6. - Quanto alla questione di costituzionalita' dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Insussistente appare infine la prospettata illegittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 3, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504 per contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Con la norma in esame il legislatore non ha inteso introdurre una peculiare disciplina restrittiva della prova dell'avvenuto pagamento dell'accisa ai fini dell'azione di rivalsa, ma, come gia' evidenziato, sancire, sul piano del diritto sostanziale, un onere di carattere formale al cui assolvimento e' subordinato la possibilita' di addebitare, a titolo di rivalsa, l'importo dell'imposta pagata e soprattutto (stante il carattere meramente formale della prima conseguenza) il diritto al privilegio ex art. 2752 c.c. Del tutto incongrua risulta quindi l'eccezione relativa al profilo della tutela giurisdizionale, avendo il legislatore inciso, a monte, sul piano della stessa disciplina del rapporto sostanziale tra i soggetti interessati. D'altra parte, volendo verificare la legittimita' costituzionale della previsione della norma in esame (laddove ricollega al mancato adempimento formale una conseguenza come quella della perdita del privilegio) con riferimento all'art. 53 della Costituzione, non si puo', in promo luogo, che rilevare come nell'ordinamento non sono affatto infrequenti le ipotesi di diritti, anche di rilevanza costituzionale, il cui esercizio e' condizionato all'assolvimento di particolari adempimenti formali senza che cio', di per se', abbia fatto dubitare della conformita' della previsione alla norma costituzionale che fonda il diritto. In secondo luogo, anche a prescindere da questo primo assorbente rilievo, si devono richiamare le considerazioni, svolte con riferimento all'I.V.A., sull'assenza di un vincolo costituzionale, ex art. 53 Cost., che imponga al legislatore, al fine della traslazione dell'imposta sul soggetto titolare della capacita' contributiva, il riconoscimento di un privilegio al creditore a titolo di rivalsa;