IL TRIBUNALE DI RIMINI

    Composto dai signori magistrati:
      dott. Ottavio Ferrari Acciajoli, presidente;
      dott. Guido Federico, giudice;
      dott. Francesco Cortesi, giudice rel.
    Nella  causa distinta al N.RG. 2818/01, promossa da Tommaso Ferri
e  Ramona Girolomini (avv.ti Santoro, Zavoli) contro Alberto Ravaioli
(avv. Graziosi)   e   con   l'intervento   del   comune   di   Rimini
(avv. Solazzi, Trombetti);
    Udita  la  relazione  della  causa e sentite le parti in pubblica
udienza,  con  l'intervento del pubblico Ministero, ha pronunciato la
seguente ordinanza.
    Premesso che:
        la  domanda,  proposta  in  forma di azione popolare ai sensi
dell'art. 70  d.lgs.  267/00, e' volta alla declaratoria di decadenza
del   Sindaco  di  Rimini,  dott.  Alberto  Ravaioli,  come  prevista
dall'art. 63 comma 1 del decreto predetto, nelle ipotesi previste dai
nn. 4 e 6;
        con  riferimento  alla  prima  di  dette  ipotesi, gli attori
espongono  di aver precedentemente convenuto in giudizio il Ravaioli,
e con esso il comune di Rimini, con azione popolare promossa ai sensi
dell'art. 9  d.lgs.  267/00,  chiedendo la condanna dello stesso alla
restituzione  degli  emolumenti  percepiti  in qualita' di Sindaco di
Rimini  dal luglio 1999 al dicembre 2000, nonche' al risarcimento dei
danni   patiti   dal   comune   per   l'allestimento  delle  elezioni
amministrative  del  13  e  27  maggio  2001, il tutto in conseguenza
dell'intervenuta  declaratoria di decadenza del Ravaioli, accertata e
statuita  dalla  sentenza  n. 16205/00  della  Corte  di  Cassazione,
Sezione I Civile;
        secondo   la   prospettazione  attorea,  poiche'  la  domanda
introduttiva  della  causa  risultava  notificata  ai  convenuti (con
successiva  iscrizione  a  ruolo ed attribuzione del N.R.G. 2739/01),
sussisterebbe  fra  le  parti ivi coinvolte, ed in particolare fra il
Ravaioli  ed  il  comune  di  Rimini,  la pendenza di un procedimento
civile,    dal   quale   discenderebbe   automaticamente   l'invocata
incompatibilita',  e quindi l'obbligo, per il Tribunale investito del
presente giudizio, di pronunziare la decadenza del Ravaioli;
    Tutto cio' premesso, il Tribunale cosi'

                            O s s e r v a

    1. -   La  formulazione dell'art. 9 d.lgs. 267/00 (che ricalca in
parte   qua  il  previgente  art.  7  legge  n. 142/1990)  impone  di
considerare  il  comune  parte  necessaria  del  rapporto processuale
instaurato  dal  cittadino  che  intenda  "far  valere in giudizio le
azioni ed i ricorsi" di spettanza dell'Ente. L'ordine di integrazione
del  contraddittorio  -  previsto  dal  comma  II  - non lascia alcun
margine   interpretativo  in  tal  senso,  delineando  un'ipotesi  di
litisconsorzio necessario.

    2. - Cio' premesso, e' indubbio che la fattispecie invocata dagli
attori  e contemplata dall'art. 63, comma I num. 4 del decreto citato
appaia  nel  caso  di  specie, ed ancorche' sotto il proffio formale,
pienamente integrata.
    E'  infatti  innegabile  che fra Alberto Ravaioli ed il comune di
Rimini sussista lite pendente, benche' promossa dagli attori popolari
e tutt'ora versante in una fase che, allo stato, non consente neppure
di  apprezzare  l'atteggiamento  processuale  del  comune, non ancora
costituitosi.
    Secondo  un'interpretazione  letterale  della  norma  citata, ove
letta  nel  combinato  disposto con l'art. 9 del medesimo decreto, la
tesi attorea sarebbe dunque condivisibile.
    3.   -   Cionondimeno,  essa  rivela,  in  relazione  all'assetto
normativo appena richiamato, tutta la sua irragionevolezza.
    La semplice scelta di un cittadino elettore di citare in giudizio
il  sindaco  eletto, assumendo sussistente una pretesa del comune nei
suoi  confronti,  determinerebbe,  infatti,  una litispendenza con il
comune  stesso  e,  per  cio'  solo,  l'insorgere  di  una  causa  di
incompatibilita'  in  capo  al  sindaco,  cui  deve  far  seguito  la
decadenza  dall'ufficio, con evidente compressione del suo diritto di
elettorato passivo.
    In   tale   ottica   si   impongono   due   ulteriori  ordini  di
considerazioni:
      a)  al giudice che ordina l'integrazione del contraddittorio ai
sensi  dell'art. 9  non  e'  attribuito  alcun  potere di valutazione
dell'opportunita' di detto provvedimento; egli, in sostanza, non puo'
compiere  alcun  apprezzamento circa l'effettiva sussistenza, in capo
all'ente  locale,  dell'interesse sottostante all'azione promossa dal
cittadino;
      b)  la semplice proposizione della domanda determina ipso facto
(ed  ipso jure) la declaratoria di decadenza del sindaco da parte del
giudice  investito del contenzioso elettorale. Quest'ultimo, infatti,
non  ha  alcun  potere  di delibazione in ordine all'effettivita' del
contenzioso,  dovendo  egli  limitarsi a prendere atto dell'esistente
litispendenza".
    In   tal   senso,   osserva   peraltro   il   remittente  che  la
giurisprudenza  di  legittimita'  ha  oscillato, anche in tempi assai
recenti,  fra un orientamento che consente al giudice del contenzioso
elettorale  di "non arrestare la sua indagine di fronte alla semplice
constatazione  della  pendenza  di un giudizio... essendo abilitato a
valutare  sia  atti  che  implicano  il  sostanziale  venir  meno del
giudizio.., sia la manifesta infondatezza od il carattere pretestuoso
della  lite"  (cfr.  Cass. Civ. sez. I, 26 luglio 2000 n. 9789, Cass.
Civ.  sez. I, 6 maggio 1999 n. 4533; Cass. Civ. sez. I, 9 aprile 1992
n. 4357)   ed   altro  orientamento,  piu'  rigorista,  che  contiene
l'oggetto  dell'accertamento  alla  presa d'atto della litispendenza,
inibendo ogni sindacato sul merito del giudizio civile pendente (cfr.
Cass.  Civ.  sez.  I,  7 giugno  2000  n. 7768; Cass. Civ. sez. I, 15
febbraio 1991 n. 1666).
    In   ogni  caso,  la  valutazione  circa  l'effettivita'  di  una
controversia  resta preclusa in tutti i casi analoghi al presente, in
cui,  non  essendovi  ancora  una  presa  di  posizione dell'ente, e'
assolutamente  impossibile  anche  solo  delibare  l'interesse  dello
stesso;  e  cio'  a  tacere  della possibilita' che, nel giudizio fra
sindaco e comune, quest'ultimo, dopo essersi associato alla posizione
del sindaco, muti atteggiamento processuale (anche solo domandando la
compensazione  delle  spese  di  lite  in  sede di precisazione delle
conclusioni),  cio'  che  comporterebbe la sussistenza di una domanda
"contro" lo stesso come previsto dall'art. 63 comma 1.

    4. - Considerata  la  pertinenza della questione prospettata alla
definizione   della   presente   controversia,  si  rende  necessario
sottoporre  al  giudizio  di  legittimita' costituzionale il disposto
dell'art. 63,   comma  I,  n. 4,  d.lgs.  267/00  nella  sua  attuale
formulazione,  poiche'  detta  norma,  ove  letta in correlazione con
l'art. 9 di detto decreto, legittima un dubbio di incostituzionalita'
in relazione:
      all'art. 51,  comma  I,  della  Costituzione,  laddove comprime
l'accesso  del  cittadino  eletto  al  pubblico  ufficio  di sindaco,
consentendo  che lo stesso venga dichiarato decaduto dall'ufficio per
mero effetto della proposizione di azione giudiziaria sulla quale non
e'  compiuta  alcuna  delibazione ne' dall'autorita' giurisdizionale,
ne' da autorita' amministrative;
      all'art. 97, comma I, della Costituzione, poiche' facoltizzando
una   sostanziale   decadenza   ad   nutum   del   sindaco,   conduce
inevitabilmente   a   vulnerare   il  buon  andamento  dell'attivita'
amministrativa  del  comune,  in  particolar  modo  sotto  il profilo
dell'attivita' organizzativa;
      l'art. 24,  commi  I  e  II  della  Costituzione, poiche' nella
specifica  sede  del  contenzioso  elettorale  il sindaco non puo' in
alcun  modo  difendersi,  dovendo l'autorita' giudiziaria limitarsi a
prendere atto della sussistenza di una lite civile pendente secondo i
canoni dell'art. 39 c.p.c.;