IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 500 comma 2 c.p.p., per violazione degli artt. 2, 3, 24 comma 1, 25 comma 2, 101 e 112 Cost., nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni e valutate ai fini della credibilita' del testimone possano essere acquisite e valutate anche ai fini della prova dei fatti in esse affermati e, alternativamente, dell'art. 500 commi 1, 2 e 3 c.p.p., in riferimento e per contrasto con gli artt. 3, 24 comma 1, 25 comma 2, 111 commi 4 e 5 Cost., nella parte in cui consente l'ingresso in dibattimento, tramite contestazione, delle dichiarazioni rese precedentemente dal testimone ad una delle parti del processo, trattandosi di dichiarazioni acquisite unilateralmente e non nel contraddittorio tra le parti, sollevate dal pubblico ministero all'udienza del 22 giugno 2001; sentite le parti, O s s e r v a La questione sollevata dal pubblico ministero appare rilevante nel presente giudizio, atteso che nel corso dell'esame del teste Colonna Francesco, all'udienza del 27 aprile 2001, questi dichiarava di non essere in grado di precisare, in relazione alle circostanze oggetto della segnalazione dal medesimo effettuata ai C.C. di Cassano Jonio in data 31 agosto 1998, se il rumore che egli aveva avvertito prima del rinvenimento di una pistola in prossimita' del cassonetto posto nelle immediate vicinanze del suo locale, fosse riconducibile al rombo di un ciclomotore ovvero di altro veicolo motorizzato, mentre, nel corso delle sommarie informazioni rese agli operatori di p.g. nell'immediatezza del fatto, il testimone aveva affermato di avere sentito dall'interno del suo locale "il rombo di un motorino che passava a gran velocita'". Piu' volte sollecitato dal pubblico ministero, il teste affermava di non essere neppure certo che il rumore avvertito fosse quello di un motore, contrariamente a quanto dichiarato nella fase delle indagini preliminari. Cio' induceva l'organo di accusa a sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500 c.p.p., nei termini sopra indicati. La decisivita' della circostanza in parola ai fini dell'accertamento dei fatti oggetto di imputazione risulta evidente, ove si consideri che gli operatori di p.g. hanno riferito di avere avvistato, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, l'imputato a bordo di un ciclomotore. Poiche' le dichiarazioni oggetto di contestazione da parte della pubblica accusa non possono essere acquisite al fascicolo del dibattimento ne' di esse e' consentita, a norma dell'art. 500 comma 2 c.p.p., alcuna utilizzazione ai fini della prova dei fatti in esse affermati, la menzionata questione di costituzionalita' risulta indubbiamente rilevante nell'odierno processo. Sotto il profilo della valutazione della non manifesta infondatezza della questione osserva il tribunale che l'attuale formulazione dell'art. 500 c.p.p., come modificato dalla legge n. 63/2001, stabilisce al comma 2 che "le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilita' del teste", con cio' escludendo la possibilita' di acquisire al fascicolo per il dibattimento tali dichiarazioni e di valutarle ai fini della prova dei fatti in esse affermati, valutazione gia' consentita dal testo previgente della norma citata, secondo il quale "quando a seguito della contestazione sussiste difformita' rispetto al contenuto della deposizione, le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e sono valutate come prova dei fatti in esse affermati, se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita'." (formulazione introdotta dalla legge n. 356/1992 a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 255/1992, che dichiarava la illegittimita' dell'art. 500 c.p.p. nella sua originaria formulazione). La disposizione in questione, nella sua attuale formulazione, appare in contrasto con il dettato previsto dagli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost. per le motivazioni gia' evidenziate nell'ordinanza del Tribunale di Rossano datata 25 giugno 2001, pienamente condivise da questo collegio. "La Costituzione con l'art. 111 ha recepito, nell'ambito del processo penale, il principio del contraddittorio in una duplice accezione: oggettiva, nel primo periodo del quarto comma di detto articolo, ove il contraddittorio e' inteso come strumento di formazione della prova; soggettiva, nel terzo comma e nel secondo periodo del quarto comma, con riferimento al diritto dell'accusato di confrontarsi con l'accusatore. Il principio del contraddittorio in senso oggettivo, sia pure con i temperamenti previsti dal quinto comma della medesima norma, fa emergere in forma inequivocabile il principio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova, principio inteso come liberta' del giudice di valutare la prova secondo il prudente apprezzamento con l'obbligo di dare conto in motivazione. Tale principio, gia' conquista delle prime codificazioni moderne e recepito nell'attuale art. 192 c.p.p., diventa un necessario corollario del principio del giusto processo e del contraddittorio in senso oggettivo, in quanto e' ontologicamente inconcepibile un sistema processuale ispirato a detti principi ed al contempo legato ad un sistema di valutazione legale della prova. Il principio del contraddittorio e dell'oralita' caratteristici di un sistema accusatorio, postulando che la prova si formi in via immediata innanzi alle parti ed al giudice, fornendo agli stessi un patrimonio di percezioni e sensazioni che superano lo sterile contenuto delle dichiarazioni, richiedono, in punto di valutazione, che la prova sia valutata liberamente secondo il prudente apprezzamento, ma al di fuori da ogni schematismo e gerarchia. Se cosi' e', il principio costituzionale del libero convincimento, pur potendo subire limitazioni all'interno di un quadro normativo che garantisca il cittadino dallo sconfinamento nell'arbitrio (si vedano esemplificativamente i successivi commi del citato art. 192 c.p.p.), subisce un "vulnus" inaccettabile con l'art. 500, secondo comma, c.p.p., come modificato dall'art. 16 della legge n. 63/2000, che introduce un "veto", quando stabilisce che le dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere valutate solo ed unicamente ai fini della credibilita' del teste. Simile discrasia e' stata sottolineata anche dalla dottrina giuridica dei paesi di diritto anglosassone, notoriamente piu' avvezza allo studio delle problematiche connesse alla cross-examination, che ha sottolineato la contraddizione di un sistema che, da un lato consente, durante l'impeachment, l'uso di dichiarazioni rese out of the court al solo fine di porre nel dubbio l'attendibilita' del teste, dall'altro, registra la forte "tentazione" esercitata sul convincimento della giuria da dette dichiarazioni predibattimentali che, per essere piu' vicine ai fatti appaiono spesso piu' fedeli e genuine di quelle rese in dibattimento, suscettibili, al contrario - come e' accaduto nel caso di specie - di perdere precisione e nitidezza con il passare del tempo. In tal senso si e' mosso l'ordinamento federale consentendo l'utilizzabilita' come substantive evidence, dunque al fine della decisione, delle dichiarazioni in questione se introdotte durante la cross-examination e rese sotto giuramento (Federal Rules of Evidence, 801). Il problema, pertanto, sussiste e supera i confini dell'ordinamento interno. Invero, il procedimento di formazione della prova non puo' che essere visto in chiave unitaria, giacche' il meccanismo delle contestazioni costituisce il mezzo dialettico per far emergere la verita' processuale, per cui, la dichiarazione in precedenza resa e successivamente contestata, entra nel contraddittorio delle parti (per utilizzare un espressione utilizzata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 255 del 1992), si pone in rapporto di immediatezza con il giudice e con le altre parti processuali (che sul punto hanno facolta' di interloquire) e non puo' essere ingiustificatamente esclusa dalla piena valutazione del giudice. Sul punto occorre rilevare che la Corte costituzionale - in un quadro normativo diverso, ma che gia' conteneva in nuce i successivi sviluppi - nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 500 in una formulazione simile all'attuale, si e' espressa nei seguenti termini: "in secondo luogo, posto che il nuovo codice fa salvo (e in aderenza ai principi costituzionali, non poteva essere altrimenti) il principio del libero convincimento, inteso come liberta' del giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente apprezzamento, con l'obbligo di dare conto in motivazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti (art. 192), la norma in esame impone al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione... in quanto, se la precedente dichiarazione e' ritenuta veritiera, e per cio' stesso sufficiente a stabilire l'inattendibilita' del teste nella diversa deposizione resa in dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta introdotta in giudizio, entrata quindi nel patrimonio di conoscenze del giudice ed esaminata nel contraddittorio delle parti (con la presenza del teste che rimane comunque sottoposto all'esame incrociato) non possa essere utilmente acquisita al fine della prova dei fatti in essa affermati" (Corte cost. sent. n. 255 del 1992). Da tali autorevoli assunti deriva che il meccanismo della contestazione pone nel contraddittorio delle parti la dichiarazione contestata e come tale impone, nel rispetto dell'art. 111, terzo comma, c.p.p., l'acquisizione del suo contenuto a fini valutativi, in quanto parte essenziale di un procedimento probatorio ispirato al modello costituzionale. Ed invero la disciplina del procedimento di formazione della prova, sia pure conforme alle garanzie costituzionali del giusto processo, non puo' introdurre limitazioni di tale portata da privare di efficacia la legge penale, cosi' violando il diritto costituzionale di azione e, in definitiva, privando di effettiva tutela i diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale. Sotto tale profilo continua a dispiegare effetto, pur nel mutato assetto costituzionale, il principio di non dispersione dei mezzi di prova che, nell'ambito di attuazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, deve contemperarsi con il principio dell'oralita', da intendersi come criterio guida, nei casi in cui la prova non sia compiutamente acquisibile con il metodo orale. In effetti puo' osservarsi che il principio del contraddittorio, assunto a cardine del nuovo modello processuale, non coincide con il principio dell'oralita' del processo, ma si integra con lo stesso assumendo tuttavia contorni piu' ampi. In sostanza, se il procedimento nel suo complesso resta finalizzato ad ottenere contributi probatori genuini, non si puo' concludere che la prova debba essere il frutto solo ed esclusivamente del contraddittorio "orale" delle parti, essendo sufficiente che gli elementi di prova siano prodotti davanti l'imputato in pubblica udienza "nel" contraddittorio delle parti. In proposito occorre rilevare che lo stesso art. 111 Cost., accanto al principio del contraddittorio ha espresso un principio gia' enucleato dal sistema in via interpretativa dalla Corte costituzionale: il principio di non dispersione dei mezzi di prova. Il quinto comma dell'articolo in questione prevede tre casi di deroga al principio del contraddittorio determinati dall'esigenza di salvaguardare la genuinita' della prova in ipotesi di consenso dell'imputato, accertata impossibilita' di natura oggettiva e per effetto di provata condotta illecita. In tali casi il recupero di dichiarazioni che rimontano alla fase istruttoria del processo diviene necessario, in deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova. Detta disposizione, che indica tassativamente i casi in cui e' consentita deroga, non inficia le argomentazioni addotte in precedenza, in quanto concerne l'utilizzabilita' di prove che si siano formate "fuori" dal contraddittorio e non "nel" contraddittorio, e tuttavia, confermando l'esistenza nell'ordinamento del principio di non dispersione di mezzi di prova, impone una ragionevole interpretazione del procedimento di formazione della prova assunta "nel" contraddittorio che tenga conto di tutto il materiale utilizzato nel suo contesto e salvaguardi il principio di effettivita' del processo penale. Infine occorre rilevare che tale interpretazione non contrasta con il principio del contraddittorio in senso soggettivo (art. 111 Cost., comma 4, secondo periodo e art. 6 paragrafi 1 e 3 d) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), che impone di offrire all'imputato un'occasione adeguata e sufficiente di contestare una testimonianza a carico e interrogare l'autore al momento della deposizione o successivamente. Un ulteriore profilo di non manifesta infondatezza dell'eccezione sollevata e' rinvenibile in relazione all'art. 24 Cost. Il sistema processuale come attualmente congegnato e' in contrasto con i diritti di cui e' portatrice la persona offesa, costituita parte civile, innanzi alla quale il processo penale perde le sue connotazioni di effettivita' di tutela. In sostanza, nel sistema vigente, il "non ricordo" pronunciato dal teste e' meccanismo sufficiente per demolire l'impianto accusatorio che costituisce il presupposto della domanda di parte civile. Inutile sottolineare che lo stesso meccanismo e' anche il piu' comodo per il teste renitente, in quanto consente di far leva su un fattore fisiologico (comprensibile, tenuto conto che spesso i dibattimenti si celebrano a distanza di parecchi anni dalla raccolta delle dichiarazioni) che lo pone al riparo dalle conseguenze ben piu' gravose di un espresso rifiuto a sottoporsi ad esame. E' utile precisare, inoltre, che difficilmente emergono in dibattimento circostanze dalle quali poter desumere che il testimone e' stato sottoposto a violenza, minaccia o offerta di denaro, con conseguente inapplicabilita', di fatto, del meccanismo previsto dal comma 4 dell'art. 500 c.p.p. E' innegabile, pertanto, che il sistema attuale, da un lato fornisce una comoda scappatoia per eludere l'obbligo di dire il vero che grava sul teste, dall'altro rischia di ancorare le risultanze probatorie a fenomeni soggettivi extraprocessuali (come la capacita' o meno di ricordare del teste) che minano il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. Sotto tale aspetto la questione risulta non manifestamente infondata anche con riferimento all'art. 3 Cost., in considerazione dell'evidente irragionevolezza dell'attuale sistema di assunzione e di valutazione della prova nel processo penale.