LA CORTE DI ASSISE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza, sull'istanza proposta ai
sensi  dell'art. 299 c.p.p. in data 17 ottobre 2001 nell'interesse di
Schiavone  Francesco  di Luigi, nato a Casal di Principe il 6 gennaio
1953,  attualmente  detenuto  in  Spoleto,  con cui veniva chiesta la
revoca  o  la  sostituzione,  per  motivi  di  salute,  della  misura
cautelare in atto;
    Visto il parere del pubblico ministero;
    Vista la nota D.A.P. del 23 ottobre 2001;
    Esaminati gli atti del procedimento;

                            O s s e r v a

    Per  i  motivi  che  verranno  di seguito esposti, ritiene che la
decisione  sull'istanza  presuppone  -  in  via  pregiudiziale  -  la
soluzione  di  una  questione di legittimita' costituzionale relativa
alla  norma  di cui all'articolo 41-bis comma 3, legge n. 354/1975 (e
successive   modificazioni),   da  sollevarsi  per  violazione  degli
artt. 3,  32  e 101 Cost., nella parte in cui detta norma non prevede
l'esistenza  del  potere  del giudice, che procede al giudizio penale
nel cui ambito e' stato emesso il titolo detentivo, dunque competente
ex  art. 279  c.p.p., di verificare la legittimita' del contenuto del
decreto ministeriale di sottoposizione al regime carcerario speciale,
eventualmente  disapplicando  singole prescrizioni, nei limiti in cui
cio'  si  renda assolutamente necessario per tutelare il diritto alla
salute dell'imputato detenuto.
    Al  fine  di  comprendere  le  ragioni da cui deriva il dubbio di
costituzionalita',   vanno   sinteticamente   esposte   le   seguenti
circostanze di fatto e di diritto:
      questa  Corte  di  Assise procede a giudizio nei confronti, tra
gli  altri,  di  Schiavone  Francesco  di  Luigi,  in  relazione alle
imputazioni di cui al decreto di rinvio a giudizio del 4 aprile 1998;
      l'imputato  e'  sottoposto alla misura cautelare della custodia
in  carcere, a far data dal 4 settembre 1996, e nei suoi confronti e'
stato  emesso  e  reiterato  nel  tempo  il  decreto  ministeriale di
sospensione  delle  ordinarie  regole di trattamento penitenziario di
cui all'art. 41-bis comma 2 legge n. 354/1975;
      nel  corso  del procedimento, si e' manifestata l'insorgenza di
un  rilevante  disturbo  psichico  a carico dell'imputato, oggetto di
numerose  verifiche  peritali, eseguite anche all'esito di periodi di
osservazione presso O.P.G.;
      le risultanze di tali verifiche peritali hanno evidenziato, nel
corso del tempo, l'esistenza dapprima di un disturbo dell'adattamento
con  umore  depresso,  in soggetto con "disturbo della personalita'",
sino  alla manifestazione di una forma di vera e propria "depressione
reattiva"  (si  vedano le perizie in atti) che, a giudizio del perito
d'ufficio,  e'  da porsi in stretta correlazione con le condizioni di
vita  carceraria,  ed  in particolare con la limitata possibilita' di
fruizione  dei colloqui con i propri familiari (stante la limitazione
ad  un  unico colloquio mensile, prevista dal decreto ministeriale di
cui all'art. 41-bis o.p.);
      pertanto,  pur  non  essendosi  manifestata  una  condizione di
assoluta  incompatibilita'  con  un "ordinario" regime detentivo, gli
esiti   degli   accertamenti   peritali  inducevano  questa  Corte  a
prospettare,    in    diversi   provvedimenti,   la   necessita'   di
"attenuazione"  del  regime  differenziato  (da  ritenersi "concausa"
della  patologia),  con  relativo  incremento del numero dei colloqui
mensili fruibili dall'imputato, e cio' ad esclusivi fini terapeutici,
non  essendo  stata  ritenuta  sufficiente  - in sede di perizia - la
terapia   farmacologica   di   sostegno   cui  pure  il  detenuto  e'
costantemente sottoposto;
      a   seguito   della   emissione   dei  predetti  provvedimenti,
l'autorita'  ministeriale  disponeva,  pertanto,  l'ammissione in via
temporanea   (dal   febbraio  del  2001  sino  al  luglio  del  2001)
dell'imputato,  a  scopi  terapeutici, alla fruizione di due colloqui
mensili  con  i  familiari,  in  cio'  attenuando la deroga al regime
"ordinario" derivante dal decreto di cui all'art. 41-bis o.p.;
      a  seguito  di  ulteriore  verifica  peritale  emergeva  che il
temporaneo  e  parziale incremento del numero dei colloqui, pur nella
sostanziale  stabilita' del quadro patologico gia' riscontrato, aveva
quantomeno  contribuito  ad evitare un peggioramento delle condizioni
di  salute  dell'imputato  (a  giudizio  del  perito  d'ufficio, tale
circostanza ... ha fatto si' che la situazione clinica non subisse un
pericoloso  peggioramento,  ed anzi ha fatto registrare un lievissimo
miglioramento  del  suo  tono  umorale  ...),  il  che determinava la
necessita'  di  consentire  al detenuto di continuare ad usufruire di
tale  possibilita' terapeutica, mediante una ammissione con carattere
di stabilita' alla fruizione dei colloqui con i familiari;
      ne  derivava  l'emissione  di  un  provvedimento con cui questa
Corte,  in  data  5 luglio 2001, nel rigettare l'istanza difensiva di
revoca   o   sostituzione  della  misura  cautelare,  sollecitava  la
competente  autorita'  ministeriale a determinarsi circa l'ammissione
in  via  permanente  alla  fruizione di quattro colloqui mensili, con
trasmissione  al  D.A.P. dell'elaborato peritale avente ad oggetto la
verifica della evoluzione della patologia psichica;
      come risulta dalla nota D.A.P. del 23 ottobre 2001, in merito a
tale  provvedimento  ed  ai  contenuti dell'elaborato peritale del 18
giugno  2001,  il  competente  Ministro  della  giustizia, in data 26
luglio  2001,  riteneva  di  "confermare  la  sussistenza  del regime
detentivo  speciale  al  quale il detenuto Schiavone e' sottoposto, e
l'inopportunita'  di prorogare ulteriormente il provvedimento con cui
il detenuto e' stato ammesso a fruire di due colloqui visivi senza il
vetro divisorio".
    Dunque, a tutt'oggi, puo' dirsi che:
      permane la condizione patologica del detenuto, che, per come e'
stato  riscontrato in sede peritale, e' concretamente e negativamente
influenzata    dalle    modalita'   "particolari"   del   trattamento
penitenziario,  specie per cio' che riguarda la forte limitazione dei
"contatti visivi" con i componenti del suo nucleo familiare (un unico
colloquio mensile);
      non    puo',   tuttavia,   dirsi   sussistente   una   assoluta
incompatibilita' con la carcerazione, (circostanza che determinerebbe
la  necessita'  di  sostituzione  immediata  della misura), essendo -
secondo   le  verifiche  peritali  -  possibile  il  protrarsi  della
detenzione,  li'  dove  sia assicurato in concreto, oltre al supporto
farmacologico,   un   ulteriore   supporto  terapeutico  consistente,
quantomeno,  nella ordinaria fruibilita' dei colloqui tra il detenuto
ed i suoi familiari;
      tale  condizione,  a  giudizio  di  questa  Corte assolutamente
necessaria,  e'  tuttavia preclusa dalla scelta, recentemente operata
dall'autorita'  amministrativa,  di non consentire il protrarsi della
"deroga"   -  in  punto  di  colloqui  -  al  contenuto  del  decreto
ministeriale di sottoposizione al regime carcerario differenziato.

    I  fatti  sin  qui  esposti,  inducono  pertanto a dubitare della
legittimita'  costituzionale dell'art. 4-bis o.p., nella parte in cui
tale   norma   non  prevede  la  possibilita',  per  il  giudice  del
procedimento  penale  competente  a  valutare  ai sensi dell'art. 275
c.p.p.  l'adeguatezza  della misura cautelare in atto, di disporre, a
fini  di  tutela  della salute dell'imputato, le necessarie modifiche
delle    prescrizioni   contenute   nel   decreto   ministeriale   di
sottoposizione al regime differenziato.
    Ed invero, va osservato sul punto che:
      la  questione  appare,  nel  presente  procedimento incidentale
attivato   su   istanza  di  parte  ai  sensi  dell'art. 299  c.p.p.,
rilevante,  posto  che,  stante l'attuale formulazione della norma di
cui  all'art. 41-bis, il controllo giurisdizionale sulla legittimita'
del  decreto  ministeriale puo' essere operato - in sede di reclamo -
esclusivamente  dal  Tribunale  di  Sorveglianza e non vi e' pertanto
possibilita'  alcuna,  da  parte  di  questo  giudice  procedente  di
sindacare  -  per  i  fini  qui  in  rilievo  -  il  contenuto  delle
prescrizioni   ministeriali,  incidendo  sulle  concrete  statuizioni
emesse;
      cio'  determina, nel caso di specie, l'impossibilita' giuridica
di  adottare  la  scelta  che,  sulla base delle risultanze peritali,
consentirebbe  di  salvaguardare  da un lato le esigenze cautelari di
tipo  processuale  (con  il  mantenimento della custodia carceraria),
dall'altro   il   diritto  dell'imputato  alla  adeguata  cura  della
patologia  riscontrata  posto che tale "trattamento terapeutico", li'
dove  include  un  necessario  incremento  dei  contatti visivi con i
familiari  risulta,  in  realta',  non fruibile da parte del detenuto
proprio  in  virtu'  dei  contenuti del provvedimento amministrativo,
allo stato "intangibile" per questa autorita' giudiziaria procedente.
    Quanto  alle  ragioni  che  inducono  a  sollevare  il  dubbio di
costituzionalita'  della attuale disciplina normativa, va evidenziato
in primis che:
      le  norme processuali di cui agli artt. 273 e ss. attribuiscono
al  giudice  "procedente" (art. 279 c.p.p.) il compito di verificare,
nel   corso  del  procedimento,  il  permanere  delle  condizioni  di
legittimita' della misura cautelare in corso di applicazione;
      tra  tali  condizioni, va di certo inclusa la costante verifica
della  "adeguatezza"  della misura cautelare, in particolare li' dove
sia  stata  applicata  la  custodia  in carcere e li' dove vengano in
rilievo  condizioni  patologiche dell'imputato, tali da richiedere il
ricorso a trattamenti terapeutici;
      in tal caso, il giudice ha preciso il compito di verificare, ai
sensi  dell'art. 275 comma 4-bis c.p.p., non solo se siano insorte, a
causa  delle  patologie  riscontrate,  condizioni  di  salute di tale
gravita'  da  dirsi incompatibili con il protrarsi della custodia, ma
anche  se  l'offerta  terapeutica disponibile in ambito penitenziario
sia tale da consentire "adeguate cure".
    Tali  previsioni  normative, dunque, consentono di affermare che,
nel  complesso "equilibrio" tra le esigenze di cautela processuale da
un lato e la tutela della salute dell'imputato dall'altro, il giudice
e'  tenuto  ad  orientare  le  proprie scelte secondo un principio di
necessario  "contemperamento",  arrivando a privilegiare la scelta di
misure  cautelari  meno afflittive, anche li' dove la carcerazione si
ponga   come  concreto  fattore  di  "ostacolo"  alle  "chanches"  di
effettivo recupero terapeutico.
    Dunque  appare  evidente l'esistenza di una ispirazione normativa
che   trae  diretto  alimento  dalla  previsione  dell'art. 32  della
Costituzione,   e   cio'   specie   in  considerazione  della  natura
"anticipatoria"  dei  provvedimenti  endoprocessuali limitativi della
liberta'  personale  rispetto  alla  presunzione  di non colpevolezza
sancita dall'art. 27 comma 2 Cost.
    Tutto  cio',  dunque,  rende irragionevole - a giudizio di questa
Corte  -  la  totale  "carenza  di  potere" del giudice procedente ex
art. 279   c.p.p.   sui   contenuti   del   decreto  ministeriale  di
sottoposizione  al regime di cui all'art. 41-bis o.p. (spettando tale
potere  al  solo Tribunale di Sorveglianza, come gia' sostenuto dalla
Corte  della  costituzione nelle decisioni n. 410/1993, n. 351/1996 e
n. 376/1997),  e  cio'  nell'ipotesi in cui si renda necessario (come
nel  caso  di  specie)  uno  specifico  intervento  "limitativo"  dei
contenuti  afflittivi  di  tale  provvedimento amministrativo, a fini
terapeutici.
    In  tal  caso,  dunque,  le  scelte  del soggetto giurisdizionale
appaiono   -   in   contrasto  con  la  generale  previsione  di  cui
all'art. 101   comma   2   della   Costituzione  -  subordinate  alle
valutazioni   compiute,   per   esclusive  ragioni  di  tutela  della
sicurezza,   dall'autorita'   amministrativa,   il   che  non  appare
costituzionalmente  ragionevole,  specie  ove  venga  in  rilievo  la
necessita' di tutelare il valore protetto dall'art. 32 della Carta.
      In  altre  parole,  l'attuale  formulazione  della norma di cui
all'art. 41-bis  comma  3  o.p.  appare,  in  virtu'  delle suesposte
considerazioni, in contrasto tanto con il parametro costituzionale di
cui  all'art. 32  Cost., in quanto non prevede la sindacabilita' e la
possibile   modifica  -  a  fini  terapeutici  -  dei  contenuti  del
provvedimento  ministeriale,  che  con  i  principi enucleabili dagli
articoli  3  e 101 della Costituzione posto che il giudice procedente
ex   art. 279   c.p.p.   risulta   (in  tal  caso)  irragionevolmente
destinatario    di    determinazioni   insindacabili   dell'autorita'
amministrativa  che  incidono  sui  diritti  del  soggetto  imputato,
diritti  che  il  sistema  processuale  (art. 275 c.p.p.) affida alle
determinazioni del suddetto organo giurisdizionale, e cio' proprio in
virtu' del loro rilievo costituzionale.
    Tale  specifica  esigenza  di  tutela  dei diritti dell'imputato,
sottoposto a misura cautelare carceraria, non puo' - peraltro - dirsi
assicurata  dalla  possibilita'  di attivare, su istanza di parte, il
procedimento  di  "reclamo"  innanzi al tribunale di sorveglianza, se
solo si ponga l'attenzione sui seguenti aspetti:
      in  presenza  di  patologie  riscontrate  a  mezzo accertamento
peritale,  la decisione sulla "adeguatezza" della misura cautelare in
corso   e'  di  esclusiva  competenza  del  giudice  investito  della
cognizione processuale, individuabile ex art. 279 c.p.p.;
      a   tale   giudice,  pertanto,  andrebbero  devolute  tutte  le
questioni  che  attengono  al  rapporto  tra  la  legittimita'  della
protrazione   della   misura  detentiva  e  la  tutela  della  salute
dell'imputato;
      in tale contesto, ove si ipotizzi un contrasto tra il contenuto
del  decreto  ministeriale  e  le esigenze di tutela della salute, la
decisione  dell'organo  giurisdizionale competente ex artt. 279 e 275
c.p.p.  non  puo'  farsi  dipendere  dall'attivazione di un ulteriore
procedimento (il reclamo) innanzi a giudice diverso.
    In  sostanza, cio' che viene in rilievo - in simili casi - non e'
la  legittimita' "originaria" del decreto di cui all'art. 41-bis o.p.
(qui   non   in   discussione),  quanto  la  legittimita'  della  sua
"permanenza"  (anche  in  rapporto  a  specifiche statuizioni in esso
espresse),  a  fronte  della insorgenza di condizioni patologiche, il
cui  "trattamento"  risulta  in concreto ostacolato dai contenuti del
decreto.
    La  soluzione  di  tale  dubbio  di costituzionalita', per quanto
sinora   esposto,   e'  preliminare  ad  ogni  ulteriore  statuizione
sull'istanza in atti.