LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di appello civile n. 464/00 promosso dal Ministero delle finanze, in persona del Ministro in carica, domiciliato in Genova, viale Brigate Partigiane n. 2, presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege, appellante; Contro ILVA S.p.a., gia' ILVA Laminati Piani S.p.a. in persona del suo presidente rag. Emilio Riva, elettivamente domiciliata in Genova, via Cesarea 515, presso e nello studio degli avv. Fulvio e Andrea Marelli che la rappresentano e difendono unitamente all'avv. Angelo Colombo del foro di Milano per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, appellata; avverso la sentenza resa inter partes dal Tribunale di Genova in data 29 marzo 2000, n. 1284; Conclusioni Per l'appellante: voglia l'ecc.ma Corte, respinta ogni contraria difesa e deduzione, riformare la decisione di primo grado e dichiarare legittima la pretesa tributaria e infondata, anche per difetto dei requisiti costitutivi del diritto, la domanda restitutoria avversaria. Vinte le spese dei due gradi di giudizio. Per l'appellata: voglia la Corte ecc.ma respingere l'appello del Ministero delle finanze avverso la sentenza 28 marzo 2000 n. 1284 del Tribunale di Genova e confermare la stessa sentenza con la condanna dell'appellante alle spese e competenze di questo giudizio. Svolgimento del processo Nel novembre del 1996 la Ilva Laminati Piani S.p.a. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova il Ministero delle finanze chiedendone la condanna alla restituzione in proprio favore della somma di L. 138.368.350 oltre accessori da essa corrisposta a titolo di addizionale erariale sul consumo dell'energia elettrica di cui all'art. 4 del d.l. 30 settembre 1989, n. 332 pel periodo dal primo bimestre 1993 al secondo bimestre 1995, poiche' ai sensi dell'art. 4 della legge 8 agosto 1995, n. 349 (norma di interpretazione autentica e con efficacia retroattiva) nulla avrebbe dovuto pagare a detto titolo. Il Ministero convenuto, costituitosi, chiese il rigetto dell'avversa pretesa denunciandone l'infondatezza. In esito ad istruzione documentale il giudice unico presso il Tribunale adito, definitivamente pronunciando, accolse la domanda e condanno' l'Amministrazione convenuta alla restituzione della somma richiesta oltre alle spese. Osservo' il primo giudice - in sintesi, e per la parte che qui interessa - che nelle more del giudizio era stato emanato il d.l. n. 250/1995 il quale, interpretando autenticamente le precedenti disposizioni in materia (d.l. n. 511/1988 e d.l. n. 332/1989) aveva stabilito che l'addizionale di che trattasi dovesse applicarsi ai consumi di energia elettrica impiegata negli opifici industriali come riscaldamento negli usi indispensabili al compimento di processi industriali veri e propri (primo periodo della disposizione); non invece ai consumi di energia elettrica utilizzata come materia prima nei processi industriali elettrochimici ed elettrometallurgici (secondo periodo della disposizione). Rilevo' che entrambi i periodi della stessa disposizione dovevano essere unitariamente considerati; e che la norma, per il carattere di interpretazione autentica, doveva avere efficacia retroattiva, applicabile quindi alla fattispecie. E concluse per il riconoscimento del diritto della societa' attrice ad ottenere in restituzione quanto indebitamente pagato avendo costei assolto all'onere di dimostrazione del relativo pagamento. Avverso le predette statuizioni ha qui proposto appello il Ministero delle finanze denunciandone l'erroneita' ed instando, in riforma della gravata sentenza, per l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte. L'appellata, nel costituirsi, ha chiesto il rigetto dell'avverso appello e la conferma delle decisioni di prime cure. Quindi la causa, sulle conclusioni come sopra trascritte precisate all'udienza collegiale del 14 giugno 2001, e' stata trattenuta in decisione scaduti i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle note di replica. Motivi della decisione 1. - L'amministrazione finanziaria censura, in via principale e come primo motivo di gravame, l'interpretazione accordata dal primo giudice all'art. 4 della legge 8 agosto 1995, n. 349 di conversione con modifiche del d.l. 28 giugno 1995, n. 250. La definitiva formulazione dell' art. 4 anzidetto, di dichiarato carattere interpretativo ("... e' assoggettata alle addizionali ivi previste anche l'energia elettrica impiegata negli opifici industriali come riscaldamento negli usi indispensabili al compimento di processi industriali veri e propri. Non e' assoggettata alle addizionali l'energia elettrica utilizzata come materia prima nei processi industriali elettrochimici ed elettrometallurgici ivi compresi le lavorazioni siderurgiche e delle fonderie") consta - osserva - di due periodi dei quali solo il primo conterrebbe una disposizione realmente interpretativa e quindi retroattiva; il secondo invece una norma di agevolazione innovativa, valida per il futuro. Erroneamente il tribunale aveva invece colto un valore interpretativo della norma nella sua globalita' senza invece effettuare piu' correttamente la distinzione anzidetta; distinzione dalla quale poteva cogliersi (esaminando il secondo periodo della disposizione) l'introduzione di una esenzione di imposta per l'energia, ove costituente materia prima nei processi industriali elettrochimici ed elettrometallurgici, valida solo per l'avvenire, non gia' per il passato. In via subordinata, e come secondo motivo, ha invocato l'applicazione dell'art. 19 del d.l. 29 dicembre 1990, n. 428 per il quale il rimborso di tributi indebitamente pagati e' consentito a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti. La mancata traslazione dell'onere tributario - osserva - e' elemento costitutivo del diritto al rimborso, cosicche' fa carico al solvens l'onere di fornire la prova documentale del mancato trasferimento su terzi dell'onere discendente dal pagamento non dovuto. La societa', proponendo la domanda di restituzione delle imposte non dovute, non aveva mai dedotto in primo grado la sussistenza di tale elemento negativo ne' tanto meno aveva fornito la prova di non aver trasferito l'onere su terzi (e cioe' sugli acquirenti dei prodotti risultanti dal processo industriale nel quale l'energia elettrica era stata impiegata); e del resto appariva fondatamente presumibile che la traslazione fosse in effetti avvenuta dal momento che il costo dell'energia necessaria per il processo produttivo raggiunge una quota preminente del costo totale di produzione talche' sarebbe economicamente irragionevole che l'impresa non avesse riversato tale ingente costo, comprensivo dell'imposizione fiscale, sul prezzo dei prodotti finali. 2. - Il primo profilo dell' appello e' infondato e va disatteso. La tesi dell'amministrazione ricorrente, secondo cui solo il primo dei riportati periodi della norma surrichiamata configurerebbe atto d'interpretazione autentica, dotato di naturale retroattivita', mentre il secondo avrebbe la diversa consistenza di un'innovazione rivolta a sottrarre esclusivamente per il futuro dall'ambito di applicazione delle addizionali alcuni degli impieghi che sarebbero altrimenti ad esse soggetti proprio in base alla norma interpretativa, non puo' essere condivisa, in adesione a quanto gia' ritenuto dalla S.C. con la decisione fatta propria dal primo giudice (cfr. Cass. 96/6776), confermata dalla giurisprudenza successiva in materia (cfr. Cass. 98/4084; Cass. 98/6303). La funzione interpretativa della norma, nella globalita' delle sue due previsioni, e' stata infatti affermata sul rilievo: a) che i due periodi in cui essa si articola si riferiscono agli usi indispensabili nei procedimenti produttivi industriali, perche' gli usi nei procedimenti elettrochimici ed elettrometallurgici fanno parte di detti "usi indispensabili" e ne costituiscono un settore; b) sono entrambi retti dallo stesso verbo "assoggettare"; c) lo adottano, in positivo ed in negativo, per distinguere l'impiego come riscaldamento nell'intera indicata categoria e l'impiego come materia prima in quel segmento della categoria stessa; d) si integrano cosi' reciprocamente, rispondendo all'unitario scopo di definire l'area dei consumi elettrici industriali per i quali debbano essere corrisposte le addizionali. Il dato letterale - si e' aggiunto - e' in linea con il collegamento logico delle due proposizioni fra loro e con le norme che le hanno precedute; nel momento in cui e' stata superata, in senso favorevole all'amministrazione, la problematica insorta sull'estensibilita' delle addizionali agli usi come riscaldamento nei processi industriali (non assoggettati all'imposta di consumo) e' coerente la contestuale puntualizzazione della diversita' e non tassabilita' degli usi come materia prima (non contemplati dalle disposizioni pregresse), trattandosi del resto dell'esplicitazione di un concetto gia' insito nella delimitazione del prelievo aggiuntivo soltanto agli usi come riscaldamento. A conforto dell'indicata esegesi ed a confutazione dell'assunto dell'amministrazione e' stato inoltre osservato nelle ultime decisioni della S.C.: che nella disciplina dell'imposta di consumo inerente all'energia elettrica di cui agli artt. 52 e segg. del d.l. 26 ottobre 1995, n. 504, si ripropone (secondo comma, lett. n di detto art. 52) il principio dell'art. 2 della legge del 1966, sulla non debenza dell'imposta stessa rispetto agli impieghi come riscaldamento nei processi industriali (questa volta definendola quale esenzione, in armonia con la norma di pochi mesi anteriore in tema di estensione delle addizionali ai predetti impieghi), mentre non si considerano gli impieghi come materia prima nell'implicito presupposto della non assimilabilita' degli uni agli altri; che la presa di posizione del legislatore, sul significato vincolante da assegnare a norme in precedenza emanate, al fine di dirimere il contenzioso che esse hanno determinato o potrebbero determinare, non si concilierebbe sul piano logico con una contemporanea scelta di un significato difforme per il futuro; che la modificazione, con la legge di conversione, soltanto del secondo periodo dell'art. 4 in esame non puo' avallare l'assunto della sua autonomia rispetto al primo periodo, dato che la modificazione stessa, esaurendosi nell'aggiunta, dopo le parole "processi industriali elettrochimici ed elettrometaliurgici", delle parole "ivi comprese le lavorazioni siderurgiche e delle fonderie), rimane sul piano della mera riformulazione chiarificatrice (forse superflua, essendo i processi elettrochimici ed elettrometallurgici propri delle imprese siderurgiche e delle fonderie), e, comunque, non offie spunti per autorizzare uno stravolgimento della consistenza di detto ulteriore periodo, con l'individuazione in esso della volonta' del legislatore di occuparsi di nuove esenzioni in occasione ed all'interno di un atto d'interpretazione autentica. Tale essendo l'autorevole opinione della S.C., dalla quale il Collegio non ravvisa motivo alcuno per discostarsi (anche per non esser state formulate nuove ipotesi interpretative da parte della difesa erariale tali da svalutarne l'impianto logico-giuridico), e' d'uopo rigettare il primo motivo (principale) dell'appello della difesa erariale con ogni conseguenza. 3. - A diverse conclusioni devesi pervenire con riferimento al secondo (e subordinato) motivo di gravame. L'art. 19 del decreto-legge 30 settembre 1992 n. 688, intitolato a "misure urgenti in materia di entrate fiscali", convertito con legge 30 novembre 1982, n. 873, disponeva originariamente che "chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha diritto al rimborso delle somme pagate quando provi documentalmente che l'onere relativo non e' stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale". Come e' noto, alla luce dei lavori preparatori, la ragione di essere della norma consisteva nell'esigenza di evitare un effetto di indebita locupletazione a favore degli operatori economici che "avendo di regola gia' trasferito sui successivi acquirenti anche gli oneri per tributi che poi a distanza di tempo risultino non dovuti, verrebbero a conseguire un lucro se potessero ugualmente ottenere il rimborso" (cosi' la relazione alla proposta di legge di conversione). Con sentenza 21 aprile 2000, n. 114 la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimita' costituzionale, per conflitto con l'art. 24 della Costituzione, della suddetta disposizione nella parte in cui prevedeva che la prova del mancato trasferimento su altri soggetti dell'onere economico dell'imposta potesse essere fornita solo documentalmente, rilevando che "se da un lato puo' ribadirsi che la mera inversione dell'onere della prova non e' di per se' in contrasto con l'art. 24 della Costituzione trattandosi di materia indubbiamente rimessa alla discrezionalita' del legislatore, deve per altro verso ritenersi che il prevedere che tale onere possa essere assolto solamente per mezzo della prova documentale, intesa evidentemente in senso tecnico, comporti una sicura lesione del diritto di agire in giudizio del solvens" in quanto "siffatta previsione viene ... a subordinare la tutela giurisdizionale ad una prova che, secondo criteri di normalita', si palesa impossibile, non potendo in via generale essere ipotizzata l'esistenza di un documento concernente la diretta rappresentazione del fatto negativo costituito dalla mancata traslazione del peso economico di un'imposta". Il giudice delle leggi ha espressamente sottolineato, nella motivazione della citata sentenza, che all'ambito del sindacato di legittimita' dallo stesso esercitato in quella sede restava estraneo il riferimento all'art. 3 della Costituzione, che, pur richiamato dalle parti private allora contendenti, esulava dai parametri di costituzionalita' evocati dai giudici remittenti. E proprio con riguardo ai valori costituzionali espressi nell'art. 3 pare al Collegio necessario sollecitare (come del resto gia' effettuato nel recente passato proprio con riferimento ad altra causa avente identita' di parti ed oggetto con la presente; v. ord. A. Genova 6 giugno 2001) l'ulteriore verifica da parte del giudice delle leggi della costituzionalita' della norma citata - la cui applicazione viene in considerazione con decisiva rilevanza nel procedimento di cui in epigrafe - sotto un duplice profilo. Osservasi anzitutto che, a seguito degli interventi della Corte di giustizia comunitaria (Corte di Giust. CEE: 24 marzo 1988 in C-104/1986; 9 novembre 1983 in C-199/1983), il legislatore statuale ha acceduto alla emanazione della norma di cui all'art. 29 della legge 20 dicembre 1990 n. 428, in virtu' della quale la disposizione in argomento risulta vigente ormai in relazione ai soli tributi aventi rilevanza interna all'ordinamento italiano, e non anche per quelli riscossi in violazione del diritto comunitario, per i quali l'onere della prova circa la traslazione del tributo, che in tal caso viene a configurarsi come fatto estintivo del diritto al rimborso, incombe, secondo i principi generali, sull'amministrazione convenuta con l'azione di ripetizione. Si verifica, quindi, attualmente, una situazione di disparita' di trattamento, che non sembra trovare adeguata giustificazione nella comparazione delle situazioni in esame, alla stregua della constatazione del possibile effetto gratuitamente locupletatorio dei rimborso di un onere gia' recuperato mediante il fenomeno della traslazione, tra i contribuenti che abbiano versato indebitamente tributi rilevanti solo nell'ordinamento interno e contribuenti che abbiano versato indebitamente tributi rilevanti per l'ordinamento comunitario, non potendosi ragionevolmente sostenere una diversita' sostanziale nel modo di operare del detto fenomeno nei confronti dell'una e dell'altra categoria di contribuenti. E sembra significativa, al riguardo, la motivazione della citata sentenza della Corte costituzionale nella parte in cui afferma che "anche alla luce dei mutamenti del quadro normativo successivamente intervenuti" esigono di essere riconsiderate le conclusioni a cui erano pervenute, nel senso del riconoscimento della legittimita' costituzionale dell'art. 19, alcune precedenti decisioni dello stesso giudice delle leggi (ordinanze n. 651/1988, n. 807/1988, n. 172/1989, n. 197/1999). Non si puo', poi, fare a meno di rilevare che, se e' vero che (come la Corte costituzionale ha precisato nell'ordinanza 651/1988) "la ratio perseguita dalla norma di evitare l'arricchimento senza causa di alcuni operatori economici a danno di una maggioranza di altri soggetti consente di giustificare il diverso regime di ripetizione dell'indebito in relazione a quei tributi per i quali, attesa la loro peculiare natura, il fenomeno della traslazione costituisce una evenienza normale nella prassi dell'economia di mercato", la ritenuta - in ordine a determinati tributi - "particolare attitudine ad essere trasferiti su altri soggetti e con essa lo scarso grado di probabilita' che l'indebito possa restare definitivamente a carico del patrimonio di chi lo ha corrisposto", e quindi la "non irragionevole presunzione che per taluni tipi di imposta l'onere fiscale viene di norma traslato dal soggetto passivo su altri soggetti" (di cui parla l'ordinanza n. 807/1988), sembrano ricevere smentita, in relazione all'imposizione sull'energia elettrica impiegata quale materia prima, dalla attenta considerazione della specificita' che caratterizza il fenomeno finanziario. In tale tipo di impiego produttivo, infatti, l'energia elettrica non viene utilizzata come fonte accessoria e strumentale di energia termica fornita all'impianto, ma partecipa come componente essenziale alla realizzazione del prodotto risultante dal processo elettrochimico, onde il costo della stessa viene assorbito nel prezzo del prodotto, il quale e' determinato dalla evoluzione dinamica di un mercato dipendente nell'insieme da una molteplicita' di elementi non controllabili preventivamente ne' agevolmente riconoscibili a posteriori dal soggetto al quale si pretende di accollare la allegazione e la dimostrazione di dati concreti attendibilmente dimostrativi della insussistenza di una riduzione del margine del suo profitto - risolventesi nel verificarsi finale di una perdita di gestione o nella diminuzione dell'utile - conseguente, in base a una corrispondenza della quale il giudice del merito non puo' non esigere l'univocita', al mancato trasferimento su altri soggetti del costo economico rappresentato dall'imposizione subita in relazione a ciascuna entita' del tributo, che peraltro risulta frazionato in sede di pagamento in modo del tutto svincolato dalla specifica destinazione dell'energia che ne forma oggetto a determinati cicli produttivi. In tutto cio' non si ravvisa alcunche' di comparabile con quanto si verifica nelle (piu' frequenti) ipotesi in cui le imposte sull'energia elettrica non impiegata come materia prima vengono assolte non dalle imprese produttrici di beni diversi ma dalle imprese produttrici dell'energia stessa che tale energia cedono con rivalsa documentata mediante fattura nei confronti del consumatore. In cio' si ravvisa, per contro, un aspetto di irragionevolezza - tale da vulnerare il principio per cui l'esigenza della razionalita' costituisce limite (la cui garanzia e' riconducibile all'art. 3 della Costituzione) all'esercizio del sovrano potere del legislatore - nella mancata considerazione delle leggi di mercato per cui ad ogni aumento del prezzo consegue di regola una diminuzione della domanda con possibile contrazione del profitto, ed espone il produttore alla concorrenza di chi puo' mantenere la propria offerta nel limite di un prezzo inferiore: onde, in un mercato internazionale (nel quale operano non soltanto imprenditori italiani assoggettati tutti ad identici oneri tributari ma anche imprenditori stranieri) non puo' porsi a razionale fondamento di una generalizzata presunzione l'assunto che il produttore italiano acceda sistematicamente ad un aumento del prezzo idoneo ad assorbire l'aumento degli oneri fiscali. E l'esperienza giudiziaria rende palese che in fattispecie del tipo di quella qui in esame gli strumenti probatori di carattere non documentale ai quali viene affidato lo scioglimento del dubbio si esauriscono in una consulenza tecnica fondata sull'esame delle scritture contabili - considerate queste non come prove documentali in senso proprio ma come dati indiziari - la quale e' inevitabilmente destinata a rivelarsi caratterizzata da una impostazione esplorativa e da un inadeguato livello di attendibilita' dei risultati, attesa la molteplicita' e la eterogeneita' delle variabili indipendenti incidenti sul fenomeno finanziario. La questione come sopra prospettata e' rilevante nel giudizio in corso, che non puo' essere definito indipendentemente dallo scioglimento della stessa; ne appare manifestamente infondata per i motivi dianzi prospettati. Gli atti dovranno quindi essere trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di costituzionalita' sopra sollecitato; ed il presente procedimento sospeso sino all'esito del giudizio medesimo.