IL GIUDICE UNICO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso iscritto al
n. 4359/PC,  ora  3326,  del  registro  di  segreteria,  proposto  da
Bevilacqua  Giovanna,  nata  il  25  gennaio 1931, residente a Terni,
elettivamente  domiciliata  presso  gli  avv.  Paolo  Boer  e  Sergio
Cencetti,  che  la rappresentano e difendono per delega a margine del
ricorso,   avverso  la  determinazione  della  DPT  di  Perugia  (ora
I.N.P.D.A.P.) n. 1213, del 1 ottobre 1996.
    Uditi, alla pubblica udienza del 3 ottobre 2001, con l'assistenza
del  segretario,  dott.  Giuliano  Cecconi,  il  difensore  di  parte
ricorrente,    avv.    Sergio    Cencetti,   ed   il   rappresentante
dell'I.N.P.D.A.P.,  nella  persona  della  dott.ssa  Maria  Raffaella
Borgo.
    Esaminati gli atti e documenti tutti della causa.

                              F a t t o

    Con  l'impugnato  provvedimento,  la  Direzione  provinciale  del
tesoro   di  Perugia  ha  determinato  il  trattamento  pensionistico
spettante  alla  sig.ra  Giovanna  Bevilacqua, quale vedova del dott.
Buttaro  Carlo  Alberto,  gia' dipendente della ULSS Valle Umbra sud,
pensionato  dal  9  ottobre  1978  e  deceduto il 23 luglio 1996, nei
limiti del 60% del trattamento di reversibilita', essendo la medesima
titolare  di  un  "reddito  superiore a 4 volte il trattamento minimo
annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti" ai sensi dell'art. 1,
comma  41,  della  legge  8 agosto 1995, n. 335 e relativa tabella F,
allegata alla legge stessa.
    Dagli  atti risulta che il predetto dott. Buttaro, al momento del
decesso  (23  luglio  1996), fruiva di una pensione annua lorda di L.
72.164.700,  comprensiva  della  indennita'  integrativa speciale (L.
13.121.485 annue), calcolata sulla base di 40 anni utili di servizio,
conseguita (dal 9 ottobre 1978) per limiti di eta'.
    Alla  medesima  data  di  decesso  del  dott.  Buttaro, la sig.ra
Bevilacqua. che aveva presentato domanda di reversibilita' l'8 agosto
1996,  era  titolare di un reddito pari a L. 34.343.000, derivante da
terreni  e  fabbricati,  non avendo redditi da lavoro (dipendente e/o
autonomo)  o di pensione; giusta comunicazione della medesima in data
2 settembre 1996 e modello 740 in atti.
    Di  qui, in relazione all'entita' di tale reddito (pari a quattro
volte  il  trattamento  minimo  annuo  del  Fondo pensioni lavoratori
dipendenti,  fissato in L. 659.050 mensili per l'anno in riferimento)
ed  alla  percentuale  di  cumulabilita'  con  esso della pensione di
reversibilita'  (60%),  il  gravato  provvedimento,  concessivo della
pensione di L. 32.401.700, cosi' costituita:
        1)  quanto  a  L.  25.979.292,  dalla  quota  di  pensione di
reversibilita'  spettante  alla  vedova in forza della percentuale di
cumulo  (60%)  sulla reversibilita' teorica, calcolata sulla pensione
diretta  del  coniuge  di L. 72.164.700 (60% di L. 43.298.820, pari -
quest'ultima - al 60% di L. 72.164.700);
        2)  quanto  alle  restanti  L.  6.422.423,  dalla  differenza
tra.l'importo  complessivo  del  cumulo della pensione ridotta per la
fascia  precedente  (75%  della  reversibilita' teorica, ex tabella F
sopra  citata)  con il reddito ivi indicato (superiore a tre volte il
trattamento  minimo  del  Fondo  lavoratori  dipendenti)  e l'analogo
importo    complessivo   spettante   alla   Bevilacqua   (60%   della
reversibilita'   teorica   maggiorato  dal  reddito  posseduto  dalla
medesima), risultante -nel caso - minore.
    Con  l'atto  introduttivo della causa, parte ricorrente, chiarito
che  nell'anzianita'  di  servizio  del dott. Buttaro figura anche il
riscatto  degli  studi  universitari  e  di  alcuni "servizi prestati
presso  altre  amministrazioni",  censura  il  gravato provvedimento,
anzitutto,  "per  aver  incluso  il  reddito  virtuale  della casa di
abitazione"  in  quello  considerato  per l'applicazione dell'art. 1,
comma  41,  della  legge  n. 335/1995,  in violazione delle direttive
impartite  dal Ministero del lavoro con lettera n. 7/61633L 335-1995,
dell'8 settembre 1995.
    Ricordato,  poi,  che  "il trattamento di quiescenza ha natura di
retribuzione differita" (pagg. 3-4 del ricorso), che "la garanzia che
assiste  la  retribuzione  si  estende  al trattamento di quiescenza"
(pagg.  4-6  del  ricorso)  e  che  "la  trattenuta in conto tesoro e
l'onere  di  riscatto  sono  rapportati  ad  una rendita reversibile"
(pagg. 6-8 del ricorso), dubita della legittimita' dell'art. 1, comma
41,  della  legge n. 335/1995, in relazione agli artt. 3, 29, 31, 36,
38, 42, 47, e 53 Cost.
    Sotto un primo profilo, parte ricorrente, censura le disposizioni
del  citato  articolo  1,  comma  41, per "aver (esse) introdotto una
parziale incumulabilita' della pensione di reversibilita' con redditi
di  qualsiasi  natura  relativamente  alla  quota  di  pensione  gia'
idealmente  entrata nella sfera giuridica del soggetto, in violazione
delle  garanzie  che  assistono  la  retribuzione  e  la pensione, ex
artt. 36  e  38  Cost.", precisando che "la modifica, ove necessaria,
doveva  limitarsi  ai periodi di servizio maturandi dopo l'entrata in
vigore della legge" (pagg. 10-12 del ricorso).
    Sotto  altro  profilo,  invece, censura il ripetuto art. 1, comma
41,  in  relazione  agli  artt. 3, 36 e 38 Cost., "per aver applicato
criteri   anticumulo,   correttamente   utilizzabili   per   le  sole
prestazioni  di  natura  assistenziali,  a  prestazioni  che  trovano
fondamento  nella posizione assicurativa del de cuius, determinate in
base all'anzianita' di servizio (ed) alla retribuzione pensionabile".
    Sotto  ulteriori  profili,  infine, critica la norma in questione
per:
        a) "aver posto sullo stesso piano redditi da lavoro e redditi
da  capitale,  senza  considerare che i redditi da capitale non hanno
rilievo  ai  fini  del  regime  anticumulo  delle  altre  prestazioni
previdenziali, in conflitto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost.";
        b)  "aver  previsto  la  riduzione della quota di pensione di
reversibilita'  che  e'  frutto  di  riscatti,  per  i quali e' stata
versata  la riserva matematica commisurata all'onere per l'erogazione
di una rendita reversibile, in contrasto con gli artt. 3, 29, 31, 36,
38, commi 2 e 5, e 47 Cost.";
        c)  "aver  surrettiziamente  introdotto  una  nuova  forma di
imposizione  a carico della pensione spettante al coniuge superstite,
che si somma all'aliquota di imposta alla quale essa e' assoggettata,
in  relazione  al  reddito  complessivo,  in  contrasto con l'art. 53
Cost."
        d)  "aver determinato la quota anticumulo con criteri tali da
comportare  un  vero e proprio esproprio, ove si cumuli tale aliquota
con  quella  propriamente  tributaria  gia'  assolta  per  lo  stesso
reddito,  in  conflitto  con  l'art. 42 Cost., oltre che con le norme
precedentemente richiamate";
        e) "non aver fatto salvo il diritto del coniuge superstite al
trattamento  minimo,  in  contraddizione  con  la garanzia del minimo
contestualmente  introdotta  dall'art. 3, comma 13 della stessa legge
n. 335/1995",  e cio' in contrasto con il principio di razionalita' e
parita' di cui all'art. 3 Cost.";
        f)  "non  aver  preso  in  alcuna  considerazione  l'eta' del
percepiente,  abbisognevole di cura ed assistenza, quanto piu' l'eta'
avanza";
        g)  "aver  scoraggiato  forme  di  risparmio  e di previdenza
dirette  a  garantire il reddito dei superstiti, in contrasto con gli
artt. 38 e 42 Cost.";
        h)   "aver   prodotto   effetti   distorsivi  del  risparmio,
indirizzandolo  verso forme di investimento che producono reddito non
soggetto ad imposta I.R.P.E.F, in violazione dell'art. 42 Cost.";
        i)  "aver  penalizzato la erogazione, sotto forma di rendita,
di trattamenti di previdenza complementare o integrativa" che possono
essere  pagati  anche  "sotto  forma  di capitale", in quanto viene a
moltiplicare  gli  effetti  del regime anticumulo per l'intera durata
della rendita".
    In  conclusione,  con  l'atto  introduttivo  della  causa,  parte
ricorrente  ha  chiesto che venga dichiarata la "piena disponibilita'
della  pensione  di  reversibilita'"  alla  medesima  spettante,  con
condanna  della  "Amministrazione convenuta alla riliquidazione della
pensione  in  misura  integrale  ed  alla  corresponsione delle somme
trattenute, maggiorate di interessi e maggior danno"; in subordine ed
"in   via  strumentale",  ha  altresi'  chiesto  di  "dichiarare  non
manifestamente    infondata   la   questione   di   costituzionalita'
dell'art. 1,   comma   41,   della  legge  n. 335/1995",  come  sopra
prospettata, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Con  memoria  del  14  ottobre  1997,  si e' costituita la DPT di
Perugia, illustrando le ragioni del suo operato, mentre, con nota del
13  settembre  1998,  l'I.N.P.D.A.P. (subentrato, nella competenza in
materia,  alle  Direzioni  provinciali del tesoro) ha depositato atti
pertinenti la causa.
    Con  memoria  depositata  il  12  novembre  1999, la difesa della
ricorrente  ha  insistito,  ribadendo quanto esposto in ricorso, piu'
approfonditamente  illustrando  gli  aspetti di irrazionalita' che, a
suo  dire,  caratterizzerebbero  le  censurate disposizioni, anche in
relazione   alla  norma  di  salvaguardia  ivi  stabilita,  volta  ad
escludere che "il trattamento derivante dal cumulo dei redditi con la
pensione  ridotta (sia) inferiore a quello che spetterebbe qualora il
reddito   posseduto  (fosse)  pari  al  limite  massimo  delle  fasce
immediatamente precedenti".
    Chiamata  la  causa alla pubblica udienza del 1 dicembre 1999, la
Sezione  ha  ritenuto  opportuno acquisire notizie sia sull'effettivo
riscatto   degli   studi  universitari  e/o  di  altri  servizi,  sia
sull'effettiva   inclusione   del   reddito  relativo  alla  casa  di
abitazione  in  quello  considerato per l'applicazione del piu' volte
citato art. 1, comma 41, sebbene la stessa difesa di parte ricorrente
avesse,  su  tale  ultimo  aspetto, manifestato una certa convinzione
circa la non inclusione del predetto reddito della casa in quello per
la determinazione della aliquota di cumulabilita' della pensione.
    In   esecuzione   della  relativa  ordinanza  (n. 19-C/2000),  il
Ministero  del  lavoro  e della previdenza sociale ha trasmesso copia
delle   direttive  emanate,  con  nota  n. 7/61633/L.335/1995  dell'8
settembre  1995,  sui  redditi  esclusi  per  la  cumulabilita' della
reversibilita'  a  favore  dei superstiti, mentre l'I.N.P.D.A.P., con
nota  del  19  settembre  2001, ha fatto sapere che il reddito per la
casa  di  abitazione  non  e'  stato considerato nella determinazione
della   fascia   di  cumulabilita'  della  ricorrente  e  che,  nella
determinazione della pensione del dott. Buttaro, hanno effettivamente
concorso  gli  studi  universitari  ed alcuni "servizi", regolarmente
riscattati mediante versamento dell'interessato, per complessivi anni
15, mesi 9 e giorni 6".
    Il  2  ottobre u.s., l'I.N.P.D.A.P. ha depositato una memoria con
la  quale  ha  illustrato  le  modalita' di calcolo della pensione di
reversibilita'  della ricorrente, dando altre notizie sulla posizione
pensionistica della medesima.
    All'odierna pubblica udienza, il difensore di parte ricorrente ha
ribadito  quanto  fatto  presente  con  i  precedenti  atti  scritti,
riconoscendo  il  venir  meno delle doglianze relative all'inclusione
del  reddito  della  casa  di  abitazione  in quello rilevante per la
determinazione  della  quota  di  cumulabilita' della pensione, ed ha
piu'  diffusamente  illustrato  le doglianze relative alla inclusione
della  quota  di  pensione  corrispondente agli anni di servizio e di
studio  riscattati  nel  trattamento  soggetto  alle riduzioni di cui
all'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995.
    Dal canto suo, il rappresentante dell'I.N.P.D.A.P. ha ribadito la
conformita' del gravato provvedimento alle disposizioni dell' art. 1,
comma 41, della legge n. 335/1995, facendo comunque notare che, a suo
giudizio,  la  problematica  sulla  riduzione della quota di pensione
corrispondente  agli  anni  di  servizio  e  di studio riscattati non
riveste  carattere autonomo, ma si inserisce in quella generale sulla
legittimita'   o   meno  di  siffatta  riduzione  sulla  pensione  di
reversibilita' nel suo complesso.

                            D i r i t t o

    1. - Da quanto esposto in narrativa, risulta evidente che l'unico
motivo   di   doglianza   specificamente   mosso  contro  il  gravato
provvedimento, attinente al preteso computo del reddito della casa di
abitazione in quello complessivo per la determinazione della quota di
cumulabilita'  della  pensione di reversibilita' con tale complessivo
reddito, e' venuto meno nel corso del giudizio.
    Ed  invero,  come precisato in proposito dall'I.N.P.D.A.P. con la
nota del 19 settembre 2001 e come riconosciuto dalla stessa difesa di
parte   ricorrente,   il  reddito  della  casa  di  abitazione  della
ricorrente medesima non e' stato considerato nel reddito complessivo,
per  la determinazione della aliquota di cumulabilita' della pensione
di reversibilita' a lei spettante, ex art. 1, comma 41, della legge 8
agosto  1995,  n. 335,  secondo  le indicazioni date in tal senso dal
Ministero   del  lavoro  e  della  previdenza  sociale  con  la  nota
n. 7/61633/L. 335-1995, dell'8 settembre 1995.
    Tanto   precisato   sulla  censura  (l'unica  censura)  attinente
direttamente  al  gravato  provvedimento,  vanno ora esaminate quelle
sulla  legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 41, della legge
n. 335/1995,  in  base  al  quale  il  provvedimento  stesso e' stato
adottato.
    2.  -  A  tal riguardo, questo giudice, cui spetta di valutare la
rilevanza  e  la non manifesta infondateza delle dedotte questioni di
costituzionalita',  ex  art. 23  della  legge  11  marzo 1953, n. 87,
ritiene  che  solo  alcune  delle  censure  addotte  a sostegno della
questione  di costituzionalita' sollevata da parte ricorrente abbiano
effettiva   rilevanza   nel  caso,  in  rapporto  agli  elementi  che
caratterizzano  la  vicenda  all'esame,  mentre  poi solo due, tra le
censure rilevanti, non siano manifestamente infondate.
    3.  -  In realta', quanto alla rilevanza, deve dirsi che, secondo
una   valutazione   generale   e   complessiva,   la   questione   di
costituzionalita'  dell'art. 1,  comma  41,  della  legge n. 335/1995
prospettata  da  parte ricorrente e' senz'altro rilevante, dipendendo
da essa la definizione dell' odierno giudizio, imperniato non gia' su
un  atto  o  su  un  comportamento  illegittimo dell'amministrazione,
assunto in violazione delle disposizioni del citato art. 1, comma 41,
ma  direttamente  su  tali  disposizioni,  ritenute  in se' lesive di
diritti  pensionistici  costituzionalmente  protetti,  secondo  parte
ricorrente medesima.
    Passando, pero', da una valutazione generale e complessiva ad una
valutazione  analitica  delle singole censure nelle quali si articola
la  dedotta  questione,  alcune di tali censure si mostrano del tutto
irrilevanti,   in   relazione  alle  concrete  caratteristiche  della
vicenda;  si' che la sollevata questione di costituzionalita', in se'
rilevante,  offre,  per alcune doglianze, argomenti non aderenti alla
fattispecie per la quale e' stata posta.
    4.  - Tanto e' da dire, anzitutto, per le doglianze che, muovendo
dall'art. 3   Cost.,   censurano  l'art. 1,  comma  41,  della  legge
n. 335/1995  "per  non  aver  fatto  salvo  il  diritto  del  coniuge
superstite  al  trattamento minimo, in contraddizione con la garanzia
del  minimo  contestualmente  introdotta dall'art. 2, comma 13, della
stessa legge n. 335/1995" (cfr. pag. 16, lettera F del ricorso).
    Un siffatto limite, in fattispecie, risulta in realta' ampiamente
rispettato,   sia   in   rapporto   all'entita'   della  pensione  di
reversibilita'  liquidata (L. 32.401.700), sia in rapporto al reddito
proprio  della  ricorrente  (L.  34.343.000),  rientrante addirittura
nella  seconda  delle  fasce  indicate  dalla tabella F allegata alla
legge  n. 335/1995:  "reddito superiore a 4 volte il minimo annuo del
Fondo  pensioni lavoratori dipendenti", fissato in L. 659.050 mensili
per  l'anno  di  riferimento,  come emerge dalla "stampa di verifica"
della  Direzione  provinciale del tesoro di Perugia in data 1 ottobre
1996,  inviata  con  gli  altri  atti  del  fascicolo  amministrativo
relativo al gravato provvedimento.
    Di qui l'irrilevanza della dedotta censura.
    5.  - Parimenti irrilevanti sono, poi, le doglianze che, muovendo
dagli  artt. 38 e 42 Cost., censurano l'art. 1, comma 41, della legge
n. 335/1995 "per avere scoraggiato forme di risparmio e di previdenza
dirette  a  garantire  il  reddito  ai  superstiti",  ovvero "per gli
effetti distorsivi del risparmio che (esse) producono, indirizzandolo
a  forme  di  investimento non soggetto ad I.R.P.E.F.", ovvero ancora
"per  aver  penalizzato  la  erogazione,  sotto  forma di rendita, di
trattamenti  di  previdenza complementare o integrativa (per i quali)
la  normativa  (vigente)  consente  di  optare per il pagamento sotto
forma  di  capitale,  in quanto viene a moltiplicare gli effetti, del
regime  anticumulo  per  l'intera  durata  della rendita" (cfr. pagg.
16-17 del ricorso, lettere H, I ed L).
    Tali  censure, a ben vedere, appaiono ispirarsi all'atteggiamento
mentale  del  lavoratore, quanto alle prime due, che prospetticamente
valuta  -  a dirla con parte ricorrente - "le forme di risparmio e di
previdenza  dirette a garantire il reddito dei superstiti in concorso
con  il  reddito  da  pensione"  (v.  pag.  16  del  ricorso), ovvero
all'atteggiamento  mentale del coniuge superstite, quanto alla terza,
che   -   sempre  a  dirla  con  parte  ricorrente  -  preferisce  la
liquidazione  "sotto forma di capitale" e non "sotto forma di rendita
(degli   eventuali)   trattamenti   di   previdenza  complementare  o
integrativa";  tanto  per  "non  moltiplicare  gli effetti del regime
anticumulo" (cfr. pag. 17 del ricorso).
    Sennonche', nel caso, mentre non risulta che la ricorrente si sia
trovata  con  "trattamenti di previdenza complementare o integrativa"
per  i  quali  operare  la  scelta  della liquidazione sotto forma di
capitale  o  di  rendita,  il  marito  della  medesima e' cessato dal
servizio nel 1978 ; in un epoca, cioe', in cui la censurata norma non
era ancora vigente e, quindi, non poteva influenzare in alcun modo le
scelte  delle  "forme di risparmio e di previdenza" operate allora o,
com'e'  piu'  probabile,  in  epoca  addirittura anteriore, nel corso
dell'attivita' lavorativa.
    Di qui l'irrilevanza delle riferite doglianze.
    6.  -  Priva di rilevanza autonoma, infine, e' anche la doglianza
che,  muovendo  dagli  artt. 3,  29. 31, 36 e 38, commi 2 e 5, Cost.,
censura  l'art. 1,  comma  41,  della  legge  n. 335/1995,  "per aver
previsto la riduzione anche della quota di pensione di reversibilita'
che  e'  frutto dei riscatti, per i quali e' stata versata la riserva
matematica,   commisurata   all'onere   che   contrae   la   gestione
pensionistica per l'erogazione di una rendita reversibile" (cfr. pag.
15 del ricorso, lettera c) ; doglianza, peraltro, ripresa anche nella
memoria  depositata  da parte ricorrente il 12 novembre 1999, laddove
(pag.4)  si  sostiene  che  la  censurata  normativa violerebbe anche
l'art. 47 Cost., "perche' mortifica il risparmio attuato dal de cuius
attraverso  il  riscatto  di  periodi,  quali  la  laurea, al fine di
assicurare  un  trattamento  piu'  favorevole di quello derivante dal
solo servizio effettivo".
    Al  riguardo,  in  disparte  la  considerazione  che, quanto agli
artt. 29  e  31  Cost., gia' da tempo il giudice delle leggi ha avuto
modo di puntualizzare che "la normativa pensionistica esula dal campo
dei  diritti  e  doveri reciproci tra i membri del nucleo familiare",
cui  invece tendono a riferirsi i citati articoli, "che salvaguardano
essenzialmente  i  contenuti e gli scopi etico-sociali della famiglia
come societa' naturale fondata sul matrimonio" (cfr. sent. n. 70/1999
e,  in  termini,  sent.  n. 2/1980,  oltre ad ord. n. 325/1992), deve
osservarsi  che,  come  opportunamente evidenziato dal rappresentante
dell'I.N.P.A.P.  all'odierna  pubblica  udienza, i periodi coperti da
riscatto,  pari  a "15 anni, 9 mesi e 6 giorni" (v. nota I.N.P.D.A.P.
del  19  settembre 2001), sono stati computati tra i "servizi utili",
concorrendo  a  determinare l'anzianita' di servizio (40 anni) su cui
e'   stata  calcolata  la  pensione  diretta  e,  quindi,  quella  di
reversibilita'.
    In  effetti, in relazione alla sua funzione tipica, di consentire
il  conseguimento di una pensione su 40 "utili" e non solo sugli anni
di "servizio effettivo" (pari, in fattispecie, a 24 anni, 2 mesi e 24
giorni), l'istituto del riscatto non risulta in alcun modo riguardato
dalle  disposizioni  dell'art. 1,  comma 41, della legge n. 335/1995,
che  disciplina  il  cumulo  delle pensioni spettanti ai "superstiti"
dando  rilievo  - si badi - al reddito proprio del "superstite" e non
all'entita'   della  pensione,  influenzabile  -  questa  si'  -  dal
riscatto.
    Anche  se  non  vi  fosse  stato  il  riscatto,  vi sarebbe stata
comunque  la  riduzione  della  pensione di reversibilita', qualora -
come  nel caso - il "superstite" avesse avuto un reddito superiore ai
limiti indicati dal citato art. 1, comma 41, solo che con il riscatto
il  de  cuius  (prima) ed il "superstite" (dopo) hanno conseguito una
pensione  di  maggior  importo,  pur  con  le limitazioni imposte dal
ripetuto art. 1, comma 41.
    La doglianza all'esame, quindi, in relazione alla funzione tipica
del  riscatto,  e' del tutto irrilevante. Tuttavia, muovendo critiche
alla  disposta  riduzione pensionistica anche in relazione agli oneri
pagati  per il riscatto medesimo (v. intervento in aula del difensore
di  parte  ricorrente),  la doglianza stessa resta - per quest'ultimo
aspetto  -  assorbita nelle altre, di analoga portata, attinenti alla
pensione nel suo complesso, per i conributi previdenziali versati.
    7.  -  Cosi'  definiti  i  profili concernenti la rilevanza della
dedotta  questione  di  costituzionalita'  e  passando  ora  a quelli
relativi alla non manifesta infondatezza, deve dirsi che, tranne due,
le altre doglianze ritenute rilevanti sono manifestamente infondate.
    Tanto  e'  da  dire,  anzitutto,  per  quelle  che  censurano  la
normativa in questione "sotto il profilo della razionalita'" per : a)
"gli  esiti  che  fornisce nel caso in cui la pensione del superstite
abbia  notevole consistenza" e b) per l'insufficienza della "clausola
di salvaguardia ad eliminare l'irrazionalita' del meccanismo previsto
dalla  norma  impugnata"  (ex  pagg. 6-8, lettere k, 1, m ed n, della
memoria depositata il 12 novembre 1999).
    Al  riguardo  - in disparte la difficolta' di comprendere appieno
il  senso  e  la  portata dei calcoli matematici esplicativi di dette
doglianze, che poi costituiscono, anche per estensione, la parte piu'
cospicua  delle  doglianze  stesse - deve osservarsi che la censurata
normativa  non  offre  di per se' motivi di irrazionalita', avendo il
dichiarato  scopo,  pur  nei  perseguiti intenti di ridurre l'entita'
della  pensione  in relazione al reddito posseduto dal superstite, di
evitare  che  "il trattamento derivante dal cumulo dei redditi con la
pensione   ridotta   ai  superstiti  (sia)  inferiore  a  quello  che
spetterebbe  allo  stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari
al  limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella
quale  il  reddito posseduto si colloca" (cfr., testualmente, il piu'
volte menzionato art. 1, comma 41).
    Ora,  a fronte di norme del genere, che pongono come loro momento
precettivo  il  divieto  di  pervenire  a trattamenti irrazionalmente
deteriori, lasciando tuttavia margini di discrezionalita' sul modo di
operare  per  raggiungere  lo  scopo,  vale richiamare l'orientamento
della Corte costituzionale che relega al rango di "disparita' di mero
fatto"    quelle    che   eventualmente   si   dovessero   verificare
nell'attuazione  della  norma,  riferibili - e' stato precisato - non
gia'  alla norma impugnata, considerata nel suo contenuto precettivo,
ma   semplicemente   alla  sua  applicazione  concreta"  (cfr.  sent.
n. 18/1998  e, in termini sostanzialmente identici, sent. n. 417/1996
ed ord. n. 92/1997).
    D'altro  canto, nel caso, non risulta che dall'applicazione della
riferita   norma  di  salvaguardia  in  capo  alla  ricorrente,  pure
concretamente  praticata  (v.  la ricordata "stampa di verifica del 1
ottobre  1996,  inviata  dalla  Direzione  provinciale  del tesoro di
Perugia),  sia  derivato  una  qualche  ingiustificata ed irrazionale
disparita'  di  trattamento  a  suo danno, essendosi parte ricorrente
medesima  limitata  a  lamentare - sul punto - solo che "la riduzione
(subita)  risulta  senza  precedenti e tale da pregiudicare la stessa
funzione che l'art. 38, comma 2, assegna alla pensione" (cfr. pag. 8,
lettera n, della memoria depositata il 12 novembre 1999).
    8.  -  Del  pari, manifestamente infondate sono le doglianze che,
muovendo  da  una  concezione fortemente "retributiva" della pensione
(appunto,  come "retribuzione differita") e strettamente collegata ai
contributi   versati,   censura  l'art,  1.  comma  41,  della  legge
n. 335/1995,  in  relazione  agli  artt. 3,  36 e 38 Cost., per "aver
applicato  criteri  anticumulo correttamente utilizzabili per le solo
prestazioni   di  natura  assistenziali  a  prestazioni  che  trovano
fondamento  nella  posizione  del  de  cuius determinata in base alla
retribuzione  pensionabile",  ovvero  per  "avere  posto sullo stesso
piano redditi da lavoro e da capitale (o) derivanti da altre rendite,
senza  considerare  che (questi ultimi due) non hanno rilievo ai fini
del  regime  anticumulo  delle altre prestazioni previdenziali" (cfr.
pagg.  15-16  del  ricorso,  lettere  A  e B, e conformi richiami nei
successivi interventi scritti ed orali).
    Trattasi   di  censure  che  giungono  a  prospettare  anche  una
violazione  dell'art. 42  della  Costituzione,  per  avere  il citato
art. 1, comma 41 "determinato la quota anticumulo con criteri tali da
comportare  un  vero  e proprio esproprio" (cfr. pag. 16 del ricorso,
lettera E, e successivi richiami).
    Al  riguardo,  nel  ricordare  che,  gia' prima della riforma, la
Corte costituzionale aveva avuto modo di chiarire che "il legislatore
ha abbandonato, nell'area della previdenza, precedenti strutturazioni
e   connotazioni  mutualistiche,  privilegiando  sistemi  decisamente
improntati a carattere solidaristico, cosi' che e' venuta a cadere la
rigida  correlazione  tra  oneri  contributivi (pagati) e prestazioni
previdenziali"  ottenute  (cfr., tra le tante, Sent. n. 169/1986), si
osserva  che la manifesta infondatezza delle riferite doglianze passa
da  due  ordini  di indagine uno, teso ad accertare la funzione della
pensione  di  reversibilita'  al  coniuge superstite; l'altro, teso a
verificare i principi e gli obiettivi della legge n. 335/1995.
    Quanto   al  primo  (funzione  della  riversibilita'  al  coniuge
superstite),  vale  evidenziare  che, come chiarito in piu' occasioni
dal giudice delle leggi, "la pensione di reversibilita' attua, per il
coniuge  superstite,  una  specie  di proiezione oltre la morte della
funzione  di  sostentamento assolta in vita dal reddito del de cuius,
perseguendo  lo scopo di porre il superstite al riparo dello stato di
bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del coniuge" (cfr. tra le
tante, sent. n. 495/1993).
    Lo  stato  di  bisogno,  peraltro,  non  e' estraneo neanche alle
pensioni  piu'  marcatamente assistenziali, quali quelle a favore dei
"figli  maggiorenni" o dei "collaterali" o degli "ascendenti", per le
quali,  tuttavia,  detto  stato di bisogno si pone "quale presupposto
costante  del trattamento pensionistico, che viene a dipendere da una
situazione  pregressa  di  vivenza  a  carico del lavoratore defunto,
interrotta per effetto, appunto, del decesso" (cfr. Corte cost. sent.
n. 7/1980).
    In  sostanza, nell'un caso (trattamento a favore del coniuge), si
vuole  "porre  al  riparo  il  coniuge  dalla eventualita' stessa del
bisogno",  mentre  nell'altro caso (trattamenti ai figli maggiorenni,
agli  ascendenti  ed ai collaterali) si vuole "eliminare uno stato di
bisogno"   certo   ed   attuale   (cfr.  Corte  costituzionale  sent.
n. 6/1980),  fermo  tuttavia  restando che "la determinazione, in via
generale,  dei  limiti di reddito che possono essere ritenuti tali da
far venire meno lo stato di bisogno, spetta al legislatore", al quale
"egualmente  spetta la determinazione dei limiti di cumulabilita' del
trattamento pensionistico, specie di reversibilita', con i redditi di
lavoro  o assimilati", in relazione all'ampia discrezionalita' goduta
in  materia  dal  legislatore  stesso,  non  assoggettabile - nel suo
concreto esercizio - ad un giudizio di costituzionalita', "sempre che
risulti  osservato il criterio della ragionevolezza (cfr. Corte cost.
n. 926/1988).
    In siffatto contesto si e' inserita la legge n. 335/1995 (e cosi'
si passa al secondo ordine di indagine), i cui principi ispiratori ed
i  cui  obiettivi sono abbastanza evidenti, anche perche' chiaramente
espressi   nel   primo  comma  dell'art.  1,  oltre  che  nei  lavori
parlamentari (v., in particolare, relazioni Camera e Senato, atti XII
Legislatura, rispettivamente, n.  2549 e n. 1953), nei quali ultimi -
sia  detto  per  inciso  -  si fa riferimento anche alla "speranza di
vita",  ovvero  alla  "crescita  dell'eta'  media  di vita", con cio'
mostrandosi  l'attenzione  prestata  dal  legislatore  alla "eta' del
percepiente",  contrariamente  all'assunto  di  parte  ricorrente  in
proposito (v. pag. 16, lettera G del ricorso), sia pure per inferirne
la necessita' della riforma.
    La  legge  in  questione.  in  sostanza,  "ridefinisce il sistema
previdenziale"  nel suo complesso, "allo scopo di garantire la tutela
prevista dall'art. 38 della Costituzione" e, a tal fine, determina:
        a)  "i  criteri  di  calcolo  dei  trattamenti pensionistici.
attraverso la commisurazione dei trattamenti alla contribuziore";
        b)   le   condizioni   di   accesso   alle  prestazioni,  con
l'affermazione del principio di flessibilita';
        c)  "l'armonizzazione  degli  ordinamenti  pensionistici, nel
rispetto della pluralita' degli organismi assicurativi";
        d) "l'agevolazione delle forme pensionistiche complementari";
        e)  la stabilizzazione della spesa pensionistica nel rapporto
con  il prodotto interno lordo" (cfr. art. 1, comma 1). E tutto cio',
nella  necessita'  di  una nuova concezione di solidarieta', espressa
non   piu'   "in   particolare   a   livello   infracategoriale",  ma
"infragenerazionale" (cfr. relazione Senato, pag. 9).
    Peraltro,   le   disposizioni  della  citata  legge,  costituendo
"principi generali di riforma economica sociale della Repubblica" (ex
comma   2   del   citato   art. 1),   danno  particolare  risalto  al
"riequilibrio  finanziario  del sistema previdenziale", da perseguire
pure  nel  corso  degli  anni  successivi  (ex  comma  5 del ripetuto
art. 1),  anche  mediante  l'istituzione  di  un  apposito "Nucleo di
valutazione  della  spesa  previdenziale" (ex comma 44 del piu' volte
richiamato art. 1).
    Nel  contesto  della  riforma, il principio del controllo e della
"stabilizzazione   della   spesa   pensionistica"  riveste  un  ruolo
delicatissimo  ed essenziale per la razionalizzazione del sistema, in
linea   con   quanto   piu'   volte   affermato  dalla  stessa  Corte
costituzionale   circa   l'idoneita'   del   "limite   delle  risorse
disponibili"  ad  orientare  l'esercizio del potere discrezionale del
legislatore    in   materia   di   determinazione   dei   trattamenti
pensionistici  (cfr.  sent. n. 477 e n. 226/1993 e sent. n. 99/1995),
si'  che  la  stessa  "garanzia  costituzionale  della  adeguatezza e
proporzionalita'  del  trattamento  pensionistico  (ex art. 36 Cost.)
incontra   il   limite   delle   risorse   disponibili"   (cfr.  ord.
n. 256/2001).
    Con  i  riferiti  intenti  e  per  le suddette finalita', dunque,
l'art. 1,  comma  41.  della  legge  n. 335/1995  ha  "ridefinito" il
diritto  al  "trattamento  pensionistico  a  favore  dei superstiti",
estendendo  "a  tutte  le forme esclusive o sostitutive la disciplina
vigente    nell'ambito   del   regime   dell'assicurazione   generale
obbligatoria", elevando "l'aliquota percentuale della pensione al 70%
in  caso  si  presenza  di soli figli di minore eta', studenti ovvero
inabili",  ed  applicando  i limiti di cumulabilita' "dei trattamenti
pensionistici  con  i redditi del beneficiario", quali indicati nella
tabella  F,  allegata  alla  legge  stessa, salvo che "il beneficiano
faccia  parte  di  un  nucleo  familiare  con  figli  di minore eta',
studenti ovvero inabili".
    Ora,   le   doglianze  all'esame,  lamentando  l'applicazione  al
trattamento  di  reversibilita'  al  coniuge  superstite  di  criteri
anticumulo  correttamente  utilizzabili  per  le  sole prestazioni di
natura  assistenziali",  ovvero  il  fatto  che la censurata norma ha
posto "sullo stesso piano redditi da lavoro e da capitale o derivante
da  altre  rendite",  dimostrano  che  parte  ricorrente  non  ha ben
compreso  le dimensioni e la consistenza delle innovazioni introdotte
dalla  legge  di  riforma  del  1995,  da un lato, e l'ampiezza della
discrezionalita'  di  cui  gode il legislatore nel determinare sia "i
limiti di reddito che possono essere ritenuti tali da far venire meno
lo  stato  di  bisogno",  (ex Corte, cost. n. 926/1988 citata), sia i
tipi  di  reddito da considerare ai fini in questione e sia l'entita'
dei  trattamenti  pensionistici  in  se',  salvo ovviamente il limite
della  ragionevolezza;  limite,  peraltro, certamente rispettato, con
riferimento  alla  pensione  di riversibilita' al coniuge superstite,
tenuto conto che la funzione storica di tale pensione e' - come detto
- quella "di porre il superstite al riparo dello stato di bisogno che
potrebbe  derivargli  dalla  morte del coniuge" e che l'art. 1, comma
41,  ha  ampiamente considerato questo stato di bisogno, normandone i
contenuti,  secondo  valutazioni  opinabili,  ma non irrazionali, che
portano  a  graduare  il trattamento di reversibilita' in termini che
vanno  dal  suo  cumulo  totale  (per  un ammontare pari al 60% della
pensione  diretta),  ad  un cumulo via via ridotto (al 45, al 36 e al
30%  della  pensione diretta), man mano che da un reddito proprio non
superiore  a tre volte il trattamento minimo annuo del fondo pensioni
lavoratori  dipendenti,  si  passi  ad  un  reddito  superiore a tale
limite,  ovvero  superiore  a  quattro  o  cinque  volte  il predetto
trattamento minimo.
    Ed  e'  proprio  in cio', ossia nella determinazione normativa di
criteri  obiettivi  di  apprezzamento  dello stato di bisogno, che si
individua  il  punto  di  maggior  divario tra il vecchio ed il nuovo
sistema  previdenziale  a favore del coniuge superstite, che passa da
sistema  rigido  di  tutela  di  un  ipotetico stato di bisogno, "che
potrebbe  derivare  dalla  morte  del coniuge" (ex citata Corte cost.
n. 495/1993),  a sistema flessibile di tutela di uno stato di bisogno
effettivo,  desunto dal reddito proprio del beneficiano, oltre che da
altri indici obiettivi, quali la presenza di figli minori, studenti o
inabili,  senza  tuttavia giungere al punto di escludere qualsivoglia
diritto   pensionistico   al   coniuge,   in   ipotesi   di   reddito
particolarmente elevato.
    9.  -  In  questa  ottica,  i  limiti  di  cumulabilita' previsti
dall'art. 1,  comma 41, della legge n. 335/1995, lungi dal porsi come
"una  nuova forma di imposizione a carico della pensione che si somma
alla aliquota d'imposta alla quale essa e' assoggettata, in contrasto
con  l'art. 53  Cost."  (cfr.  pag.  15,  lettera  D,  del  ricorso e
successivi  richiami  scritti  ed orali), conformano il nuovo diritto
pensionistico  del  coniuge superstite, adeguandone il contenuto allo
stato  di  bisogno,  secondo gli indicati parametri di flessibilita';
flessibilita'  che, come visto, a sua volta si ascrive tra i principi
generali della riforma, ex art. 1, comma 1, della legge n. 335/1995.
    Trattasi,  insomma,  di  limiti  conformativi e non tributari del
diritto  pensionistico  del coniuge superstite, in relazione ai quali
la   dedotta   eccezione   di   violazione   dell'art. 53  Cost.,  e'
manifestamente infondata.
    10.  - A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi quanto alla
doglianza che, muovendo dall'efficacia retroattiva delle disposizioni
dell'art. 1,   comma   41   della   legge   n. 335/1995,  censura  le
disposizioni stesse per la parte in cui esse finiscono per "intaccare
posizioni consolidate", evidenziando come, "con la liquidazione della
pensione  diretta,  viene  ad  essere  immodificabilmente determinato
anche il livello della eventuale pensione di reversibilita'", si' che
le  innovazioni introdotte - si sostiene - "ove necessarie (avrebbero
dovuto)  limitarsi ai periodi di servizio maturandi dopo l'entrata in
vigore   della   legge",   mentre  "l'aver  introdotto  una  parziale
incumulabilita'  della pensione di reversibilita', relativamente alla
quota  di  pensione gia' idealmente entrata nella sfera giuridica del
soggetto,  concreta  una violazione di diritti quesiti, in violazione
delle  garanzie  che  assistono  la  retribuzione  e  la pensione, ex
artt. 36 e 38 Cost." (v. pag. 10-11 del ricorso).
    Le  riferite  osservazioni  -  con  esclusione  di  quella  sulla
limitata  applicazione  della censurata disposizione ai soli "periodi
di  servizio maturandi dopo l'entrata in vigore della legge", ripresa
nella  memoria depositata il 12 novembre 1999 (v. pag. 2, lettera c),
ma  irrilevante  in  fattispecie, essendo il coniuge della ricorrente
cessato  dal  servizio  nel 1978 - meritano la massima attenzione, in
relazione    soprattutto    ai   principi   affermati   dalla   Corte
costituzionale  sulla  strettissima  correlazione  esistente  tra  la
pensione  diretta e quella di reversibilita', oltre che sull'evento e
sui soggetti protetti in quest'ultima.
    In  effetti, che la pensione di reversibilita' presenti caratteri
di  strettissima correlazione con la pensione diretta, ponendosi come
trattamento   "connesso   e   conseguente"   a   tale  pensione,  pur
acquisendosi  iure  proprio  e  non  iure  successionis, e' del tutto
pacifico  non  solo  nella giurisprudenza di questa Corte (v., tra le
pronunce rese proprio sull'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995,
Sez.  Giur.  Lazio  n. 1817  del  12 luglio 1997), ma anche in quella
della Corte costituzionale, la quale, chiarissima sul punto, ha avuto
modo   di   precisare   che   "la   disciplina   della   pensione  di
reversibilita',     nell'intero    complesso    della    legislazione
previdenziale,   resta   naturalmente   avvinta,   proseguendolo,  al
pregresso  istituto della pensione diretta fruita dal lavoratore, ne'
puo'  essere  sottratta  (in  toto  o come nel caso ora all'esame, in
parte)  ai  superstiti  che  ne abbiano titolo per vincolo familiare"
(cfr. sent. n. 169/1986).
    Il  giudice  delle leggi, anzi, non ha mancato di evidenziare, in
rapporto  alla  "riserva  costituzionale,  riconosciuta  a favore del
lavoratore,  di  un  trattamento  preferenziale  (ex art. 38, comma 2
Cost.),  rispetto alla generalita' dei cittadini (ex art. 38, comma 1
Cost.),  che  la  pensione  di  reversibilita' e' una forma di tutela
previdenziale  nella  quale  l'evento  protetto e' la morte, cioe' un
fatto  naturale  che,  secondo  una presunzione legislativa, crea una
situazione  di  bisogno  per  i familiari del defunto, i quali sono i
soggetti protetti" (cfr. sent. n. 286/1987).
    Nella    ricostruzione    della    giurisprudenza   della   Corte
costituzionale,  dunque,  la  pensione di reversibilita' non e' altro
che  la  "prosecuzione del pregresso istituto della pensione diretta"
teleologicamente volta a tutelare i familiari del defunto dallo stato
di bisogno derivante dalla morte del lavoratore pensionato; morte che
costituisce,  ad  un  tempo,  evento  protetto  e  presupposto  della
pensione  di  reversibilita',  che  pure - come detto - si acquisisce
iure  proprio,  come  sostanzialmente  avviene nella "assicurazione a
favore di terzo" (ex art. 1920 c.c.).
    Espressione  propria  della  pensione  diretta,  il  diritto alla
pensione   di  reversibilita'  e'  ricompreso  in  essa  e  si  pone,
dall'angolo  di  visuale  del  lavoratore,  come  diritto proprio del
medesimo  a  provvedere  ai  suoi  familiari  (ex artt. 36 e 38 della
Cost.), che di tale diritto sono i beneficiari (ex  art. 1920, ultimo
comma,  c.c.),  per  il  tempo  successivo  alla  sua  morte  e resta
disciplinato - quanto ai criteri di quantificazione - dalla normativa
previdenziale  vigente  al  tempo  del  pensionamento  del lavoratore
stesso e non da quella vigente al tempo del suo decesso.
    In questo senso, del resto, la Corte costituzionale ha gia' avuto
modo  di  puntualizzare che "le valutazioni attinenti ad una politica
di  gestione  globale dei fondi previdenziali ... si infrangono ... a
fronte  del  conseguito beneficio gia' erogato in testa all'iscritto.
Cosicche'   il   cespite   pensionistico,   per   il   fatto   stesso
dell'intervenuta  sua liquidazione e dell'inerente godimento all'atto
del  decesso  si  e' posto tangibilmente quale indice di sopperimento
alle  esigenze  di  vita  e di sostentamento familiare, consolidatosi
intra domesticos parietes" (cfr. sent. n. 169/1986 gia' citata).
    Le considerazioni che precedono, dunque, portano a dubitare della
legittimita'  costituzionale delle disposizioni dell'art. 1, comma 41
della  legge n. 335/1995, nel senso indicato dall'art. 23 della legge
n. 87/1953,  per  la  parte  in  cui  esse prevedono retroattivamente
limitazioni  al  cumulo della pensione di reversibilita' a favore del
coniuge  superstite con il reddito proprio del beneficiano, e piu' in
generale  per  la  parte  in  cui  consentono  di  applicare la nuova
disciplina  sulla  pensione  ai  superstiti  anche  ai trattamenti di
reversibilita'  a  favore  del  coniuge  afferenti a pensioni dirette
liquidate,  come  nel  caso di specie, prima della data di entrata in
vigore della predetta legge (17 agosto 1995).
    Tanto  in relazione agli artt. 36 e 38 della Cost., conformemente
alle doglianze di parte ricorrente in proposito.
    Peraltro,    d'ufficio,   va   sollevata   altra   questione   di
costituzionalita',  in  relazione agli artt. 3 e 2 della Cost., sotto
il  profilo della "tutela dell'affidamento legittimamente posto nella
certezza     dell'ordinamento     giuridico",     quale     interesse
costituzionalmente  protetto,  secondo  la giurisprudenza della Corte
costituzionale  (cfr.  sent. n. 390/1995, n. 211/1997 e 525/2000), in
rapporto  all'avvenuto  esercizio,  da  parte  del lavoratore del suo
diritto fondamentale (ex art. 2 della Cost.) di assicurare a se ed ai
suoi  familiari  "mezzi  ademati  alle  loro  esigenze  di  vita", ex
art. 38,  comma  2,  quali  realizzabili, secondo l'id quod plerumque
accidit, durante l'espletamento dell'attivita' lavorativa.
    Sotto  quest'ultimo  profilo,  e'  evidente  che le doglianze sub
precedente  paragrafo 5), ossia quelle secondo cui la censurata norma
scoraggerebbe "forme di risparmio e di previdenza dirette a garantire
il  reddito  ai  superstiti", ritenute irrilevanti in quella sede, in
considerazione  della  data  di  cessazione  dal servizio del coniuge
della  ricorrente  (1978),  qui  assumono  ben  altro  significato  e
consistenza,  e  costituiscono  l'aspetto sostanziale della sollevata
questione,  potendosi  dubitare  che  le  scelte  previdenziali  e di
risparmio   allora  compiute,  o  meglio  compiute  in  attivita'  di
servizio,   sarebbero  state  ugualmente  operate,  alla  luce  delle
innovazioni introdotte dalla norma in esame.
    11. - Analoghi dubbi di costituzionalita', poi, si pongono per la
doglianza   che,   muovendo  da  canoni  di  "razionalita'",  censura
l'art. 1,  comma  41,  della  legge  n. 335/1995,  per aver accordato
"rilievo  al  (solo) reddito I.R.P.E.F.", senza aver considerato "che
l'ordinamento  tributario  assoggetta  all'imposta  secca  del  12,50
redditi  derivanti  da fondi comuni di investimento, da polizze vita,
da azioni, obbligazioni e che tali redditi non rientrano tra (quelli)
soggetti   ad   I.R.I.P.E.F.   (e)   non   sono   (quindi)  presi  in
considerazione  ai  fini  della  norma  anticumulo  all'esame, con la
conseguenza  che  redditi  di  pari  importo  comportano (o meno) una
riduzione  della  pensione  dei  superstiti,  a  seconda  della  loro
provenienza"  (cfr. pag. 5, lettera h, della memoria depositata il 12
novembre 1999).
    In  realta',  la  limitazione  al solo reddito I.R.P.E.F. risulta
dalla  nota  del  Ministero  del  lavoro  e  della previdenza sociale
n. 7/61633/legge   335-1995   dell'8   settembre  1995,  e  non  gia'
direttamente dal legislatore.
    La nota ministeriale in discorso, infatti, ha operato la riferita
limitazione  semplicemente  "in  analogia  con  quanto  disposto  per
l'integrazione   al  trattamento  minimo",  individuando,  sempre  in
analogia  con tale normativa, anche i c.d. "redditi esclusi", tra cui
"il  reddito della casa di abitazione", con la precisazione, quanto a
questi  ultimi,  che  tali "redditi non assumono rilevanza neanche ai
fini  della  erogazione  dell'assegno  sociale istituito dall'art. 3,
commi  6 e 7, della citata legge n. 335/1995" (cfr. pag. 2 della nota
ministeriale in riferimento).
    Ove  la  norma  in  questione venga interpretata nel senso voluto
dalla  citata  circolare,  trattasi  di  doglianza  ammissibile e non
manifestamente   infondata,   sembrando   effettivamente  irrazionale
l'individuazione dei "redditi del beneficiario", di cui al piu' volte
menzionato   art. 1,  comma  41,  con  riferimento  ai  soli  redditi
I.R.P.E.F.,  tenuto  conto  dei  principi e dei fini perseguiti dalla
legge  di  riforma pensionistica del 1995, quali sopra illustrati, in
rapporto all'art. 3 della Cost.