IL GIUDICE UNICO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 4359/PC, ora 3326, del registro di segreteria, proposto da Bevilacqua Giovanna, nata il 25 gennaio 1931, residente a Terni, elettivamente domiciliata presso gli avv. Paolo Boer e Sergio Cencetti, che la rappresentano e difendono per delega a margine del ricorso, avverso la determinazione della DPT di Perugia (ora I.N.P.D.A.P.) n. 1213, del 1 ottobre 1996. Uditi, alla pubblica udienza del 3 ottobre 2001, con l'assistenza del segretario, dott. Giuliano Cecconi, il difensore di parte ricorrente, avv. Sergio Cencetti, ed il rappresentante dell'I.N.P.D.A.P., nella persona della dott.ssa Maria Raffaella Borgo. Esaminati gli atti e documenti tutti della causa. F a t t o Con l'impugnato provvedimento, la Direzione provinciale del tesoro di Perugia ha determinato il trattamento pensionistico spettante alla sig.ra Giovanna Bevilacqua, quale vedova del dott. Buttaro Carlo Alberto, gia' dipendente della ULSS Valle Umbra sud, pensionato dal 9 ottobre 1978 e deceduto il 23 luglio 1996, nei limiti del 60% del trattamento di reversibilita', essendo la medesima titolare di un "reddito superiore a 4 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti" ai sensi dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 e relativa tabella F, allegata alla legge stessa. Dagli atti risulta che il predetto dott. Buttaro, al momento del decesso (23 luglio 1996), fruiva di una pensione annua lorda di L. 72.164.700, comprensiva della indennita' integrativa speciale (L. 13.121.485 annue), calcolata sulla base di 40 anni utili di servizio, conseguita (dal 9 ottobre 1978) per limiti di eta'. Alla medesima data di decesso del dott. Buttaro, la sig.ra Bevilacqua. che aveva presentato domanda di reversibilita' l'8 agosto 1996, era titolare di un reddito pari a L. 34.343.000, derivante da terreni e fabbricati, non avendo redditi da lavoro (dipendente e/o autonomo) o di pensione; giusta comunicazione della medesima in data 2 settembre 1996 e modello 740 in atti. Di qui, in relazione all'entita' di tale reddito (pari a quattro volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, fissato in L. 659.050 mensili per l'anno in riferimento) ed alla percentuale di cumulabilita' con esso della pensione di reversibilita' (60%), il gravato provvedimento, concessivo della pensione di L. 32.401.700, cosi' costituita: 1) quanto a L. 25.979.292, dalla quota di pensione di reversibilita' spettante alla vedova in forza della percentuale di cumulo (60%) sulla reversibilita' teorica, calcolata sulla pensione diretta del coniuge di L. 72.164.700 (60% di L. 43.298.820, pari - quest'ultima - al 60% di L. 72.164.700); 2) quanto alle restanti L. 6.422.423, dalla differenza tra.l'importo complessivo del cumulo della pensione ridotta per la fascia precedente (75% della reversibilita' teorica, ex tabella F sopra citata) con il reddito ivi indicato (superiore a tre volte il trattamento minimo del Fondo lavoratori dipendenti) e l'analogo importo complessivo spettante alla Bevilacqua (60% della reversibilita' teorica maggiorato dal reddito posseduto dalla medesima), risultante -nel caso - minore. Con l'atto introduttivo della causa, parte ricorrente, chiarito che nell'anzianita' di servizio del dott. Buttaro figura anche il riscatto degli studi universitari e di alcuni "servizi prestati presso altre amministrazioni", censura il gravato provvedimento, anzitutto, "per aver incluso il reddito virtuale della casa di abitazione" in quello considerato per l'applicazione dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, in violazione delle direttive impartite dal Ministero del lavoro con lettera n. 7/61633L 335-1995, dell'8 settembre 1995. Ricordato, poi, che "il trattamento di quiescenza ha natura di retribuzione differita" (pagg. 3-4 del ricorso), che "la garanzia che assiste la retribuzione si estende al trattamento di quiescenza" (pagg. 4-6 del ricorso) e che "la trattenuta in conto tesoro e l'onere di riscatto sono rapportati ad una rendita reversibile" (pagg. 6-8 del ricorso), dubita della legittimita' dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, in relazione agli artt. 3, 29, 31, 36, 38, 42, 47, e 53 Cost. Sotto un primo profilo, parte ricorrente, censura le disposizioni del citato articolo 1, comma 41, per "aver (esse) introdotto una parziale incumulabilita' della pensione di reversibilita' con redditi di qualsiasi natura relativamente alla quota di pensione gia' idealmente entrata nella sfera giuridica del soggetto, in violazione delle garanzie che assistono la retribuzione e la pensione, ex artt. 36 e 38 Cost.", precisando che "la modifica, ove necessaria, doveva limitarsi ai periodi di servizio maturandi dopo l'entrata in vigore della legge" (pagg. 10-12 del ricorso). Sotto altro profilo, invece, censura il ripetuto art. 1, comma 41, in relazione agli artt. 3, 36 e 38 Cost., "per aver applicato criteri anticumulo, correttamente utilizzabili per le sole prestazioni di natura assistenziali, a prestazioni che trovano fondamento nella posizione assicurativa del de cuius, determinate in base all'anzianita' di servizio (ed) alla retribuzione pensionabile". Sotto ulteriori profili, infine, critica la norma in questione per: a) "aver posto sullo stesso piano redditi da lavoro e redditi da capitale, senza considerare che i redditi da capitale non hanno rilievo ai fini del regime anticumulo delle altre prestazioni previdenziali, in conflitto con gli artt. 3, 36 e 38 Cost."; b) "aver previsto la riduzione della quota di pensione di reversibilita' che e' frutto di riscatti, per i quali e' stata versata la riserva matematica commisurata all'onere per l'erogazione di una rendita reversibile, in contrasto con gli artt. 3, 29, 31, 36, 38, commi 2 e 5, e 47 Cost."; c) "aver surrettiziamente introdotto una nuova forma di imposizione a carico della pensione spettante al coniuge superstite, che si somma all'aliquota di imposta alla quale essa e' assoggettata, in relazione al reddito complessivo, in contrasto con l'art. 53 Cost." d) "aver determinato la quota anticumulo con criteri tali da comportare un vero e proprio esproprio, ove si cumuli tale aliquota con quella propriamente tributaria gia' assolta per lo stesso reddito, in conflitto con l'art. 42 Cost., oltre che con le norme precedentemente richiamate"; e) "non aver fatto salvo il diritto del coniuge superstite al trattamento minimo, in contraddizione con la garanzia del minimo contestualmente introdotta dall'art. 3, comma 13 della stessa legge n. 335/1995", e cio' in contrasto con il principio di razionalita' e parita' di cui all'art. 3 Cost."; f) "non aver preso in alcuna considerazione l'eta' del percepiente, abbisognevole di cura ed assistenza, quanto piu' l'eta' avanza"; g) "aver scoraggiato forme di risparmio e di previdenza dirette a garantire il reddito dei superstiti, in contrasto con gli artt. 38 e 42 Cost."; h) "aver prodotto effetti distorsivi del risparmio, indirizzandolo verso forme di investimento che producono reddito non soggetto ad imposta I.R.P.E.F, in violazione dell'art. 42 Cost."; i) "aver penalizzato la erogazione, sotto forma di rendita, di trattamenti di previdenza complementare o integrativa" che possono essere pagati anche "sotto forma di capitale", in quanto viene a moltiplicare gli effetti del regime anticumulo per l'intera durata della rendita". In conclusione, con l'atto introduttivo della causa, parte ricorrente ha chiesto che venga dichiarata la "piena disponibilita' della pensione di reversibilita'" alla medesima spettante, con condanna della "Amministrazione convenuta alla riliquidazione della pensione in misura integrale ed alla corresponsione delle somme trattenute, maggiorate di interessi e maggior danno"; in subordine ed "in via strumentale", ha altresi' chiesto di "dichiarare non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995", come sopra prospettata, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Con memoria del 14 ottobre 1997, si e' costituita la DPT di Perugia, illustrando le ragioni del suo operato, mentre, con nota del 13 settembre 1998, l'I.N.P.D.A.P. (subentrato, nella competenza in materia, alle Direzioni provinciali del tesoro) ha depositato atti pertinenti la causa. Con memoria depositata il 12 novembre 1999, la difesa della ricorrente ha insistito, ribadendo quanto esposto in ricorso, piu' approfonditamente illustrando gli aspetti di irrazionalita' che, a suo dire, caratterizzerebbero le censurate disposizioni, anche in relazione alla norma di salvaguardia ivi stabilita, volta ad escludere che "il trattamento derivante dal cumulo dei redditi con la pensione ridotta (sia) inferiore a quello che spetterebbe qualora il reddito posseduto (fosse) pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti". Chiamata la causa alla pubblica udienza del 1 dicembre 1999, la Sezione ha ritenuto opportuno acquisire notizie sia sull'effettivo riscatto degli studi universitari e/o di altri servizi, sia sull'effettiva inclusione del reddito relativo alla casa di abitazione in quello considerato per l'applicazione del piu' volte citato art. 1, comma 41, sebbene la stessa difesa di parte ricorrente avesse, su tale ultimo aspetto, manifestato una certa convinzione circa la non inclusione del predetto reddito della casa in quello per la determinazione della aliquota di cumulabilita' della pensione. In esecuzione della relativa ordinanza (n. 19-C/2000), il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha trasmesso copia delle direttive emanate, con nota n. 7/61633/L.335/1995 dell'8 settembre 1995, sui redditi esclusi per la cumulabilita' della reversibilita' a favore dei superstiti, mentre l'I.N.P.D.A.P., con nota del 19 settembre 2001, ha fatto sapere che il reddito per la casa di abitazione non e' stato considerato nella determinazione della fascia di cumulabilita' della ricorrente e che, nella determinazione della pensione del dott. Buttaro, hanno effettivamente concorso gli studi universitari ed alcuni "servizi", regolarmente riscattati mediante versamento dell'interessato, per complessivi anni 15, mesi 9 e giorni 6". Il 2 ottobre u.s., l'I.N.P.D.A.P. ha depositato una memoria con la quale ha illustrato le modalita' di calcolo della pensione di reversibilita' della ricorrente, dando altre notizie sulla posizione pensionistica della medesima. All'odierna pubblica udienza, il difensore di parte ricorrente ha ribadito quanto fatto presente con i precedenti atti scritti, riconoscendo il venir meno delle doglianze relative all'inclusione del reddito della casa di abitazione in quello rilevante per la determinazione della quota di cumulabilita' della pensione, ed ha piu' diffusamente illustrato le doglianze relative alla inclusione della quota di pensione corrispondente agli anni di servizio e di studio riscattati nel trattamento soggetto alle riduzioni di cui all'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995. Dal canto suo, il rappresentante dell'I.N.P.D.A.P. ha ribadito la conformita' del gravato provvedimento alle disposizioni dell' art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, facendo comunque notare che, a suo giudizio, la problematica sulla riduzione della quota di pensione corrispondente agli anni di servizio e di studio riscattati non riveste carattere autonomo, ma si inserisce in quella generale sulla legittimita' o meno di siffatta riduzione sulla pensione di reversibilita' nel suo complesso. D i r i t t o 1. - Da quanto esposto in narrativa, risulta evidente che l'unico motivo di doglianza specificamente mosso contro il gravato provvedimento, attinente al preteso computo del reddito della casa di abitazione in quello complessivo per la determinazione della quota di cumulabilita' della pensione di reversibilita' con tale complessivo reddito, e' venuto meno nel corso del giudizio. Ed invero, come precisato in proposito dall'I.N.P.D.A.P. con la nota del 19 settembre 2001 e come riconosciuto dalla stessa difesa di parte ricorrente, il reddito della casa di abitazione della ricorrente medesima non e' stato considerato nel reddito complessivo, per la determinazione della aliquota di cumulabilita' della pensione di reversibilita' a lei spettante, ex art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, secondo le indicazioni date in tal senso dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale con la nota n. 7/61633/L. 335-1995, dell'8 settembre 1995. Tanto precisato sulla censura (l'unica censura) attinente direttamente al gravato provvedimento, vanno ora esaminate quelle sulla legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, in base al quale il provvedimento stesso e' stato adottato. 2. - A tal riguardo, questo giudice, cui spetta di valutare la rilevanza e la non manifesta infondateza delle dedotte questioni di costituzionalita', ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene che solo alcune delle censure addotte a sostegno della questione di costituzionalita' sollevata da parte ricorrente abbiano effettiva rilevanza nel caso, in rapporto agli elementi che caratterizzano la vicenda all'esame, mentre poi solo due, tra le censure rilevanti, non siano manifestamente infondate. 3. - In realta', quanto alla rilevanza, deve dirsi che, secondo una valutazione generale e complessiva, la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995 prospettata da parte ricorrente e' senz'altro rilevante, dipendendo da essa la definizione dell' odierno giudizio, imperniato non gia' su un atto o su un comportamento illegittimo dell'amministrazione, assunto in violazione delle disposizioni del citato art. 1, comma 41, ma direttamente su tali disposizioni, ritenute in se' lesive di diritti pensionistici costituzionalmente protetti, secondo parte ricorrente medesima. Passando, pero', da una valutazione generale e complessiva ad una valutazione analitica delle singole censure nelle quali si articola la dedotta questione, alcune di tali censure si mostrano del tutto irrilevanti, in relazione alle concrete caratteristiche della vicenda; si' che la sollevata questione di costituzionalita', in se' rilevante, offre, per alcune doglianze, argomenti non aderenti alla fattispecie per la quale e' stata posta. 4. - Tanto e' da dire, anzitutto, per le doglianze che, muovendo dall'art. 3 Cost., censurano l'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995 "per non aver fatto salvo il diritto del coniuge superstite al trattamento minimo, in contraddizione con la garanzia del minimo contestualmente introdotta dall'art. 2, comma 13, della stessa legge n. 335/1995" (cfr. pag. 16, lettera F del ricorso). Un siffatto limite, in fattispecie, risulta in realta' ampiamente rispettato, sia in rapporto all'entita' della pensione di reversibilita' liquidata (L. 32.401.700), sia in rapporto al reddito proprio della ricorrente (L. 34.343.000), rientrante addirittura nella seconda delle fasce indicate dalla tabella F allegata alla legge n. 335/1995: "reddito superiore a 4 volte il minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti", fissato in L. 659.050 mensili per l'anno di riferimento, come emerge dalla "stampa di verifica" della Direzione provinciale del tesoro di Perugia in data 1 ottobre 1996, inviata con gli altri atti del fascicolo amministrativo relativo al gravato provvedimento. Di qui l'irrilevanza della dedotta censura. 5. - Parimenti irrilevanti sono, poi, le doglianze che, muovendo dagli artt. 38 e 42 Cost., censurano l'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995 "per avere scoraggiato forme di risparmio e di previdenza dirette a garantire il reddito ai superstiti", ovvero "per gli effetti distorsivi del risparmio che (esse) producono, indirizzandolo a forme di investimento non soggetto ad I.R.P.E.F.", ovvero ancora "per aver penalizzato la erogazione, sotto forma di rendita, di trattamenti di previdenza complementare o integrativa (per i quali) la normativa (vigente) consente di optare per il pagamento sotto forma di capitale, in quanto viene a moltiplicare gli effetti, del regime anticumulo per l'intera durata della rendita" (cfr. pagg. 16-17 del ricorso, lettere H, I ed L). Tali censure, a ben vedere, appaiono ispirarsi all'atteggiamento mentale del lavoratore, quanto alle prime due, che prospetticamente valuta - a dirla con parte ricorrente - "le forme di risparmio e di previdenza dirette a garantire il reddito dei superstiti in concorso con il reddito da pensione" (v. pag. 16 del ricorso), ovvero all'atteggiamento mentale del coniuge superstite, quanto alla terza, che - sempre a dirla con parte ricorrente - preferisce la liquidazione "sotto forma di capitale" e non "sotto forma di rendita (degli eventuali) trattamenti di previdenza complementare o integrativa"; tanto per "non moltiplicare gli effetti del regime anticumulo" (cfr. pag. 17 del ricorso). Sennonche', nel caso, mentre non risulta che la ricorrente si sia trovata con "trattamenti di previdenza complementare o integrativa" per i quali operare la scelta della liquidazione sotto forma di capitale o di rendita, il marito della medesima e' cessato dal servizio nel 1978 ; in un epoca, cioe', in cui la censurata norma non era ancora vigente e, quindi, non poteva influenzare in alcun modo le scelte delle "forme di risparmio e di previdenza" operate allora o, com'e' piu' probabile, in epoca addirittura anteriore, nel corso dell'attivita' lavorativa. Di qui l'irrilevanza delle riferite doglianze. 6. - Priva di rilevanza autonoma, infine, e' anche la doglianza che, muovendo dagli artt. 3, 29. 31, 36 e 38, commi 2 e 5, Cost., censura l'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, "per aver previsto la riduzione anche della quota di pensione di reversibilita' che e' frutto dei riscatti, per i quali e' stata versata la riserva matematica, commisurata all'onere che contrae la gestione pensionistica per l'erogazione di una rendita reversibile" (cfr. pag. 15 del ricorso, lettera c) ; doglianza, peraltro, ripresa anche nella memoria depositata da parte ricorrente il 12 novembre 1999, laddove (pag.4) si sostiene che la censurata normativa violerebbe anche l'art. 47 Cost., "perche' mortifica il risparmio attuato dal de cuius attraverso il riscatto di periodi, quali la laurea, al fine di assicurare un trattamento piu' favorevole di quello derivante dal solo servizio effettivo". Al riguardo, in disparte la considerazione che, quanto agli artt. 29 e 31 Cost., gia' da tempo il giudice delle leggi ha avuto modo di puntualizzare che "la normativa pensionistica esula dal campo dei diritti e doveri reciproci tra i membri del nucleo familiare", cui invece tendono a riferirsi i citati articoli, "che salvaguardano essenzialmente i contenuti e gli scopi etico-sociali della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio" (cfr. sent. n. 70/1999 e, in termini, sent. n. 2/1980, oltre ad ord. n. 325/1992), deve osservarsi che, come opportunamente evidenziato dal rappresentante dell'I.N.P.A.P. all'odierna pubblica udienza, i periodi coperti da riscatto, pari a "15 anni, 9 mesi e 6 giorni" (v. nota I.N.P.D.A.P. del 19 settembre 2001), sono stati computati tra i "servizi utili", concorrendo a determinare l'anzianita' di servizio (40 anni) su cui e' stata calcolata la pensione diretta e, quindi, quella di reversibilita'. In effetti, in relazione alla sua funzione tipica, di consentire il conseguimento di una pensione su 40 "utili" e non solo sugli anni di "servizio effettivo" (pari, in fattispecie, a 24 anni, 2 mesi e 24 giorni), l'istituto del riscatto non risulta in alcun modo riguardato dalle disposizioni dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, che disciplina il cumulo delle pensioni spettanti ai "superstiti" dando rilievo - si badi - al reddito proprio del "superstite" e non all'entita' della pensione, influenzabile - questa si' - dal riscatto. Anche se non vi fosse stato il riscatto, vi sarebbe stata comunque la riduzione della pensione di reversibilita', qualora - come nel caso - il "superstite" avesse avuto un reddito superiore ai limiti indicati dal citato art. 1, comma 41, solo che con il riscatto il de cuius (prima) ed il "superstite" (dopo) hanno conseguito una pensione di maggior importo, pur con le limitazioni imposte dal ripetuto art. 1, comma 41. La doglianza all'esame, quindi, in relazione alla funzione tipica del riscatto, e' del tutto irrilevante. Tuttavia, muovendo critiche alla disposta riduzione pensionistica anche in relazione agli oneri pagati per il riscatto medesimo (v. intervento in aula del difensore di parte ricorrente), la doglianza stessa resta - per quest'ultimo aspetto - assorbita nelle altre, di analoga portata, attinenti alla pensione nel suo complesso, per i conributi previdenziali versati. 7. - Cosi' definiti i profili concernenti la rilevanza della dedotta questione di costituzionalita' e passando ora a quelli relativi alla non manifesta infondatezza, deve dirsi che, tranne due, le altre doglianze ritenute rilevanti sono manifestamente infondate. Tanto e' da dire, anzitutto, per quelle che censurano la normativa in questione "sotto il profilo della razionalita'" per : a) "gli esiti che fornisce nel caso in cui la pensione del superstite abbia notevole consistenza" e b) per l'insufficienza della "clausola di salvaguardia ad eliminare l'irrazionalita' del meccanismo previsto dalla norma impugnata" (ex pagg. 6-8, lettere k, 1, m ed n, della memoria depositata il 12 novembre 1999). Al riguardo - in disparte la difficolta' di comprendere appieno il senso e la portata dei calcoli matematici esplicativi di dette doglianze, che poi costituiscono, anche per estensione, la parte piu' cospicua delle doglianze stesse - deve osservarsi che la censurata normativa non offre di per se' motivi di irrazionalita', avendo il dichiarato scopo, pur nei perseguiti intenti di ridurre l'entita' della pensione in relazione al reddito posseduto dal superstite, di evitare che "il trattamento derivante dal cumulo dei redditi con la pensione ridotta ai superstiti (sia) inferiore a quello che spetterebbe allo stesso soggetto qualora il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce immediatamente precedenti quella nella quale il reddito posseduto si colloca" (cfr., testualmente, il piu' volte menzionato art. 1, comma 41). Ora, a fronte di norme del genere, che pongono come loro momento precettivo il divieto di pervenire a trattamenti irrazionalmente deteriori, lasciando tuttavia margini di discrezionalita' sul modo di operare per raggiungere lo scopo, vale richiamare l'orientamento della Corte costituzionale che relega al rango di "disparita' di mero fatto" quelle che eventualmente si dovessero verificare nell'attuazione della norma, riferibili - e' stato precisato - non gia' alla norma impugnata, considerata nel suo contenuto precettivo, ma semplicemente alla sua applicazione concreta" (cfr. sent. n. 18/1998 e, in termini sostanzialmente identici, sent. n. 417/1996 ed ord. n. 92/1997). D'altro canto, nel caso, non risulta che dall'applicazione della riferita norma di salvaguardia in capo alla ricorrente, pure concretamente praticata (v. la ricordata "stampa di verifica del 1 ottobre 1996, inviata dalla Direzione provinciale del tesoro di Perugia), sia derivato una qualche ingiustificata ed irrazionale disparita' di trattamento a suo danno, essendosi parte ricorrente medesima limitata a lamentare - sul punto - solo che "la riduzione (subita) risulta senza precedenti e tale da pregiudicare la stessa funzione che l'art. 38, comma 2, assegna alla pensione" (cfr. pag. 8, lettera n, della memoria depositata il 12 novembre 1999). 8. - Del pari, manifestamente infondate sono le doglianze che, muovendo da una concezione fortemente "retributiva" della pensione (appunto, come "retribuzione differita") e strettamente collegata ai contributi versati, censura l'art, 1. comma 41, della legge n. 335/1995, in relazione agli artt. 3, 36 e 38 Cost., per "aver applicato criteri anticumulo correttamente utilizzabili per le solo prestazioni di natura assistenziali a prestazioni che trovano fondamento nella posizione del de cuius determinata in base alla retribuzione pensionabile", ovvero per "avere posto sullo stesso piano redditi da lavoro e da capitale (o) derivanti da altre rendite, senza considerare che (questi ultimi due) non hanno rilievo ai fini del regime anticumulo delle altre prestazioni previdenziali" (cfr. pagg. 15-16 del ricorso, lettere A e B, e conformi richiami nei successivi interventi scritti ed orali). Trattasi di censure che giungono a prospettare anche una violazione dell'art. 42 della Costituzione, per avere il citato art. 1, comma 41 "determinato la quota anticumulo con criteri tali da comportare un vero e proprio esproprio" (cfr. pag. 16 del ricorso, lettera E, e successivi richiami). Al riguardo, nel ricordare che, gia' prima della riforma, la Corte costituzionale aveva avuto modo di chiarire che "il legislatore ha abbandonato, nell'area della previdenza, precedenti strutturazioni e connotazioni mutualistiche, privilegiando sistemi decisamente improntati a carattere solidaristico, cosi' che e' venuta a cadere la rigida correlazione tra oneri contributivi (pagati) e prestazioni previdenziali" ottenute (cfr., tra le tante, Sent. n. 169/1986), si osserva che la manifesta infondatezza delle riferite doglianze passa da due ordini di indagine uno, teso ad accertare la funzione della pensione di reversibilita' al coniuge superstite; l'altro, teso a verificare i principi e gli obiettivi della legge n. 335/1995. Quanto al primo (funzione della riversibilita' al coniuge superstite), vale evidenziare che, come chiarito in piu' occasioni dal giudice delle leggi, "la pensione di reversibilita' attua, per il coniuge superstite, una specie di proiezione oltre la morte della funzione di sostentamento assolta in vita dal reddito del de cuius, perseguendo lo scopo di porre il superstite al riparo dello stato di bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del coniuge" (cfr. tra le tante, sent. n. 495/1993). Lo stato di bisogno, peraltro, non e' estraneo neanche alle pensioni piu' marcatamente assistenziali, quali quelle a favore dei "figli maggiorenni" o dei "collaterali" o degli "ascendenti", per le quali, tuttavia, detto stato di bisogno si pone "quale presupposto costante del trattamento pensionistico, che viene a dipendere da una situazione pregressa di vivenza a carico del lavoratore defunto, interrotta per effetto, appunto, del decesso" (cfr. Corte cost. sent. n. 7/1980). In sostanza, nell'un caso (trattamento a favore del coniuge), si vuole "porre al riparo il coniuge dalla eventualita' stessa del bisogno", mentre nell'altro caso (trattamenti ai figli maggiorenni, agli ascendenti ed ai collaterali) si vuole "eliminare uno stato di bisogno" certo ed attuale (cfr. Corte costituzionale sent. n. 6/1980), fermo tuttavia restando che "la determinazione, in via generale, dei limiti di reddito che possono essere ritenuti tali da far venire meno lo stato di bisogno, spetta al legislatore", al quale "egualmente spetta la determinazione dei limiti di cumulabilita' del trattamento pensionistico, specie di reversibilita', con i redditi di lavoro o assimilati", in relazione all'ampia discrezionalita' goduta in materia dal legislatore stesso, non assoggettabile - nel suo concreto esercizio - ad un giudizio di costituzionalita', "sempre che risulti osservato il criterio della ragionevolezza (cfr. Corte cost. n. 926/1988). In siffatto contesto si e' inserita la legge n. 335/1995 (e cosi' si passa al secondo ordine di indagine), i cui principi ispiratori ed i cui obiettivi sono abbastanza evidenti, anche perche' chiaramente espressi nel primo comma dell'art. 1, oltre che nei lavori parlamentari (v., in particolare, relazioni Camera e Senato, atti XII Legislatura, rispettivamente, n. 2549 e n. 1953), nei quali ultimi - sia detto per inciso - si fa riferimento anche alla "speranza di vita", ovvero alla "crescita dell'eta' media di vita", con cio' mostrandosi l'attenzione prestata dal legislatore alla "eta' del percepiente", contrariamente all'assunto di parte ricorrente in proposito (v. pag. 16, lettera G del ricorso), sia pure per inferirne la necessita' della riforma. La legge in questione. in sostanza, "ridefinisce il sistema previdenziale" nel suo complesso, "allo scopo di garantire la tutela prevista dall'art. 38 della Costituzione" e, a tal fine, determina: a) "i criteri di calcolo dei trattamenti pensionistici. attraverso la commisurazione dei trattamenti alla contribuziore"; b) le condizioni di accesso alle prestazioni, con l'affermazione del principio di flessibilita'; c) "l'armonizzazione degli ordinamenti pensionistici, nel rispetto della pluralita' degli organismi assicurativi"; d) "l'agevolazione delle forme pensionistiche complementari"; e) la stabilizzazione della spesa pensionistica nel rapporto con il prodotto interno lordo" (cfr. art. 1, comma 1). E tutto cio', nella necessita' di una nuova concezione di solidarieta', espressa non piu' "in particolare a livello infracategoriale", ma "infragenerazionale" (cfr. relazione Senato, pag. 9). Peraltro, le disposizioni della citata legge, costituendo "principi generali di riforma economica sociale della Repubblica" (ex comma 2 del citato art. 1), danno particolare risalto al "riequilibrio finanziario del sistema previdenziale", da perseguire pure nel corso degli anni successivi (ex comma 5 del ripetuto art. 1), anche mediante l'istituzione di un apposito "Nucleo di valutazione della spesa previdenziale" (ex comma 44 del piu' volte richiamato art. 1). Nel contesto della riforma, il principio del controllo e della "stabilizzazione della spesa pensionistica" riveste un ruolo delicatissimo ed essenziale per la razionalizzazione del sistema, in linea con quanto piu' volte affermato dalla stessa Corte costituzionale circa l'idoneita' del "limite delle risorse disponibili" ad orientare l'esercizio del potere discrezionale del legislatore in materia di determinazione dei trattamenti pensionistici (cfr. sent. n. 477 e n. 226/1993 e sent. n. 99/1995), si' che la stessa "garanzia costituzionale della adeguatezza e proporzionalita' del trattamento pensionistico (ex art. 36 Cost.) incontra il limite delle risorse disponibili" (cfr. ord. n. 256/2001). Con i riferiti intenti e per le suddette finalita', dunque, l'art. 1, comma 41. della legge n. 335/1995 ha "ridefinito" il diritto al "trattamento pensionistico a favore dei superstiti", estendendo "a tutte le forme esclusive o sostitutive la disciplina vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria", elevando "l'aliquota percentuale della pensione al 70% in caso si presenza di soli figli di minore eta', studenti ovvero inabili", ed applicando i limiti di cumulabilita' "dei trattamenti pensionistici con i redditi del beneficiario", quali indicati nella tabella F, allegata alla legge stessa, salvo che "il beneficiano faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore eta', studenti ovvero inabili". Ora, le doglianze all'esame, lamentando l'applicazione al trattamento di reversibilita' al coniuge superstite di criteri anticumulo correttamente utilizzabili per le sole prestazioni di natura assistenziali", ovvero il fatto che la censurata norma ha posto "sullo stesso piano redditi da lavoro e da capitale o derivante da altre rendite", dimostrano che parte ricorrente non ha ben compreso le dimensioni e la consistenza delle innovazioni introdotte dalla legge di riforma del 1995, da un lato, e l'ampiezza della discrezionalita' di cui gode il legislatore nel determinare sia "i limiti di reddito che possono essere ritenuti tali da far venire meno lo stato di bisogno", (ex Corte, cost. n. 926/1988 citata), sia i tipi di reddito da considerare ai fini in questione e sia l'entita' dei trattamenti pensionistici in se', salvo ovviamente il limite della ragionevolezza; limite, peraltro, certamente rispettato, con riferimento alla pensione di riversibilita' al coniuge superstite, tenuto conto che la funzione storica di tale pensione e' - come detto - quella "di porre il superstite al riparo dello stato di bisogno che potrebbe derivargli dalla morte del coniuge" e che l'art. 1, comma 41, ha ampiamente considerato questo stato di bisogno, normandone i contenuti, secondo valutazioni opinabili, ma non irrazionali, che portano a graduare il trattamento di reversibilita' in termini che vanno dal suo cumulo totale (per un ammontare pari al 60% della pensione diretta), ad un cumulo via via ridotto (al 45, al 36 e al 30% della pensione diretta), man mano che da un reddito proprio non superiore a tre volte il trattamento minimo annuo del fondo pensioni lavoratori dipendenti, si passi ad un reddito superiore a tale limite, ovvero superiore a quattro o cinque volte il predetto trattamento minimo. Ed e' proprio in cio', ossia nella determinazione normativa di criteri obiettivi di apprezzamento dello stato di bisogno, che si individua il punto di maggior divario tra il vecchio ed il nuovo sistema previdenziale a favore del coniuge superstite, che passa da sistema rigido di tutela di un ipotetico stato di bisogno, "che potrebbe derivare dalla morte del coniuge" (ex citata Corte cost. n. 495/1993), a sistema flessibile di tutela di uno stato di bisogno effettivo, desunto dal reddito proprio del beneficiano, oltre che da altri indici obiettivi, quali la presenza di figli minori, studenti o inabili, senza tuttavia giungere al punto di escludere qualsivoglia diritto pensionistico al coniuge, in ipotesi di reddito particolarmente elevato. 9. - In questa ottica, i limiti di cumulabilita' previsti dall'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, lungi dal porsi come "una nuova forma di imposizione a carico della pensione che si somma alla aliquota d'imposta alla quale essa e' assoggettata, in contrasto con l'art. 53 Cost." (cfr. pag. 15, lettera D, del ricorso e successivi richiami scritti ed orali), conformano il nuovo diritto pensionistico del coniuge superstite, adeguandone il contenuto allo stato di bisogno, secondo gli indicati parametri di flessibilita'; flessibilita' che, come visto, a sua volta si ascrive tra i principi generali della riforma, ex art. 1, comma 1, della legge n. 335/1995. Trattasi, insomma, di limiti conformativi e non tributari del diritto pensionistico del coniuge superstite, in relazione ai quali la dedotta eccezione di violazione dell'art. 53 Cost., e' manifestamente infondata. 10. - A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi quanto alla doglianza che, muovendo dall'efficacia retroattiva delle disposizioni dell'art. 1, comma 41 della legge n. 335/1995, censura le disposizioni stesse per la parte in cui esse finiscono per "intaccare posizioni consolidate", evidenziando come, "con la liquidazione della pensione diretta, viene ad essere immodificabilmente determinato anche il livello della eventuale pensione di reversibilita'", si' che le innovazioni introdotte - si sostiene - "ove necessarie (avrebbero dovuto) limitarsi ai periodi di servizio maturandi dopo l'entrata in vigore della legge", mentre "l'aver introdotto una parziale incumulabilita' della pensione di reversibilita', relativamente alla quota di pensione gia' idealmente entrata nella sfera giuridica del soggetto, concreta una violazione di diritti quesiti, in violazione delle garanzie che assistono la retribuzione e la pensione, ex artt. 36 e 38 Cost." (v. pag. 10-11 del ricorso). Le riferite osservazioni - con esclusione di quella sulla limitata applicazione della censurata disposizione ai soli "periodi di servizio maturandi dopo l'entrata in vigore della legge", ripresa nella memoria depositata il 12 novembre 1999 (v. pag. 2, lettera c), ma irrilevante in fattispecie, essendo il coniuge della ricorrente cessato dal servizio nel 1978 - meritano la massima attenzione, in relazione soprattutto ai principi affermati dalla Corte costituzionale sulla strettissima correlazione esistente tra la pensione diretta e quella di reversibilita', oltre che sull'evento e sui soggetti protetti in quest'ultima. In effetti, che la pensione di reversibilita' presenti caratteri di strettissima correlazione con la pensione diretta, ponendosi come trattamento "connesso e conseguente" a tale pensione, pur acquisendosi iure proprio e non iure successionis, e' del tutto pacifico non solo nella giurisprudenza di questa Corte (v., tra le pronunce rese proprio sull'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, Sez. Giur. Lazio n. 1817 del 12 luglio 1997), ma anche in quella della Corte costituzionale, la quale, chiarissima sul punto, ha avuto modo di precisare che "la disciplina della pensione di reversibilita', nell'intero complesso della legislazione previdenziale, resta naturalmente avvinta, proseguendolo, al pregresso istituto della pensione diretta fruita dal lavoratore, ne' puo' essere sottratta (in toto o come nel caso ora all'esame, in parte) ai superstiti che ne abbiano titolo per vincolo familiare" (cfr. sent. n. 169/1986). Il giudice delle leggi, anzi, non ha mancato di evidenziare, in rapporto alla "riserva costituzionale, riconosciuta a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (ex art. 38, comma 2 Cost.), rispetto alla generalita' dei cittadini (ex art. 38, comma 1 Cost.), che la pensione di reversibilita' e' una forma di tutela previdenziale nella quale l'evento protetto e' la morte, cioe' un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti" (cfr. sent. n. 286/1987). Nella ricostruzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, dunque, la pensione di reversibilita' non e' altro che la "prosecuzione del pregresso istituto della pensione diretta" teleologicamente volta a tutelare i familiari del defunto dallo stato di bisogno derivante dalla morte del lavoratore pensionato; morte che costituisce, ad un tempo, evento protetto e presupposto della pensione di reversibilita', che pure - come detto - si acquisisce iure proprio, come sostanzialmente avviene nella "assicurazione a favore di terzo" (ex art. 1920 c.c.). Espressione propria della pensione diretta, il diritto alla pensione di reversibilita' e' ricompreso in essa e si pone, dall'angolo di visuale del lavoratore, come diritto proprio del medesimo a provvedere ai suoi familiari (ex artt. 36 e 38 della Cost.), che di tale diritto sono i beneficiari (ex art. 1920, ultimo comma, c.c.), per il tempo successivo alla sua morte e resta disciplinato - quanto ai criteri di quantificazione - dalla normativa previdenziale vigente al tempo del pensionamento del lavoratore stesso e non da quella vigente al tempo del suo decesso. In questo senso, del resto, la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di puntualizzare che "le valutazioni attinenti ad una politica di gestione globale dei fondi previdenziali ... si infrangono ... a fronte del conseguito beneficio gia' erogato in testa all'iscritto. Cosicche' il cespite pensionistico, per il fatto stesso dell'intervenuta sua liquidazione e dell'inerente godimento all'atto del decesso si e' posto tangibilmente quale indice di sopperimento alle esigenze di vita e di sostentamento familiare, consolidatosi intra domesticos parietes" (cfr. sent. n. 169/1986 gia' citata). Le considerazioni che precedono, dunque, portano a dubitare della legittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 1, comma 41 della legge n. 335/1995, nel senso indicato dall'art. 23 della legge n. 87/1953, per la parte in cui esse prevedono retroattivamente limitazioni al cumulo della pensione di reversibilita' a favore del coniuge superstite con il reddito proprio del beneficiano, e piu' in generale per la parte in cui consentono di applicare la nuova disciplina sulla pensione ai superstiti anche ai trattamenti di reversibilita' a favore del coniuge afferenti a pensioni dirette liquidate, come nel caso di specie, prima della data di entrata in vigore della predetta legge (17 agosto 1995). Tanto in relazione agli artt. 36 e 38 della Cost., conformemente alle doglianze di parte ricorrente in proposito. Peraltro, d'ufficio, va sollevata altra questione di costituzionalita', in relazione agli artt. 3 e 2 della Cost., sotto il profilo della "tutela dell'affidamento legittimamente posto nella certezza dell'ordinamento giuridico", quale interesse costituzionalmente protetto, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. sent. n. 390/1995, n. 211/1997 e 525/2000), in rapporto all'avvenuto esercizio, da parte del lavoratore del suo diritto fondamentale (ex art. 2 della Cost.) di assicurare a se ed ai suoi familiari "mezzi ademati alle loro esigenze di vita", ex art. 38, comma 2, quali realizzabili, secondo l'id quod plerumque accidit, durante l'espletamento dell'attivita' lavorativa. Sotto quest'ultimo profilo, e' evidente che le doglianze sub precedente paragrafo 5), ossia quelle secondo cui la censurata norma scoraggerebbe "forme di risparmio e di previdenza dirette a garantire il reddito ai superstiti", ritenute irrilevanti in quella sede, in considerazione della data di cessazione dal servizio del coniuge della ricorrente (1978), qui assumono ben altro significato e consistenza, e costituiscono l'aspetto sostanziale della sollevata questione, potendosi dubitare che le scelte previdenziali e di risparmio allora compiute, o meglio compiute in attivita' di servizio, sarebbero state ugualmente operate, alla luce delle innovazioni introdotte dalla norma in esame. 11. - Analoghi dubbi di costituzionalita', poi, si pongono per la doglianza che, muovendo da canoni di "razionalita'", censura l'art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, per aver accordato "rilievo al (solo) reddito I.R.P.E.F.", senza aver considerato "che l'ordinamento tributario assoggetta all'imposta secca del 12,50 redditi derivanti da fondi comuni di investimento, da polizze vita, da azioni, obbligazioni e che tali redditi non rientrano tra (quelli) soggetti ad I.R.I.P.E.F. (e) non sono (quindi) presi in considerazione ai fini della norma anticumulo all'esame, con la conseguenza che redditi di pari importo comportano (o meno) una riduzione della pensione dei superstiti, a seconda della loro provenienza" (cfr. pag. 5, lettera h, della memoria depositata il 12 novembre 1999). In realta', la limitazione al solo reddito I.R.P.E.F. risulta dalla nota del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 7/61633/legge 335-1995 dell'8 settembre 1995, e non gia' direttamente dal legislatore. La nota ministeriale in discorso, infatti, ha operato la riferita limitazione semplicemente "in analogia con quanto disposto per l'integrazione al trattamento minimo", individuando, sempre in analogia con tale normativa, anche i c.d. "redditi esclusi", tra cui "il reddito della casa di abitazione", con la precisazione, quanto a questi ultimi, che tali "redditi non assumono rilevanza neanche ai fini della erogazione dell'assegno sociale istituito dall'art. 3, commi 6 e 7, della citata legge n. 335/1995" (cfr. pag. 2 della nota ministeriale in riferimento). Ove la norma in questione venga interpretata nel senso voluto dalla citata circolare, trattasi di doglianza ammissibile e non manifestamente infondata, sembrando effettivamente irrazionale l'individuazione dei "redditi del beneficiario", di cui al piu' volte menzionato art. 1, comma 41, con riferimento ai soli redditi I.R.P.E.F., tenuto conto dei principi e dei fini perseguiti dalla legge di riforma pensionistica del 1995, quali sopra illustrati, in rapporto all'art. 3 della Cost.