IL GIUDICE DI PACE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    A integrazione e motivazione della riserva di cui all'udienza del
16   gennaio  2001,  in  relazione  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale   sollevata  dal  difensore  dell'imputato  nel  proc.
n. 10838/2000,  a  carico di Terrida Denis Venanzio - imputato per il
reato di cui all'art. 688, secondo comma, c.p.;

                            Ritenuto che

    Il difensore solleva questione di legittimita' costituzionale del
suddetto art. 688, secondo comma, c.p.p., per contrasto con gli artt.
3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma della Costituzione, ritenendo
principalmente  che,  a seguito dell'intervenuta depenalizzazione del
reato  previsto  e  punito dall'art. 688, primo comma, c.p. (art. 54,
d.lgs.  n. 507/1999),  la  fattispecie  di  cui al secondo comma, che
originariamente  era da inquadrarsi come forma aggravata del reato di
ubriachezza,   in   cui  l'aver  riportato  una  precedente  condanna
costituiva  circostanza  aggravata  ad  effetto  speciale  del  reato
stesso,  ha  assunto  una  sua  autonoma fisionomia, in cui invece la
precedente   condanna  diventa  elemento  costitutivo  del  reato  (o
condizione  obiettiva  di  punibilita), insieme appunto allo stato di
ubriachezza   in  quanto  tale;  allo  stato,  dunque,  costituirebbe
comunque reato il fatto di trovarsi in stato di ubriachezza manifesta
in  luogo pubblico o aperto al pubblico, ma solo se commesso da colui
che  in  precedenza  aveva  gia'  riportato  una condanna per uno dei
delitti   previsti  dal  capo  I,  titolo  XII,  del  codice  penale,
escludendo   quindi  i  soggetti  incensurati  e  tutti  quelli  gia'
pregiudicati  per  tutti gli altri tipi di reato: gia' prima facie si
nota  come  tale  fattispecie  di  reato,  seppur  contravvenzionale,
introduca  una  disparita'  di  trattamento fra i soggetti attivi del
reato,  basata  su elementi che prescindono totalmente da valutazioni
di merito.
    Esaminando  dapprima la fattispecie di reato di ubriachezza nella
sua  formulazione originaria, si nota come scopo della norma fosse la
tutela   della   sicurezza   sociale,   attraverso   la   prevenzione
dell'alcolismo  quale  causa  di disordini e reati (Cass. sez. III, 5
marzo  1972):  trattasi  quindi di reato inquadrabile nella categoria
dei   c.d.  reati  ostativi,  cioe'  quelle  incriminazioni  che  non
colpiscono  direttamente  comportamenti offensivi di un interesse, ma
tendono  a prevenire il realizzarsi di azioni effettivamente lesive o
pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea
per  la  commissione  di altri reati (Mantovani); soggetto attivo del
reato  di  cui  al  primo  comma  era  chiunque  si trovasse in luogo
pubblico  in  stato di manifesta ubriachezza: pertanto tale stato era
considerato  da un lato elemento disturbante e in qualche modo lesivo
di  un  interesse  pubblico,  dall'altro era sintomo di pericolosita'
sociale,  per l'ovvio motivo che chi si trovi in stato di ubriachezza
(e  non  solo  quindi  di ebbrezza) non e' in grado di controllare le
proprie  azioni  e costituisce dunque un pericolo per i comportamenti
che potrebbe porre in essere: ne consegue che l'alcolismo inteso come
status personale, ha rilevanza penale sotto due aspetti:
        1)  come  fattore pregiudizievole per la salute individuale e
collettiva;
        2)   come  fattore  criminogeno,  assumendo  l'alcool  valore
scatenante   e  favorendo  la  genesi  di  determinati  comportamenti
criminali;   non   a   caso,  infatti,  il  codice  penale  considera
l'intossicazione da alcool anche come status di chi commette il reato
e pertanto come causa che puo' incidere sulla punibilita' (art. 92).
    Ora,  e'  piuttosto evidente che, se cio' e' vero e giustifica la
rilevanza penale e giuridica dello stato di ubriachezza, non ha alcun
senso  ritenere  che,  sotto l'aspetto punitivo, abbia rilevanza solo
nei  confronti  di  una  certa  categoria  di  soggetti,  individuata
peraltro  a  fronte  di  elementi meramente "statistici", dato che la
probabilita'  che un soggetto non compos sui (come colui che si trova
in  stato  di  ubriachezza) commetta un reato piu' grave e' identica,
sia che esso sia incensurato, sia che sia pregiudicato, tanto piu' se
la  condanna  precedente  che assume rilevanza sotto tale profilo sia
molto  risalente  nel  tempo  e/o  riguardi un reato di non rilevante
gravita'  (la condizione di punibilita' dell'art. 688, secondo comma,
c.p.,   infatti,   non   fa   alcuna  distinzione  di  questo  tipo).
Considerazioni  analoghe,  peraltro,  sono gia' state esaminate dalla
suprema  Corte  con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 708,
c.p.,  che  puniva  il  possesso  ingiustificato  di  valori solo con
riferimento  ai  soggetti  gia' condannati per delitti determinati da
motivi  di  lucro  (sent.  n. 370/1996)  e  che  e'  stato  giudicato
costituzionalmente illegittimo proprio sotto tale profilo.
    Deve   dunque   concludersi   che,   poiche'  il  legislatore  ha
recentemente  ritenuto  che  lo  stato di ubriachezza non assuma piu'
rilevanza  penale  autonoma,  ma  sia  sufficiente la sua punibilita'
sotto  l'aspetto  amministrativo,  la  fattispecie  di cui al secondo
comma  dell'art.  688,  c.p.,  non abbia piu' ragione di esistere, in
quanto  introduce  ex novo  una  fattispecie penale in cui l'elemento
costitutivo  fondamentale non e' piu' considerato fatto punibile e la
punibilita'  deriva  invece  da  elementi  e  presupposti  del  tutto
estranei  al momento e alle condizioni concrete in cui un determinato
comportamento  (penalmente  irrilevante)  e'  stato  posto in essere.
Appare  evidente  sotto  tale  profilo  l'incostituzionalita' attuale
della  norma, sia per la disparita' di trattamento che introduce, sia
sotto   il  profilo  strettamente  logico-giuridico,  in  omaggio  ai
principi  di  legalita',  offensivita'  e  materialita'  della  legge
penale.