IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Vista  la  questione di illegittimita' costituzionale prospettata
dal  p.m. presso il Tribunale di Ascoli Piceno, sostituto procuratore
della  Repubblica  dott.  Umberto  Gioele  Monti, alle udienze del 18
aprile  2001 e del 2 maggio 2001 nel processo a carico di Amin Khalil
Khsse (proc. n. 306/1999 M 16);
    Rilevato che, nel suddetto processo, il teste Pignotti Stefano ha
dichiarato  di  non  ricordare  i  fatti  che egli aveva narrato alla
polizia   giudiziaria   nel   corso   delle  indagini  preliminari  e
segnatamente  il  fatto  di aver acquistato dall'imputato una dose di
eroina;
    Rilevato che il teste non ha confermato le dichiarazioni rese nel
corso   delle   indagini   preliminari   a   seguito   delle  rituali
contestazioni  da parte del p.m. sulla base del verbale contenuto nel
fascicolo  del p.m., continuando ad asserire di non ricordare i fatti
e  di  non  ricordare di aver reso le dichiarazioni in questione alla
polizia giudiziaria;
    Rilevato che il p.m., a seguito delle contestazioni di cui sopra,
chiedeva  che  il  suddetto  verbale fosse acquisito al fascicolo del
dibattimento,  ma  la  difesa  dell'imputato,  ai sensi dell'art. 500
comma n. 7 c.p.p. negava il proprio consenso;
    Ritenuto   che  il  processo  non  possa  essere  definito  senza
l'applicazione  delle norma di cui all'art. 500 comma n. 7 c.p.p., in
relazione  alla  norma  di  cui  al comma n. 2 del medesimo articolo,
relativamente  alle  quali  il  p.m.  ha  prospettato la questione di
illegittimita'  costituzionale,  sia  verbalmente, all'udienza del 18
aprile 2001, sia con deposito di una memoria all'udienza del 2 maggio
2001,  dovendosi stabilire se il verbale delle dichiarazioni rese dal
Pignotti  ed  utilizzato  dal  p.m. per le contestazioni possa essere
utilizzato  da  questo organo giudicante soltanto al fine di valutare
la credibilita' del teste o possa invece essere pienamente utilizzato
ai fini dell'accertamento della penale responsabilita' dell'imputato,
indipendentemente  dalla  sussistenza del presupposto di cui al comma
n. 4  del citato articolo 500 c.p.p. o del consenso delle parti, come
previsto dal comma 7 del medesimo articolo;
    Ritenuto che la questione di illegittimita' costituzionale di cui
sopra non sia manifestamente infondata, per i seguenti motivi.
    Va  rilevato,  anzitutto,  che  la  norma  in  questione e' stata
introdotta  con  la  legge  del  1  marzo  2001,  n. 63,  emanata  in
attuazione  della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della
Costituzione  in  materia di giusto processo e che, in tale articolo,
e' stato introdotto il principio del contraddittorio nella formazione
della prova, quale precetto costituzionale, con la conseguenza che la
colpevolezza  dell'imputato  non puo' essere provata sulla base delle
dichiarazioni   rese   da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o
del suo difensore.
    La   norma   che   impedisce  l'acquisizione  del  verbale  delle
dichiarazioni  rese  dal  teste nel corso delle indagini preliminari,
nei  termini  di  cui sopra, appare ictu oculi estranea all'ambito di
applicazione dei principi costituzionali suddetti, sia perche', se il
verbale  e' stato utilizzato per le contestazioni, il teste non si e'
"volontariamente sottratto all'esame", perche' l'esame e' sicuramente
avvenuto  con la partecipazione, o quanto meno con la presenza, della
difesa  dell'imputato,  sia  perche' il principio del contraddittorio
nella  formazione della prova non puo' ritenersi violato se l'iter di
formazione della prova stessa ammetta il pieno utilizzo, dopo l'esame
del  teste in contraddittorio, delle dichiarazioni rese dal teste nel
corso delle indagini preliminari.
    Tali  rilievi,  come  e'  stato  posto in evidenza dal p.m. dott.
Monti   nella   sua   memoria  e  come  e'  stato  altresi'  rilevato
dell'ordinanza  del  tribunale  di Firenze sez. II del 6 aprile 2001,
nella  quale  e'  stata  ritenuta  non  manifestamente  infondata  la
questione  di  illegittimita'  costituzionale  delle  medesime norme,
consentono   di   ritenere  ancora  attuale,  pur  dopo  la  modifica
dell'art. 111  della  Costituzione,  la  portata della sentenza della
Corte  costituzionale  n. 255/1992,  con  la  quale  la  Corte  aveva
ritenuto  costituzionalmente  illegittimo  il  disposto dell'art. 500
c.p.p.  all'epoca vigente, che non consentiva, con disciplina analoga
a quella attuale, l'utilizzazione delle dichiarazioni, rese dai testi
al  dibattimento  e  gia'  utilizzate  per  le  contestazioni,  quale
materiale probatorio su cui poteva fondarsi la decisione del giudice,
al di la' della valutazione critica della credibilita' del teste.
    Va rilevato, infatti, che la stessa censura di "irragionevolezza"
del  complesso  di  norme  allora  vigenti, cosi' come ritenuta dalla
Corte  costituzionale  nella  suddetta sentenza, puo' essere avanzata
riguardo  al complesso di norme nuovamente introdotte in materia, con
la  recente  modifica  dell'art. 500  c.p.p., anche in quanto, se "il
fine primario e ineludibile del processo penale non puo' che rimanere
quello  della  ricerca  della verita'" (sent. C.C. n. 255/1992) e se,
dunque, le norme del processo penale devono tendere a tale finalita',
non  appare  logico e ragionevole ammettere che le dichiarazioni rese
dal  teste  nel  corso  delle indagini preliminari non possano essere
utilizzate quale materiale probatorio "pieno".
    In   tal   modo,  infatti,  il  giudice  non  riuscirebbe,  nella
motivazione della sentenza, che pure e' imposta dallo stesso art. 111
della   Costituzione   al  comma  n. 6,  a  contemperare  logicamente
l'esclusione  della credibilita' del teste, che renda in dibattimento
dichiarazioni  difformi  rispetto  a  quanto  ha dichiarato nel corso
delle   indagini  preliminari,  con  l'affermazione  di  una  verita'
processuale  sicuramente  parziale,  derivante dall'inutilizzabilita'
delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari.
    Il  giudice, infatti, pur dando atto che, in ipotesi, il teste in
dibattimento ha dichiarato il falso, sarebbe poi costretto ad emanare
una  decisione  conforme  alle  dichiarazioni ritenute false, proprio
perche'  non  puo'  attingere ai verbali in questione quale materiale
probatorio  utilizzabile ai fini dell'affermazione della colpevolezza
o  meno  dell'imputato  ("la  norma  in  esame  impone  al giudice di
contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa
decisione,  in  quanto,  se  la  precedente dichiarazione e' ritenuta
veritiera e percio' stesso sufficiente a stabilire l'inattendibilita'
del  teste  nella  diversa  deposizione resa in dibattimento, risulta
chiaramente  irrazionale che essa, una volta introdotta nel giudizio,
entrata  nel  patrimonio  di conoscenze del giudice, ed esaminata nel
contraddittorio  delle parti, non possa essere utilmente acquisita al
fine della prova dei fatti in essa affermati (C.C. n. 252/1992).
    A  tal proposito, si ritiene che la normativa in questione, oltre
a  porsi  in  contrasto con l'art. 111 comma n. 6 della Costituzione,
sia altresi' contrastante con l'art. 2 della Costituzione (in quanto,
di  fatto,  ostativa  al libero esercizio dei diritti fondamentali) e
con  l'art. n. 24  della Costituzione (perche', limita gravemente, di
fatto,  il  diritto  di  azione,  con regole che rendono estremamente
difficile  la  dimostrazione in giudizio della penale responsabilita'
dell'imputato,  con  conseguenti  pronunce  assolutorie,  dovute alla
sostanziale  impossibilita'  di "vincere" la presunzione di innocenza
dell'imputato  e  con  conseguente  frustrazione  dei  diritti  delle
vittime dei reati).
    Peraltro,  va  rilevato  che  le dichiarazioni rese dal teste nel
dibattimento  potrebbero  essere  poste  a  fondamento di un separato
processo   nei   suoi   confronti  per  falsa  testimonianza,  essere
utilizzate  in  tale  sede  e  condurre  ad un'affermazione di penale
responsabilita'  del teste proprio sulla base della loro riconosciuta
falsita',  mentre invece, nel processo in cui le stesse dichiarazioni
erano  state  rese, il sistema normativo in esame vieterebbe comunque
l'utilizzabilita'  di dichiarazioni precedentemente rese dal teste ed
in   contrasto   con   quelle   rese   in   dibattimento  senz'alcuna
possibilita',  per  il giudice, di avvalersi del materiale probatorio
acquisito  nel  corso  delle  indagini  preliminari,  oltretutto  con
contrasto di giudicati.
    La  previsione  del  comma  4  dell'art. 500 c.p.p., inoltre, non
appare  idonea  a  garantire che comunque la verita' emerga nel corso
del   dibattimento  attraverso  le  deposizioni  testimoniali,  anche
perche'  e'  possibile (e in pratica assai probabile) che non emerga,
nel corso del dibattimento o in altra sede, che il teste abbia subito
minacce  o sia stato sottoposto a violenza, offerta di danaro o altra
utilita'  (e'  appena  il  caso  di  rilevare  che  in  tali  casi, e
soprattutto  nel  caso  di  violenza o minaccia, ben difficilmente il
fatto  potra' emergere in dibattimento o in altra sede, a meno che il
teste  non  si  decida coraggiosamente a denunciare il fatto: in tale
ipotesi,  ovviamente,  puo' prevedersi che il teste abbia il coraggio
di  reiterare  in  dibattimento  le dichiarazioni gia' rese nel corso
delle indagini preliminari).
    Come ha rilevato il p.m. dott. Monti, la possibilita' di recupero
della dichiarazione genuina resa nel corso delle indagini preliminari
ha anche una funzione di "schermo protettivo" del testimone fronte di
possibili  pressioni  o intimidazioni, e di disincentivo dal porre in
essere tali pressioni perche' esse potrebbero rivelarsi inutili.
    Nel  sistema  introdotto  con  la novella in questione, invece, i
testi  potrebbero  trovarsi  ad  essere  esposti  a pressioni di ogni
genere  in  vista del momento "cruciale" del dibattimento, posto che,
ripetesi,  ben  difficilmente le violenze o minacce subite potrebbero
emergere  e  consentire  l'acquisizione  ad  ogni effetto dei verbali
delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari.
    Sotto  altro  e  diverso  profilo,  va rilevato che la previsione
normativa relativa all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dal
teste  nel corso delle indagini preliminari nei termini di cui sopra,
inoltre  rende  estremamente  difficile  l'accertamento della verita'
nell'ipotesi  in  cui il teste, del tutto in buona fede, non ricordi,
essenzialmente  a  causa del tempo trascorso, i fatti sui quali viene
interrogato  e  sui  quali  ha gia' riferito nel corso delle indagini
preliminari:  il  meccanismo delle contestazioni, in questo caso, non
consentirebbe comunque, in mancanza di consenso da parte della difesa
dell'imputato,  di  acquisire  i verbali delle dichiarazioni rese nel
corso  delle  indagini  preliminari  e di utilizzarli come prova, con
evidente frustrazione delle finalita' del processo penale.
    Inoltre, il disposto dell'art. 500 comma n. 7 c.p.p. introduce il
principio  dispositivo  nel  processo  penale,  che e' inaccettabile,
perche',  se  il  processo  penale  deve  tendere  al  fine superiore
dell'accertamento  della  verita' e se tale finalita' deve continuare
ad  essere  considerata  di  superiore interesse pubblico (e cio' non
pare  a  tutt'oggi contestabile, anche dopo la modifica dell'art. 111
della  Costituzione),  non  si  vede come possa ritenersi conforme al
principio   di   ragionevolezza   il   fatto   che  l'ingresso  delle
dichiarazioni  rese dal teste nel corso delle indagini preliminari ed
utilizzate  per le contestazioni presuppongano l'assenso della difesa
dell'imputato  (assenso che verra' ovviamente negato oguiqualvolta le
dichiarazioni in questione siano pregiudizievoli alla linea difensiva
dello stesso).
    Considerando  che  il  disposto  dell'art. 111 della Costituzione
impone  solamente  che  la  prova  si formi in contraddittorio (comma
n. 4) e che la formazione della prova al di fuori del contraddittorio
debba  avvenire  nei  casi  regolati  dalla  legge  con  il  consenso
dell'imputato  (comma  n. 5), non sembra che l'impossibilita', per il
giudice,  di utilizzare il contenuto delle deposizioni rese dal teste
nel   corso   delle   indagini   preliminari  ed  utilizzato  per  le
contestazioni, dopo l'esame del teste in contraddittorio tra accusa e
difesa,  derivi  dalla  necessita'  di  dare attuazione alla modifica
dell'articolo 111 cit.
    Infatti,  ben  puo'  ritenersi  che  la  prova  si sia formata in
contraddittorio  quando semplicemente il teste sia stato esaminato in
dibattimento  dalle  parti  in  contraddittorio e quando il materiale
oggetto  delle  deposizioni rese nel corso delle indagini preliminari
sia  stato  oggetto  di  rituali  contestazioni:  il  significato, la
portata,  la  credibilita'  e  la  valenza  probatoria  di  tutte  le
dichiarazioni  rese  (sia nel corso delle indagini preliminari che al
dibattimento) ben potranno essere oggetto di ampio esame da parte del
giudice  che,  in  tal  modo, come si e' gia' avuto modo di rilevare,
potra'  adempiere  all'obbligo  di esauriente e corretta motivazione,
come impone il comma 6 dell'art. 111 della Costituzione.
    Sulla  base  di  quanto sopra osservato, puo' inoltre aggiungersi
che  la  normativa  in  questione  si ponga comunque in contrasto con
l'art. 101 secondo comma della Costituzione, che assoggetta i giudici
soltanto  alla  legge,  e  con  il  principio di legalita' desumibile
dall'art. 25 della Costituzione.