Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, nei confronti
della   Regione  Marche,  in  persona  del  Presidente  della  giunta
regionale,  avverso la legge regionale Marche 13 novembre 2001 n. 26,
pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale  n. 134  del 22 novembre 2001,
intitolata  "sospensione  della  terapia  elettroconvulsivante, della
lobotomia  prefontale  e  transorbitale ed altri simili interventi di
psicochirurgia".
    La   proposizione  del  presente  ricorso  e'  stata  decisa  dal
Consiglio  dei  ministri  nella riunione del 21 dicembre 2001 (che si
depositera).
    La legge regionale anzidetta eccede la competenza della regione e
contrasta  con  gli  artt. 2,  32, 33 comma primo, 117 comma secondo,
lettere  l)  ed  m),  Costituzione,  nonche'  -  lo  si rileva in via
logicamente   subordinata   -   anche   con  l'art. 117  comma  terzo
(professioni,  tutela  della  salute)  della  Costituzione  e  con  i
principi  recati  dalle norme interposte quali quelle contenute negli
artt. 1,  2, 3 e 5 della legge 13 maggio 1978 n. 180, negli artt. 33,
34  e 35 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, negli artt. l e 14 (nei
testi  attualmente  vigenti)  del  d.lgs.  30 dicembre 1992 n. 502, e
negli artt. 112, 113, 114 e 115 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112.
    L'art. 1  della  legge  in  esame  recita  "la Regione Marche ...
persegue la finalita' di tutelare la salute dei cittadini e garantire
l'integrita'   psicofisica  delle  persone".  Queste  finalita'  sono
condivisibili, e pero' il perseguimento di esse non e' riservato alla
Regione Marche, neppure all'interno del territorio regionale.
    L'art. 2  della  legge medesima sospende d'imperio l'applicazione
della "terapia" elettroconvulsivante, della "pratica" della lobotonda
prefrontale  e  transorbitale  e di "altri similari interventi". Tale
sospensione  parrebbe,  a  sua  volta, condizionata: cessera', non e'
chiaro   se  automaticamente  od  invece  mediante  un  qualche  atto
ricognitivo  della  regione,  se  e quando il Ministero della salute,
previa  elaborazione  di  "protocolli  specifici", avra' definito "in
modo  certo  e  circostanziato"  (non  e'  chiaro a giudizio di quale
organo  od  ente) le situazioni cliniche per le quali disgiuntamente)
detta  terapia  o  pratica e' "sperimentalmente dimostrata" efficace,
risolutiva e non produttiva di danni alla salute.
    E'  stato  cosi'  disposto  "ope  legis"  il  divieto  (ancorche'
formalmente  condizionato  e percio' provvisorio) di alcune terapie e
pratiche,  nonche'  di poco precisati "altri similari interventi". Le
descritte  disposizioni,  oltre  a  comprimere  in modo "dirigistico"
l'autonomia   scientifica   e  professionale  dei  sanitari  e  delle
strutture  preposti  alla  cura  della salute ed a contrastare con il
principio  "i  trattamenti  sanitari  sono volontari" salvo tassative
eccezioni consentite dalla legge, sono invasive di competenza statale
esclusiva  come  attribuita dall'art. 115, comma 1, lettere b) ed e),
del  d.lgs.  31 marzo  1998  n. 112  e  da  ultimo  l'art. 117, comma
secondo,  lettera  l)  (ordinamento  civile  e  penale) e lettera m),
Costituzione.
    Ed invero le disposizioni in esame attengono alla preferibilita',
qualita'  ed "appropriatezza" (cosi' nell'art. 1, comma 2, del d.lgs.
30 dicembre  1992  n. 502,  come sostituito dal d.lgs. 19 giugno 1999
n. 229)  di  alcune  cure,  quindi  al diritto sostanziale di ciascun
cittadino  (e in genere essere umano) alla salute, e non agli aspetti
strumentali  quali  l'organizzazione  e  la  gestione  di  presidi  e
strutture sanitari e piu' in generale del "servizio" sanitario. Si e'
quindi  nell'area  concettuale dei diritti fondamentali della persona
"paziente"   (artt. 2   e  32 Cost.)  e  nella  contigua  area  delle
responsabilita'  (anche  civilistiche) degli esercenti le professioni
sanitarie  ed in qualche misura delle linee di ricerca degli studiosi
dediti alla scienza medica (art. 33, comma primo, Cost.); aree queste
che spetta allo Stato sia configurare sia disciplinare.
    Il   Governo   della  Repubblica  nega  che  ciascun  legislatore
regionale   possa   -  e  senza  l'apporto  di  adeguate  istituzioni
tecnico-specialistiche  -  dare sue indicazioni su singole terapie, e
cosi' incidere su fondamentali diritti di personalita' dei cittadini,
persino  costituzionalmente  garantiti,  ed  incidere anche su regole
poste dal codice civile. La ammissione, o l'ammissione iuxta modum, o
il  divieto  di  singole terapie per considerazioni di tipo sanitario
non  puo'  dipendere  dalla  volonta'  di  questo  o quel legislatore
regionale,  e'  decisione  che  si  colloca in un momento logicamente
preliminare  persino  rispetto  alla  determinazione  - di competenza
statale  - dei "livelli essenziali" (art. 117, comma secondo, lettera
m)  ed  uniformi di assistenza sanitaria (art. 1, comma 2, del d.lgs.
30  dicembre  1992  n. 502). Ad esempio, non potrebbe essere reputata
costituzionalmente  legittima  una  legge  regionale che riconoscesse
valida  e  praticabile la multiterapia Di Bella o che autorizzasse la
clonazione  umana  od  altre  non  accettate  pratiche  di ingegneria
genetica.
    Del  resto, in un contesto che non inibisce la circolazione delle
persone  ed e' sempre piu' globalizzato, sarebbe non poco irrazionale
un   assetto  normativo  che  consentisse  ad  un  singolo  consiglio
regionale  di  vietare  una terapia, (ad esempio, paradossalmente, la
dialisi)   o  di  promuoverne  un'altra;  e  cio'  non  per  esigenze
organizzative o finanziarie, ma per scelte attinenti alla adeguatezza
medica.
    D'altro  canto,  non si puo' riconoscere alle regioni la facolta'
di  alterare  le regole della responsabilita' civile contrattuale e/o
extracontrattuale;  e  le  disposizioni  in  esame  le altererebbero,
seppur indirettamente.
    La   competenza  legislativa  (anche  quella  concorrente)  delle
regioni  inizia  per  cosi'  dire  "a  valle" della conformazione dei
diritti di personalita' e dei diritti patrimoniali dei cittadini.
    In  questo  quadro e' tuttora conforme a Costituzione l'art. 115,
comma 1,  del  d.lgs.  31 marzo  1998  n. 112,  che  ha confermato la
competenza   statale  per  l'adozione,  d'intesa  con  la  Conferenza
unificata   del   piano   sanitario  nazionale  (ove  possono  essere
specificate  le  terapie  praticabili  e  le relative procedure), per
l'adozione  di  norme  linee  -  guida  e  prescrizioni tecniche, per
l'approvazione di istruzioni tecniche, per la definizione dei criteri
per  l'esercizio  delle  attivita'  sanitarie,  e in sintesi - per la
produzione  del  "corpo"  di regole generali deputate a modellare gli
interventi  terapeutici.  Per  quanto non disposto in proposito dallo
Stato,  devono  valere  solo  le  "regole  dell'arte" e della scienza
medica,   eventualmente   evidenziate   e  convalidate  da  documenti
ufficiali  delle  autorita'  sanitarie.  E  non  v'e'  spazio per una
legislazione  regionale  che,  per  considerazioni (diverse da quelle
finanziarie), indichi vincolativamente le terapie praticabili.
    E'  altresi'  conforme  a Costituzione l'art. 47-ter inserito nel
d.lgs.  30 luglio  1999  n. 300  dal d.l. 12 giugno 2001 n. 217 conv.
nella  legge 3 agosto 2001 n. 317; articolo che conferma il permanere
della   competenza   statale   in   tema  di  "indirizzi  generali  e
coordinamento   in   materia   di   prevenzione   diagnosi   cura   e
riabilitazione delle malattie umane".
    In  via  logicamente subordinata, si rileva che la legge in esame
non  sarebbe  costituzionalmente  legittima  neppure  se,  nel quadro
dell'art. 117,  comma  terzo,  Cost.,  si  ritenesse  ravvisabile una
competenza   concorrente   della  regione.  La  legge  costituzionale
18 ottobre 2001 n. 3 deve essere letta in continuita' con il passato.
    Nelle materie di legislazione concorrente la potesta' legislativa
delle  regioni  incontra il limite dei "principi fondamentali" la cui
determinazione e' riservata "alla legislazione della Stato".
    L'aggettivo  "fondamentali"  e'  palesemente  usato  nella stessa
accezione  gia'  adottata,  per  il  previdente art. 117 comma primo,
dalla  giurisprudenza costituzionale in argomento. E gli insegnamenti
consolidati  di  codesta  Corte  possono  valere  anche a dissipare i
possibili   dubbi  circa  la  necessita'  di  collocare  i  "principi
fondamentali"  nel  corpo  di  leggi  esplicitamente a cio' deputate.
Devono  quindi considerarsi e valorizzarsi, anche in questo giudizio,
i  principi  desumibili dalle norme "interposte", tra le quali quelle
rammentate all'inizio del ricorso.
    Occorre  considerare  altresi'  che un progetto obiettivo "Tutela
salute  mentale"  1998  -  2000  e'  stato  approvato - dopo "intesa"
raggiunta  in  Conferenza unificata il 13 aprile 1999 - con d.P.R. 10
novembre  1999,  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 247 del 22
novembre   1999.  In  tale  atto  e'  stata,  tra  l'altro,  prevista
l'istituzione  presso  ogni  azienda  sanitaria di un dipartimento di
salute mentale (D.S.M.), l'articolazione di piu' "servizi" (centro di
salute  mentale,  servizio  psichiatrico  di  diagnosi  e  cura,  day
hospital,  centro diurno, strutture residenziali) e la produzione, ad
opera  di ciascun D.S.M. e mediante documenti scritti, di "procedure"
e di "linee guida professionali". L'anzidetto prospetto "individua la
salute mentale fra le tematiche ad alta complessita', per le quali si
ritiene  necessaria  l'elaborazione  di  specifici  atti (ovviamente,
statali) di indirizzo".