IL TRIBUNALE Il tribunale di Saronno, in composizione monocratica, sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500 secondo comma del codice di procedura penale in relazione agli articoli 2, 3, 24, primo comma, 25 secondo comma, e 101 secondo comma, della Costituzione sollevata e sviluppata dal pubblico ministero nelle udienze 14 giugno e 5 novembre 2001 del procedimento penale n. 2890/96c RGNR e 21/99 RG Trib. pendente a carico di De Marte Rocco; O s s e r v a La questione di costituzionalita' prospettata dal p.m. appare non manifestamente infondata quanto all'ipotizzato contrasto dell'art. 500 secondo comma del codice di procedura penale - e dei coordinati commi quarto e settimo - con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Il giudicante intravede altresi' un profilo di contraddizione della norma del codice di rito con l'art. 111 terzo comma della Costituzione, per come novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2. La previsione censurata consente che siano valutate ai soli fini della credibilita' del deponente le dichiarazioni contenute nel fascicolo del p.m. - in quanto rese nel corso delle indagini preliminari - e utilizzate dalle parti onde contestare il contenuto dell'esame testimoniale. Secondo il combinato disposto dei commi quarto e settimo dell'art. 500 del codice di procedura penale - salvo che in base ad elementi concreti debba ritenersi che il teste sia stato sottoposto a violenza, minaccia o promessa di denaro e di altra utilita' affinche' non deponesse o deponesse il falso - le dichiarazioni precedentemente rese, derivate dal fascicolo del p.m., anche se utilizzate per le contestazioni, non potranno essere acquisite al fascicolo dibattimentale - e quindi valutate per il loro contenuto - a meno che sul punto non vi sia accordo delle parti. Il sistema delineato dalla legge 1 marzo 2001 n. 63 sul giusto processo - con la sola deroga dell'accordo dei soggetti processuali costituiti - vieta dunque al giudice di utilizzare quale materiale istruttorio significativo e rilevante le dichiarazioni liberamente rese dalla persona informata sui fatti in fase investigativa del procedimento, anche quando la stessa, divenuta testimone, smentisca o contraddica in modo irreparabile detti enunciati e la discrasia fra le deposizioni emerga nel contraddittorio processuale attraverso le contestazioni mosse ai sensi dell'art. 500, primo comma, del codice di procedura penale. L'organo giudicante, reso edotto dalla dialettica dibattimentale del contrasto insuperato esistente fra le varie versioni, extra ed endoprocessuali, del testimone, potra' da questo inferire soltanto un risultato "minimo" e "negativo" quale la valutazione di inattendibilita' della prova testimoniale, mentre gli restera' inibita qualsiasi utilizzazione istruttoria del materiale preformato; pur quando in base al proprio libero convincimento e sulla scorta delle residue prove aliunde acquisite, abbia maturato la convinzione della inattendibilita' della deposizione dibattimentale e della corrispondenza al vero di quella pregressa. La vigente disciplina contrasta palesemente ed irresolubilmente con il principio di ragionevolezza codificato a livello costituzionale dall'art. 3. Va detto che il legislatore del giusto processo ha reintrodotto nel codice di rito uno sbarramento che gia' la Corte costituzionale con sentenza 3 giugno 1992 n. 255 riteneva di caducare, riconoscendolo illegittimo proprio per contrasto con l'indicata norma parametro. Ben evidenziava allora il giudice delle leggi che, essendo fine primario ed ineludibile del processo penale la ricerca della verita', l'oralita', pur assunta a principio ispiratore del sistema, non puo' costituire - ne' costituisce secondo la disciplina ad oggi vigente (si pensi alle disposizioni circa gli atti irripetibili del p.m. e della PG e la originaria inclusione di essi nel fascicolo dibattimentale, l'incidente probatorio, l'utilizzabilita', anche contra se, delle dichiarazioni rese in precedenza dall'imputato assente, contumace o che rifiuti di sottoporsi ad esame, la persistente utilizzabilita' ex art. 512 del codice di procedura penale delle dichiarazioni assunte dalla persona informata sui fatti quando, per circostanze allora imprevedibili, la deposizione sia divenuta irripetibile, l'analogo regime previsto per le dichiarazioni della persona residente all'estero dall'art. 512-bis del codice di procedura penale) - il veicolo esclusivo di formazione della prova in dibattimento. Se dunque il principio della non dispersione del materiale probatorio acquisito, quale corollario della destinazione del processo a stabilire la verita' storica degli accadimenti, coesiste con quello della immediatezza e della naturale formazione della prova in sede dibattimentale (come da Corte costituzionale n. 258/1991, n. 24/1992, n. 254/1992), non risponde a logica che le dichiarazioni rese dal testimone durante le indagini preliminari (al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria), e gia' entrate nel contraddittorio dibattimentale attraverso il veicolo delle contestazioni, non possano essere compiutamente utilizzate dall'organo giudicante al fine dell'accertamento dei fatti, nemmeno quando questi le ritenga cosi' pienamente veritiere da dover disattendere la difforme deposizione resa in dibattimento1. Come evidenziato dal p.m. nell'enunciare la questione di costituzionalita', derivano da tale impostazione normativa conseguenze processuali paradossali e percio' inaccettabili: quand'anche il giudice si convinca della fondatezza della primigenia versione testimoniale ed invece della inattendibilita' della deposizione resa dallo stesso soggetto nel processo, del materiale su cui il convincimento si poggia non potra' fare alcun utilizzo in termini decisori. Parimenti irragionevole appare la disciplina in commento laddove consegna al potere dispositivo delle parti (o meglio di una o piu' parti, secondo la caratterizzazione soggettiva del dibattimento) la facolta' - esercitabile, quindi, anche per intenti manipolatori e distorsivi che in nulla si coniugano con l'obiettivo della ricerca della verita' - di rendere efficace sotto il profilo probatorio, ovvero di azzerarne la valenza, la dichiarazione raccolta dal testimone in fase d'indagine. In altre parole, la possibilita' per il giudice di prendere atto e di apprezzare il contenuto della pregressa deposizione e' demandata alla "discrezionalita'" delle parti, ovvero alla volonta' dei soggetti - secondo i casi, il p.m., l'imputato, la parte civile - direttamente interessati alla decisione dell'organo terzo ed imparziale. Non solo quindi e' immotivatamente limitato l'esercizio della capacita' decisionale del giudicante, ma si fa dipendere dalla libera opzione delle parti la possibilita' che, secondo convenienza, il limite venga o meno rimosso. L'irrazionalita' della previsione, in ultima analisi, deriva dal constatare che, in ragione dei diversi orientamenti delle parti del processo, il giudicante puo' passare da una condizione di radicale inutilizzabilita' istruttoria delle dichiarazioni del teste formate anteriormente al dibattimento, ad altra di acquisibilita' e quindi - deve ritenersi - di utilizzabilita' completa ed illimitata delle stesse (non potendosi sotto il profilo probatorio scindere il momento acquisitivo dell'atto da quello di utilizzazione dei suoi contenuti2). Il combinato disposto dei commi secondo, quarto e settimo del codice di procedura penale si pone altresi' in contrasto - in termini speculari rispetto alla denunciata lesione dell'art. 3 - con la piena esplicazione del diritto di difesa sancito dagli articoli 24, secondo comma, e 111, terzo comma della Costituzione. L'art. 11 della legge 7 dicembre 2000 n. 397 ha introdotto nel codice di procedura penale il titolo Vl-bis del libro V dedicato alla disciplina delle indagini difensive. Fra le piu' significative prerogative della difesa vi e' quella, a mente dell'art. 391-bis del codice di procedura penale, di ricevere dichiarazioni e di assumere informazioni dalle persone informate sui fatti: debitamente documentato, il materiale conoscitivo cosi' formato e' destinato a confluire nel c.d. fascicolo del difensore e di esso le parti processuali potranno servirsi - fra l'altro - per le contestazioni a norma dell'art. 500 del codice di procedura penale (v. art. 391-decies). E' allora di tutta evidenza che non solo la parte pubblica o la parte civile, ma anche l'imputato ed il suo difensore possano avere interesse a che il giudice del processo conosca, valuti ed apprezzi per intero le dichiarazioni rese in corso d'investigazione difensiva dal teste che, esaminato in dibattimento, le modifichi, le smentisca o le contraddica (identica situazione e' comunque gia' astrattamente ipotizzabile rispetto alle stesse dichiarazioni testimoniali raccolte dal p.m. o dalla Pg). Di nuovo, quindi, la disciplina che vieta al giudicante di vagliare integralmente la valenza istruttoria del contenuto delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni si manifesta irragionevole, e, ad un tempo, in palese contrasto con l'esplicazione dibattimentale del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Componente essenziale di un'effettiva capacita' difensiva dell'imputato, oggi riconosciuta anche dalla Carta costituzionale con l'esplicito art. 111 della Costituzione, e' rappresentata dalla facolta' di convocare ed interrogare dinanzi al giudice sia le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, sia coloro che lo discolpano, ma balza evidente che la piena attuazione di tali prerogative, in caso di smentita o contraddizione processuale, puo' rendere essenziale l'acquisizione agli atti di dichiarazioni in precedenza rese dal testimone agli organi inquirenti o al difensore. La rilevanza nel procedimento pendente della questione di costituzionalita' sollevata dal p.m. e' dimostrata dall'osservazione che nell'udienza dibattimentale del 14 giugno 2001 i testimoni d'accusa Biziak Maria e Franchi Roberto hanno reso deposizioni in piu' momenti contrastanti con quelle che da loro stessi la Pg raccolse in corso d'indagine, che le puntuali contestazioni svolte dal p.m. non hanno composto il contrasto, che il difensore di De Marte Rocco non ha acconsentito alla richiesta dell'organo d'accusa di acquisizione al fascicolo processuale delle precedenti dichiarazioni utilizzate per le contestazioni. La questione appare nella specie, almeno astrattamente, decisiva per le sorti del processo in quanto in entrambi i verbali di sommarie informazioni redatti da personale della Compagnia CC di Saronno i dichiaranti enunciarono specifiche circostanze di fatto a carico dell'odierno imputato De Marte Rocco e proprio detti enunciati costituiscono l'oggetto della smentita dibattimentale.