IL GIUDICE DEL LAVORO Premesso in fatto Che con ricorso dep. il 7 marzo 2001 Matzneller Sabine faceva valere nei confronti del marito Niederstätter Josef, nei cui confronti aveva gia' avviato procedimento di separazione personale, il diritto agli utili ed incrementi di azienda familiare in cui aveva collaborato da novembre 1995 a settembre 2000 (art. 230-bis c.c.), che il ricorso era redatto in lingua tedesca, mentre il convenuto si costituiva con comparsa in lingua italiana, con la conseguenza che il processo diventava "bilingue" ai sensi dell'art. 20 d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 ("Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari"), come modificato dall'art. 8 d.lgs. 29 maggio 2001 n. 283, entrato in vigore il 29 luglio 2001, che all'udienza del 5 ottobre 2001 la ricorrente rinunciava, tuttavia, a un uso contestuale da parte dell'ufficio, nelle verbalizzazioni e nella stesura dei provvedimenti, compresa la sentenza, anche della lingua tedesca, che il nuovo testo dell'art. 20 prevede bensi' la possibilita' per "l'attore" di "aderire alla lingua scelta dalle altre parti", rispettivamente la facolta' delle parti "nel processo divenuto bilingue" di rinunciare alla traduzione nell'altra lingua degli atti gia' in precedenza formati, degli atti di parte, delle consulenze tecniche e dei verbali delle prove testimoniali, ma non anche la possibilita' di una rinuncia alla stesura bilingue di ogni altro verbale e dei provvedimenti del giudice (successivi alla costituzione di una parte in lingua diversa); Ritenuto in diritto Che non sia manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 97, comma primo - per quanto di ragione -, e 111, comma secondo, Cost., la questione di costituzionalita' della nuova normativa nella parte in cui prevede unicamente la possibilita' da un lato di una rinuncia totale all'uso della lingua in origine scelta ("adesione" alla lingua diversa usata dalla/e altra/e parte/i), e dall'altro quella di una rinuncia a una traduzione di scritti difensivi, verbali di prove testimoniali, consulenze tecniche, ma non anche alla stesura bilingue dei verbali delle fasi di mera trattazione e degli interrogatori liberi e formali, nonche' dei provvedimenti del giudice; cio' in quanto la necessita' di un uso "contestuale" delle due lingue anche di fronte a una espressa rinuncia delle parti apparirebbe tradursi in un inutile aggravamento della procedura, in contrasto non solo con i principi, di perlomeno indiretta rilevanza anche costituzionale, dell'economia processuale e della congruita' delle forme allo scopo, ma anche direttamente confliggente con il principio della ragionevolezza (art. 3 Cost.), l'esigenza di contenere la durata del processo entro termini ragionevoli (art. 111 novellato, secondo comma - a meno di non volere ritenere a priori "ragionevole" una piu' lunga durata del processo bilingue, il che sembrerebbe pero' ingiustamente penalizzante nei confronti delle parti che non si trovino nelle condizioni di potere "aderire" alla lingua prescelta dall'avversario), nonche', perlomeno per quanto riguarda la stesura dei verbali, che incombe sul personale di cancelleria, con il principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost.; Ritenendo, con riferimento al cit. art. 111 cpv. Cost., ipotizzabile un conflitto tra il rigore della novella e l'interesse a un piu' celere svolgimento del processo, della parte che sia in grado di rinunciare, ancorche' non all'uso attivo della propria lingua, perlomeno alla stesura anche nella stessa degli atti dell'ufficio (e, al di la' del procedimento singolo, va considerato anche l'effetto aggregato, ossia quello di un generale rallentamento dei processi, se le necessariamente limitate risorse degli uffici giudiziari vengono in non trascurabile misura assorbite da adempimenti che sembrerebbero costituire fine a se stessi); Osservato che, mentre la traduzione nell'altra lingua degli scritti difensivi delle parti, dei verbali di prove e delle consulenze tecniche, avviene a cura del personale di appositamente istituito "ruolo locale dei traduttori interpreti" (art. 3 d.lgs. 21 aprile 1993 n. 133), e quindi dovrebbe essere un adempimento "neutro" sotto il profilo della durata del processo, in quanto suscettibile di essere nei "tempi morti" tra le udienze e senza distogliere risorse agli organi preposti allo svolgimento delle altre attivita' processuali, proprio la stesura degli atti che devono essere bilingui senza possibilita' di deroga, fa carico a giudice e cancelliere, e non e' demandabile all'ufficio degli interpreti (va al riguardo anche ricordato che, salvo per l'istituzione del ruolo dei traduttori, gli organici degli uffici giudiziari locali non sono stati incrementati in concomitanza con l'entrata in vigore della normativa sul bilinguismo); Ritenuto che sia stato senz'altro stato opportuno prevedere, come nel testo novellato del d.P.R. n. 574 si e' fatto, accanto alla facolta' della parte di "aderire" alla scelta della lingua compiuta dagli altri contendenti, con completa rinuncia all'uso della lingua propria, la facolta' di rinunciare, piu' limitatamente, a una traduzione di atti di altri soggetti del procedimento: ed invero e' nozione del tutto triviale che la padronanza attiva che si abbia di una lingua - soprattutto, per quanto qui di interesse: diversa da quella materna - (cd. "competenza produttiva"), sia tendenzialmente piu' ristretta di quella passiva ("competenza ricettiva"); piu' concretamente e nell'esperienza altoatesina: che molti residenti siano perfettamente in grado di comprendere l'altra lingua, ma abbiano obiettivamente, o avvertano anche solo soggettivamente, insicurezze nel suo uso attivo; Ritenuto che un elemento di irrazionalita', e quindi di contrasto con l'art. 3 Cost., possa pero' ravvisarsi nella distinzione che la nuova normativa fa tra le varie categorie di atti, obbligatoriamente bilingui gli uni (e, ripetesi, proprio quelli che vanno formati da giudice e cancelliere, senza possibilita' di delega agli staff di traduttori ed interpreti), e invece con il consenso della parte interessata in lingua unica gli altri, e questo del tutto indipendentemente dal grado di difficolta' linguistica che possono presentare (non si vede, ad es., la differenza che vi possa essere, sotto questo profilo, tra il verbale di un interrogatorio, sempre obbligatoriamente bilingue, e quello di una prova testimoniale); E si consideri anche che quale sanzione del mancato rispetto delle regole sull'uso della lingua e' ora prevista la nullita' rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento - mentre prima della novella la Cassazione aveva sentenziato, da ultimo, che la violazione del d.P.R., n. 574 nel processo civile non integrasse nemmeno una nullita' relativa, ma una semplice irregolarita': C. 5 ottobre 2000 n. 13.295 (e' ben vero che l'art. 23-bis d.P.R. n. 574/1988, inserito con l'art. 11 d.lgs. n. 283/2001, prevederebbe la nullita' assoluta solo in caso di uso della "lingua diversa", al singolare, e che quindi un'interpretazione meramente letterale potrebbe far ritenere assolutamente nullo solo l'atto processuale in lingua diversa che si inserisca in un processo monolingue, senonche' un'interpretazione sistematica e teleologica impone di ritenere colpiti da nullita' anche gli atti compiuti in una sola lingua in un processo bilingue: anche in questo caso vengono potenzialmente lesi gli stessi diritti ed interessi che la norma ha voluto garantire nel caso del processo monolingue); Ne' appare potersi sostenere che il "bilinguismo" imposto all'ufficio (giudice/cancelliere) nella formazione dei propri atti rispondesse a un interesse pubblicistico piu' pregnante di quello sotteso al diritto alla traduzione degli atti di parte e delle testimonianze (che pur sempre dall'ufficio vengono ridotte a verbale); e' ben vero che le norme speciali sull'uso della lingua vigenti in Trentino-Alto Adige mirano non solo e non tanto a garantire alle parti private un contraddittorio adeguato alla loro personale competenza linguistica, ma anche e soprattutto alla "tutela di un bene - l'identita' di una minoranza linguistica - che non e' propriamente del processo, ma nel processo trova soltanto un'occasione per essere realizzata" (cosi', da ultimo, Corte Costituzionale n. 213/1998); senonche' la stessa norma di attuazione dello Statuto dimostra di non considerare imprescindibile, al fine di salvaguardare adeguatamente tale "identita'" linguistica (del gruppo, piu' che delle singole persone parti di un procedimento giudiziario), l'uso in ogni caso anche della madrelingua di ogni singolo, tant'e' che prevede addirittura la possibilita' di un atto di parte integralmente abdicativo qual'e' l'adesione completa alla lingua dell'avversario; riconoscere, accanto a questa facolta' di rinuncia radicale, anche quella di rinunciare solo a un uso contestuale anche della seconda lingua da parte dell'ufficio, amplierebbe quindi le possibilita' di raggiungere un giusto equilibrio, rispondente nel caso concreto alle esigenze e preferenze delle parti processuali, tra i contrapposti interessi in gioco, quello superindividuale alla tutela dell'identita' linguistica degli appartenenti alla minoranza etnica, e quello individuale della singola parte processuale a un piu' spedito svolgimento del procedimento; Rilevato che anche lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (T.U. approvato con d.P.R., 31 agosto 1972 n. 670) prevede, all'art. 100, comma quarto, "l'uso disgiunto dell'una o dell'altra delle due lingue" come regola, e l'uso congiunto" come eccezione, in particolare "negli atti destinati alla generalita' dei cittadini, negli atti individuali destinati ad uso pubblico e negli atti destinati a pluralita' di uffici" - e nessuna di queste tre ipotesi nella specie appare ricorrere (e' ben vero che le sentenze vengano "pubblicate", mediante deposito in cancelleria, ma cio' non significa che siano istituzionalmente "destinate" a un "uso pubblico: se cosi' fosse anche nel processo monolingue la sentenza dovrebbe essere stesa in entrambe le lingue); Ritenendo la questione rilevante nel presente giudizio, pur iniziato ancora sotto il regime previgente, ma che in virtu' del principio "tempus regit actum" perlomeno in relazione agli atti formati in epoca successiva alla sua entrata in vigore, appare gia' soggetto alla disciplina novellata, cio' perche' ove venisse ritenuta fondata, gli ulteriori provvedimenti e verbali e la sentenza definitiva, stante la rinuncia come sopra espressa dalla parte, non dovrebbero piu' essere stesi - come invece la presente ordinanza - in entrambe le lingue, il che (in una con il concomitante snellimento anche di altre procedure bilingui pendenti davanti allo stesso ufficio) permetterebbe una definizione piu' celere del procedimento.