ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera  c)  e  comma  2,  del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669
(Disposizioni  urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile
a  completamento  della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997),
convertito  in  legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ordinanza
emessa il 30 ottobre 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di
Bologna  sul  ricorso  proposto  da  SLIM  S.p.a. contro la Direzione
regionale  delle entrate per l'Emilia-Romagna, iscritta al n. 852 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 3, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  l'atto di costituzione della SLIM S.p.a. nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  20 novembre  2001  il giudice
relatore Franco Bile;
    Uditi  l'avvocato Gianni Marongiu per la SLIM S.p.a. e l'avvocato
dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ordinanza pronunciata il 3 ottobre 2000, la Commissione
tributaria   provinciale   di  Bologna,  nel  corso  di  un  giudizio
instaurato,  con  ricorso  del  10 dicembre  1998,  dalla SLIM S.p.a.
avverso  il  silenzio  rifiuto  tenuto  dall'Ufficio delle entrate di
Bologna  su  un'istanza  di  rimborso  presentata il 3 dicembre 1997,
relativamente  a  somme  versate  a titolo di I.R.PE.G. e I.LO.R., ha
sollevato,  in  riferimento agli articoli 77 e 53 della Costituzione,
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  1,
lettera  c), del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni
urgenti   in   materia   tributaria,   finanziaria   e   contabile  a
completamento  della  manovra  di finanza pubblica per l'anno 1997) -
che   ha  modificato  l'art. 69  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  22 dicembre  1986,  n. 917  (Approvazione del testo unico
delle  imposte  sui  redditi),  avente  ad  oggetto  il  regime degli
ammortamenti  per  i  beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di
una concessione - e dell'art. 1, comma 2, dello stesso decreto legge,
nella  parte  in cui prevede che la disposizione del comma 1, lettera
c),  si  applichi  "a  decorrere dal periodo di imposta in corso alla
data del 31 dicembre 1996".
    Riferisce   l'ordinanza   di   rimessione  che,  con  il  ricorso
introduttivo  del  giudizio,  la societa' ricorrente - sulla premessa
che  anteriormente  all'intervento  del suddetto decreto legge, per i
beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di una concessione erano
consentiti  in  via  cumulativa  due  tipi  di  ammortamento,  quello
tecnico,  ai  sensi degli articoli 67 e 68 del citato d.P.R. e quello
finanziario,  regolato dall'art. 69, mentre il decreto legge li aveva
resi alternativi ed aveva disposto che il nuovo regime retroagisse al
1 gennaio 1996 e che, qualora l'ammontare delle quote di ammortamento
gia' dedotte nell'esercizio precedente fosse stato superiore al costo
dei  beni, l'eccedenza dovesse concorrere a formare il reddito per il
periodo  di  imposta  in corso alla data del 31 dicembre 1996 - aveva
dedotto  d'aver subito, in conseguenza della modifica legislativa, un
aggravio  di  I.R.PE.F.  ed  I.LO.R.  di  lire 1.308.413.391. Di tale
importo  aveva  inutilmente  richiesto  il  rimborso  alla  Direzione
regionale  delle  entrate di Bologna, sul rilievo del contrasto della
normativa  con  gli  articoli  77  e 53 della Costituzione. Essendosi
formato il silenzio rifiuto, la ricorrente aveva proposto il ricorso,
chiedendo   che   fosse   sollevata   la  questione  di  legittimita'
costituzionale  suesposta  e  nel  merito  che,  una volta accolta la
stessa,  l'amministrazione  finanziaria  fosse condannata al rimborso
della  suddetta somma, con gli interessi. L'ufficio non si costituiva
in giudizio.
    2.  -  Dopo  questi  cenni sulla vicenda oggetto del giudizio, la
rimettente  rileva  che  la  nuova  disciplina  degli ammortamenti in
discorso  sarebbe stata introdotta a distanza di oltre un decennio da
quella  originaria e che il legislatore "ha fatto retroagire il nuovo
regime  di  deducibilita'  fiscale  degli  ammortamenti" al 1 gennaio
1996,  "sicche' le imprese, che avevano iniziato il periodo d'imposta
con la disciplina previgente, si sono trovate all'ultimo a dover fare
i  conti  con  una  normativa  completamente  diversa e con un carico
fiscale  assai  piu' gravoso". Peraltro, la concorrente deducibilita'
delle  due  tipologie  di  quote  di  ammortamento  era prevista gia'
dall'art. 70 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
persone  fisiche),  applicabile  anche  all'I.R.PE.G.,  in  forza del
richiamo   di   cui  all'art. 5  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica   29 settembre  1973,  n. 598  (Istituzione  e  disciplina
dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  giuridiche), e rispondeva
all'esigenza  di  sottrarre  a  tassazione  quanto  il concessionario
complessivamente  sborsi per acquistare e mantenere cose destinate al
concedente.
    Il decreto legge n. 669 del 1996 avrebbe, invece, disciplinato la
materia  in  modo  completamente  diverso negando la possibilita' del
cumulo,  esistente  fino al 1996, e la modifica del regime precedente
non  si  inserirebbe  in un contesto di completamento della normativa
vigente   in   materia,  ma  avrebbe  avuto  carattere  completamente
innovativo, ispirandosi a criteri totalmente diversi da quello su cui
era basata la precedente legislazione.
    Sarebbero  stati  violati  in tal modo gli articoli 77 e 53 della
Costituzione.
    La  prima  norma  sarebbe  vulnerata, in quanto non sarebbe stato
rispettato  il  presupposto  di  costituzionalita' della decretazione
d'urgenza,  costituito  dalla ricorrenza dei presupposti straordinari
della  necessita'  e  dell'urgenza.  Cio',  sia  per  il fatto che si
sarebbe   intervenuti   su   una   normativa   esistente   da   tempo
nell'ordinamento,  sia per il fatto che non sarebbe stato sussistente
il  presupposto  giustificativo della straordinarieta', atteso che il
decreto   legge   n. 669  del  1996  obbediva  solo  all'esigenza  di
completamento  della manovra di finanza pubblica per il 1997, come si
desumerebbe  dal  suo  preambolo.  A  sostegno  della censura vengono
richiamati  i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 29
del 1995.
    La  violazione  dell'art. 53 della Costituzione viene argomentata
previa  invocazione  - in via peraltro esemplificativa - dei principi
affermati da questa Corte nella sentenza n. 390 del 1995 (adducendosi
che  con essa sarebbero stati fissati dei limiti alla possibilita' di
estendere  retroattivamente  l'ambito  di applicazione di una legge e
segnatamente  quello  dell'affidamento  del cittadino nella sicurezza
giuridica) e nella sentenza n. 315 del 1994 (adducendosi che con essa
la   Corte  ha  fondato  il  riconoscimento  della  legittimita'  del
carattere retroattivo di una legge sulla prevedibilita' dell'imposta,
desumibile  dal  completamento sul piano legislativo della disciplina
di   una   determinata   materia).   Nella   specie,   tali  principi
apparirebbero   violati,  si'  che  ne  sarebbe  evidenziata  la  non
manifesta  infondatezza  della  sollevata  questione,  in  quanto  la
tassabilita'  degli ammortamenti finanziari soltanto in alternativa a
quelli  tecnici  sarebbe  stata del tutto imprevedibile - dato che il
precedente  regime  di  cumulo  era  rimasto  in  vigore per oltre un
ventennio   -   ed  inoltre  avrebbe  frustrato  in  modo  del  tutto
inaspettato l'affidamento del contribuente nella sicurezza giuridica,
giacche'  avrebbe  colpito con effetto retroattivo una situazione non
ritenuta  in  precedenza  espressione  di  capacita'  contributiva ed
accentuato il carico fiscale gravante sulle imprese.
    In   particolare,   all'inizio   del   1996   non  sarebbe  stato
assolutamente   prevedibile  che  gli  ammortamenti  sarebbero  stati
regolati in futuro in modo diverso e per tale ragione sarebbe violato
il principio della certezza del diritto.
    In  punto di rilevanza della questione, la rimettente osserva che
la  decisione  della  questione condiziona la decisione del giudizio,
poiche'  la  domanda  di rimborso potrebbe esser accolta solo qualora
essa risulti fondata.
    3.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,   tramite   l'Avvocatura   generale  dello  Stato,  che  ha
depositato  una  prima  memoria,  nella  quale  ha  sostenuto  che la
questione  non  sarebbe  fondata. In particolare, sarebbe fuori luogo
l'invocazione  del  parametro  dell'art. 53  Cost., giacche' la nuova
regola  di  alternativita' degli ammortamenti, in quanto applicata al
periodo  d'imposta  in  corso al momento dell'emanazione della norma,
non  avrebbe valenza retroattiva nemmeno con riferimento alle imprese
il cui esercizio coincide con l'anno solare, non incidendo su periodi
di   imposta   gia'   definiti,  ma  assumendo  come  riferimento  la
composizione  del  reddito relativo all'esercizio in corso e, quindi,
la  capacita'  contributiva attuale a questo relativa. D'altro canto,
l'inserimento   della  disciplina  denunciata  in  un  decreto  legge
discenderebbe  "dall'esigenza,  nel  completamento  della  manovra di
finanza pubblica per l'anno 1997 (concernente entrate per tale anno),
di  procedere  entro  il  1996  alla  razionalizzazione  della regola
sull'ammortamento  per  avere  riguardo a situazioni di imponibilita'
attuale suscettibili di produrre entrate nell'anno successivo".
    Nell'imminenza   dell'udienza,  l'Avvocatura  ha  depositato  una
memoria illustrativa, nella quale, dopo avere rilevato che la censura
relativa  all'art. 1,  comma  1, lettera c), del decreto legge n. 669
del  1996  "risulta  parametrata  al  solo art. 77 Cost.", assume che
quella  relativa  al  comma 2 dello stesso art. 1 sarebbe da riferire
alla  sola  previsione,  da  parte di tale norma, dell'applicabilita'
della  nuova  norma  di  cui alla lettera c) al periodo di imposta in
corso alla data del 31 dicembre 1996 e non anche a quella parte della
norma  che  disciplina  la situazione delle imprese che hanno dedotto
cumulativamente  gli  ammortamenti  negli esercizi anteriori al 1996.
Tanto  si  evincerebbe  perche'  l'ordinanza  non avrebbe in linea di
fatto  ed  ai  fini  del giudizio di rilevanza affermato che la parte
ricorrente  aveva  maturato un'eccedenza, in ragione del cumulo degli
ammortamenti  anteriori  al  1996  ed  aveva,  dunque,  dovuto  farla
concorrere  alla  formazione  del  reddito  imponibile  per  il 1996.
D'altro canto, il rimborso richiesto da detta parte non implicava che
parte di esso si riferisse a tale eccedenza.
    Nel merito, la censura ex art. 77 viene contestata, rilevando che
il  decreto  legge n. 669 del 1996 risulta specificamente finalizzato
all'emanazione  di  disposizioni integrative della manovra di finanza
pubblica  per il 1997, di cui alla legge n. 662 del 1996, in funzione
degli  adempimenti  necessari  a  far  rientrare i conti pubblici nei
parametri dei commi 194 e 211 dell'art. 3 del Trattato di Maastricht.
Onde,   l'intervento  di  cui  trattasi  sarebbe  stato  giustificato
dall'urgenza  di  riequilibrare  le  finanze pubbliche e contenere il
disavanzo.   Soltanto  il  decreto  legge  poteva  essere  utilizzato
all'uopo  come  strumento  e,  poiche'  era prevedibile l'adozione di
misure finanziarie in tal senso e sarebbe incontestabile la "coerenza
tra   la  complessiva  finalita'  perseguita  dal  legislatore  e  le
disposizioni  espresse  dalle norme censurate", sarebbe fuor di luogo
parlare   nella   specie   dell'evidente   mancanza  dei  presupposti
dell'art. 77 della Costituzione.
    Si  deduce, quindi, che non sarebbe fondata nemmeno la censura ex
art. 53  Cost.,  in  quanto  la  norma denunciata non solo troverebbe
applicazione  iniziale  in relazione all'anno 1996, che era ancora in
corso  quando  essa  intervenne,  ma  sarebbe  anche  intrinsecamente
giustificata  sul  piano  della  ragionevolezza, raccordandosi ad una
capacita'   contributiva   attuale.  Si  sottolinea  all'uopo  -  pur
ribadendosi l'eccezione circa i limiti in cui sarebbe stata sollevata
la   questione  -  che  l'eccedenza  del  cumulo  degli  ammortamenti
effettuato fino al 1995, rispetto al costo dei beni, sarebbe concorsa
comunque  a  formare  il  reddito  imponibile  del periodo di imposta
ancora  in  corso  al  31 dicembre  1996,  "configurandosi  come  una
sopravvenienza attiva del tutto analoga a quella gia' contemplata dal
comma  4  dell'art. 69  del  T.U.  n. 817/1986, abrogato dallo stesso
art. 1,   comma   1,   lettera   c)  (punto  3),  del  decreto  legge
n. 669/1996". La disciplina anteriore alla norma impugnata si sarebbe
concretata, infatti, nella possibilita' di cumulare nel periodo della
concessione  i  due  tipi  di  ammortamenti  oltre  il costo dei beni
soltanto  momentaneamente,  prevedendo  il  comma  4 dell'art. 69 che
nell'esercizio in cui avveniva la devoluzione l'eccedenza rispetto al
costo concorresse alla formazione del reddito. Si assume, infine, che
rientrava  nella  discrezionalita'  del  legislatore  "prevedere  una
disciplina   fiscale   diversa   per   periodi   d'imposta   diversi,
razionalizzando il regime delle deduzioni".
    4.  -  Si e' costituita, depositando memoria, la parte ricorrente
del  giudizio  a quo, che, preliminarmente, richiamando la vicenda in
fatto  e  la  prospettazione  assunta  nel  ricorso  introduttivo del
giudizio, ha precisato:
        a)    di    avere,   fino   all'esercizio   1995,   calcolato
cumulativamente le due tipologie di ammortamento;
        b)  di  avere  dovuto  -  in  ragione  dell'intervento  della
normativa  impugnata ed al fine di evitare sanzioni - indicare, nella
dichiarazione  di cui al modello 760/97, tra le variazioni in aumento
un'eccedenza   di   lire 2.459.424.000,   che   avrebbe   determinato
l'aggravio  dell'importo  di  I.R.PE.G.  ed  I.LO.R.,  oggetto  della
richiesta di rimborso.
    Ha,  quindi,  ricordato  la  situazione normativa precedente alle
disposizioni   impugnate,   osservando   che   queste   ultime  hanno
determinato  un  peggioramento  per  le  aziende operanti nel settore
della  gestione dei servizi pubblici, utilizzanti beni in concessione
devolvibili   gratuitamente  al  termine  della  concessione  stessa.
L'ammontare  complessivo degli ammortamenti economico-tecnici e degli
ammortamenti  finanziari,  ad  avviso  della  deducente,  deve essere
idoneo  -  come  sarebbe stato secondo la vecchia disciplina e quella
antecedente  vigente  almeno  dalla  riforma tributaria del 1973 - "a
consentire gli interventi di sostituzione e di manutenzione necessari
per  operare  la  gestione  in condizioni di sicurezza ed efficienza,
nonche'  per  adempiere all'obbligo di devolvere alla scadenza i beni
stessi  in  buono  stato d'uso", nonche' a permettere alle imprese di
procedere   nel   corso   della   durata   della   concessione   alla
"ricostituzione  finanziaria" del valore dei beni che dovranno essere
devoluti poi gratuitamente. A tal fine si rende necessario costituire
un fondo atto a dare copertura, alla scadenza della concessione, alla
perdita derivante dall'eliminazione, senza contropartita, del residuo
dei beni devolvendi.
    Tali esigenze sarebbero state ignorate dalla modifica legislativa
del  1996,  che, operando con riguardo ad investimenti gia' sostenuti
in  passato,  avrebbe  alterato  l'equilibrata  gestione  di rapporti
concessori gia' in essere.
    Questa  alterazione  si  sarebbe  verificata sotto piu' profili e
cio'  sia  perche'  il  secondo  comma  dell'art. 1 del decreto legge
n. 669  del  1996 ha disposto l'applicazione delle nuove disposizioni
non  per  il  futuro,  cioe' dal 1 gennaio 1997, ma per il periodo di
imposta  in  corso  alla  data  del  31 dicembre 1996, sia perche' lo
stesso  secondo comma detta una disciplina transitoria per i soggetti
che  hanno  effettuato il cumulo dei due tipi di ammortamento per gli
esercizi   precedenti,  stabilendo  che,  qualora  l'ammontare  degli
ammortamenti  complessivi in relazione ad essi gia' dedotti ecceda il
costo  dei  beni,  l'eccedenza  debba  sottoporsi  a  tassazione  con
riguardo al periodo di imposta 1996.
    La  memoria  passa,  quindi,  ad  illustrare argomenti a sostegno
delle  due censure di incostituzionalita'. In primo luogo, rileva che
questa  Corte,  dopo  avere  per  anni ritenuto che la conversione in
legge del decreto legge faceva considerare superate le censure contro
il  decreto stesso, avrebbe cambiato tale orientamento nella sentenza
n. 29  del  1995,  sostenendo  la  sindacabilita'  dell'esistenza dei
presupposti della decretazione d'urgenza anche dopo la conversione.
    In  proposito,  si  rileva  che,  nel caso di specie, non sarebbe
esistita  alcuna  situazione  di fatto "che spingesse, in presenza di
una  emergenza,  alla  modificazione della specifica normativa" sugli
ammortamenti   e   nemmeno   "un'esigenza   di maggiore  giustizia  o
di maggiore  equita'",  tanto  che  la  nuova  normativa  si  sarebbe
tradotta  in  "un  appesantimento  dei  conti  economici dei soggetti
interessati".  L'unica  ragione  che avrebbe indotto il legislatore a
mutare  la  vecchia  disciplina sarebbe stata un'esigenza di cassa "e
quindi   di   un  gettito  da  acquisire  in  tempi  brevissimi".  Lo
rivelerebbe   la   relazione   di   accompagnamento  del  disegno  di
conversione  del decreto legge, della quale viene citato il passo che
individua  il  recupero di gettito per gli anni 1997, 1998 e 1999. Si
adduce  che  un'esigenza  di cassa in materia fiscale non sarebbe ne'
oggettivamente  eccezionale,  ne'  oggettivamente  imprevedibile,  in
quanto  "che il fisco abbia bisogno di risorse [sarebbe] la regola (e
non  l'eccezione)  prevedibilissima".  E  "se  fosse  sufficiente una
generica  necessita'  di risorse, essa tutto giustificherebbe e tutto
potrebbe essere innovato, nel settore fiscale, per decreto legge onde
questo    strumento   normativo,   lungi   dall'essere   eccezionale,
diventerebbe l'unico utilizzabile e utilizzato".
    Quanto  alla censura ex art. 53 Cost., si richiama giurisprudenza
di  questa  Corte, dalla quale emergerebbe che andrebbe indagato caso
per caso se una norma tributaria retroattiva violi il principio della
capacita'  contributiva e, sul rilievo che la norma avrebbe inciso su
un  periodo  di imposta nel quale per 364 giorni era stata vigente la
precedente  disciplina ed anche per i periodi di imposta anteriori al
1996,   si   sostiene   che   sarebbe   stato  violato  il  principio
dell'affidamento  del  cittadino  data l'imprevedibilita' della nuova
disciplina,  all'uopo  invocandosi le sentenze di questa Corte n. 390
del 1995 e n. 315 del 1994.
    Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  la  parte  ha,  altresi',
depositato  una  memoria  illustrativa,  nella  quale, in ordine alla
censura  ex  art. 77  Cost., si richiama anzitutto l'evoluzione della
giurisprudenza  di  questa  Corte in ordine alla sindacabilita' degli
eccessi  della decretazione d'urgenza e, quindi, si ripropongono e si
sviluppano ulteriormente gli argomenti della prima memoria.

                       Considerato in diritto

    1.  - La Commissione tributaria provinciale di Bologna, nel corso
di  un  giudizio  concernente il mancato accoglimento dell'istanza di
rimborso  di  somme  versate da una societa' a titolo di I.R.PE.G. ed
I.LO.R.,  ha  sollevato  - in riferimento agli articoli 77 e 53 della
Costituzione  - questione di legittimita' costituzionale del comma 1,
lettera  c)  e  del comma 2 dell'art. 1 del decreto legge 31 dicembre
1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria
e  contabile  a  completamento  della manovra di finanza pubblica per
l'anno 1997), convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30.
    Il  comma  1, lettera c), e' stato impugnato nella parte in cui -
modificando   l'art. 69   del   d.P.R.   22 dicembre   1986,   n. 917
(Approvazione  del  testo  unico  delle  imposte  sui  redditi)  - ha
eliminato  la  possibilita'  di  cumulare,  per  i beni gratuitamente
devolvibili  alla scadenza di una concessione, l'ammortamento tecnico
previsto  dagli articoli 67 e 68 dello stesso decreto ed un ulteriore
ammortamento definito finanziario, stabilendo invece l'alternativita'
fra le due specie di ammortamento.
    Il  comma  2 e' stato impugnato nella parte in cui prevede che la
disposizione  appena ricordata si applica "a decorrere dal periodo di
imposta  in  corso alla data del 31 dicembre 1996" e dispone che, per
le  imprese  che  negli  esercizi  precedenti  hanno dedotto quote di
ammortamento finanziario in aggiunta a quote di ammortamento tecnico,
"si    considera    gia'   ammortizzato   l'ammontare   delle   quote
complessivamente  dedotte"  e  "se tale ammontare supera il costo dei
beni  l'eccedenza  concorre a formare il reddito del predetto periodo
di imposta".
    La  violazione dell'art. 77 della Costituzione e' ravvisata sotto
il  profilo che il decreto legge n. 669 del 1996 - intervenuto su una
normativa  vigente da tempo, al solo fine di completare la manovra di
finanza pubblica per il 1997, come risulta dal suo stesso preambolo -
sarebbe stato emanato in difetto del presupposto di costituzionalita'
costituito dalla straordinaria necessita' ed urgenza.
    La   violazione   dell'art. 53   della   Costituzione  e'  invece
argomentata  - sulla premessa della natura retroattiva dell'impugnato
art. 1,  comma  2  -  con il richiamo ai principi affermati da questa
Corte,  secondo cui la retroattivita' di una legge incontra il limite
dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e deve tener
conto  della  prevedibilita'  della  disciplina  che ne deriva. Nella
specie,   questi   principi  sarebbero  stati  violati  dalla  totale
imprevedibilita'  dell'introduzione dell'alternativa tra ammortamenti
finanziari  ed  ammortamenti  tecnici, in sostituzione del precedente
regime  di cumulo rimasto in vigore per oltre un ventennio, e inoltre
dalla  lesione  dell'affidamento  del  contribuente  nella  sicurezza
giuridica,   per   il   retroattivo  assoggettamento  ad  imposta  di
situazioni  non  ritenute  in  precedenza  espressioni  di  capacita'
contributiva, e dall'accentuazione del carico fiscale sulle imprese.
    2.  - La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
che la censura di violazione dell'art. 53 della Costituzione riguardi
l'art. 1, comma 2, del decreto legge n. 669 del 1996 solo nella parte
in  cui  la  norma  prevede  l'applicabilita'  del  nuovo  regime  di
alternativita' fra ammortamenti tecnici e finanziari "a decorrere dal
periodo  di  imposta  in corso alla data del 31 dicembre 1996", e non
anche   nella   rimanente  parte  secondo  cui,  ove  negli  esercizi
precedenti   siano   state  calcolate  quote  di  ammortamento  tanto
finanziario  che tecnico, "si considera gia' ammortizzato l'ammontare
delle  quote complessivamente dedotte" e "se tale ammontare supera il
costo dei beni l'eccedenza concorre a formare il reddito del predetto
periodo di imposta".
    L'eccezione  e'  infondata.  La  questione investe la complessiva
previsione  della norma, come rivela la formulazione della domanda di
rimborso  proposta  nel  giudizio  a quo, la quale (come riferisce la
stessa  ordinanza)  concerneva non soltanto le somme versate nel 1996
in   applicazione   della   nuova  regola  dell'alternativita'  degli
ammortamenti,  ma anche il versamento della parte di imposta riferita
all'inerenza  al  reddito  del  1996  dell'eccedenza  derivante dalla
precedente deduzione cumulativa.
    3.  -  Entrambe  le questioni prospettate dal resistente non sono
fondate.
    4.  -  Per  quanto concerne la censura di violazione dell'art. 77
Cost.,  secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  il
sindacato  sull'esistenza  e  sull'adeguatezza  dei presupposti della
necessita'  e  dell'urgenza  che  legittimano  il  Governo ad emanare
decreti  legge,  puo'  essere esercitato - a prescindere dai problemi
relativi  all'identificazione  dei  suoi  limiti  -  solo  in caso di
"evidente mancanza" dei requisiti stessi (sentenze n. 29 e n. 161 del
1995,  n. 330 del 1996, n. 398 del 1998, nonche' ordinanze n. 432 del
1996 e n. 90 del 1997).
    In  contrasto  con  tale  orientamento,  il giudice rimettente ha
omesso  del  tutto  di  motivare  sul  punto  che,  nella  specie,  i
presupposti della decretazione d'urgenza mancano in modo "evidente" e
si  limita  a  richiamare,  a prova del loro difetto, il collegamento
della norma impugnata con la manovra di finanza pubblica per il 1997.
    Ma  -  a  parte l'opinabilita' della tesi del generale difetto di
straordinaria  necessita'  e urgenza da cui sarebbero affetti tutti i
decreti  legge  miranti a completare manovre di finanza pubblica - il
carattere  straordinario  della  situazione  cui  si  e'  riferita la
manovra finanziaria disposta alla fine del 1996, per adeguare i conti
pubblici  ai  parametri  previsti dal Trattato di Maastricht, e' gia'
stato  posto  in  rilievo da questa Corte (ordinanza n. 341 del 2000,
sentenza  n. 155  del  2001).  E,  considerata  l'importanza  di tale
adeguamento, non puo' dirsi che la straordinaria necessita' e urgenza
richiesta  dall'art. 77  della  Costituzione manchi in modo evidente,
onde la questione e' infondata.
    5.  - La censura di violazione dell'art. 53 della Costituzione e'
formulata    -   sul   presupposto   della   pretesa   retroattivita'
dell'impugnato  art. 1,  comma 2, del decreto legge n. 669 del 1996 -
sotto  il  profilo  di un assoggettamento a tassazione disposto sulla
base di capacita' contributiva riferita al passato.
    La  questione  non  e'  fondata,  per  erroneita' del presupposto
interpretativo.
    L'erroneita' riguarda anzitutto il profilo di censura concernente
la   parte  della  norma  relativa  alla  decorrenza  del  regime  di
alternativita' degli ammortamenti dal 1 gennaio 1996: poiche' infatti
questo  regime  e'  intervenuto  quando  l'anno  finanziario 1996 era
ancora  in  corso,  ne  consegue  che  il  legislatore, disciplinando
l'imposizione  tributaria  per tale anno, ha fatto riferimento ad una
capacita'  contributiva  attuale  e non passata (ordinanza n. 341 del
2000).
    6.  - Altrettanto deve dirsi per la parte della norma secondo cui
l'eccedenza  rispetto al costo dei beni, risultante dall'applicazione
del  sistema  del  cumulo delle due tipologie di ammortamento ammesso
dal vecchio regime, concorre alla formazione del reddito per il 1996.
Neppure questa previsione normativa ha efficacia retroattiva, perche'
assume  come  oggetto  di imposizione un reddito esistente al momento
della propria entrata in vigore.
    L'ammortamento  finanziario - prima cumulabile con l'ammortamento
tecnico,  ed  oggi alternativo ad esso - e' stato sovente considerato
come  una  vera  e propria agevolazione tributaria, rivolta non tanto
all'effettivo  ammortamento  di  costi  relativi  a  beni  oggetto di
concessione,  quanto  piuttosto  ad alleggerire il carico fiscale sui
concessionari;  onde  le  quote  annuali  di ammortamento finanziario
dedotte  nel  corso della concessione sono state considerate quote di
utili esenti da imposta.
    Tale qualificazione dell'ammortamento finanziario era avvalorata,
sul  piano  normativo,  dall'art. 69,  comma 4, del d.P.R. n. 917 del
1986  (soppresso  dall'art. 1,  comma  1, lettera c) n. 3 del decreto
legge  n. 669  del  1996),  secondo  cui  "l'eventuale differenza tra
l'ammontare  complessivo  delle  quote  di  ammortamento  finanziario
dedotte  durante  la concessione e il costo non ammortizzato ai sensi
degli   articoli 67   e   68   concorre  a  formare  il  reddito  ...
nell'esercizio in cui avviene la devoluzione".
    Infatti,  l'eventualita' che, scaduta la concessione, le quote di
ammortamento  finanziario  potessero  superare  il costo dei beni non
ammortizzato con l'ammortamento tecnico, rivela la totale estraneita'
dell'ammortamento      finanziario     alle     finalita'     tipiche
dell'ammortamento; e, nel contempo, la qualificazione normativa della
differenza  come  reddito  discende dal rilievo che, limitatamente ad
essa,  l'ammortamento  finanziario aveva consentito al concessionario
di  accantonare  un  utile,  e  che  ad  esso  potevano attribuirsi i
caratteri  tipici  di  sopravvenienza  attiva  nell'esercizio  in cui
avveniva la devoluzione.
    In questa prospettiva, la differenza tra le quote di ammortamento
finanziario  accantonate fino al 31 dicembre 1995 e il costo dei beni
non  ammortizzato  con  ammortamento  tecnico  ben  poteva, una volta
soppressa  l'agevolazione  a  decorrere  dall'esercizio  1996, essere
considerata   dal   legislatore   come  idoneo  indice  di  capacita'
contributiva per quell'esercizio.
    In  conseguenza  -  correlandosi  la  scelta  legislativa  ad una
capacita' contributiva attuale e non passata - deve escludersi che la
norma abbia portata retroattiva.
    7.  -  L'ordinanza  di rimessione evoca il parametro dell'art. 53
della  Costituzione  anche  sotto  il diverso profilo che l'inopinata
soppressione  del  regime  del  cumulo, risalente nel tempo, e la sua
sostituzione  con  la nuova regola dell'alternativita' avrebbero leso
l'affidamento dei contribuenti.
    Ma  questa  Corte  ha  piu'  volte sottolineato come il principio
sancito dall'art. 53 della Costituzione abbia un carattere oggettivo,
in   quanto  si  riferisce  ad  indici  concretamente  rivelatori  di
ricchezza   e   non  gia'  a  stati  soggettivi  di  affidamento  del
contribuente,  se  del  caso  rilevanti  ai fini del diverso - ma non
richiamato  - parametro costituzionale della ragionevolezza (sentenza
n. 229  del  1999; in precedenza sentenza n. 143 del 1982 e ordinanza
n. 542 del 1987).