Ricorso della Regione Umbria, in persona del presidente della giunta regionale Maria Rita Lorenzetti, autorizzata con deliberazione della giunta regionale n. 126 del 13 febbraio 2002 (all. 1), rappresentata e difesa, per procura apposta a margine del presente atto, dagli avv.ti Giandomenico Falcon di Padova, Maurizio Pedetta di Perugia e Luigi Manzi di Roma, ed elettivamente domiciliata in Roma nello studio dell'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri 5, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 21 dicembre 2001, n. 443, delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2001, supplemento ordinario, con riguardo alle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14, per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, nel testo recato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. F a t t o Nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2001 e' stata pubblicata la legge 21 dicembre 2001, n. 443 - meglio nota come "legge obiettivo" - contenente "Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive". In concreto la legge - che e' composta di un solo articolo - e' primariamente ordinata alla elaborazione ed attuazione di un programma, approvato dal Governo, di opere infrastrutturali e di impianti definiti di carattere "strategico" ovvero di "preminente interesse nazionale". Piu' precisamente l'unico articolo, nei commi da 1 a 5, prevede la delega in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici; nei commi da 6 a 14 prevede alcune semplificazioni in materia di attivita' edilizia, consentendo la realizzazione di tutta una serie di interventi "a scelta dell'interessato" in base a semplice denuncia di inizio di attivita', in alternativa all'ordinario regime di concessione o autorizzazione edilizia; infine nei commi da 15 a 19 prevede nuove norme in materia di smaltimento dei rifiuti. Con specifico riguardo al programma di "infrastrutture pubbliche e private" e di "insediamenti produttivi e strategici e di preminente interesse nazionale", di cui ai commi da 1 a 5 dell'articolo unico, va rilevato che la sua definizione rimane riservata esclusivamente al Governo, sia pure su proposta dei Ministri competenti e sentite le regioni interessate, ovvero su proposta delle stesse regioni e sentiti i Ministri competenti. E' dunque il Governo che valuta la portata "strategica" degli insediamenti ed il carattere di "preminente interesse nazionale" delle opere da includere nel programma. Cosi' come e' ancora il Governo che attraverso i decreti legislativi di cui ai commi 2, 3 e 4 e' abilitato a definire il "quadro normativa" - in realta' l'intera normativa - "finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti" di cui al comma 1, introducendo un "regime speciale", derogatorio della normativa in materia di lavori pubblici dettata con la legge 11 febbraio 1994, n. 109, sulla base di principi e criteri direttivi che, oltre a stravolgere la disciplina generale, ai fini che qui in particolare interessano mantengono complessivamente marginale il ruolo delle regioni. Non solo infatti nella fase della programmazione non e' prevista alcuna forma di intesa con le regioni, ma anche nelle fasi successive ogni decisione risulta accentrata in sede statale, se si fa eccezione per l'intesa sulla localizzazione dell'opera - peraltro gia' prevista sin dal decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 - e dalla partecipazione del presidente alle sedute del CIPE dedicate alla gestione dei progetti inseriti nel programma. Secondo i principi statuiti dalla legge di delega al comma 2, lettera c), infatti, dovra' essere attribuito al CIPE (come detto integrato dai presidenti delle regioni interessate), il compito "di valutare le proposte dei promotori, di approvare il progetto preliminare e definitivo, di vigilare sulla esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell'opera e, ove prevista, della via istruita dal competente Ministero". Spetta, poi, ancora al Governo (comma 3) "integrare e modificare il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554", di attuazione della legge n. 109 del 1994. E spetta ancora al Governo di approvare definitivamente gli "specifici progetti di infrastrutture strategiche" individuate col programma di cui al comma 1, attraverso uno o piu' decreti legislativi. La legge n. 443 del 2001, di cui si sono esposti i lineamenti principali per la parte relativa alle opere, trae origine dal d.d.l. n. 374, presentato al Senato il 3 luglio 2001, ed e' stata percio' inizialmente predisposta ed elaborata nel vigore del precedente assetto costituzionale: del quale converra' qui ricordare da una parte che la competenza regionale in materia di lavori pubblici non solo aveva carattere concorrente, ma era espressamente delimitata dalla Costituzione ai lavori "di interesse regionale"; dall'altra, quanto agli insediamenti produttivi, che nessuna competenza costituzionale le regioni avevano in materia di attivita' produttive diverse da quelle relative all'artigianato e all'agricoltura. Anche nel vigore del vecchio testo costituzionale, tuttavia, alcune delle disposizioni allora proposte, ed ora divenute legge, avrebbero comunque costituito un elemento di riaccentramento in relazione a funzioni gia' acquisite alle regioni in attuazione del precedente riparto costituzionale. In effetti, il riparto tra opere statali ed opere regionali era stato da ultimo definito dall'art. 93 del decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale manteneva alla competenza statale, per quanto qui interessa, le funzioni relative: "a) alla responsabilita' dell'attuazione dei programmi operativi multiregionali dei quadri comunitari di sostegno con cofinanziamento dell'Unione europea e dello Stato membro, escluse la realizzazione e la gestione degli interventi; b) alla programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di opere pubbliche relative a organi costituzionali o di rilievo costituzionale o internazionale; c) alla programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge statale; d) alla programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di opere in materia di difesa, dogane, ordine e sicurezza pubblica ed edilizia penitenziaria; e) alla programmazione, alla localizzazione e al finanziamento della realizzazione e della manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili destinati a ospitare uffici dell'amministrazione dello Stato, nel rispetto delle competenze conferite alle regioni e agli enti locali e fatte salve le procedure di localizzazione e quanto previsto dall'art. 55; h) alla valutazione tecnico-amministrativa dei progetti delle opere di competenza statale ai sensi del presente articolo.". Insomma, a parte le opere riservate allo Stato per ragioni particolari (per attenere ad organismi peculiari, per attenere alle stesse amministrazioni statali, per attenere alla difesa, dogane, ordine e sicurezza pubblica o alle prigioni: v. lettere b, d ed e ora citate) il riparto generale tra Stato e regioni intestava allo Stato soltanto "la programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge statale" (lett. c): ed e' chiara la ragione di una simile riserva, da individuarsi nella necessaria unitarieta' e completezza della rete infrastrutturale in questione. Non si trattava dunque di generiche "infrastrutture pubbliche e private" e di "insediamenti produttivi" soggettivamente qualificati dal Governo stesso quali "strategici e di preminente interesse nazionale", ma di opere corrispondenti ad una qualificazione oggettiva nel consistere in reti, ed assistite dall'ulteriore garanzia costituita dalla dichiarazione con legge del loro "interesse nazionale". Risulta dunque evidente come, anche rapportati al precedente assetto costituzionale, i meccanismi previsti dalla legge n. 443 del 2001 estendessero la competenza statale, riponendone i confini in definitiva nel solo apprezzamento finale definitivo ed insindacabile del Governo: apprezzamento a seguito del quale qualunque opera o insediamento produttivo puo' essere qualificato come "strategico" e "di preminente interesse nazionale". Tuttavia, di fronte all'allora progetto del Governo, le regioni - ovviamente interessate anch'esse al grande sforzo finanziario che lo Stato pareva voler compiere per dotare il Paese di infrastrutture adeguate - non assunsero un atteggiamento di opposizione, ma si limitarono a richiedere, gia' nella Conferenza del 25 luglio 2001, proposte di modifica rivolte a migliorare l'efficacia della legge attraverso un processo di condivisione fra le istituzioni competenti, che portasse alla formazione di un programma comune tra Stato e regioni, relativo alle principali infrastrutture di cui l'Italia ha bisogno. Inoltre, le regioni si preoccupavano che il programma "straordinario" di opere non andasse a scapito delle opere gia' ordinariamente programmate, e di non meno urgente realizzazione. Oltre due mesi prima che la legge n. 443 del 2001 venisse approvata e' entrata in vigore la legge costituzionale n. 3 del 2001, la quale reca rilevanti modificazioni al titolo V della parte seconda della Costituzione, ed in particolare, per quanto qui interessa, all'art. 117 della Costituzione. E' ben noto infatti che (diversamente dal precedente art. 117, che si limitava ad indicare in modo tassativo le materie di competenza regionale, specificando gli speciali limiti entro i quali tale potere di legiferare veniva dato) il nuovo art. 117 si pone come la norma generale regolatrice della competenza legislativa ordinaria sia dello Stato che delle regioni, stabilendo tra Stato e regioni un vero e proprio riparto di competenza, attraverso la distinzione fra materie (e compiti) assegnati alla competenza legislativa esclusiva statale, materie assegnate alla legislazione concorrente di Stato e regioni, e materie non definite assegnate alla competenza residuale delle regioni. Ora, come meglio si dira' nella parte in diritto, era inevitabile che le disposizioni pensate nel precedente assetto costituzionale, e gia' in esso parzialmente stridenti con il sistema delle competenze faticosamente aggiustato in anni di attuazione costituzionale, si trovassero maggiormente prive di idonea base costituzionale nel nuovo assetto, che consapevolmente riduce in modo drastico l'area dei poteri e delle responsabilita' esclusive dello Stato, ed allarga in modo rilevante sia l'area delle materie di "corresponsabilita'" statale e regionale, sia l'area delle materie di esclusiva responsabilita' regionale. Ma anche nella nuova situazione, che evidentemente avrebbe giustificato richieste regionali ben piu' radicali degli aggiustamenti gia' richiesti nel vigore del precedente titolo V, le regioni hanno mantenuto un atteggiamento da un lato consapevole di una situazione in un certo senso di transizione, dall'altro ancora rivolto a non contrastare in modo frontale decisioni di intervento e di spesa che - quanto meno nell'attuale situazione reale, ed in particolare nel presente sistema finanziario, certamente (ad avviso della ricorrente regione) non adeguato ai nuovi articoli 117, 118 e 119 - non potrebbero non richiedere l'intervento dello Stato. In definitiva, le regioni e gli enti locali, pur ritenendo la nuova legge assai lontana dal disegno costituzionale che il legislatore statale dovrebbe contribuire ad attuare come situazione per cosi' dire "a regime", hanno in pratica mantenuto le stesse gia' moderatissime richieste espresse fin dall'inizio, limitandosi nella seduta della Conferenza unificata del 20 dicembre 2001 (cfr. verbale n. 22/01, doc. 2) a richiedere che alla legge nel frattempo appena approvata venissero apportati emendamenti relativi in primo luogo, e fondamentalmente, alla fase della programmazione degli interventi, in secondo luogo, ma solo marginalmente, alla fase della realizzazione. Quanto alla programmazione degli interventi, si richiedeva che essa comprendesse una doppia intesa. Da un lato, cioe', il programma delle opere da realizzare all'interno di ciascuna regione avrebbe dovuto essere predisposto dal Ministro delle infrastrutture e trasporti d'intesa non solo con i Ministeri di settore ma con la regione o provincia autonoma interessata, dall'altro lo stesso programma, nella sua globalita', avrebbe dovuto essere inserito nel documento di programmazione economico-finanziaria (con indicazione degli stanziamenti necessari) previa intesa con la Conferenza unificata. Quanto alla fase della realizzazione degli interventi, le regioni si sarebbero accontentate, nella richiesta di emendamenti, di una partecipazione alla fase esecutiva fornendo collaborazione e capacita' tecniche. Nella ricordata seduta del 20 dicembre 2001 il presidente della Regione Piemonte (e contemporaneamente presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni), dopo l'esposizione introduttiva del Ministro chiese di conoscere "i tempi entro i quali il Governo ritiene di poter varare il provvedimento di recepimento delle modifiche normative da apportare alla predetta legge-obiettivo", nonche' "gli strumenti da porre in essere per gestire le "intese che le regioni singolarmente intendono formalizzare col Ministro con riguardo alle grandi infrastrutture previste dal programma di cui all'informativa odierna" (p. 15 verbale). A tale domanda il Ministro rispose ribadendo che e' "intendimento del Governo recepire in tempi contenuti le istanze di modifica rappresentate dalle regioni con riferimento all'art. 1, comma 1, della legge-obiettivo", aggiungendo di essere "consapevole del significato che assume la richiesta di rafforzare la collaborazione Stato - regioni attraverso lo strumento delle richieste "intese , specie per la scelta delle grandi opere strategiche". Aggiunse infine il Ministro di ritenere che il "formale recepimento" delle modifiche potesse avvenire "al massimo entro sessanta giorni, termini entro i quali si ritiene di dover procedere all'esercizio delle deleghe previste dalla legge stessa" (p. 15 verbale). Ad oggi, trascorsi i sessanta giorni indicati come periodo massimo, nessuna di tali modifiche risulta in alcun modo presentata dal Governo quale disegno di legge o quale emendamento a disegno di legge. Ove poste in raffronto al parametro costituzionale definito nel nuovo titolo V della Costituzione dall'art. 117, le disposizioni della legge n. 443 del 2001 ledono sotto molteplici profili l'ordine costituzionale delle competenze legislative delle regioni, e segnatamente della ricorrente Regione Umbria, per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, in quanto assegna al Governo il compito di individuare generiche infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, al di fuori delle materie di competenza legislativa statale, ed in quanto assegna al solo Governo il compito di individuare le opere rientranti nelle materie di legislazione concorrente. Come esposto in narrativa, la legge n. 443 del 2001 prevede in primo luogo che sia il Governo ad individuare, a seguito della procedura sopra accennata, "le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi e strategici e di preminente interesse nazionale". Di fronte a tale previsione legislativa - come di fronte alle altre oggetto della presente impugnazione - non si puo' evitare di verificare in primo luogo se vi sia congruenza con i disposti del nuovo art. 117 della Costituzione quanto alla titolarita' della funzione legislativa ordinaria. Posto che, come sopra accennato, i poteri legislativi riconosciuti allo Stato sono distinti in esclusivi (quelli elencati dal comma 2) e concorrenti (nelle materie di cui al comma 3), occorre verificare se la materia disciplinata dalla legge n. 443 possa rientrare negli uni o negli altri. Quanto alle potesta' statali esclusive, l'elenco delle materie soggette a questa regola e' relativamente ampio, constando di svariate indicazioni di materia o di compito attribuiti alla sola responsabilita' statale, raggruppati in diciassette lettere: ma nessuna di tali indicazioni si riferisce a materie in qualunque modo avvicinabili a quelle oggetto della legge n. 443 del 2001. Certo vi e' implicata in qualche modo la materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (previste dalla lett. s del comma 2), ma non si puo' certo dire che la legge n. 443 riguardi di per se' tale materia, che figura semmai nella disciplina quale "valore antagonista" rispetto a quello connesso alla realizzazione delle infrastrutture strategiche. La "vera" materia potrebbe immaginarsi come "lavori pubblici di interesse nazionale": ma una simile materia, che il legislatore costituente avrebbe agevolmente potuto prevedere, anche sulla base del precedente testo costituzionale (nel quale erano assegnati alle regioni i lavori pubblici di interesse regionale), non e' stata affatto prevista: non solo, ma la sua stessa possibilita' giuridica e' contraddetta dalla circostanza (sulla quale subito si tornera) che la presunta o reale dimensione dell'interesse non e' piu' oggi un autonomo elemento indicatore, sul piano costituzionale, della competenza legislativa statale. Cio' e' dimostrato dal carattere stesso delle materie affidate alla competenza concorrente, nel cui elenco figurano materie quali quelle denominate "porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di navigazione", "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia": materie cioe' nelle quali l'implicazione della dimensione nazionale dell'interesse sta nella stessa denominazione: come potrebbero ad esempio le grandi reti di trasporto e di navigazione non essere al tempo stesso di interesse nazionale? Il fatto e', dunque, che la scelta del legislatore costituzionale e' andata nel senso di non tradurre la rilevanza nazionale dell'interesse in un fattore di esclusione della potesta' legislativa regionale. Di piu', essa e' stata nel senso di considerare la potenziale dimensione nazionale degli interessi come rilevante in relazione al riparto solo nell'ambito di quanto assegnato allo Stato a titolo di potesta' legislativa esclusiva o concorrente. Non puo' non rilevarsi a questo punto che non solo la legge n. 443 del 2001 non trova la sua base giuridica in una potesta' legislativa esclusiva dello Stato, ma che si stenta altresi' a trovarla nell'ambito delle materie di potesta' concorrente, previste dal comma 3 del nuovo art. 117 della Costituzione: nelle materie, cioe', in cui comunque, a termini di Costituzione, "spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". In questo ambito si riscontrano materie quali quelle sopra ora ricordate ("porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di navigazione", "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia") ed anche una materia piu' genericamente definita, quale il "governo del territorio". Tuttavia, e' evidente, ad avviso della ricorrente regione, che da una lato nessuna di queste materie e' in grado di dare compiuto e totale supporto alla legge che qui si considera, dall'altro una legislazione quale quella qui considerata non sarebbe comunque conforme al concetto stesso di legislazione concorrente, secondo la ripartizione costituzionale dei compiti ad essa propria. Quanto al primo aspetto, la materia "governo del territorio" comprende certamente la disciplina di principio della localizzazione delle opere pubbliche in relazione alla programmazione urbanistica, ma non costituisce autonoma legittimazione alla disciplina della realizzazione dell'opera, riguardata nel suo oggetto e scopo specifico. Le altre materie coinvolte, dal canto loro, si riferiscono a precise categorie di opere la' dove qui si tratta di un programma del tutto generico nel quale le singole opere - e dunque il genere cui appartengono - vengono individuate a posteriori dal Governo. Si puo' supporre che parte delle infrastrutture strategiche potra' riguardare le grandi reti di trasporto, le strade e le autostrade. Cio' pero' fonderebbe un potere legislativo statale su tali specifiche opere, e non un potere su generiche "opere strategiche": in realta', poi, il carattere strategico di un'opera non e' un elemento oggettivo ad essa proprio, ma mia mera valutazione di importanza in relazione ad un fine. Inoltre, la attuale previsione costituzionale di un potere legislativo concorrente dello Stato e delle regioni su tali opere, chiaramente anche di interesse "nazionale", implica su di esse un coinvolgimento di entrambi i livelli di Governo: e tale coinvolgimento non puo' non trovare espressione in tutte le fasi della programmazione e della realizzazione di tali opere. In sintesi, proprio per le grandi opere, quali le maggiori reti di trasporto, la nuova Costituzione implica una responsabilita' comune e condivisa dello Stato e delle regioni: non certo dunque e' precluso allo Stato di occuparsene, anche in termini di iniziativa, promozione, finanziamento o cofinanziamento; ma gli e' oramai precluso di occuparsene come di cosa esclusivamente propria. Per le opere non rientranti nelle materie di potesta' concorrente, invece, vale ad avviso della ricorrente regione il principio sopra enunciato, ai sensi del quale l'art. 117 della Costituzione esclude la rilevanza specifica di una valutazione di interesse nazionale ovvero regionale dell'opera, essendo tali interessi valutati a priori dalla Costituzione come incapaci di incidere sul riparto delle materie e degli ambiti di rispettiva legislazione. Di qui l'illegittimita' costituzionale, nei termini descritti, del comma 1 dell'art. 1 della legge n. 443 del 2001. Vale solo la pena di osservare qui, conclusivamente sul punto, che le censure qui esposte non trovano risposta nella generica frase che apre il comma, secondo la quale il Governo dovrebbe agire "nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni". Tale frase indica che il legislatore ha avvertito il problema; ma e' evidente che una cosi' generica espressione non e' idonea a risolverlo, quando la disciplina specificamente dettata sia contrastante con il rispetto di tali attribuzioni. In effetti, proprio in quanto tale indicazione e' riferita a tutte le regioni, essa non puo' che intendersi non come una eventuale o possibile non applicazione delle norme di legge, ma soltanto come guida per il Governo nella sua azione attuativa di quanto disposto dalla legge. Essa non vale dunque avverso le censure riferite alla legge stessa. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, in quanto delega il Governo a disciplinare oggetti sottratti alla competenza legislativa statale, o a disciplinare gli oggetti rientranti in termini che escludono la competenza legislativa concorrente delle regioni. Considerazioni analoghe a quelle appena svolte valgono in relazione al comma 2 dell'art. 1 (e unico) della legge n. 443 del 2001. In primo luogo tale comma si riferisce, attraverso il riferimento al comma 1 - e come del resto questo - anche ad opere ed interventi che non rientrano ne' in clausole di potere legislativo esclusivo ne' in clausole di potere legislativo concorrente dello Stato. Si tratta, in particolare, della delega a disciplinare la programmazione, la realizzazione e la gestione in quanto opere pubbliche di tutte le opere e gli interventi che non si possano comprendere nelle materie concorrenti sopra indicate, cioe' "porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di navigazione", "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia". In relazione a tali oggetti la legge delega poteri legislativi che non le competono: e tale carenza di poteri legislativi, attenendo in generale alla disciplina dell'opera, investe ugualmente la delega in se' e tutti i principi e criteri direttivi posti per il suo esercizio dalle lettere da a) a o), senza che qui occorra esaminarli nel dettaglio. Quanto poi alle opere che invece rientrano nelle materie in cui l'art. 117, terzo comma, della Costituzione assegna allo Stato potesta' legislativa, concorrente con quella delle regioni, l'illegittimita' costituzionale si rileva nel senso che, ben lungi dal porre principi nel cui ambito debba esplicarsi la potesta' legislativa concorrente delle regioni, secondo la previsione costituzionale, il legislatore statale prefigura un sistema ad esclusiva normazione statale: tanto che non solo si prevede una disciplina legislativa delegata praticamente completa ed esaustiva, ma addirittura al successivo comma 3 dell'art. 1 si dispone che il Governo integri e modifichi "il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554", per adeguarlo alla stessa legge n. 443 e ai decreti legislativi delegati. E' evidente quanto questo modello sia lontano da quanto disposto dalla vigente Costituzione: la quale prevede che le opere pubbliche non specialmente qualificate come soggette a potesta' legislativa statale - cioe' la generalita' delle opere pubbliche - siano disciplinate dalle sole regioni, e che le opere pubbliche di interesse nazionale rientranti nelle materie prima indicate siano disciplinate in regime concorrente dallo Stato e dalle regioni. In altre parole la Costituzione prefigura anche per le opere maggiori un sistema nel quale la competenza legislativa ripartita non puo' non riflettersi in una gestione congiunta, nella quale lo Stato e le regioni svolgono ciascuno un ruolo fondamentale in tutti i momenti in cui l'amministrazione di tali opere si scompone, secondo le regole dei principi di sussidiarieta' e di leale cooperazione. Eventuali esigenze di uniformita' della disciplina non possono portare ad alterare il quadro costituzionale delle competenze, ma semmai a valorizzare pienamente gli strumenti che la stessa Costituzione prevede. Tra essi, va ricordato che il comma ottavo dello stesso art. 117 prevede "le intese della regione con altre regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni anche con individuazione di organi comuni". Non e' esclusa, dunque, tra piu' regioni interessate alla realizzazione di una stessa opera, una legislazione uniforme con individuazione di strumenti comuni di gestione dell'iniziativa. Da quanto esposto deriva la conclusione dell'illegittimita' costituzionale del comma 2, nei termini sopra argomentati. 3. - Specifica illegittimita' delle discipline di cui all'art. 1, comma 2, lettera g) e lettera n), seconda frase, per violazione del diritto europeo. Il comma 2, lett. g) prevede l'obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica: tuttavia, solo "nel caso in cui l'opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici". Tale limitazione risulta, ad avviso della ricorrente regione, contraria al diritto comunitario. Essa non ha riscontro nella direttiva 93/37 Cee, neppure nel caso del ricorso all'istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3 par. 1) o all'affidamento ad unico soggetto contraente generale. In ogni caso, infatti, il contratto e', e resta, un appalto di lavori, cioe' un contratto a titolo oneroso tra un imprenditore e un'amministrazione aggiudicatrice. Anche la partecipazione diretta al finanziamento dell'opera o il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti, da parte del contraente generale (comma 2, lett. f) non rileva ai fini dell'esenzione dal regime comunitario: e cio' a maggiore ragione se, come sembra, i privati si limitano in realta' ad anticipare mezzi finanziari che peseranno poi sull'aggiudicatore pubblico. La disciplina comunitaria pone vincoli al soggetto aggiudicatore anche nel caso di utilizzo dell'istituto della concessione di lavori pubblici, in un'ipotesi cioe', in cui il rischio imprenditoriale e' ben maggiore, dal momento che il concessionario e', per definizione, il gestore dell'opera realizzata ed assume l'alea legata all'aspetto finanziario dell'operazione, il "rischio economico" (e non solo il rischio della realizzazione e dell'anticipazione dei mezzi finanziari). La regione ritiene di avere interesse a tale censura sia in quanto titolare di competenza legislativa concorrente (come esposto nei precedenti punti), sia in quanto l'emanazione di norme contrastanti con normativa europea rendera' non piu' semplice ma al contrario piu' difficoltosa la realizzazione delle opere, alla cui realizzazione la regione stessa ha interesse, per il probabile avvio di contestazioni in sede comunitarie. Sotto questo secondo aspetto esiste un interesse regionale anche ad una seconda analoga censura, riguardante l'art. 1, comma 2, lett. n), seconda frase: la quale prevede la restrizione, per tutti gli "interessi patrimoniali" (che ovviamente sono sempre in gioco nel campo dei lavori pubblici), della tutela cautelare al "pagamento di una provvisionale". Questa disposizione riduce, in contrasto con le disposizioni comunitarie della direttiva 89/665/Cee (c.d. direttiva ricorsi), le possibilita' di tutela piena per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti. Ora la stessa direttiva ricorsi tollera una attenuazione della tutela al risarcimento del danno ma limitatamente alla fase successiva alla "stipulazione di un contratto in seguito all'aggiudicazione dell'appalto" (art. 2, comma 6). L'art. 1, comma 2, lett. n della legge n. 443/2001 estende la limitazione alla fase cautelare. In tal modo si preclude, in particolare, la sospensione del provvedimento impugnato e si rende possibile la prosecuzione della gara fino alla stipulazione del contratto consolidando gli effetti di eventuali atti illegittimi compiuti nella procedura di gara (poiche' i danni conseguenti saranno - sempre e solo - risarciti per equivalente). E' evidente che questa soluzione - che tra l'altro appare incompatibile anche con l'art. 113 della Costituzione - comporta potenzialmente un forte aggravio dei costi, data la necessita' di pagare due volte il profitto d'impresa (una volta a titolo di compenso, la seconda a titolo di danno). Inoltre, data la probabile reazione delle autorita' comunitarie e delle imprese interessate, essa finira' per complicare ulteriormente la vicenda delle opere interessate. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, nella parte in cui esso dispone che il Governo modifichi o integri il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. Il regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, altro non e' che il regolamento di attuazione della legge n. 109 del 1994, cioe' della legge quadro sui lavori pubblici. Nella sua stessa denominazione di legge quadro tale legge si riferisce alla situazione costituzionale previgente, nella quale vi era un riparto tra i lavori pubblici di interesse regionale, affidati alla competenza legislativa concorrente di Stato e regioni, e lavori pubblici di interesse statale, per i quali esisteva la potesta' legislativa solo dello Stato. Poiche' tale legge quadro prevedeva un regolamento di attuazione, che avrebbe dovuto costituire (insieme alla legge) la disciplina generale dei lavori pubblici, alcune regioni proposero ricorso a codesta ecc.ma Corte costituzionale: la quale con sentenza n. 482 del 1995 statui' (punto 8 in diritto) che le disposizioni di tale regolamento non avrebbero dovuto riguardare le regioni e le opere di loro competenza. Cio' completava il quadro attuativo della Costituzione, cosi' come allora vigente. Tuttavia, la Costituzione oggi vigente statuisce che "la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni" che la stessa potesta' regolamentare "spetta alle regioni in ogni altra materia". Da quanto esposto al punto 1) appare evidente, ad avviso della ricorrente regione, che in nessun modo si puo' affermare che la disciplina delle opere pubbliche o di interesse pubblico considerate dalla legge n. 443 del 2001 rientri in alcuna delle materie di legislazione statale esclusiva. E' dunque inevitabile la conclusione che in relazione a tali opere non puo' spettare allo Stato alcuna potesta' regolamentare. Di qui la palese illegittimita' costituzionale del comma 3 nella parte impugnata. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, in quanto delega il Governo ad emanare decreti legislativi recanti l'approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche. Le argomentazioni sopra svolte colpiscono anche il comma 4 della legge qui impugnata. Come sopra argomentato, infatti, dal punto di vista costituzionale le cosiddette "infrastrutture strategiche" rientrano in parte in materie di potesta' legislativa concorrente, in parte in materie di potesta' legislativa regionale residuale. Per queste seconde, sembra evidente che nessun "decreto legislativo" e' ammesso per la diretta approvazione definitiva dell'opera, stante che non vi e' alcuna potesta' legislativa statale specifica nella materia. Non si nega qui che lo Stato possa intervenirvi - quanto meno nella situazione attuale della finanza pubblica, non ancora adeguata al riparto costituzionale di competenze - con la decisione di allocare per tali opere adeguate risorse finanziarie, delle quali le regioni interessate non potrebbero altrimenti disporre; ma cio' non puo' comportare la totale alterazione delle regole costituzionali in tema di disciplina della realizzazione dell'opera pubblica. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14. Oltre che nei confronti delle disposizioni dei primi quattro commi dell'art. 1 della legge n. 443/2001, l'impugnazione proposta col presente ricorso e' volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimita' costituzionale anche della disciplina "edilizia" dettata in particolare nei commi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14. Con il comma 6 si indicano alcuni interventi edilizi - precisamente gli "interventi edilizi minori, di cui all'art. 4, comma 4, del citato decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398" (lett. a), le "ristrutturazioni edilizie" (lett. b), gli "interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi" con determinate caratteristiche (lett. c), nonche' "i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici", diversi dai piani attuativi ma "recanti analoghe previsioni di dettaglio" (lett. d) - per i quali l'interessato puo' scegliere la realizzazione "in base semplice denuncia di inizio di attivita'" in alternativa a concessione o autorizzazione edilizia. Al comma 6 e' collegato il comma 12, il quale precisa che "le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge", e che le stesse regioni "con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o a autorizzazione edilizia". Tale comma potrebbe apparire "liberale" verso le regioni, che vengono "autorizzate" a mantenere un piu' severo regime di controllo dell'attivita' edilizia. Ma esso e' in realta' esso stesso lesivo, ove voglia esprimere l'idea che spetti al legislatore ordinario indicare puntualmente cosa possa o debba fare il legislatore regionale pur in materie appartenenti alla competenza concorrente o, addirittura, esclusiva delle regioni. Si tratta di un'idea del tutto estranea al nuovo ordinamento costituzionale, che rischia di ridurre la potesta' legislativa regionale al semplice intervento puntuale ovvero, nel migliore dei casi, entro i confini della mera attuazione. Il comma 7 e' privo di autonomo contenuto dispositivo, limitandosi a far salve le norme vigenti sugli oneri di urbanizzazione e sul contributo al costo di costruzione, confermandone il vigore. Lo stesso dicasi per il comma 8, che conferma il regime di tutela storico- artistica o paesaggistico-ambientale. Il comma 9 prevede che "qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio dell'attivita' di cui all'art. 4, comma 11, del citato decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, decorre dal rilascio del relativo atto di assenso", e che "in caso di esito non favorevole, la denuncia e' priva di effetti". Il comma 10 dispone che "qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni". In questo caso "il termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio dell'attivita' decorre dall'esito della conferenza", mentre "in caso di esito non favorevole, la denuncia e' priva di effetti". Infine, il comma 14 delega il Governo a introdurre modifiche e adeguamenti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche cosi disposte. Ad avviso della ricorrente regione, tutte tali disposizioni sono costituzionalmente illegittime. Nel nuovo ordinamento recato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 le materie sulle quali le regioni godevano di potesta' legislativa concorrente ai sensi del precedente primo comma dell'art. 117 sono in genere transitate nelle materie di potesta' regionale "residua". Cio' e' accaduto, in particolare, per le competenze gia' attribuite alle regioni in materia di "urbanistica", definita dall'art. 80 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 come "la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo". Nelle materie "concorrenti" di cui al terzo comma dell'art. 117 sono invece confluite materie diverse, o aspetti piu' generali ed ampi. In particolare, venuta meno l'urbanistica, tra le materie concorrenti compare invece la materia del "governo del territorio". Ma essa non puo' dirsi materia comprensiva della disciplina edilizia in quanto tale, nella sua specificita'. Sembra invece evidente che l'espressione governo del territorio allude a quei fenomeni che per la loro importanza e dimensione assumono rilievo generale sui caratteristici tratti che identificano un territorio, determinando i suoi caratteri propri. In altre parole, la (concorrente) competenza statale in materia di principi relativi al governo del territorio corrisponde dunque all'esigenza che le regole relative al governo del territorio, nel senso indicato, abbiano, pur nella varieta' delle possibili soluzioni regionali, degli elementi di unificazione e di unita'. Ma una volta stabilite le regole che servono a definire i tratti essenziali dello sviluppo territoriale, la concreta attivita' edilizia ricade per intero nelle materie "innominate" di cui al quarto comma dell'art. 117, per le quali e' ormai intera ed esclusiva la responsabilita' regionale. Ma se pure si volesse ritenere (come la ricorrente regione non ritiene) che tuttora esista una competenza legislativa statale idonea alla determinazione altresi' dei principi che riguardano le attivita' edilizie, il nuovo assetto costituzionale implica, ad avviso della ricorrente regione, che lo Stato dovrebbe limitarsi alla indicazione dei principi, lasciando alle regioni il compito di tradurre i principi in norme operative. Cio' deriva in primo luogo dalla formulazione stessa del comma 3 del nuovo art. 117 Cost., nel quale la competenza statale e' espressamente limitata alla definizione dei principi, con l'affermazione che invece per il resto la potesta' legislativa spetta alle regioni. In secondo luogo, va sottolineato come nel caso di specie ci si trovi in presenza non di materia di prima legiferazione, nella quale possa anche comprendersi una disciplina destinata nel tempo a lasciare spazio alle discipline regionali, ma di materia nella quale le regioni da tempo hanno legiferato. In particolare, la Regione Umbria ha disciplinato la materia con le leggi regionali n. 53 del 2 settembre 1974, n. 28 del 10 aprile 1995, n. 31 del 21 ottobre 1997 e n. 34 del 30 agosto 2000. E' pur vero che il comma 12 della disposizione nella presente sede impugnata ritarda di novanta giorni l'applicazione del comma 6, e consente alle leggi regionali di individuare quali degli interventi indicati al comma 6 continuino ad essere assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia. Tuttavia, da una parte, pur ritardata di tre mesi, la disciplina statale ha pur sempre carattere operativo e non di principio; dall'altra, la scelta affidata al legislatore regionale appare limitata al momento di fissare se per un certo intervento e' necessario o meno il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10, che pure contengono mere norme procedurali e di dettaglio, appaiono intangibili da parte del legislatore regionale. Piu' articolate considerazioni richiede il comma 14, il quale, come detto, delega il Governo a modificare il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche disposte dalla legge n. 443, qui impugnata. In questo caso, infatti, e' il concetto stesso di testo unico che ripugna al riparto costituzionale delle competenze. Cio' risulta del tutto ovvio per le materie "residuali regionali": nelle quali, per definizione, non vi e' una potesta' legislativa statale relativa alla materia (norme statali vi potranno invece essere, ma non in forma sistematica, in attuazione dei compiti riservati allo Stato nelle sue materie esclusive, come ad esempio le norme sui livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti sociali). In queste materie, infatti, la vigente Costituzione prevede fisiologicamente l'esistenza di autonomi sistemi di regolazione regionali, senza interferenza di normativa statale se non nei limiti indicati. Ma considerazioni non dissimili valgono anche per le materie di competenza concorrente. Anche in queste, infatti, la normalita' costituzionale prevede che la diretta disciplina operativa delle materie sia essenzialmente regionale, con il vincolo di conformarsi ai principi della legislazione statale. Sembra percio' evidente che non vi puo' essere un "testo unico" delle disposizioni relative ad una materia concorrente, perche' esso conterrebbe norme statali di cui e' in realta' naturale che non si applichino in nessuna regione, se non attraverso il vincolo che i principi esercitano sulla legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo unico. Il paradosso diviene poi ancora piu' assurdo quando si tratti - come nel caso dell'edilizia - di un testo unico delle disposizioni statali legislative e regolamentari. Infatti, gia' nel precedente assetto costituzionale nelle materie di competenza legislativa regionale non avrebbero dovuto esistere norme statali regolamentari - con la sola eccezione dei regolamenti di recepimento di normativa comunitaria, ai sensi degli artt. 4 e 9 della legge n. 86 del 1989, come la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha costantemente affermato (v. tra le altre, ampiamente, la sentenza n. 408 del 1998; si noti che la stessa eccezione dei regolamenti attuativi di norme comunitarie trovava comunque critica almeno parte della dottrina, gia' nell'ambito del precedente titolo V: cfr. G. Guzzetta, Regolamenti statali a carattere suppletivo e competenze regionali: dalla "decostituzionalizzazione" alla "delegificazione" dell'autonomia territoriale in nome del diritto comunitario, in Giur. cost., 1999, p. 3746 ss.). Nel nuovo testo costituzionale e' chiaramente enunciata la regola secondo la quale "la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva", mentre "spetta alle regioni in ogni altra materia". Ma anche restando (come in questo caso si resterebbe) alle norme legislative, non puo' non rilevarsi come il legislatore delegante supponga che le disposizioni del testo unico, come modificate per adeguarle alla legge n. 443 del 2001, costituiranno esse la disciplina regolatrice della materia: laddove al piu' - ove si ritenesse (al contrario di quanto la ricorrente regione ritiene) che si versi in materia concorrente - esse potrebbero soltanto costituire, eventualmente, principi limitativi della disciplina regionale. In altre parole, la stessa "manutenzione" del testo unico, nelle materie di legislazione regionale, sia generale residuale che concorrente, contraddice il riparto costituzionale. I testi unici corrispondono ad una antica aspirazione di unita' e chiarezza della normazione, e tale aspirazione conserva ovviamente una sua validita': ma in uno Stato a legislazione ripartita, come quello italiano e', essa deve trovare soddisfazione in diverse forme, in relazione alle singole regioni, e non nel tipico testo unico, caratteristico invece dello Stato accentrato. Di qui l'illegittimita' costituzionale della disposizione che prevede nuovi interventi di manutenzione secondo una tecnica inapplicabile alle materie di competenza regionale.