Ricorso  della  Regione  Umbria,  in persona del presidente della
giunta regionale Maria Rita Lorenzetti, autorizzata con deliberazione
della   giunta  regionale  n. 126  del  13 febbraio  2002  (all.  1),
rappresentata  e  difesa,  per procura apposta a margine del presente
atto, dagli avv.ti Giandomenico Falcon di Padova, Maurizio Pedetta di
Perugia  e  Luigi Manzi di Roma, ed elettivamente domiciliata in Roma
nello studio dell'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri 5,
    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale  della  legge  21
dicembre 2001, n. 443, delega al Governo in materia di infrastrutture
ed  insediamenti  produttivi  strategici  ed  altri interventi per il
rilancio   delle  attivita'  produttive,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale  n. 299  del  27  dicembre 2001, supplemento ordinario, con
riguardo  alle  disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8,
9,  10,  11,  12  e 14, per violazione degli articoli 117 e 118 della
Costituzione,  nel  testo  recato  dalla  legge  costituzionale  n. 3
del 2001.

F a t t o

    Nel  supplemento  ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27
dicembre 2001 e' stata pubblicata la legge 21 dicembre 2001, n. 443 -
meglio nota come "legge obiettivo" - contenente "Delega al Governo in
materia  di  infrastrutture  ed insediamenti produttivi strategici ed
altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive".
    In  concreto  la legge - che e' composta di un solo articolo - e'
primariamente   ordinata   alla  elaborazione  ed  attuazione  di  un
programma,  approvato  dal  Governo,  di  opere infrastrutturali e di
impianti  definiti  di  carattere  "strategico" ovvero di "preminente
interesse nazionale".
    Piu'  precisamente  l'unico articolo, nei commi da 1 a 5, prevede
la  delega  in  materia  di  infrastrutture e insediamenti produttivi
strategici;  nei  commi  da  6 a 14 prevede alcune semplificazioni in
materia  di attivita' edilizia, consentendo la realizzazione di tutta
una  serie  di  interventi  "a  scelta  dell'interessato"  in  base a
semplice   denuncia   di   inizio   di   attivita',   in  alternativa
all'ordinario regime di concessione o autorizzazione edilizia; infine
nei  commi  da 15  a 19 prevede nuove norme in materia di smaltimento
dei rifiuti.
    Con  specifico riguardo al programma di "infrastrutture pubbliche
e private" e di "insediamenti produttivi e strategici e di preminente
interesse  nazionale",  di cui ai commi da 1 a 5 dell'articolo unico,
va rilevato che la sua definizione rimane riservata esclusivamente al
Governo,  sia  pure  su proposta dei Ministri competenti e sentite le
regioni  interessate,  ovvero  su  proposta  delle  stesse  regioni e
sentiti  i  Ministri  competenti.  E' dunque il Governo che valuta la
portata   "strategica"   degli   insediamenti   ed  il  carattere  di
"preminente   interesse  nazionale"  delle  opere  da  includere  nel
programma.  Cosi'  come e' ancora il Governo che attraverso i decreti
legislativi  di  cui  ai  commi  2,  3 e 4 e' abilitato a definire il
"quadro  normativa"  -  in  realta' l'intera normativa - "finalizzato
alla  celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti"
di  cui  al  comma  1, introducendo un "regime speciale", derogatorio
della  normativa  in  materia di lavori pubblici dettata con la legge
11 febbraio  1994, n. 109, sulla base di principi e criteri direttivi
che,  oltre  a stravolgere la disciplina generale, ai fini che qui in
particolare  interessano  mantengono  complessivamente  marginale  il
ruolo delle regioni.
    Non  solo infatti nella fase della programmazione non e' prevista
alcuna forma di intesa con le regioni, ma anche nelle fasi successive
ogni decisione risulta accentrata in sede statale, se si fa eccezione
per l'intesa sulla localizzazione dell'opera - peraltro gia' prevista
sin  dal  decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 - e
dalla  partecipazione  del  presidente  alle sedute del CIPE dedicate
alla gestione dei progetti inseriti nel programma.
    Secondo  i  principi  statuiti  dalla legge di delega al comma 2,
lettera  c),  infatti,  dovra'  essere attribuito al CIPE (come detto
integrato  dai  presidenti delle regioni interessate), il compito "di
valutare   le  proposte  dei  promotori,  di  approvare  il  progetto
preliminare  e  definitivo, di vigilare sulla esecuzione dei progetti
approvati,  adottando  i  provvedimenti  concessori  ed autorizzatori
necessari,   comprensivi   della  localizzazione  dell'opera  e,  ove
prevista, della via istruita dal competente Ministero".
    Spetta,  poi, ancora al Governo (comma 3) "integrare e modificare
il  regolamento  di  cui  al  decreto del Presidente della Repubblica
21 dicembre 1999, n. 554", di attuazione della legge n. 109 del 1994.
E   spetta   ancora  al  Governo  di  approvare  definitivamente  gli
"specifici  progetti  di  infrastrutture strategiche" individuate col
programma   di  cui  al  comma  1,  attraverso  uno  o  piu'  decreti
legislativi.
    La  legge  n. 443  del  2001, di cui si sono esposti i lineamenti
principali  per la parte relativa alle opere, trae origine dal d.d.l.
n. 374,  presentato  al  Senato il 3 luglio 2001, ed e' stata percio'
inizialmente  predisposta  ed  elaborata  nel  vigore  del precedente
assetto  costituzionale:  del  quale  converra'  qui ricordare da una
parte  che  la competenza regionale in materia di lavori pubblici non
solo  aveva  carattere  concorrente,  ma era espressamente delimitata
dalla  Costituzione  ai  lavori "di interesse regionale"; dall'altra,
quanto   agli   insediamenti   produttivi,   che  nessuna  competenza
costituzionale  le regioni avevano in materia di attivita' produttive
diverse da quelle relative all'artigianato e all'agricoltura.
    Anche  nel  vigore  del  vecchio  testo costituzionale, tuttavia,
alcune  delle  disposizioni  allora  proposte, ed ora divenute legge,
avrebbero  comunque  costituito  un  elemento  di  riaccentramento in
relazione  a  funzioni  gia' acquisite alle regioni in attuazione del
precedente riparto costituzionale.
    In  effetti,  il riparto tra opere statali ed opere regionali era
stato  da ultimo definito dall'art. 93 del decreto legislativo n. 112
del  1998, il quale manteneva alla competenza statale, per quanto qui
interessa, le funzioni relative:
        "a)   alla   responsabilita'  dell'attuazione  dei  programmi
operativi  multiregionali  dei  quadri  comunitari  di  sostegno  con
cofinanziamento  dell'Unione europea e dello Stato membro, escluse la
realizzazione e la gestione degli interventi;
        b)   alla   programmazione,   progettazione,   esecuzione   e
manutenzione di opere pubbliche relative a organi costituzionali o di
rilievo costituzionale o internazionale;
        c)   alla   programmazione,   progettazione,   esecuzione   e
manutenzione  di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse
nazionale con legge statale;
        d)   alla   programmazione,   progettazione,   esecuzione   e
manutenzione  di  opere  in  materia  di  difesa,  dogane,  ordine  e
sicurezza pubblica ed edilizia penitenziaria;
        e)    alla   programmazione,   alla   localizzazione   e   al
finanziamento  della  realizzazione  e della manutenzione ordinaria e
straordinaria    degli   immobili   destinati   a   ospitare   uffici
dell'amministrazione  dello  Stato,  nel  rispetto  delle  competenze
conferite  alle regioni e agli enti locali e fatte salve le procedure
di localizzazione e quanto previsto dall'art. 55;
        h) alla valutazione tecnico-amministrativa dei progetti delle
opere di competenza statale ai sensi del presente articolo.".
    Insomma,  a  parte  le  opere  riservate  allo  Stato per ragioni
particolari  (per  attenere ad organismi peculiari, per attenere alle
stesse  amministrazioni  statali,  per  attenere alla difesa, dogane,
ordine e sicurezza pubblica o alle prigioni: v. lettere b, d ed e ora
citate)  il riparto generale tra Stato e regioni intestava allo Stato
soltanto "la programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione
di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con
legge  statale"  (lett.  c):  ed  e'  chiara la ragione di una simile
riserva,  da  individuarsi nella necessaria unitarieta' e completezza
della rete infrastrutturale in questione.
    Non  si  trattava dunque di generiche "infrastrutture pubbliche e
private"  e  di "insediamenti produttivi" soggettivamente qualificati
dal  Governo  stesso  quali  "strategici  e  di  preminente interesse
nazionale",   ma   di  opere  corrispondenti  ad  una  qualificazione
oggettiva   nel  consistere  in  reti,  ed  assistite  dall'ulteriore
garanzia costituita dalla dichiarazione con legge del loro "interesse
nazionale".
    Risulta  dunque  evidente  come,  anche  rapportati al precedente
assetto  costituzionale, i meccanismi previsti dalla legge n. 443 del
2001  estendessero  la  competenza  statale, riponendone i confini in
definitiva  nel solo apprezzamento finale definitivo ed insindacabile
del  Governo:  apprezzamento  a  seguito  del quale qualunque opera o
insediamento  produttivo  puo' essere qualificato come "strategico" e
"di preminente interesse nazionale".
    Tuttavia, di fronte all'allora progetto del Governo, le regioni -
ovviamente  interessate anch'esse al grande sforzo finanziario che lo
Stato  pareva  voler  compiere  per dotare il Paese di infrastrutture
adeguate  -  non  assunsero  un  atteggiamento  di opposizione, ma si
limitarono  a  richiedere,  gia' nella Conferenza del 25 luglio 2001,
proposte  di  modifica  rivolte  a migliorare l'efficacia della legge
attraverso un processo di condivisione fra le istituzioni competenti,
che  portasse  alla  formazione  di  un  programma comune tra Stato e
regioni,  relativo  alle principali infrastrutture di cui l'Italia ha
bisogno.  Inoltre,  le  regioni  si  preoccupavano  che  il programma
"straordinario"  di  opere  non  andasse  a  scapito delle opere gia'
ordinariamente programmate, e di non meno urgente realizzazione.
    Oltre  due  mesi  prima  che  la  legge  n. 443  del 2001 venisse
approvata e' entrata in vigore la legge costituzionale n. 3 del 2001,
la quale reca rilevanti modificazioni al titolo V della parte seconda
della  Costituzione,  ed  in  particolare,  per quanto qui interessa,
all'art. 117 della Costituzione.
    E'  ben  noto  infatti che (diversamente dal precedente art. 117,
che  si  limitava  ad  indicare  in  modo  tassativo  le  materie  di
competenza  regionale, specificando gli speciali limiti entro i quali
tale potere di legiferare veniva dato) il nuovo art. 117 si pone come
la  norma generale regolatrice della competenza legislativa ordinaria
sia  dello Stato che delle regioni, stabilendo tra Stato e regioni un
vero  e  proprio riparto di competenza, attraverso la distinzione fra
materie  (e  compiti) assegnati alla competenza legislativa esclusiva
statale,  materie  assegnate alla legislazione concorrente di Stato e
regioni,  e  materie non definite assegnate alla competenza residuale
delle regioni.
    Ora, come meglio si dira' nella parte in diritto, era inevitabile
che  le disposizioni pensate nel precedente assetto costituzionale, e
gia'  in  esso parzialmente stridenti con il sistema delle competenze
faticosamente  aggiustato  in  anni  di attuazione costituzionale, si
trovassero maggiormente prive di idonea base costituzionale nel nuovo
assetto,  che  consapevolmente  riduce  in  modo  drastico l'area dei
poteri  e  delle responsabilita' esclusive dello Stato, ed allarga in
modo  rilevante  sia  l'area  delle  materie  di "corresponsabilita'"
statale   e   regionale,   sia  l'area  delle  materie  di  esclusiva
responsabilita' regionale.
    Ma  anche  nella  nuova  situazione,  che  evidentemente  avrebbe
giustificato    richieste   regionali   ben   piu'   radicali   degli
aggiustamenti  gia'  richiesti nel vigore del precedente titolo V, le
regioni  hanno  mantenuto  un atteggiamento da un lato consapevole di
una  situazione  in  un certo senso di transizione, dall'altro ancora
rivolto  a non contrastare in modo frontale decisioni di intervento e
di  spesa  che  -  quanto  meno  nell'attuale situazione reale, ed in
particolare  nel  presente sistema finanziario, certamente (ad avviso
della  ricorrente  regione) non adeguato ai nuovi articoli 117, 118 e
119 - non potrebbero non richiedere l'intervento dello Stato.
    In  definitiva,  le  regioni  e gli enti locali, pur ritenendo la
nuova   legge   assai  lontana  dal  disegno  costituzionale  che  il
legislatore  statale  dovrebbe contribuire ad attuare come situazione
per  cosi' dire "a regime", hanno in pratica mantenuto le stesse gia'
moderatissime  richieste  espresse fin dall'inizio, limitandosi nella
seduta  della Conferenza unificata del 20 dicembre 2001 (cfr. verbale
n. 22/01,  doc.  2)  a richiedere che alla legge nel frattempo appena
approvata  venissero apportati emendamenti relativi in primo luogo, e
fondamentalmente, alla fase della programmazione degli interventi, in
secondo luogo, ma solo marginalmente, alla fase della realizzazione.
    Quanto  alla  programmazione  degli interventi, si richiedeva che
essa  comprendesse una doppia intesa. Da un lato, cioe', il programma
delle  opere  da  realizzare  all'interno di ciascuna regione avrebbe
dovuto   essere  predisposto  dal  Ministro  delle  infrastrutture  e
trasporti  d'intesa  non  solo  con  i Ministeri di settore ma con la
regione  o  provincia  autonoma  interessata,  dall'altro  lo  stesso
programma,  nella  sua globalita', avrebbe dovuto essere inserito nel
documento  di  programmazione  economico-finanziaria (con indicazione
degli   stanziamenti  necessari)  previa  intesa  con  la  Conferenza
unificata.
    Quanto alla fase della realizzazione degli interventi, le regioni
si  sarebbero  accontentate,  nella  richiesta di emendamenti, di una
partecipazione   alla   fase   esecutiva  fornendo  collaborazione  e
capacita' tecniche.
    Nella  ricordata  seduta del 20 dicembre 2001 il presidente della
Regione  Piemonte  (e  contemporaneamente presidente della Conferenza
dei  presidenti  delle  regioni), dopo l'esposizione introduttiva del
Ministro  chiese  di  conoscere  "i  tempi  entro  i quali il Governo
ritiene  di  poter  varare  il  provvedimento  di  recepimento  delle
modifiche  normative  da  apportare  alla  predetta legge-obiettivo",
nonche'  "gli strumenti da porre in essere per gestire le "intese che
le  regioni  singolarmente  intendono  formalizzare  col Ministro con
riguardo  alle  grandi  infrastrutture  previste dal programma di cui
all'informativa odierna" (p. 15 verbale).
    A tale domanda il Ministro rispose ribadendo che e' "intendimento
del  Governo  recepire  in  tempi  contenuti  le  istanze di modifica
rappresentate  dalle  regioni  con  riferimento  all'art. 1, comma 1,
della   legge-obiettivo",  aggiungendo  di  essere  "consapevole  del
significato  che  assume la richiesta di rafforzare la collaborazione
Stato  -  regioni  attraverso  lo strumento delle richieste "intese ,
specie per la scelta delle grandi opere strategiche". Aggiunse infine
il  Ministro di ritenere che il "formale recepimento" delle modifiche
potesse  avvenire  "al massimo entro sessanta giorni, termini entro i
quali  si  ritiene  di  dover  procedere  all'esercizio delle deleghe
previste dalla legge stessa" (p. 15 verbale).
    Ad  oggi,  trascorsi  i  sessanta  giorni  indicati  come periodo
massimo,  nessuna  di tali modifiche risulta in alcun modo presentata
dal  Governo  quale disegno di legge o quale emendamento a disegno di
legge.
    Ove  poste  in raffronto al parametro costituzionale definito nel
nuovo  titolo  V  della  Costituzione  dall'art. 117, le disposizioni
della  legge n. 443 del 2001 ledono sotto molteplici profili l'ordine
costituzionale   delle   competenze   legislative  delle  regioni,  e
segnatamente  della  ricorrente Regione Umbria, per i seguenti motivi
di

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  1,  in
quanto  assegna  al  Governo  il  compito  di  individuare  generiche
infrastrutture   e   gli  insediamenti  produttivi  strategici  e  di
preminente   interesse  nazionale,  al  di  fuori  delle  materie  di
competenza  legislativa statale, ed in quanto assegna al solo Governo
il  compito  di  individuare  le  opere  rientranti  nelle materie di
legislazione concorrente.
    Come  esposto  in  narrativa, la legge n. 443 del 2001 prevede in
primo  luogo  che  sia  il  Governo  ad  individuare, a seguito della
procedura  sopra  accennata, "le infrastrutture pubbliche e private e
gli  insediamenti  produttivi  e strategici e di preminente interesse
nazionale".
    Di  fronte  a  tale  previsione legislativa - come di fronte alle
altre  oggetto  della  presente impugnazione - non si puo' evitare di
verificare  in  primo  luogo  se vi sia congruenza con i disposti del
nuovo  art. 117  della  Costituzione  quanto  alla  titolarita' della
funzione legislativa ordinaria.
    Posto   che,   come   sopra   accennato,   i  poteri  legislativi
riconosciuti  allo  Stato sono distinti in esclusivi (quelli elencati
dal comma 2) e concorrenti (nelle materie di cui al comma 3), occorre
verificare  se  la  materia  disciplinata  dalla  legge  n. 443 possa
rientrare negli uni o negli altri.
    Quanto  alle  potesta'  statali esclusive, l'elenco delle materie
soggette  a  questa  regola  e'  relativamente  ampio,  constando  di
svariate  indicazioni  di  materia  o di compito attribuiti alla sola
responsabilita'  statale,  raggruppati  in  diciassette  lettere:  ma
nessuna  di tali indicazioni si riferisce a materie in qualunque modo
avvicinabili a quelle oggetto della legge n. 443 del 2001.
    Certo  vi  e'  implicata  in qualche modo la materia della tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema (previste dalla lett. s del comma 2),
ma  non  si  puo'  certo dire che la legge n. 443 riguardi di per se'
tale  materia,  che  figura  semmai  nella  disciplina  quale "valore
antagonista"  rispetto  a  quello  connesso  alla realizzazione delle
infrastrutture strategiche.
    La  "vera"  materia potrebbe immaginarsi come "lavori pubblici di
interesse  nazionale":  ma  una  simile  materia,  che il legislatore
costituente  avrebbe  agevolmente  potuto prevedere, anche sulla base
del  precedente  testo costituzionale (nel quale erano assegnati alle
regioni  i  lavori  pubblici  di  interesse  regionale), non e' stata
affatto  prevista:  non solo, ma la sua stessa possibilita' giuridica
e' contraddetta dalla circostanza (sulla quale subito si tornera) che
la  presunta  o  reale  dimensione dell'interesse non e' piu' oggi un
autonomo   elemento   indicatore,  sul  piano  costituzionale,  della
competenza  legislativa  statale.  Cio'  e'  dimostrato dal carattere
stesso  delle  materie  affidate alla competenza concorrente, nel cui
elenco  figurano  materie  quali quelle denominate "porti e aeroporti
civili",  "grandi  reti  di trasporto e di navigazione", "produzione,
trasporto  e  distribuzione  nazionale  dell'energia":  materie cioe'
nelle  quali l'implicazione della dimensione nazionale dell'interesse
sta  nella stessa denominazione: come potrebbero ad esempio le grandi
reti  di  trasporto  e  di  navigazione non essere al tempo stesso di
interesse nazionale?
    Il fatto e', dunque, che la scelta del legislatore costituzionale
e'   andata   nel  senso  di  non  tradurre  la  rilevanza  nazionale
dell'interesse in un fattore di esclusione della potesta' legislativa
regionale.  Di  piu',  essa  e'  stata  nel  senso  di considerare la
potenziale  dimensione  nazionale  degli  interessi come rilevante in
relazione  al riparto solo nell'ambito di quanto assegnato allo Stato
a titolo di potesta' legislativa esclusiva o concorrente.
    Non  puo'  non  rilevarsi  a  questo  punto che non solo la legge
n. 443  del  2001  non  trova  la  sua base giuridica in una potesta'
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  ma  che  si  stenta altresi' a
trovarla  nell'ambito delle materie di potesta' concorrente, previste
dal  comma  3  del  nuovo art. 117 della Costituzione: nelle materie,
cioe',  in  cui  comunque,  a  termini  di Costituzione, "spetta alle
regioni  la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".
    In  questo  ambito  si riscontrano materie quali quelle sopra ora
ricordate ("porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di
navigazione",   "produzione,   trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia")  ed  anche  una  materia  piu' genericamente definita,
quale il "governo del territorio".
    Tuttavia, e' evidente, ad avviso della ricorrente regione, che da
una  lato  nessuna  di  queste materie e' in grado di dare compiuto e
totale  supporto  alla  legge  che  qui  si considera, dall'altro una
legislazione  quale  quella  qui  considerata  non  sarebbe  comunque
conforme  al  concetto stesso di legislazione concorrente, secondo la
ripartizione costituzionale dei compiti ad essa propria.
    Quanto  al  primo  aspetto,  la  materia "governo del territorio"
comprende  certamente la disciplina di principio della localizzazione
delle  opere  pubbliche in relazione alla programmazione urbanistica,
ma  non  costituisce  autonoma  legittimazione  alla disciplina della
realizzazione   dell'opera,   riguardata  nel  suo  oggetto  e  scopo
specifico. Le altre materie coinvolte, dal canto loro, si riferiscono
a  precise  categorie di opere la' dove qui si tratta di un programma
del  tutto  generico  nel quale le singole opere - e dunque il genere
cui appartengono - vengono individuate a posteriori dal Governo.
    Si  puo'  supporre  che  parte  delle  infrastrutture strategiche
potra'  riguardare  le  grandi  reti  di  trasporto,  le  strade e le
autostrade.  Cio'  pero'  fonderebbe un potere legislativo statale su
tali   specifiche   opere,  e  non  un  potere  su  generiche  "opere
strategiche":  in  realta',  poi, il carattere strategico di un'opera
non e' un elemento oggettivo ad essa proprio, ma mia mera valutazione
di importanza in relazione ad un fine.
    Inoltre,  la  attuale  previsione  costituzionale  di  un  potere
legislativo  concorrente  dello  Stato e delle regioni su tali opere,
chiaramente  anche  di  interesse  "nazionale", implica su di esse un
coinvolgimento   di   entrambi   i   livelli   di   Governo:  e  tale
coinvolgimento  non  puo'  non  trovare  espressione in tutte le fasi
della programmazione e della realizzazione di tali opere.
    In  sintesi,  proprio per le grandi opere, quali le maggiori reti
di  trasporto,  la  nuova  Costituzione  implica  una responsabilita'
comune  e  condivisa dello Stato e delle regioni: non certo dunque e'
precluso  allo  Stato di occuparsene, anche in termini di iniziativa,
promozione,   finanziamento  o  cofinanziamento;  ma  gli  e'  oramai
precluso di occuparsene come di cosa esclusivamente propria.
    Per   le   opere   non   rientranti  nelle  materie  di  potesta'
concorrente,  invece,  vale  ad  avviso  della  ricorrente regione il
principio  sopra  enunciato,  ai  sensi  del  quale  l'art. 117 della
Costituzione  esclude  la  rilevanza  specifica di una valutazione di
interesse   nazionale   ovvero  regionale  dell'opera,  essendo  tali
interessi  valutati  a  priori  dalla  Costituzione  come incapaci di
incidere  sul  riparto  delle  materie  e  degli ambiti di rispettiva
legislazione.
    Di  qui  l'illegittimita'  costituzionale, nei termini descritti,
del  comma  1  dell'art. 1  della legge n. 443 del 2001. Vale solo la
pena  di osservare qui, conclusivamente sul punto, che le censure qui
esposte  non trovano risposta nella generica frase che apre il comma,
secondo  la  quale  il  Governo  dovrebbe  agire  "nel rispetto delle
attribuzioni  costituzionali delle regioni". Tale frase indica che il
legislatore  ha  avvertito  il problema; ma e' evidente che una cosi'
generica espressione non e' idonea a risolverlo, quando la disciplina
specificamente  dettata  sia  contrastante  con  il  rispetto di tali
attribuzioni.  In  effetti,  proprio  in  quanto  tale indicazione e'
riferita  a  tutte  le regioni, essa non puo' che intendersi non come
una  eventuale  o possibile non applicazione delle norme di legge, ma
soltanto  come  guida  per  il  Governo nella sua azione attuativa di
quanto  disposto dalla legge. Essa non vale dunque avverso le censure
riferite alla legge stessa.
    2. - Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  2,  in
quanto  delega  il  Governo  a  disciplinare  oggetti  sottratti alla
competenza   legislativa   statale,  o  a  disciplinare  gli  oggetti
rientranti   in  termini  che  escludono  la  competenza  legislativa
concorrente delle regioni.
    Considerazioni   analoghe  a  quelle  appena  svolte  valgono  in
relazione  al  comma  2  dell'art. 1 (e unico) della legge n. 443 del
2001.
    In primo luogo tale comma si riferisce, attraverso il riferimento
al  comma  1 - e come del resto questo - anche ad opere ed interventi
che non rientrano ne' in clausole di potere legislativo esclusivo ne'
in clausole di potere legislativo concorrente dello Stato. Si tratta,
in  particolare,  della  delega  a disciplinare la programmazione, la
realizzazione  e  la  gestione  in quanto opere pubbliche di tutte le
opere  e  gli interventi che non si possano comprendere nelle materie
concorrenti sopra indicate, cioe' "porti e aeroporti civili", "grandi
reti  di  trasporto  e  di  navigazione",  "produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia". In relazione a tali oggetti la
legge  delega poteri legislativi che non le competono: e tale carenza
di   poteri   legislativi,  attenendo  in  generale  alla  disciplina
dell'opera,  investe ugualmente la delega in se' e tutti i principi e
criteri  direttivi  posti  per il suo esercizio dalle lettere da a) a
o), senza che qui occorra esaminarli nel dettaglio.
    Quanto  poi  alle opere che invece rientrano nelle materie in cui
l'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione  assegna  allo  Stato
potesta'   legislativa,   concorrente   con   quella  delle  regioni,
l'illegittimita'  costituzionale  si  rileva nel senso che, ben lungi
dal  porre  principi  nel  cui  ambito  debba  esplicarsi la potesta'
legislativa   concorrente   delle   regioni,  secondo  la  previsione
costituzionale,  il  legislatore  statale  prefigura  un  sistema  ad
esclusiva  normazione  statale:  tanto  che  non  solo si prevede una
disciplina  legislativa  delegata praticamente completa ed esaustiva,
ma  addirittura  al  successivo comma 3 dell'art. 1 si dispone che il
Governo  integri  e  modifichi  "il regolamento di cui al decreto del
Presidente  della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554", per adeguarlo
alla stessa legge n. 443 e ai decreti legislativi delegati.
    E'  evidente quanto questo modello sia lontano da quanto disposto
dalla  vigente  Costituzione: la quale prevede che le opere pubbliche
non  specialmente  qualificate  come  soggette a potesta' legislativa
statale  -  cioe'  la  generalita'  delle  opere  pubbliche  -  siano
disciplinate  dalle  sole  regioni,  e  che  le  opere  pubbliche  di
interesse  nazionale  rientranti  nelle  materie prima indicate siano
disciplinate  in  regime  concorrente dallo Stato e dalle regioni. In
altre parole la Costituzione prefigura anche per le opere maggiori un
sistema  nel  quale  la competenza legislativa ripartita non puo' non
riflettersi  in  una  gestione  congiunta,  nella quale lo Stato e le
regioni svolgono ciascuno un ruolo fondamentale in tutti i momenti in
cui  l'amministrazione  di  tali opere si scompone, secondo le regole
dei principi di sussidiarieta' e di leale cooperazione.
    Eventuali  esigenze  di  uniformita' della disciplina non possono
portare  ad  alterare  il  quadro costituzionale delle competenze, ma
semmai   a   valorizzare  pienamente  gli  strumenti  che  la  stessa
Costituzione  prevede.  Tra  essi,  va  ricordato che il comma ottavo
dello  stesso  art. 117  prevede  "le  intese della regione con altre
regioni  per  il  migliore esercizio delle proprie funzioni anche con
individuazione  di  organi  comuni". Non e' esclusa, dunque, tra piu'
regioni  interessate  alla  realizzazione  di  una  stessa opera, una
legislazione  uniforme  con  individuazione  di  strumenti  comuni di
gestione  dell'iniziativa.  Da  quanto  esposto deriva la conclusione
dell'illegittimita'  costituzionale  del  comma  2, nei termini sopra
argomentati.
    3. - Specifica illegittimita' delle discipline di cui all'art. 1,
comma  2,  lettera g) e lettera n), seconda frase, per violazione del
diritto europeo.
    Il   comma   2,  lett.  g)  prevede  l'obbligo  per  il  soggetto
aggiudicatore  di rispettare la normativa europea in tema di evidenza
pubblica:  tuttavia,  solo  "nel  caso  in cui l'opera sia realizzata
prevalentemente con fondi pubblici".
    Tale  limitazione  risulta,  ad  avviso della ricorrente regione,
contraria  al  diritto  comunitario.  Essa  non  ha  riscontro  nella
direttiva  93/37 Cee, neppure nel caso del ricorso all'istituto della
concessione  di  lavori pubblici (art. 3 par. 1) o all'affidamento ad
unico soggetto contraente generale.
    In  ogni  caso,  infatti, il contratto e', e resta, un appalto di
lavori,  cioe'  un  contratto  a titolo oneroso tra un imprenditore e
un'amministrazione aggiudicatrice. Anche la partecipazione diretta al
finanziamento  dell'opera  o  il  reperimento  dei  mezzi  finanziari
occorrenti,  da  parte del contraente generale (comma 2, lett. f) non
rileva  ai  fini  dell'esenzione  dal  regime  comunitario:  e cio' a
maggiore ragione se, come sembra, i privati si limitano in realta' ad
anticipare  mezzi  finanziari  che  peseranno  poi sull'aggiudicatore
pubblico.
    La  disciplina comunitaria pone vincoli al soggetto aggiudicatore
anche  nel caso di utilizzo dell'istituto della concessione di lavori
pubblici,  in  un'ipotesi cioe', in cui il rischio imprenditoriale e'
ben  maggiore, dal momento che il concessionario e', per definizione,
il  gestore dell'opera realizzata ed assume l'alea legata all'aspetto
finanziario  dell'operazione,  il  "rischio economico" (e non solo il
rischio   della   realizzazione   e   dell'anticipazione   dei  mezzi
finanziari).
    La  regione  ritiene  di  avere  interesse  a tale censura sia in
quanto  titolare  di competenza legislativa concorrente (come esposto
nei   precedenti   punti),   sia  in  quanto  l'emanazione  di  norme
contrastanti  con  normativa europea rendera' non piu' semplice ma al
contrario  piu'  difficoltosa  la realizzazione delle opere, alla cui
realizzazione  la regione stessa ha interesse, per il probabile avvio
di contestazioni in sede comunitarie.
    Sotto  questo secondo aspetto esiste un interesse regionale anche
ad  una seconda analoga censura, riguardante l'art. 1, comma 2, lett.
n),  seconda  frase:  la  quale prevede la restrizione, per tutti gli
"interessi  patrimoniali"  (che  ovviamente  sono sempre in gioco nel
campo  dei  lavori pubblici), della tutela cautelare al "pagamento di
una provvisionale".
    Questa  disposizione  riduce,  in  contrasto  con le disposizioni
comunitarie  della  direttiva 89/665/Cee (c.d. direttiva ricorsi), le
possibilita'   di  tutela  piena  per  i  concorrenti  che  lamentino
violazioni  delle  norme  comunitarie  in  materia di appalti. Ora la
stessa  direttiva  ricorsi  tollera  una attenuazione della tutela al
risarcimento  del  danno  ma  limitatamente alla fase successiva alla
"stipulazione   di   un   contratto   in  seguito  all'aggiudicazione
dell'appalto" (art. 2, comma 6).
    L'art. 1,  comma  2,  lett.  n della legge n. 443/2001 estende la
limitazione  alla  fase  cautelare.  In  tal  modo  si  preclude,  in
particolare,  la  sospensione  del provvedimento impugnato e si rende
possibile  la  prosecuzione  della  gara  fino  alla stipulazione del
contratto  consolidando  gli  effetti  di  eventuali atti illegittimi
compiuti nella procedura di gara (poiche' i danni conseguenti saranno
- sempre e solo - risarciti per equivalente).
    E'  evidente  che  questa  soluzione  -  che  tra  l'altro appare
incompatibile  anche  con  l'art. 113  della  Costituzione - comporta
potenzialmente  un  forte  aggravio  dei costi, data la necessita' di
pagare  due  volte  il  profitto  d'impresa  (una  volta  a titolo di
compenso,  la  seconda a titolo di danno). Inoltre, data la probabile
reazione  delle  autorita'  comunitarie  e delle imprese interessate,
essa  finira'  per  complicare  ulteriormente  la vicenda delle opere
interessate.
    4. - Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 3, nella
parte  in  cui  esso  dispone  che  il Governo modifichi o integri il
regolamento  di  cui  al  decreto  del Presidente della Repubblica 21
dicembre 1999, n. 554.
    Il   regolamento  approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  21 dicembre 1999, n. 554, altro non e' che il regolamento
di  attuazione  della legge n. 109 del 1994, cioe' della legge quadro
sui lavori pubblici.
    Nella  sua  stessa  denominazione  di  legge quadro tale legge si
riferisce  alla  situazione costituzionale previgente, nella quale vi
era un riparto tra i lavori pubblici di interesse regionale, affidati
alla  competenza legislativa concorrente di Stato e regioni, e lavori
pubblici  di  interesse  statale,  per  i  quali esisteva la potesta'
legislativa solo dello Stato.
    Poiche' tale legge quadro prevedeva un regolamento di attuazione,
che  avrebbe  dovuto  costituire  (insieme  alla legge) la disciplina
generale  dei  lavori  pubblici,  alcune  regioni proposero ricorso a
codesta ecc.ma Corte costituzionale: la quale con sentenza n. 482 del
1995  statui'  (punto  8  in  diritto)  che  le  disposizioni di tale
regolamento  non avrebbero dovuto riguardare le regioni e le opere di
loro   competenza.   Cio'   completava   il  quadro  attuativo  della
Costituzione, cosi' come allora vigente.
    Tuttavia, la Costituzione oggi vigente statuisce che "la potesta'
regolamentare   spetta  allo  Stato  nelle  materie  di  legislazione
esclusiva,   salva  delega  alle  regioni"  che  la  stessa  potesta'
regolamentare "spetta alle regioni in ogni altra materia".
    Da  quanto  esposto  al punto 1) appare evidente, ad avviso della
ricorrente  regione,  che  in  nessun  modo  si puo' affermare che la
disciplina  delle opere pubbliche o di interesse pubblico considerate
dalla  legge  n. 443  del  2001  rientri  in  alcuna delle materie di
legislazione  statale esclusiva. E' dunque inevitabile la conclusione
che  in  relazione  a  tali opere non puo' spettare allo Stato alcuna
potesta' regolamentare.
    Di  qui la palese illegittimita' costituzionale del comma 3 nella
parte impugnata.
    5. - Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  4,  in
quanto  delega  il  Governo  ad  emanare  decreti legislativi recanti
l'approvazione  definitiva  di  specifici  progetti di infrastrutture
strategiche.
    Le  argomentazioni sopra svolte colpiscono anche il comma 4 della
legge qui impugnata.
    Come   sopra   argomentato,   infatti,   dal   punto   di   vista
costituzionale  le  cosiddette "infrastrutture strategiche" rientrano
in  parte in materie di potesta' legislativa concorrente, in parte in
materie di potesta' legislativa regionale residuale.
    Per   queste   seconde,   sembra  evidente  che  nessun  "decreto
legislativo"  e'  ammesso  per  la  diretta  approvazione  definitiva
dell'opera,  stante che non vi e' alcuna potesta' legislativa statale
specifica  nella  materia.  Non  si  nega  qui  che  lo  Stato  possa
intervenirvi  -  quanto  meno  nella situazione attuale della finanza
pubblica, non ancora adeguata al riparto costituzionale di competenze
-  con  la  decisione  di  allocare  per  tali opere adeguate risorse
finanziarie,  delle  quali  le  regioni  interessate  non  potrebbero
altrimenti   disporre;   ma   cio'  non  puo'  comportare  la  totale
alterazione  delle  regole costituzionali in tema di disciplina della
realizzazione dell'opera pubblica.
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12 e 14.
    Oltre  che  nei  confronti  delle  disposizioni dei primi quattro
commi  dell'art. 1  della  legge n. 443/2001, l'impugnazione proposta
col  presente  ricorso  e'  volta  ad  ottenere  la  dichiarazione di
illegittimita'   costituzionale  anche  della  disciplina  "edilizia"
dettata in particolare nei commi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14.
    Con   il   comma  6  si  indicano  alcuni  interventi  edilizi  -
precisamente gli "interventi edilizi minori, di cui all'art. 4, comma
4,  del  citato  decreto-legge  5 ottobre 1993, n. 398" (lett. a), le
"ristrutturazioni edilizie" (lett. b), gli "interventi ora sottoposti
a   concessione,   se   sono  specificamente  disciplinati  da  piani
attuativi"  con  determinate  caratteristiche  (lett.  c), nonche' "i
sopralzi,  le  addizioni,  gli ampliamenti e le nuove edificazioni in
diretta  esecuzione  di  idonei  strumenti  urbanistici", diversi dai
piani  attuativi ma "recanti analoghe previsioni di dettaglio" (lett.
d)  -  per  i quali l'interessato puo' scegliere la realizzazione "in
base  semplice  denuncia  di  inizio  di  attivita'" in alternativa a
concessione o autorizzazione edilizia.
    Al  comma  6  e'  collegato il comma 12, il quale precisa che "le
disposizioni  di  cui al comma 6 si applicano nelle regioni a statuto
ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in
vigore  della  presente  legge",  e che le stesse regioni "con legge,
possono  individuare  quali degli interventi indicati al comma 6 sono
assoggettati a concessione edilizia o a autorizzazione edilizia".
    Tale  comma  potrebbe  apparire  "liberale" verso le regioni, che
vengono  "autorizzate" a mantenere un piu' severo regime di controllo
dell'attivita'  edilizia.  Ma  esso e' in realta' esso stesso lesivo,
ove  voglia  esprimere  l'idea  che  spetti  al legislatore ordinario
indicare   puntualmente  cosa  possa  o  debba  fare  il  legislatore
regionale  pur in materie appartenenti alla competenza concorrente o,
addirittura,  esclusiva delle regioni. Si tratta di un'idea del tutto
estranea  al nuovo ordinamento costituzionale, che rischia di ridurre
la  potesta'  legislativa  regionale  al semplice intervento puntuale
ovvero, nel migliore dei casi, entro i confini della mera attuazione.
    Il   comma   7   e'  privo  di  autonomo  contenuto  dispositivo,
limitandosi   a   far   salve   le   norme  vigenti  sugli  oneri  di
urbanizzazione   e   sul   contributo   al   costo   di  costruzione,
confermandone il vigore.
    Lo stesso dicasi per il comma 8, che conferma il regime di tutela
storico- artistica o paesaggistico-ambientale.
    Il    comma   9   prevede   che   "qualora   l'immobile   oggetto
dell'intervento  sia  sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete,
anche  in  via  di  delega,  alla stessa amministrazione comunale, il
termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio
dell'attivita'  di cui all'art. 4, comma 11, del citato decreto-legge
5  ottobre  1993,  n. 398,  decorre dal rilascio del relativo atto di
assenso",  e  che  "in  caso  di esito non favorevole, la denuncia e'
priva di effetti".
    Il   comma   10   dispone   che   "qualora   l'immobile   oggetto
dell'intervento  sia  sottoposto  ad  un  vincolo  la  cui tutela non
compete  all'amministrazione  comunale,  ove il parere favorevole del
soggetto  preposto  alla  tutela  non  sia allegato alla denuncia, il
competente  ufficio  comunale  convoca  una  conferenza di servizi ai
sensi  degli  articoli  14,  14-bis,  14-ter, 14-quater della legge 7
agosto  1990, n. 241, e successive modificazioni". In questo caso "il
termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio
dell'attivita'  decorre dall'esito della conferenza", mentre "in caso
di esito non favorevole, la denuncia e' priva di effetti".
    Infine,  il  comma  14 delega il Governo a introdurre modifiche e
adeguamenti   nel   testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia  edilizia  di cui all'art. 7 della legge 8
marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche cosi disposte.
    Ad  avviso della ricorrente regione, tutte tali disposizioni sono
costituzionalmente  illegittime.  Nel  nuovo ordinamento recato dalla
legge  costituzionale n. 3 del 2001 le materie sulle quali le regioni
godevano  di potesta' legislativa concorrente ai sensi del precedente
primo  comma dell'art. 117 sono in genere transitate nelle materie di
potesta'  regionale  "residua". Cio' e' accaduto, in particolare, per
le   competenze   gia'   attribuite   alle   regioni  in  materia  di
"urbanistica", definita dall'art. 80 del decreto del Presidente della
Repubblica   n. 616   del  1977  come  "la  disciplina  dell'uso  del
territorio  comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e
gestionali   riguardanti   le   operazioni   di   salvaguardia  e  di
trasformazione del suolo".
    Nelle  materie  "concorrenti" di cui al terzo comma dell'art. 117
sono  invece  confluite  materie  diverse, o aspetti piu' generali ed
ampi.
    In   particolare,  venuta  meno  l'urbanistica,  tra  le  materie
concorrenti  compare  invece la materia del "governo del territorio".
Ma  essa non puo' dirsi materia comprensiva della disciplina edilizia
in quanto tale, nella sua specificita'.
    Sembra  invece  evidente che l'espressione governo del territorio
allude  a  quei  fenomeni  che  per  la  loro importanza e dimensione
assumono  rilievo generale sui caratteristici tratti che identificano
un territorio, determinando i suoi caratteri propri.
    In  altre  parole, la (concorrente) competenza statale in materia
di  principi  relativi  al  governo del territorio corrisponde dunque
all'esigenza  che  le  regole relative al governo del territorio, nel
senso indicato, abbiano, pur nella varieta' delle possibili soluzioni
regionali, degli elementi di unificazione e di unita'.
    Ma  una volta stabilite le regole che servono a definire i tratti
essenziali   dello   sviluppo  territoriale,  la  concreta  attivita'
edilizia  ricade  per  intero  nelle  materie  "innominate" di cui al
quarto comma dell'art. 117, per le quali e' ormai intera ed esclusiva
la responsabilita' regionale.
    Ma  se  pure  si volesse ritenere (come la ricorrente regione non
ritiene) che tuttora esista una competenza legislativa statale idonea
alla determinazione altresi' dei principi che riguardano le attivita'
edilizie,  il  nuovo  assetto costituzionale implica, ad avviso della
ricorrente  regione, che lo Stato dovrebbe limitarsi alla indicazione
dei  principi,  lasciando  alle  regioni  il  compito  di  tradurre i
principi in norme operative.
    Cio'  deriva in primo luogo dalla formulazione stessa del comma 3
del  nuovo  art. 117  Cost.,  nel  quale  la  competenza  statale  e'
espressamente   limitata   alla   definizione   dei   principi,   con
l'affermazione che invece per il resto la potesta' legislativa spetta
alle regioni.
    In  secondo  luogo, va sottolineato come nel caso di specie ci si
trovi  in presenza non di materia di prima legiferazione, nella quale
possa  anche  comprendersi  una  disciplina  destinata  nel  tempo  a
lasciare  spazio alle discipline regionali, ma di materia nella quale
le  regioni  da  tempo  hanno  legiferato. In particolare, la Regione
Umbria  ha  disciplinato  la materia con le leggi regionali n. 53 del
2 settembre 1974, n. 28 del 10 aprile 1995, n. 31 del 21 ottobre 1997
e n. 34 del 30 agosto 2000.
    E'  pur  vero  che  il comma 12 della disposizione nella presente
sede  impugnata ritarda di novanta giorni l'applicazione del comma 6,
e consente alle leggi regionali di individuare quali degli interventi
indicati  al  comma 6 continuino ad essere assoggettati a concessione
edilizia o ad autorizzazione edilizia.
    Tuttavia,  da una parte, pur ritardata di tre mesi, la disciplina
statale  ha  pur  sempre  carattere  operativo  e  non  di principio;
dall'altra,  la  scelta  affidata  al  legislatore  regionale  appare
limitata  al  momento  di  fissare  se  per  un  certo  intervento e'
necessario  o meno il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10,
che  pure  contengono mere norme procedurali e di dettaglio, appaiono
intangibili da parte del legislatore regionale.
    Piu'  articolate  considerazioni  richiede il comma 14, il quale,
come  detto,  delega  il  Governo  a  modificare il testo unico delle
disposizioni  legislative  e regolamentari in materia edilizia di cui
all'art. 7  della  legge  8  marzo  1999,  n. 50,  per adeguarlo alle
modifiche disposte dalla legge n. 443, qui impugnata. In questo caso,
infatti,  e' il concetto stesso di testo unico che ripugna al riparto
costituzionale delle competenze.
    Cio'   risulta   del   tutto  ovvio  per  le  materie  "residuali
regionali":  nelle  quali,  per  definizione,  non vi e' una potesta'
legislativa  statale relativa alla materia (norme statali vi potranno
invece essere, ma non in forma sistematica, in attuazione dei compiti
riservati  allo Stato nelle sue materie esclusive, come ad esempio le
norme  sui  livelli  essenziali delle prestazioni relative ai diritti
sociali). In queste materie, infatti, la vigente Costituzione prevede
fisiologicamente  l'esistenza  di  autonomi  sistemi  di  regolazione
regionali,  senza interferenza di normativa statale se non nei limiti
indicati.
    Ma  considerazioni  non dissimili valgono anche per le materie di
competenza  concorrente.  Anche  in  queste,  infatti,  la normalita'
costituzionale  prevede  che  la  diretta  disciplina operativa delle
materie  sia  essenzialmente regionale, con il vincolo di conformarsi
ai  principi  della legislazione statale. Sembra percio' evidente che
non  vi  puo'  essere un "testo unico" delle disposizioni relative ad
una  materia  concorrente,  perche' esso conterrebbe norme statali di
cui  e' in realta' naturale che non si applichino in nessuna regione,
se  non  attraverso  il  vincolo  che  i  principi  esercitano  sulla
legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo unico.
    Il  paradosso  diviene poi ancora piu' assurdo quando si tratti -
come  nel  caso  dell'edilizia - di un testo unico delle disposizioni
statali  legislative  e  regolamentari.  Infatti, gia' nel precedente
assetto   costituzionale  nelle  materie  di  competenza  legislativa
regionale non avrebbero dovuto esistere norme statali regolamentari -
con  la  sola  eccezione  dei regolamenti di recepimento di normativa
comunitaria,  ai  sensi degli artt. 4 e 9 della legge n. 86 del 1989,
come  la  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte ha costantemente
affermato  (v. tra le altre, ampiamente, la sentenza n. 408 del 1998;
si  noti  che  la stessa eccezione dei regolamenti attuativi di norme
comunitarie  trovava  comunque  critica  almeno parte della dottrina,
gia'   nell'ambito   del  precedente  titolo  V:  cfr.  G.  Guzzetta,
Regolamenti  statali  a  carattere suppletivo e competenze regionali:
dalla      "decostituzionalizzazione"      alla     "delegificazione"
dell'autonomia territoriale in nome del diritto comunitario, in Giur.
cost.,  1999,  p.  3746  ss.).  Nel  nuovo  testo  costituzionale  e'
chiaramente  enunciata  la  regola  secondo  la  quale  "la  potesta'
regolamentare   spetta  allo  Stato  nelle  materie  di  legislazione
esclusiva", mentre "spetta alle regioni in ogni altra materia".
    Ma  anche restando (come in questo caso si resterebbe) alle norme
legislative,  non  puo'  non  rilevarsi come il legislatore delegante
supponga  che  le  disposizioni  del testo unico, come modificate per
adeguarle   alla   legge  n. 443  del  2001,  costituiranno  esse  la
disciplina  regolatrice  della  materia:  laddove  al  piu'  - ove si
ritenesse  (al contrario di quanto la ricorrente regione ritiene) che
si   versi   in   materia  concorrente  -  esse  potrebbero  soltanto
costituire,   eventualmente,  principi  limitativi  della  disciplina
regionale.
    In  altre parole, la stessa "manutenzione" del testo unico, nelle
materie   di  legislazione  regionale,  sia  generale  residuale  che
concorrente,  contraddice  il  riparto  costituzionale. I testi unici
corrispondono  ad  una antica aspirazione di unita' e chiarezza della
normazione, e tale aspirazione conserva ovviamente una sua validita':
ma  in  uno  Stato a legislazione ripartita, come quello italiano e',
essa  deve  trovare soddisfazione in diverse forme, in relazione alle
singole  regioni, e non nel tipico testo unico, caratteristico invece
dello Stato accentrato.
    Di  qui  l'illegittimita'  costituzionale  della disposizione che
prevede   nuovi   interventi  di  manutenzione  secondo  una  tecnica
inapplicabile alle materie di competenza regionale.