Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona del
presidente  della  giunta provinciale Lorenzo Dellai, autorizzato con
deliberazione  della  giunta  provinciale n. 236 del 15 febbraio 2002
(all. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale rogata dal
dott.  Tommaso Sussarellu, nella sua veste di ufficiale rogante della
provincia  stessa,  con  atto  n. 25516 di repertorio del 20 febbraio
2002  (all. 2),  dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi
Manzi  di  Roma,  ed  elettivamente  domiciliata in Roma nello studio
dell'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri n. 5,
    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   della   legge
21 dicembre   2001,   n. 443,   delega   al  Governo  in  materia  di
infrastrutture   ed   insediamenti  produttivi  strategici  ed  altri
interventi  per il rilancio delle attivita' produttive, pubblicata in
Gazzetta   Ufficiale   n. 299   del   27 dicembre  2001,  supplemento
ordinario,  con  riguardo alle disposizioni contenute nei commi 1, 2,
3, 4, per violazione dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001,  ed  in via indiretta degli artt. 177 e 118 della Costituzione,
in  quanto  prevedono  forme  di  autonomia piu' ampie di quelle gia'
stabilite  in favore della ricorrente provincia dallo statuto e dalle
norme di attuazione.

                              F a t t o

    Nel  supplemento  ordinario  alla  Gazzetta  Ufficiale n. 299 del
27 dicembre  2001  e'  stata  pubblicata  la  legge 21 dicembre 2001,
n. 443  -  meglio nota come "legge obiettivo" - contenente "Delega al
Governo  in  materia  di  infrastrutture  ed  insediamenti produttivi
strategici  ed  altri  interventi  per  il  rilancio  delle attivita'
produttive".
    In  concreto  la legge - che e' composta di un solo articolo - e'
primariamente   rivolta   alla   elaborazione  ed  attuazione  di  un
programma,  approvato  dal  Governo,  di  opere infrastrutturali e di
impianti  definiti  di  carattere  "strategico" ovvero di "preminente
interesse nazionale".
    Piu'  precisamente  l'unico articolo, nei commi da 1 a 5, prevede
la  delega  in  materia  di  infrastrutture e insediamenti produttivi
strategici. A tali commi si rivolge la presente impugnazione.
    Va  premesso  che  il  comma 5 dell'art. 1 della legge n. 443 del
2001  testualmente  dispone  che  "ai fini della presente legge, sono
fatte  salve  le  competenze delle regioni a statuto speciale e delle
province  autonome  previste  dagli statuti speciali e dalle relative
norme di attuazione".
    La  provincia  di  Trento  ritiene  che  tale disposizione tuteli
pienamente le prerogative provinciali, quali assicurate dallo statuto
e dalle norme di attuazione.
    In  particolare  (ma non esclusivamente) nella materia specifica,
risultano  salvaguardate  le  garanzie  previste  dal d.P.R. 22 marzo
1974,  n. 381,  ai  sensi  dei quali lo Stato deve ottenere la previa
intesa  della  provincia  quando  si tratti di interventi riguardanti
autostrade   il   cui  tracciato  interessi  soltanto  il  territorio
provinciale  e quello di una regione finitima (art. 19), nonche' piu'
in  generale  per  gli  interventi  statali in materia di viabilita',
linee ferroviarie e aerodromi (art. 20).
    In   generale,  poi,  risultano  salvaguardate  le  modalita'  di
rapporto  tra  Stato  e  province  autonome sia per quanto riguarda i
rapporti   tra   leggi   che   i   rapporti  relativi  alle  finzioni
amministrative   dalle   norme   di  attuazione  di  cui  al  decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266.
    Piu'   specificamente,   la  provincia  ritiene  che,  a  termini
dell'art. 4  del  citato  decreto legislativo, rimanga riservata alla
provincia la gestione amministrativa di ogni opera che lo statuto non
assegni alla competenza statale.
    La  ragione  per  la quale la provincia di Trento ritiene lese le
sue  prerogative,  nonostante  la  salvaguardia  delle sue competenze
statutarie, risiede nella ben nota modifica della Costituzione recata
dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. Tale legge ha profondamente
innovato l'ampiezza rispettiva della competenza legislativa statale e
regionale,  assegnando  alle  regioni  ordinarie  sia  una competenza
concorrente  in molti ambiti, anche di interesse nazionale, nei quali
esse  prima non avevano competenza (art. 117, comma terzo, sia ambiti
propri  di  legislazione generale e residuale, nei quali lo Stato non
conserva  alcuna  competenza  legislativa  (art. 117, comma quarto in
connessione con il comma 2).
    Avendo  cosi' assegnato alle Regioni ordinarie poteri legislativi
per  rilevanti  aspetti  maggiori  di  quelli  spettanti alle Regioni
speciali  -  e  ad  evitare  la  paradossale  situazione  di  Regioni
"speciali"  (e  quindi,  in  linea  di  principio, dotate di maggiore
autonomia)   ridotte  invece  in  una  posizione  di  inferiorita'  -
l'art. 10  della  legge  costituzionale n. 3 del 2001 ha disposto che
"sino  all'adeguamento  dei rispettivi statuti, le disposizioni della
presente  legge  costituzionale  si  applicano  anche  alle Regioni a
statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano per
le  parti  in  cui prevedono forme di autonomie piu' ampie rispetto a
quelle gia' attribuite" (enfasi aggiunta).
    Ne  deriva  che  una  parte non secondaria della stessa autonomia
costituzionalmente  propria della ricorrente provincia non e' oggi (e
sino  all'adeguamento dello statuto) assicurata dallo statuto e dalle
norme  di  attuazione  ma - attraverso il richiamo dell'art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001 - direttamente dalla Costituzione,
in termini corrispondenti a quella delle Regioni a statuto ordinario.
    Il presente ricorso percio' non e' rivolto a mettere in dubbio la
salvaguardia  di  tutte  le prerogative che alla ricorrente provincia
spettino  nell'ambito  della  specialita'  assicurata dallo statuto e
dalle   norme   di   attuazione,   ma   e'   rivolto   a  far  valere
l'illegittimita'  costituzionale  della  legge  n. 443  del  2001, in
quanto  essa  contraddice l'ulteriore livello di autonomia, spettante
alla   provincia   ai   sensi   dell'art. 117  della  Costituzione  e
dell'art. 10 sopra citato.
    La legge n. 443 prevede un programma di "infrastrutture pubbliche
e private" e di "insediamenti produttivi e strategici e di preminente
interesse  nazionale",  di cui ai commi da 1 a 5 dell'articolo unico,
la  cui  definizione  rimane riservata esclusivamente al Governo, sia
pure  su  proposta  dei  Ministri  competenti  e  sentite  le regioni
interessate,  ovvero  su  proposta  delle  stesse regioni e sentiti i
Ministri  competenti.  E'  dunque  il  Governo  che valuta la portata
"strategica"  degli  insediamenti  ed  il  carattere  di  "preminente
interesse  nazionale"  delle  opere da includere nel programma. Cosi'
come e' ancora il Governo che attraverso i decreti legislativi di cui
ai  commi 2, 3 e 4 e' abilitato a definire il "quadro normativo" - in
realta'  l'intera  normativa - "finalizzato alla celere realizzazione
delle  infrastrutture  e  degli  insediamenti"  di  cui  al  comma 1,
introducendo  un  "regime  speciale",  derogatorio della normativa in
materia  di  lavori  pubblici  dettata con la legge 11 febbraio 1994,
n. 109,  sulla  base  di  principi  e  criteri direttivi che, oltre a
stravolgere  la  disciplina  generale, ai fini che qui in particolare
interessano  mantengono  complessivamente  marginale  il  ruolo delle
regioni.
    Non  solo infatti nella fase della programmazione non e' prevista
alcuna forma di intesa con le regioni, ma anche nelle fasi successive
ogni decisione risulta accentrata in sede statale, se si fa eccezione
per  l'intesa  sulla localizzazione dell'opera e dalla partecipazione
del  presidente  alle  sedute  del  CIPE  dedicate  alla gestione dei
progetti inseriti nel programma.
    Secondo  i  principi  statuiti  dalla legge di delega al comma 2,
lettera  c),  infatti,  dovra'  essere attribuito al CIPE (come detto
integrato  dai  presidenti delle regioni interessate), il compito "di
valutare   le  proposte  dei  promotori,  di  approvare  il  progetto
preliminare  e  definitivo, di vigilare sulla esecuzione dei progetti
approvati,  adottando  i  provvedimenti  concessori  ed autorizzatori
necessari,   comprensivi   della  localizzazione  dell'opera  e,  ove
prevista, della via istruita dal competente Ministero".
    Spetta,  poi, ancora al Governo (comma 3) "integrare e modificare
il  regolamento  di  cui  al  decreto del Presidente della Repubblica
21 dicembre 1999, n. 554", di attuazione della legge n. 109 del 1994.
E   spetta   ancora  al  Governo  di  approvare  definitivamente  gli
"specifici  progetti  di  infrastrutture strategiche" individuate col
programma  di  cui  al  primo  comma,  attraverso  uno o piu' decreti
legislativi.
    La  legge  n. 443  del  2001, di cui si sono esposti i lineamenti
principali  per la parte relativa alle opere, trae origine dal d.d.l.
n. 374,  presentato  al  Senato il 3 luglio 2001, ed e' stata percio'
inizialmente  predisposta  ed  elaborata  nel  vigore  del precedente
assetto  costituzionale:  del  quale  converra'  qui ricordare da una
parte  che  la  competenza  regionale  ordinaria in materia di lavori
pubblici  non solo aveva carattere concorrente, ma era espressarneate
delimitata  dalla  Costituzione  ai  lavori "di interesse regionale";
dall'altra,   quanto   agli   insediamenti  produttivi,  che  nessuna
competenza  costituzionale le Regioni avevano in materia di attivita'
produttive    diverse    da   quelle   relative   all'artigianato   e
all'agricoltura.
    Anche  nel  vigore  del  vecchio  testo costituzionale, tuttavia,
alcune  delle  disposizioni  allora  proposte, ed ora divenute legge,
avrebbero  comunque  costituito  un  elemento  di  riaccentramento in
relazione  a  funzioni  gia' acquisite alle regioni in attuazione del
precedente riparto costituzionale.
    In  effetti,  il riparto tra opere statali ed opere regionali era
stato  da ultimo definito dall'art. 93 del decreto legislativo n. 112
del  1998, il quale manteneva alla competenza statale, per quanto qui
interessa, le funzioni relative:
        "a) alla   responsabilita'   dell'attuazione   dei  programmi
operativi  multiregionali  dei  quadri  comunitari  di  sostegno  con
cofinanziamento  dell'Unione europea e dello Stato membro, escluse la
realizzazione e la gestione degli interventi;
        b) alla    programmazione,    progettazione,   esecuzione   e
manutenzione di opere pubbliche relative a organi costituzionali o di
rilievo costituzionale o internazionale;
        c)   alla   programmazione,   progettazione,   esecuzione   e
manutenzione  di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse
nazionale con legge statale;
        d) alla    programmazione,    progettazione,   esecuzione   e
manutenzione  di  opere  in  materia  di  difesa,  dogane,  ordine  e
sicurezza pubblica ed edilizia penitenziaria;
        e) alla    programmazione,    alla    localizzazione   e   al
finanziamento  della  realizzazione  e della manutenzione ordinaria e
straordinaria    degli   immobili   destinati   a   ospitare   uffici
dell'amministrazione  dello  Stato,  nel  rispetto  delle  competenze
conferite  alle regioni e agli enti locali e fatte salve le procedure
di localizzazione e quanto previsto dall'art. 55;
        h) alla valutazione tecnico-amministrativa dei progetti delle
opere di competenza statale ai sensi del presente articolo".
    Insomma,  a  parte  le  opere  riservate  allo  Stato per ragioni
particolari  (per  attenere ad organismi peculiari, per attenere alle
stesse  amministrazioni  statali,  per  attenere alla difesa, dogane,
ordine e sicurezza pubblica o alle prigioni: v. lettere b, d ed e ora
citate)  il riparto generale tra Stato e Regioni intestava allo Stato
soltanto "la programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione
di grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con
legge  statale"  lettera  c):  ed  e' chiara la ragione di una simile
riserva,  da  individuarsi nella necessaria unitarieta' e completezza
della rete infrastrutturale in questione.
    Non  si  trattava dunque di generiche "infrastrutture pubbliche e
private"  e  di "insediamenti produttivi" soggettivamente qualificati
dal  Governo  stesso  quali  "strategici  e  di  preminente interesse
nazionale",   ma   di  opere  corrispondenti  ad  una  qualificazione
oggettiva   nel  consistere  in  reti,  ed  assistite  dall'ulteriore
garanzia costituita dalla dichiarazione con legge del loro "interesse
nazionale".
    Risulta  dunque  evidente  come,  anche  rapportati al precedente
assetto  costituzionale, i meccanismi previsti dalla legge n. 443 del
2001  estendano  la  competenza  statale,  riponendone  i  confini in
definitiva  nel solo apprezzamento finale definitivo ed insindacabile
del  Governo:  apprezzamento  a  seguito  del quale qualunque opera o
insediamento  produttivo  puo' essere qualificato come "strategico" e
"di preminente interesse nazionale".
    Tuttavia,  di  fronte  a  quello  che  allora era un progetto del
Governo,  le  Regioni  -  ovviamente  interessate anch'esse al grande
sforzo  finanziario  che lo Stato pareva voler compiere per dotare il
Paese  di infrastrutture adeguate - non assunsero un atteggiamento di
opposizione, ma si limitarono a richiedere, gia' nella Conferenza del
25 luglio 2001, proposte di modifica rivolte a migliorare l'efficacia
della legge attraverso un processo di condivisione tra le istituzioni
competenti,  che  portasse alla formazione di un programma comune tra
Stato  e  Regioni,  relativo  alle  principali  infrastrutture di cui
l'Italia  ha  bisogno.  Inoltre,  le  Regioni si preoccupavano che il
programma  "straordinario" di opere non andasse a scapito delle opere
gia' ordinariamente programmate, e di non meno urgente realizzazione.
    Oltre  due  mesi  prima  che  la  legge  n. 443  del 2001 venisse
approvata e' entrata in vigore la legge costituzionale n. 3 del 2001,
la quale reca rilevanti modificazioni al titolo V della parte seconda
della  Costituzione,  ed  in  particolare,  per quanto qui interessa,
all'art. 117 della Costituzione.
    E'  ben  noto  infatti che (diversamente dal precedente art. 117,
che  si  limitava  ad  indicare  in  modo  tassativo  le  materie  di
competenza  regionale, specificando gli speciali limiti entro i quali
tale potere di legiferare veniva dato) il nuovo art. 117 si pone come
la  norma generale regolatrice della competenza legislativa ordinaria
sia  dello Stato che delle Regioni, stabilendo tra Stato e Regioni un
vero  e  proprio riparto di competenza, attraverso la distinzione tra
materie  (e  compiti) assegnati alla competenza legislativa esclusiva
statale,  materie  assegnate alla legislazione concorrente di Stato e
Regioni,  e  materie non definite assegnate alla competenza residuale
delle regioni.
    Ora, come meglio si dira' nella parte in diritto, era inevitabile
che  le disposizioni pensate nel precedente assetto costituzionale, e
gia'  in  esso parzialmente stridenti con il sistema delle competenze
faticosamente  aggiustato  in  anni  di attuazione costituzionale, si
trovassero maggiormente prive di idonea base costituzionale nel nuovo
assetto,  che  consapevolmente  riduce  in  modo  drastico l'area dei
poteri  e  delle responsabilita' esclusive dello Stato, ed allarga in
modo  rilevante  sia  l'area  delle  materie  di "corresponsabilita'"
statale   e   regionale,   sia  l'area  delle  materie  di  esclusiva
responsabilita' regionale.
    Ma  anche  nella  nuova  situazione,  che  evidentemente  avrebbe
giustificato    richieste   regionali   ben   piu'   radicali   degli
aggiustamenti  gia'  richiesti nel vigore del precedente titolo V, le
Regioni  hanno  mantenuto  un atteggiamento da un lato consapevole di
una  situazione  in  un certo senso di transizione, dall'altro ancora
rivolto  a non contrastare in modo frontale decisioni di intervento e
di  spesa  che  -  quanto  meno  nell'attuale situazione reale, ed in
particolare nel presente sistema finanziario, certamente non adeguato
ai  nuovi  artt. 117,  118  e  119  -  non  potrebbero non richiedere
l'intervento dello Stato.
    In  definitiva,  le  regioni  e gli enti locali, pur ritenendo la
nuova   legge   assai  lontana  dal  disegno  costituzionale  che  il
legislatore  statale  dovrebbe contribuire ad attuare come situazione
per  cosi' dire "a regime", hanno in pratica mantenuto le stesse gia'
moderatissime  richieste  espresse fin dall'inizio, limitandosi nella
seduta  della Conferenza unificata del 20 dicembre 2001 (cfr. verbale
n. 22/01,  doc.  2)  a richiedere che alla legge nel frattempo appena
approvata  venissero apportati emendamenti relativi in primo luogo, e
fondamentalmente, alla fase della programmazione degli interventi, in
secondo luogo, ma solo marginalmente, alla fase della realizzazione.
    Quanto  alla  programmazione  degli interventi, si richiedeva che
essa  comprendesse una doppia intesa. Da un lato, cioe', il programma
delle  opere  da  realizzare  all'interno di ciascuna regione avrebbe
dovuto   essere  predisposto  dal  Ministro  delle  infrastrutture  e
trasporti  d'intesa  non  solo  con  i Ministeri di settore ma con la
singola  regione  o  provincia  autonoma  interessata,  dall'altro lo
stesso   programma,  nella  sua  globalita',  avrebbe  dovuto  essere
inserito  nel  documento di programmazione economico-finanziaria (con
indicazione  degli  stanziamenti  necessari)  previa  intesa  con  la
conferenza unificata.
    Quanto alla fase della realizzazione degli interventi, le Regioni
si  sarebbero  accontentate,  nella  richiesta di emendamenti, di una
partecipazione   alla   fase   esecutiva  fornendo  collaborazione  e
capacita' tecniche.
    Nella  ricordata  seduta del 20 dicembre 2001 il Presidente della
Regione  Piemonte (contemporaneamente Presidente della conferenza dei
presidenti   delle  Regioni),  dopo  l'esposizione  introduttiva  del
Ministro  chiese  di  conoscere  "i  tempi  entro  i quali il Governo
ritiene  di  poter  varare  il  provvedimento  di  recepimento  delle
modifiche  normative  da  apportare  alla  predetta legge-obiettivo",
nonche'  "gli strumenti da porre in essere per gestire le "intese che
le  regioni  singolarmente  intendono  formalizzare  col Ministro con
riguardo  alle  grandi  infrastrutture  previste dal programma di cui
all'informnativa odierna" (p. 15 verbale).
    A tale domanda il Ministro rispose ribadendo che e' "intendimento
del  Governo  recepire  in  tempi  contenuti  le  istanze di modifica
rappresentate  dalle  Regioni  con  riferimento  all'art. 1, comma 1,
della   legge-obiettivo",  aggiungendo  di  essere  "consapevole  del
significato  che  assume la richiesta di rafforzare la collaborazione
Stato  -  Regioni  attraverso  lo strumento delle richieste "intese ,
specie per la scelta delle grandi opere strategiche".
    Aggiunse   infine   il  Ministro  di  ritenere  che  il  "formale
recepimento"  delle  modifiche  potesse  avvenire  "al  massimo entro
sessanta  giorni, termini entro i quali si ritiene di dover procedere
all'esercito  delle  deleghe  previste  dalla  legge  stessa"  (p. 15
verbale).
    Ad  oggi,  trascorsi  i  sessanta  giorni  indicati  come periodo
massimo,  nessuna  di tali modifiche risulta in alcun modo presentata
dal  Governo  quale disegno di legge o quale emendamento a disegno di
legge.
    Ove  poste  in raffronto al parametro costituzionale definito nel
nuovo  titolo  V  della  Costituzione  dall'art. 117, le disposizioni
della  legge n. 443 del 2001 ledono sotto molteplici profili l'ordine
costituzionale   delle   competenze   legislative  delle  regioni,  e
segnatamente  della  ricorrente  Provincia  autonoma di Trento, per i
seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  1,  in
quanto  assegna  al  Governo  il  compito  di  individuare  generiche
infrastrutture   e   gli  insediamenti  produttivi  strategici  e  di
preminente   interesse  nazionale,  al  di  fuori  delle  materie  di
competenza  legislativa statale, ed in quanto assegna al solo Governo
il  compito  di  individuare  le  opere  rientranti  nelle materie di
legislazione concorrente.
    Come  esposto  in  narrativa, la legge n. 443 del 2001 prevede in
primo  luogo  che  sia  il  Governo  ad  individuare, a seguito della
procedura  sopra  accennata, "le infrastrutture pubbliche e private e
gli  insediamenti  produttivi  strategici  e  di preminente interesse
nazionale".
    Di  fronte  a  tale  previsione legislativa - come di fronte alle
altre  oggetto  della  presente impugnazione - non si puo' evitare di
verificare  in  primo  luogo  se vi sia congruenza con i disposti del
nuovo  art. 117  della  Costituzione  quanto  alla  titolarita' della
funzione legislativa ordinaria.
    Posto   che,   come   sopra   accennato,   i  poteri  legislativi
riconosciuti  allo  Stato sono distinti in esclusivi (quelli elencati
dal  comma  secondo)  e  concorrenti  (nelle  materie di cui al terzo
comma),  occorre  verificare  se  la materia disciplinata dalla legge
n. 443 possa rientrare negli uni o negli altri.
    Quanto  alle  potesta'  statali esclusive, l'elenco delle materie
soggette  a  questa  regola  e'  relativamente  ampio,  constando  di
svariate  indicazioni  di  materia  o di compito attribuiti alla sola
responsabilita'  statale,  raggruppati  in  diciassette  lettere:  ma
nessuna  di tali indicazioni si riferisce a materie in qualunque modo
avvicinabili a quelle oggetto della legge n. 443 del 2001.
    Certo  vi  e'  implicata  in qualche modo in materia della tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema (previste dalla lettera s del secondo
comma), ma non si puo' certo dire che la legge n. 443 riguardi di per
se'  tale  materia,  che figura semmai nella disciplina quale "valore
antagonista"  rispetto  a  quello  connesso  alla realizzazione delle
infrastrutture strategiche.
    La  "vera"  materia potrebbe immaginarsi come "lavori pubblici di
interesse  nazionale"  (in  realta':  anche nazionale): ma una simile
materia,  che  il  legislatore costituente avrebbe agevolmente potuto
prevedere,  anche sulla base del precedente testo costituzionale (nel
quale  erano  assegnati  alle Regioni i "lavori nubblici di interesse
regionale"),  non  e'  stata  affatto  prevista:  non solo, ma la sua
stessa  possibilita'  giuridica  e'  contraddetta  dalla  circostanza
(sulla  quale  subito  si tornera) che la presunta o reale dimensione
dell'interesse  non e' piu' oggi un autonomo elemento indicatore, sul
piano  costituzionale,  della competenza legislativa statale. Cio' e'
dimostrato   dal   carattere   stesso  delle  materie  affidate  alla
competenza  concorrente, nel cui elenco figurano materie quali quelle
denominate "porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di
navigazione",   "produzione,   trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia":   materie   cioe'  nelle  quali  l'implicazione  della
dimensione  nazionale  dell'interesse sta nella stessa denominazione:
come  potrebbero  ad  esempio  le  grandi  reti  di  trasporto  e  di
navigazione non essere al tempo stesso di interesse nazionale?
    II fatto e', dunque, che la scelta del legislatore costituzionale
e'   andata   nel  senso  di  non  tradurre  la  rilevanza  nazionale
dell'interesse in un fattore di esclusione della potesta' legislativa
regionale.  Di  piu',  essa  e'  stata  nel  senso  di considerare la
potenziale  dimensione  nazionale  degli  interessi come rilevante in
relazione  al riparto solo nell'ambito di quanto assegnato allo Stato
a titolo di potesta' legislativa esclusiva o concorrente.
    Non  puo'  non  rilevarsi  a  questo  punto che non solo la legge
n. 443  del  2001  non  trova  la  sua base giuridica in una potesta'
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  ma  che  si  stenta altresi' a
trovarla  nell'ambito delle materie di potesta' concorrente, previste
dal terzo comma del nuovo art. 117 della Costituzione: nelle materie,
cioe',  in  cui  comunque,  a  termini  di Costituzione, "spetta alle
Regioni  la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".
    In  questo  ambito  si riscontrano materie quali quelle sopra ora
ricordate ("porti e aeroporti civili", "grandi reti di trasporto e di
navigazione",   "produzione,   trasporto  e  distribuzione  nazionale
dell'energia"),  ed  anche  una  materia piu' genericamente definita,
quale il "governo del territorio".
    Tuttavia,  e' evidente, ad avviso della ricorrente provincia, che
da  una lato nessuna di queste materie e' in grado di dare compiuto e
totale  supporto  alla  legge  che  qui  si considera, dall'altro una
legislazione  quale  quella  qui  considerata  non  sarebbe  comunque
conforme  al  concetto stesso di legislazione concorrente, secondo la
ripartizione costituzionale dei compiti ad essa propria.
    Quanto  ai  primo  aspetto,  la  materia "governo del territorio"
comprende  certamente la disciplina di principio della localizzazione
delle  opere  pubbliche in relazione alla programmazione urbanistica,
ma  non  costituisce  autonoma  legittimazione  alla disciplina della
realizzazione   dell'opera,   riguardata  nel  suo  oggetto  e  scopo
specifico. Le altre materie coinvolte, dal canto loro, si riferiscono
a  precise  categorie di opere la' dove qui si tratta di un programma
del  tutto  generico  nel quale le singole opere - e dunque il genere
cui appartengono - vengono individuate a posteriori dal Governo.
    Si  puo'  supporre  che  parte  delle  infrastrutture strategiche
potra'  riguardare  le  grandi  reti  di  trasporto,  le  strade e le
autostrade.  Cio'  pero'  fonderebbe un potere legislativo statale su
tali   specifiche   opere,  e  non  un  potere  su  generiche  "opere
strategiche":  in  realta',  poi, il carattere strategico di un'opera
non e' un elemento oggettivo ad essa proprio, ma una mera valutazione
di importanza in relazione ad un fine.
    Inoltre,  la  attuale  previsione  costituzionale  di  un  potere
legislativo  concorrente  dello  Stato e delle Regioni su tali opere,
chiaramente  anche  di  interesse  "nazionale", implica su di esse un
coinvolgimento   di   entrambi   i   livelli   di   governo:  e  tale
coinvolgimento  non  puo'  non  trovare  espressione in tutte le fasi
della programmazione e della realizzazione di tali opere.
    In  sintesi,  proprio per le grandi opere, quali le maggiori reti
di  trasporto,  la  nuova  Costituzione  implica  una responsabilita'
comune  e  condivisa dello Stato e delle Regioni: non certo dunque e'
precluso  allo  Stato di occuparsene, anche in termini di iniziativa,
promozione,   finanziamento  o  cofinanziamento;  ma  gli  e'  oramai
precluso di occuparsene come di cosa esclusivamente propria.
    Per le opere non rientrati nelle materie di potesta' concorrente,
invece,  vale ad avviso della ricorrente provincia il principio sopra
enunciato,  ai  sensi del quale l'art. 117 della Costituzione esclude
la  rilevanza  specifica  di  una  valutazione di interesse nazionale
ovvero regionale dell'opera, essendo tali interessi valutati a priori
dalla  Costituzione  come  incapaci  di  incidere  sul  riparto delle
materie e degli ambiti di rispettiva legislazione.
    Di  qui  l'illegittimita'  costituzionale, nei termini descritti,
del  comma  1  dell'art. 1  della legge n. 443 del 2001. Vale solo la
pena  di osservare qui, conclusivamente sul punto, che le censure qui
esposte  non trovano risposta nella generica frase che apre il comma,
secondo  la  quale  il  Governo  dovrebbe  agire  "nel rispetto delle
attribuzioni costituzionali delle regioni".
    Tale frase indica che il legislatore ha avvertito il problema, ma
e'  evidente  che  una  cosi'  generica  espressione  non e' idonea a
risolverlo,   quando   la   disciplina   specificamente  dettata  sia
contrastante  con  il  rispetto  di  tali  attribuzioni.  In effetti,
proprio  in  quanto  tale indicazione e' riferita a tutte le regioni,
essa  non  puo' che intendersi non come una eventuale o possibile non
applicazione  delle  norme  di  legge,  ma soltanto come guida per il
Governo  nella  sua  azione attuativa di quanto disposto dalla legge.
Essa non vale dunque avverso le censure riferite alla legge stessa.
    2. - Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  2,  in
quanto  delega  il  Governo  a  disciplinare  oggetti  sottratti alla
competenza   legislativa   statale   o  a  disciplinare  gli  oggetti
rientranti   in  termini  che  escludono  la  competenza  legislativa
concorrente delle regioni.
    Considerazioni   analoghe  a  quelle  appena  svolte  valgono  in
relazione  al  secondo comma dell'art. 1 (e unico) della legge n. 443
del 2001.
    In primo luogo tale comma si riferisce, attraverso il riferimento
al  comma  1 - e come del resto questo - anche ad opere ed interventi
che non rientrano ne' in clausole di potere legislativo esclusivo ne'
in clausole di potere legislativo concorrente dello Stato. Si tratta,
in  particolare,  della  delega  a disciplinare la programmazione, la
realizzazione  e  la  gestione  in quanto opere pubbliche di tutte le
opere  e  gli interventi che non si possano comprendere nelle materie
concorrenti sopra indicate, cioe' "porti e aeroporti civili", "grandi
reti  di  trasporto  e  di  navigazione",  "produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia". In relazione a tali oggetti la
legge  delega poteri legislativi che non le competono: e tale carenza
di   poteri   legislativi,  attenendo  in  generale  alla  disciplina
dell'opera,  investe ugualmente la delega in se' e tutti i principi e
criteri  direttivi  posti  per il suo esercizio dalle lettere da a) a
o), senza che qui occorra esaminarli nel dettaglio.
    Quanto  poi  alle opere che invece rientrano nelle materie in cui
l'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione  assegna  allo  Stato
potesta'   legislativa,   concorrente   con   quella  delle  Regioni,
l'illegittimita'  costituzionale  si  rileva nel senso che, ben lungi
dal  porre  principi  nel  cui  ambito  debba  esplicarsi la potesta'
legislativa   concorrente   delle   Regioni,  secondo  la  previsione
costituzionale,  il  legislatore  statale  prefigura  un  sistema  ad
esclusiva  normazione  statale:  tanto  che  non  solo si prevede una
disciplina  legislativa  delegata praticamente completa ed esaustiva,
ma  addirittura  al successivo terzo comma dell'art. 1 si dispone che
il  Governo integri e modifichi "il regolamento di cui al decreto del
Presidente  della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554", per adeguarlo
alla stessa legge n. 443 e ai decreti legislativi delegati.
    E'  evidente quanto questo modello sia lontano da quanto disposto
dalla  vigente  Costituzione: la quale prevede che le opere pubbliche
non  specialmente  qualificate  come  soggette a potesta' legislativa
statale  -  cioe'  la  generalita'  delle  opere  pubbliche  -  siano
disciplinate  dalle  sole  regioni,  e  che  le  opere  pubbliche  di
interesse  nazionale  rientranti  nelle  materie prima indicate siano
disciplinate in regime concorrente dallo Stato e dalle Regioni.
    In  altre  parole  la  Costituzione  prefigura anche per le opere
maggiori un sistema nel quale la competenza legislativa ripartita non
puo'  non riflettersi in una gestione congiunta, nella quale lo Stato
e  le  Regioni  svolgono  ciascuno  un  ruolo fondamentale in tutti i
momenti  in  cui l'amministrazione di tali opere si scompone, secondo
le regole dei principi di sussidiarieta' e di leale cooperazione.
    Eventuali  esigenze  di  uniformita' della disciplina non possono
portare  ad  alterare  il  quadro costituzionale delle competenze, ma
semmai   a   valorizzare  pienamente  gli  strumenti  che  la  stessa
Costituzione prevede. Tra essi, va ricordato che l'ottavo comma dello
stesso  art. 117  prevede  "le intese della regione con altre regioni
per   il   miglior   esercizio  delle  proprie  funzioni,  anche  con
individuazione  di  organi  comuni". Non e' esclusa, dunque, tra piu'
regioni  interessate  alla  realizzazione  di  una  stessa opera, una
legislazione  uniforme  con  individuazione  di  strumenti  comuni di
gestione dell'iniziativa.
    Da  quanto  esposto  deriva  la  conclusione  dell'illegittimita'
costituzionale del comma 2, nei termini sopra argomentati.
    3. - Specifica illegittimita' delle discipline di cui all'art. 1,
comma  2,  lettera g) e lettera n), seconda frase, per violazione del
diritto europeo.
    Il  comma  2,  lettera  g)  prevede  l'obbligo  per  il  soggetto
aggiudicatore  di rispettare la normativa europea in tema di evidenza
pubblica:  tuttavia,  solo  "nel  caso  in cui l'opera sia realizzata
prevalentemente con fondi pubblici".
    Tale  limitazione  risulta, ad avviso della ricorrente provincia,
contraria  al  diritto  comunitario.  Essa  non  ha  riscontro  nella
direttiva  93/37 Cee, neppure nel caso del ricorso all'istituto della
concessione  di  lavori pubblici (art. 1 par. 1) o all'affidamento ad
unico soggetto contraente generale.
    In  ogni  caso,  infatti, il contratto e', e resta, un appalto di
lavori,  cioe'  un  contratto  a titolo oneroso tra un imprenditore e
un'amministrazione aggiudicatrice. Anche la partecipazione diretta al
finanziamento  dell'opera  o  il  reperimento  dei  mezzi  finanziari
occorrenti,  da  parte del contraente generale (comm 2 lettera f) non
rileva  ai  fini  dell'esenzione  dal  regime  comunitario:  e cio' a
maggiore ragione se, come sembra, i privati si limitano in realta' ad
anticipare  mezzi  finanziari  che  peseranno  poi sull'aggiudicatore
pubblico.
    La  disciplina comunitaria pone vincoli al soggetto aggiudicatore
anche  nel caso di utilizzo dell'istituto della concessione di lavori
pubblici,  in  un'ipotesi cioe', in cui il rischio imprenditoriale e'
ben  maggiore, dal momento che il concessionario e', per definizione,
il  gestore dell'opera realizzata ed assume l'alea legata all'aspetto
finanziario  dell'operazione  il  "rischio  economico" (e non solo il
rischio   della   realizzazione   e   dell'anticipazione   dei  mezzi
finanziari).
    La  provincia  ritiene  di  avere interesse a tale censura sia in
quanto  titolare  di competenza legislativa concorrente (come esposto
nei   precedenti   punti),   sia  in  quanto  l'emanazione  di  norme
contrastanti  con  normativa europea rendera' non piu' semplice ma al
contrario  piu'  difficoltosa  la realizzazione delle opere, alla cui
realizzazione  la  provincia  stessa potrebbe avere interesse, per il
probabile avvio di contestazioni in sede comunitario.
    Sotto  questo  secondo  aspetto  esiste  un interesse provinciale
anche  ad  una  seconda analoga censura, riguardante l'art. 1 comma 2
lettera n), seconda frase: la quale prevede la restrizione, per tutti
gli "interessi patrimoniali" (che ovviamente sono sempre in gioco nel
campo  dei  lavori pubblici), della tutela cautelare al "pagamento di
una provvisionale".
    Questa  disposizione  riduce,  in  contrasto  con le disposizioni
comunitarie  della  direttiva 89/665/Cee (c.d. direttiva ricorsi), le
possibilita'   di  tutela  piena  per  i  concorrenti  che  lamentino
violazioni  delle  norme  comunitarie  in  materia di appalti. Ora la
stessa  direttiva  "ricorsi"  tollera una limitazione della tutela al
risarcimento  del  danno,  ma limitatamente alla fase successiva alla
"stipulazione   di   un   contratto   in  seguito  all'aggiudicazione
dell'appalto" (art. 2, comma 6).
    L'art. 1  comma  2  lettera  n della legge n. 443/2001 estende la
limitazione  alla  fase  cautelare.  In  tal  modo  si  preclude,  in
particolare,  la  sospensione  del provvedimento impugnato e si rende
possibile  la  prosecuzione  della  gara  fino  alla stipulazione del
contratto  consolidando  gli  effetti  di  eventuali atti illegittimi
compiuti nella procedura di gara (poiche' i danni conseguenti saranno
- sempre e solo - risarciti per equivalente).
    E'  evidente  che  questa  soluzione  -  che  tra  l'altro appare
incompatibile  anche  con  l'art. 113  della  Costituzione - comporta
potenzialmente  un  forte  aggravio  dei costi, data la necessita' di
pagare  due  volte  il  profitto  d'impresa  (una  volta  a titolo di
compenso,  la  seconda a titolo di danno). Inoltre, data la probabile
reazione  delle  autorita'  comunitarie  e delle imprese interessate,
essa  finira'  per  complicare  ulteriormente  la vicenda delle opere
interessate.
    4. - Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 3, nella
parte  in  cui  esso  dispone  che  il Governo modifichi o integri il
regolamento  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
21 dicembre 1999, n. 554.
    II   regolamento  approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  21 dicembre 1999, n. 554, altro non e' che il regolamento
di  attuazione  della legge n. 109 del 1994, cioe' della legge quadro
sui lavori pubblici.
    Nella  sua  stessa  denominazione  di  legge quadro tale legge si
riferisce  alla  situazione costituzionale previgente, nella quale vi
era un riparto tra i lavori pubblici di interesse regionale, affidati
alla  competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni, e lavori
pubblici  di  interesse  statale,  per  i  quali esisteva la potesta'
legislativa solo dello Stato.
    Poiche' tale legge quadro prevedeva un regolamento di attuazione,
che  avrebbe  dovuto  costituire  (insieme  alla legge) la disciplina
generale  dei  lavori  pubblici,  alcune  regioni proposero ricorso a
codesta ecc.ma Corte costituzionale: la quale con sentenza n. 482 del
1995  statui'  (punto  8  in  diritto)  che  le  disposizioni di tale
regolamento  non avrebbero dovuto riguardare le regioni e le opere di
loro   competenza.   Cio'   completava   il  quadro  attuativo  della
Costituzione, cosi' come allora vigente.
    Tuttavia, la Costituzione oggi vigente statuisce che "la potesta'
regolamentare   spetta  allo  Stato  nelle  materie  di  legislazione
esclusiva,   salva  delega  alle  regioni"  che  la  stessa  potesta'
regolamentare "spetta alle regioni in ogni altra materia".
    Da  quanto  esposto  al punto 1) appare evidente, ad avviso della
ricorrente  provincia,  che  in  nessun modo si puo' affermare che la
disciplina  delle opere pubbliche o di interesse pubblico considerate
dalla  legge  n. 443  del  2001  rientri  in  alcuna delle materie di
legislazione  esclusiva.  E' dunque inevitabile la conclusione che in
relazione  a  tali opere non puo' spettare allo Stato alcuna potesta'
regolamentare.
    Di  qui la palese illegittimita' costituzionale del comma 3 nella
parte impugnata.
    5. - Illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  comma  4,  in
quanto  delega  il  Governo  ad  emanare  decreti legislativi recanti
l'approvazione  definitiva  di  specifici  progetti di infrastrutture
strategiche.
    Le  argomentazioni sopra svolte colpiscono anche il comma 4 della
legge qui impugnata.
    Come   sopra   argomentato,   infatti,   dal   punto   di   vista
costituzionale  le  cosiddette "infrastrutture strategiche" rientrano
in  parte in materie di potesta' legislativa concorrente, in parte in
materie di potesta' legislativa regionale residuale.
    Per   queste   seconde,   sembra  evidente  che  nessun  "decreto
legislativo"  e'  ammesso  per  la  diretta  approvazione  definitiva
dell'opera,  stante che non vi e' alcuna potesta' legislativa statale
specifica  nella  materia.  Non  si  nega  qui  che  lo  Stato  possa
intervenirvi  -  quanto  meno  nella situazione attuale della finanza
pubblica, non ancora adeguata al riparto costituzionale di competenze
-  con  la  decisione  di  allocare  per  tali opere adeguate risorse
finanziarie,  delle  quali  le  regioni  interessate  non  potrebbero
altrimenti   disporre;   ma   cio'  non  puo'  comportare  la  totale
alterazione  delle  regole costituzionali in tema di disciplina della
realizzazione dell'opera pubblica.