Ricorso della Regione Basilicata, in persona del Presidente pro tempore della giunta regionale, arch. Filippo Bubbico, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto ed in virtu' di deliberazione di giunta regionale n. 246 del 20 febbraio 2002 di autorizzazione a stare in giudizio, dall'avv. prof. Massimo Luciani, presso il cui studio in Roma, via Bocca di Leone n. 78, e' elettivamente domiciliato, Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (pubblicata nel supplemento ordinario n. 285/L alla Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2001 - serie generale - n. 301), recante: "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)", con particolare riferimento agli artt. 10, comma 1, lett. a), b), e c); 16, comma 7; 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14; 24, commi 6, 7, 8 e 9; 27, commi 8, 9, 10, 11, 16 e 17; 29; 35. F a t t o Quella che qui si impugna e' la prima legge finanziaria approvata dopo le modifiche che la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha apportato al Tilolo V della Parte II della Costituzione. Come accade ormai comunemente nelle annuali leggi finanziarie, anche questa reca una varia congerie di previsioni normative del piu' diverso contenuto, tra le quali non e' semplice orientarsi. Quel che piu' conta, peraltro, e' che la novita' del quadro costituzionale di riferimento, insieme con il ritmo sostenuto dei lavori parlamentari, ha impedito una piena consapevolezza, e dunque il necessario rispetto, del nuovo disegno dei rapporti tra Stato e Regioni. Le competenze regionali, per come definite dalla nuova disciplina costituzionale e in particolare dagli artt. 114 sgg. della Costituzione, risultano infatti pesantemente lese per una consistente serie di ragioni. E' dato, infatti, riscontrare una pluralita' di violazioni di molteplici disposizioni costituzionali. In ispecie, le previsioni denunciate in epigrafe sono costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Quanto a tutte le norme censurate: violazione degli artt. 3, 5, 114, e 117 della Costituzione. E' necessario, in via preliminare, analizzare quale sia stato il complessivo atteggiamento tenuto dal legislatore nella legge finanziaria 2002, poiche' cio' consentira' di lumeggiare subito la palese fondatezza di tutte le censure di illegittimita' costituzionale in appresso formulate. Quello della legge in esame, in effetti, e' un esempio emblematico della tendenza, gia' denunciata dalla piu' autorevole dottrina sin dal momento dell'entrata in vigore della riforma costituzionale, a tenere in sostanziale non cale la profonda riforma del Titolo V della Costituzione. Come e' stato detto esattamente (da D'Atena): "oggi, probabilmente, il maggiore problema sul tappeto [e] quello della difficolta' di metabolizzare - in termini di cultura istituzionale - le enormi novita' introdotte nel nostro ordinamento dalla riforma del titolo V". E' evidente, infatti, come, "nonostante il rovesciamento dell'enumerazione delle competenze legislative, lo Stato seguiti a legiferare come se nulla fosse avvenuto", vuoi "intervenendo con propri atti anche in materie assoggettate alla competenza esclusiva delle Regioni", vuoi adottando una normativa di dettaglio nelle materie di competenza concorrente. Tanto l'uno quanto l'altro atteggiamento non possono essere tollerati, e le disposizioni normative nelle quali essi si traducono sono senz'altro illegittime. In primo luogo, quanto all'intervento nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni, va subito detto che, nel rispetto di quella paritaria nozione delle componenti della "Repubblica" che e' stata introdotta dall'art. 114 della Costituzione (che impone anche una lettura aggiornata dell'art. 5), il nuovo testo dell'art. 117 mostra una radicale differenza dal precedente. Il vecchio, invero, esibiva una formulazione volutamente riduttiva delle prerogative regionali, poiche' consentiva alla Regione di adottare "norme legislative" e non parlava affatto di funzione legislativa (come faceva e fa, invece, l'art. 70). In questo modo, si voleva rimarcare la differenza tra la legge statale e quella regionale, suggerendo che una cosa era la funzione legislativa, destinata ad essere esercitata collettivamente (solo) dalle Camere, e un'altra la mera attivita' di produzione normativa, ancorche' situata sul gradino della legislazione. Ora, il nuovo art. 117 ha inteso equiparare pienamente le Regioni e lo Stato quanto alla titolarita' della funzione legislativa, sicche', ormai, salve le peculiarita' espressamente previste, legge statale e legge regionale sono in posizione di piena equiordinazione (possono vedersi, in proposito, tra le prime formulate in dottrina, le considerazioni di F. Pizzetti). Il primo comma, infatti, stabilisce che "La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". In questo modo si e' voluto sottolineare che, al di la' di qualunque discussione dogmatica sui rapporti tra legge statale e legge regionale, queste hanno la medesima "dignita'" e costituiscono al medesimo titolo modalita' di pieno esercizio della funzione legislativa. In armonia con tale diversa impostazione, ora la legge statale non puo' piu' intervenire nelle materie di competenza regionale se non negli stretti limiti imposti dalla Costituzione. In particolare, non le e' consentito (se non in ipotesi espressamente menzionate) entrare nelle materie di competenza regionale esclusiva, ne' intervenire (nelle stesse materie di competenza concorrente) con norme di dettaglio, foss'anche disponendone la cedevolezza (i.e.: la derogabilita' da parte di successive leggi regionali). Infatti, "non sembra contestabile che, nel quadro del nuovo sistema, esse risultino assolutamente ingiustificabili. Per l'evidente ragione che, a seguito del rovesciamento dell'enumerazione, ormai lo Stato non puo' intervenire che nelle materie riservategli dalla Costituzione (si badi: espressamente riservategli, secondo quanto precisa il comma 4 dell'art. 117)" (cosi', in dottrina, ancora D'Atena). E' bene ribadire: al legislatore statale e' precluso porre norme di dettaglio non solo nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni, ma anche in quelle che sono oggetto di competenza concorrente. La possibilita' di adottare normativa di dettaglio nelle materie di competenza legislativa concorrente, invero, deve assolutamente escludersi, di fronte al tenore testuale del terzo comma dell'art. 117, giusta il quale "Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Questa formulazione, affatto inequivoca, non lascia ormai alcuno spazio alle prassi, che diremmo di interpretazione elastica della sfera delle competenze regionali, affermatesi nel vigore del previgente testo costituzionale. In precedenza, come e' noto, codesta ecc.ma Corte aveva consentito l'adozione di una normativa statale di dettaglio, affermando ch'essa poteva trovare (ancorche' "eccezionalmente" e sotto un controllo di costituzionalita' "quanto mai rigoroso") fondamento nell'interesse nazionale (cfr., ad es., sent. n. 373 del 1995). Oggi, pero', a prescindere dai dubbi sulla sopravvivenza dell'interesse nazionale nutriti da una parte significativa della dottrina, e' chiaro che la normativa statale di dettaglio e' illegittima. L'intervento della legge statale, infatti, e' esplicitamente limitato alla normazione di principio (alla legge statale, anzi, "riservata"). Per comprendere quanto il quadro sia cambiato e' bene (per quanto ovvio possa essere) rammentare che, prima, il vecchio art. 117 della Costituzione stabiliva che la Regione potesse "emanare" delle "norme legislative" in varie materie. In dette materie, la Regione era tenuta ad osservare i "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato", oltre che l'interesse nazionale e quello delle altre Regioni. In tali materie, allo Stato spettava l'indicazione dei principi fondamentali e alle Regioni la concreta legislazione di dettaglio, nel rispetto di tali principi. L'art. 17, comma 4, della legge 16 maggio 1970, n. 281, stabili' che le Regioni avrebbero potuto legiferare anche in assenza delle leggi statali identificative dei principi fondamentali (e cioe' di "leggi cornice"), ma nel rispetto dei principi comunque desumibili dal complesso della legislazione statale. In ogni caso, al legislatore statale venne consentito di non limitarsi all'adozione delle sole disposizioni di principio, ma di adottare anche norme puntuali di dettaglio, "efficaci soltanto per il tempo in cui la regione non abbia provveduto ad adeguare la normativa di sua competenza ai nuovi principi dettati dal Parlamento" (cosi, ex plurimis, sent. 12 luglio 1985, n. 214). Le cose, ora, sono molto cambiate. Nel vecchio testo, i principi fondamentali erano qualificati espressamente come un inevitabile limite delle leggi regionali. Solo grazie a questo si era giunti a consentire che essi fossero desunti da tutte le "leggi vigenti", anche in mancanza di vere e proprie "leggi cornice". Oggi, pero', si dice solo che la determinazione di quei principi e' riservata allo Stato. Conseguentemente, un intervento legislativo statale nelle materie regionali, al contrario di quanto accadeva in passato, non potra' mai attenere alla normazione di dettaglio, per quanto cedevole essa possa essere. L'art. 117, comma 3, infatti, affida espressamente allo Stato solo la determinazione dei principi fondamentali, restando la normazione di dettaglio completamente affidata alle Regioni. A tutto concedere, nell'ipotesi in cui si ritenesse che l'interesse nazionale sia sopravvissuto, esso potrebbe consentire, oramai, soltanto l'esercizio dei poteri sostitutivi ai sensi dell'art. 120, comma 2. Giammai, invece, l'adozione ex abrupto di una normativa di dettaglio, a prescindere da qualsivoglia inerzia regionale. L'adozione di norme di dettaglio viola l'intero (nuovo) disegno costituzionale delle autonomie, ed e' anche manifestamente irragionevole (eppercio' in contrasto con l'art. 3, nel suo rapporto con gli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione), poiche', in presenza della garanzia costituzionale dei poteri sostitutivi statali, non vi e' alcuna ragione di ricorrere ad una normazione con siffatto contenuto. E' quanto, invece, e' accaduto con la legge qui impugnata, che, con assoluta disinvoltura, ha dettato norme di analitico dettaglio, oltretutto senza nemmeno la previsione della loro cedevolezza (il che fa si' che la legge impugnata sarebbe illegittima anche alla luce dei previgenti parametri). Tamquam la riforma costituzionale non esset. Tutte le norme censurate, pertanto, sono radicalmente illegittime. In ogni caso, in riferimento a ciascuna di esse debbono svolgersi le censure che qui seguono. 2. - Quanto all'art. 10, comma 1, lett. a), b) e c): violazione degli artt. 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione L'art. 10 della legge finanziaria 2002, al comma 1, reca modificazioni al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, recante disposizioni in materia di imposta comunale sulla pubblicita' e di diritto sulle pubbliche affissioni, disponendo che "a) all'articolo 3, il comma 5 e' sostituito dal seguente: "5. In deroga all'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le tariffe dell'imposta sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche affissioni sono deliberate entro il 31 marzo di ogni anno e si applicano a decorrere dal 1 gennaio del medesimo anno. In caso di mancata adozione della deliberazione, si intendono prorogate di anno in anno"; b) all'art. 4, comma 1, concernente la facolta' di determinazione delle tariffe da parte dei comuni, sono soppresse le seguenti parole: "delle prime tre classi"; c) all'art. 17, dopo il comma 1, e' aggiunto il seguente: "1-bis. L'imposta non e' dovuta per le insegne di esercizio di attivita' commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attivita' cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati. I comuni, con regolamento adottato ai sensi dell'art. 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono prevedere l'esenzione dal pagamento dell'imposta per le insegne di esercizio anche di superficie complessiva superiore al limite di cui al periodo precedente". Le disposizioni indicate in epigrafe sono palesemente illegittime. 2.1. - In primo luogo, e' clamorosamente evidente la loro analiticita'. Esse modificano una fonte primaria (il d.lgs. n. 507 del 1993) anteriore di circa dieci anni alla revisione del Titolo V della Costituzione, impiegando - incredibilmente - la stessa tecnica legislativa usata allora, come se nulla, nel frattempo, fosse accaduto. Valga il vero. Quanto alla lett. a), la natura di dettaglio delle norme ivi contenute e' disvelata da cio' che esse costituiscono "deroga" al regime in vigore; che si indicano addirittura le date di deliberazione e di applicazione delle tariffe dell'imposta comunale sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche affissioni; che si disciplina il regime della proroga. Quanto alla lett. b), si elimina il riferimento ai comuni "delle prime tre classi" (e cioe' ai comuni con popolazione oltre 500.000 abitanti; da 100.000 a 500.000; da 30.000 a 100.000), consentendo, ora, a tutti i comuni di suddividere le localita' del loro territorio "in due categorie in relazione alla loro importanza, applicando alla categoria speciale una maggiorazione fino al centocinquanta per cento della tariffa normale" (cosi' l'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993, parzialmente novellato dalla norma censurata). Anche qui il dettaglio e' spinto sino alla minuzia, con la precisazione non solo delle facolta' dei comuni, ma anche delle percentuali delle maggiorazioni tariffarie ammesse. Quanto alla lett. c), nel disciplinare la materia dell'imposta sulle insegne di esercizio commerciale, si individuano precisi requisiti di dimensione delle insegne commerciali (fino a 5 mq), cui e' subordinata l'esenzione dal pagamento dell'imposta, che i comuni debbono concedere. Non solo, dunque, si incide direttamente sulla potesta' impositiva comunale, ma lo si fa con l'autoritativa determinazione addirittura delle misure delle insegne degli esercizi commerciali che vanno esenti da imposta. Tale regime normativo e' del tutto illegittimo, poiche', come sopra (si confida) delucidato, la normazione statale di dettaglio nelle materie di competenza regionale non e' piu' consentita. 2.2. - L'art. 117, comma 2, lett. e), attribuisce in esclusiva alla legge statale soltanto il "sistema tributario ... dello Stato". Appartiene alle materie di competenza concorrente, invece, quella del "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" (comma 3). Ai sensi del comma 4, poi, "spetta alle Regioni la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Da cio' e' semplice evincere che: a) la materia "sistema tributario degli enti locali" (e in particolare dei comuni) non rientra tra quelle di competenza esclusiva dello Stato. Conseguentemente, ai sensi dell'art. 117, comma 4, della Costituzione, si tratta di materia di esclusiva competenza regionale; b) in materia di tributi locali la legge statale puo' intervenire soltanto nell'esercizio di potesta' concorrente, e quindi, ai sensi dell'art. 117, comma 3, al solo fine di assicurare la "determinazione dei principi fondamentali"; c) in ogni caso, in tale specifica materia, gli stessi principi fondamentali non possono avere un'estensione discrezionale, ma debbono limitarsi a quel che e' necessario per assicurare il "coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" e nulla di piu', poiche' tutta la residua disciplina compete alla legge regionale; d) il coordinamento, poi, non spetta solo alla legge statale, ma anche a quella regionale, che qui, invece, e' completamente trascurata. Ora, se si esaminano le norme censurate alla luce di questi limpidi precetti costituzionali, si desume chiaramente che esse sono clamorosamente illegittime. Infatti: a) comportano l'intervento della legge dello Stato in materia che sfugge a tale fonte ed e' assegnata (in esclusiva!) a fonte diversa (la legge regionale); b) sono norme di dettaglio (per giunta prive di clausola di cedevolezza), che vanno ben oltre la determinazione dei principi fondamentali, i quali, oltretutto, nelle materie di competenza concorrente sono il solo campo di azione della legge dello Stato; c) non hanno nulla a che vedere con il "coordinamento" tra i vari livelli della finanza pubblica e del sistema tributario, poiche', invece di coordinare, disciplinano direttamente singole, concrete fattispecie, cio' che alla legge dello Stato non e' consentito. Non basta. Sempre in riferimento all'art. 117 della Costituzione, si deve considerare che la materia delle insegne di esercizio e' intimamente connessa a quella del governo del territorio, che, ai sensi del nuovo art. 117 della Costituzione e' senz'altro rimessa alla potesta' legislativa concorrente delle Regioni (con conseguente esclusione della normazione statale di dettaglio). 2.3. - Le norme censurate violano anche l'art. 119 della Costituzione, poiche' questo, al comma 4, dispone che "Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite". Le disposizioni censurate trascurano del tutto la considerazione dell'autonomia comunale, in particolare in quanto stabiliscono, a priori e senza alcuna valutazione in termini di apporto al finanziamento delle funzioni degli enti locali, che certe insegne commerciali siano automaticamente esentate dalle imposte sulla pubblicita'. Tanto, scavalcando completamente la legge regionale, che, come si e' detto, e' la sola fonte competente all'adozione di previsioni normative di dettaglio in materia. 2.4. - Infine, e' evidente l'irragionevolezza della scelta del legislatore statale, che ha deciso di intervenire direttamente, e con norme di dettaglio, in materia coperta (salvo per quanto concerne il coordinamento, assegnato alla concorrenza tra fonti statali e regionali) da riserva alla potesta' esclusiva della regione. Interventi di tal genere sono in radice illegittimi, poiche', come gia' osservato, allo Stato puo' residuare, tutt'al piu', l'impiego del potere sostitutivo. Tale potere, tuttavia, presuppone l'inerzia regionale, e in questo caso, ovviamente, tale inerzia non era minimamente riscontrabile. Per soprammercato, non ricorrevano neppure i presupposti per l'esercizio dello stesso potere sostitutivo, poiche' le norme censurate non hanno certo lo scopo di garantire l'unita' giuridica o economica del Paese, di garantire la sicurezza pubblica, etc., come richiede l'art. 120, comma 2, della Costituzione. Del tutto incomprensibili, pertanto, le ragioni giustificative della determinazione del legislatore statale. Ulteriore profilo di irragionevolezza sta in cio' che i comuni sono tenuti ad assicurare l'esenzione di cui alla lett. c), non in base a considerazioni di opportunita' rimesse alla loro autonoma valutazione, ma ... in direzione obbligata, dal momento che non e' loro consentito optare per ipotesi di esenzione solo per insegne di dimensioni inferiori a quelle fissate. Il contenuto minimo della liberta' di apprezzamento in ordine alle scelte impositive, in cui si sostanzia l'autonomia tributaria dei comuni, ne risulta limitato in maniera del tutto irrazionale, eliminandosi cosi' la possibilita' per gli enti locali di determinare una propria, autonoma politica di incentivazione (o disincentivazione) della pubblicita' degli esercizi commerciali. Il legislatore statale ha dunque introdotto prescrizioni inutilmente onerose per gli enti locali e lesive per la Regione ricorrente. 3. - Quanto agli artt. 16, comma 7, e 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14: violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 della Costituzione, e dell'art. 11, legge della Costituzione 18 ottobre 2001, n. 3. Le disposizioni in epigrafe sono gravemente lesive dell'autonomia e delle prerogative costituzionali della Regione Basilicata, sia per cio' che concerne la disciplina dell'impiego del personale regionale, sia per cio' che concerne la disciplina dell'impiego del personale degli enti locali. 3.1. - Secondo l'art. 16, comma 7, della legge n. 448 del 2001, "Ai sensi dell'art. 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2002-2003 del personale dei comparti degli enti pubblici non economici, delle regioni, delle autonomie locali, del Servizio sanitario nazionale, delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione e delle universita', nonche' degli enti di cui all'art. 70, comma 4, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, e gli oneri per la corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all'art. 3, comma 2, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, sono a carico delle amministrazioni di competenza nell'ambito delle disponibilita' dei rispettivi bilanci. I comitati di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti dall'art. 47, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, si attengono, anche per la contrattazione integrativa, ai criteri indicati per il personale delle amministrazioni di cui al comma 1 e provvedono alla quantificazione delle risorse necessarie per i rinnovi contrattuali". A sua volta l'art. 19, al comma 1, dispone che "Per l'anno 2002, alle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, alle agenzie, agli enti pubblici non economici, alle universita', limitatamente al personale tecnico ed amministrativo, agli enti di ricerca ed alle province, ai comuni, alle comunita' montane ed ai consorzi di enti locali che non abbiano rispettato le disposizioni del patto di stabilita' interno per l'anno 2001 e' fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato; i singoli enti locali in caso di assunzione del personale devono autocertificare il rispetto delle disposizioni relative al patto di stabilita' interno per l'anno 2001. Alla copertura dei posti disponibili si puo' provvedere mediante ricorso alle procedure di mobilita' previste dalle disposizioni legislative e contrattuali, tenendo conto degli attuali processi di riordino e di accorpamento delle strutture nonche' di trasferimento di funzioni. Si puo' ricorrere alle procedure di mobilita' fuori dalla regione di appartenenza dell'ente locale solo nell'ipotesi in cui il comune ricevente abbia un rapporto dipendenti-popo-lazione inferiore a quello previsto dall'art. 119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 50 per cento. Sono consentite le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze agli enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione delle unita' di personale. Il divieto non si applica al comparto scuola. Sono fatte salve le assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili la cui consistenza organica non sia superiore all'unita', nonche' quelle relative alle categorie protette e quelle relative ai vincitori del secondo corso-concorso di formazione dirigenziale indetto dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione di cui al bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 1997 - 4a serie speciale - n. 22. Il divieto non si applica al personale della carriera diplomatica. Il divieto non si applica altresi' ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, nonche' agli avvocati e procuratori dello Stato. In deroga al divieto di assunzioni, il Ministero della giustizia, con riferimento alle specifiche esigenze del settore, definisce per l'anno 2002 un programma straordinario di assunzioni nel limite di 500 unita' di personale appartenente alle figure professionali strettamente necessarie ad assicurare la funzionalita' dell'apparato giudiziario. Il Mistero della giustizia, nei limiti delle spese sostenute nell'anno 2001 per i rapporti di lavoro a tempo determinato, e' autorizzato ad avvalersi, fino al 31 dicembre 2002, del personale assunto a tempo determinato ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. a,), della legge 18 agosto 2000, n. 242. Il programma di assunzioni va presentato per l'approvazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministro dell'economia e delle finanze. I termini di validita' delle graduatorie per l'assunzione di personale presso le amministrazioni pubbliche sottoposte al divieto di cui al presente comma sono prorogati di un anno. Il Ministero della salute e' autorizzato ad avvalersi, fino al 31 dicembre 2002, del personale assunto a tempo determinato ai sensi dell'art. 12, comma 2, della legge 16 dicembre 1999, n. 494. Il termine di cui all'art. 18, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, e' differito di diciotto mesi a partire dalla sua scadenza. In ogni caso, la spesa relativa al personale assunto a tempo determinato o con convenzioni dalle province, dai comuni, dalle comunita' montane e dai consorzi di enti locali non puo' superare l'importo della spesa sostenuta al medesimo titolo nell'anno 2001, con un incremento pari al tasso di inflazione programmata indicato nel Documento di programmazione economico-finanziaria". Il comma 3 del medesimo articolo, poi, prevede che "All'art. 39, comma 2, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, 1'ultimo periodo, introdotto dalla lett. a) del comma 1 dell'art. 51 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e' sostituito dal seguente: "Per ciascuno degli anni 2003 e 2004, le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli enti pubblici non economici con organico superiore a 200 unita' sono tenuti a realizzare una riduzione di personale non inferiore all'uno per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2002". Ai sensi del comma 7, per di piu', "Le assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni del presente articolo sono nulle di diritto". Il comma 8 inoltre, prevede che "A decorrere dall'anno 2002 gli organi di revisione contabile degli enti locali di cui all'art. 2 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, accertano che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione complessiva della spesa di cui all'art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate". Il comma 14 dell'art. 19, infine, dispone che "Le amministrazioni pubbliche promuovono iniziative di alta formazione del proprio personale anche ai fini dell'accesso alla dirigenza favorendo la partecipazione dei dipendenti ai corsi di laurea, anche triennali, organizzati con l'impiego prevalente delle metodologie di formazione a distanza per finalita' connesse alle attribuzioni istituzionali delle amministrazioni interessate. A tal fine, nei limiti delle ordinarie risorse finanziarie destinate all'aggiornamento e alla formazione del personale, le amministrazioni pubbliche e le relative scuole o strutture di formazione, sentite le organizzazioni sindacali, possono anche erogare borse di studio del valore massimo corrispondente all'iscrizione ai suddetti corsi di laurea o provvedere al relativo rimborso". 3.2. - Come e' agevole verificare, le previsioni sopra riportate disciplinano direttamente, e con estremo dettaglio, il rapporto tra la Regione e gli enti locali e il rispettivo personale. Tale disciplina e' palesemente illegittima. Preliminarmente, si deve ribadire che l'intervento di una normativa statale di dettaglio (oltretutto priva di clausole di cedevolezza) e' comunque vietato (sia nelle materie di competenza esclusiva che in quelle di competenza concorrente) dall'art. 117 della Costituzione, cosi' come si e' avuto modo di argomentare. Vanno pertanto ribadite le stesse censure gia' piu' sopra formulate. Tanto precisato, si deve osservare che la materia dell'impiego presso la Regione e gli enti locali e' assegnata alla competenza esclusiva delle Regioni. Detta materia, infatti, non rientra nell'elenco delle materie di competenza esclusiva dello Stato ne' in quello delle materie di competenza concorrente, sicche', in ragione dell'art. 17, comma 4, della Costituzione, ricade nell'ambito riservato alla legge regionale. Conseguentemente, in tale materia la legge dello Stato non puo' intromettersi, men che meno stabilendo una normativa di dettaglio. La legge impugnata, invece, invade il campo dell'autonomia regionale, anche qui agendo come se la riforma del Titolo V della Costituzione non si fosse avuta. Valga il vero. L'art. 16, comma 7, della legge impugnata incide direttamente sull'autonomia organizzativa regionale, imponendo che gli oneri ivi previsti siano a carico delle amministrazioni di competenza "nell'ambito delle disponibilita' dei rispettivi bilanci", con cio' precludendo la possibilita' di una diversa articolazione delle disponibilita' di bilancio, o lo stesso ricorso a nuove fonti di finanziamento. Inoltre, vincola l'azione dei comitati di settore in ordine agli atti di indirizzo previsti dal d.lgs. n. 165 del 2001, perpetuando, cosi', la disciplina di un procedimento che, dopo la legge della Costituzione n. 3 del 2001, non ha piu' alcun senso (atteso che ogni Regione e' totalmente autonoma nella determinazione delle procedure di contrattazione collettiva). Quanto all'art. 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14, le previsioni sono ancor piu' analitiche. Infatti, al comma 1, autoritativamente si determinano le conseguenze (in termini di assunzione di personale) del mancato rispetto del patto di stabilita' interno da parte degli enti locali; si regolano le procedure di mobilita'; si indicano le assunzioni comunque "fatte salve"; si dispone in materia di assunzione di disabili; si congela ai livelli del 2001 la spesa degli enti locali per l'assunzione di personale a tempo determinato. Al comma 3, per gli anni 2003 e 2004, si impone (oltre che alle amministrazioni dello Stato) anche agli enti pubblici non economici (con organico superiore a 200 unita) una riduzione del personale non inferiore all'uno per cento rispetto a quello in servizio al 31 dicembre 2002. In tal modo, per un verso, non si detta alcuna disposizione di salvaguardia per le Regioni, e comunque si incide direttamente sulla disciplina degli enti pubblici non economici della regione. Al comma 7, si dispone la grave sanzione della nullita' delle assunzioni effettuate in violazione delle previsioni dello steso art. 19. Al comma 8 si incide direttamente sull'azione e sulle competenze degli organi di revisione contabile degli enti locali. Al comma 14, infine, con previsione diretta a tutte le "amministrazioni pubbliche" (Regioni ed enti locali compresi, dunque), si disciplinano le facolta' relative alla formazione del personale, tanto per il profilo delle azioni esperibili, quanto per quello dei limiti delle risorse finanziarie destinabili alla bisogna. Da questa sommaria esposizione si conferma quanto sopra evidenziato: la legge impugnata interviene direttamente e analiticamente (con norme, cioe', di dettaglio) in una materia di competenza esclusiva della Regione Basilicata, pretendendo di disciplinare aspetti essenziali del rapporto di lavoro dei dipendenti regionali e degli enti locali, senza che vi sia alcun titolo, in Costituzione, per procedere a tanto. 3.3. - Non meno palese della violazione dell'art. 117 e' quella dell'art. 118 della Costituzione. Le Regioni, invero, sono titolari di funzioni amministrative proprie, e la prima di queste e' - ovviamente - quella di autorganizzazione. Le censurate previsioni normative, invece, incidono proprio sull'autonomia organizzativa, non solo con la sottrazione di tale materia alla legge regionale, ma con la diretta limitazione delle scelte discrezionali della Regione, costretta a regolare i rapporti con il proprio personale (addirittura nel momento genetico dell'assunzione) cosi' come il legislatore statale ha imposto. L'autonomia organizzativa, si badi, e' incontestabile, sia per il tenore testuale dell'art. 118, che per il suo collegamento con l'art. 119 della Costituzione, che garantisce alle Regioni (e agli enti locali) l'autonomia finanziaria necessaria per assolvere ai compiti loro spettanti (e quindi, primariamente, per coprire le spese relative al personale). 3.4. - E' assolutamente evidente che le norme censurate non potrebbero essere giustificate richiamando la possibilita', per la legge dello Stato, di dettare i principi in materia di "coordinamento della finanza pubblica" (materia, si ripete, assegnata in concorrenza allo Stato e alla Regione). In primo luogo, si deve ribadire che in tale materia lo Stato deve limitarsi a dettare le norme di principio, cio' che qui non ha fatto. In secondo luogo, una cosa e' il coordinamento della finanza, e un'altra la disciplina concreta delle singole materie. Poiche' quasi tutte le scelte pubbliche hanno conseguenze finanziarie, e' chiaro che l'intenzione del legislatore di revisione costituzionale sarebbe tradita e disattesa, ove il coordinamento della finanza divenisse il grimaldello per garantire allo Stato un potere di coordinamento in tutte le materie di competenza (anche esclusiva!) regionale. Cosi' ragionando, infatti, l'intero disegno della legge della Costituzione n. 3 del 2001 (che distingue nettamente tra competenze esclusive e concorrenti, e sottrae allo Stato la funzione di dettare norme di principio in tutte le materie) sarebbe cancellato. 3.5. - Non basta. L'intervento qui contestato non potrebbe trovare giustificazione nemmeno nell'esigenza di rispettare, in una con il patto di stabilita' interno, anche gli impegni comunitari del nostro Paese. Infatti: a) l'attuazione degli impegni comunitari e' riservata ("nelle materie di loro competenza") alle Regioni, salvo il potere sostitutivo (e non preventivo!) dello Stato; b) se l'esigenza che la legge censurata intende perseguire e' quella del rispetto del patto di stabilita', tale esigenza puo' e deve essere perseguita attraverso l'indicazione degli obiettivi e non l'imposizione dei mezzi, almeno quando l'indirizzatario delle prescrizioni e' un ente territoriale come la Regione, dotata di autonomia costituzionalmente garantita anche in forma esclusiva. Quanto ora osservato, anzi, evidenzia un ulteriore profilo di incostituzionalita' della normativa in epigrafe, poiche', in modo del tutto irragionevole (eppercio' violativo dell'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con le norme del Titolo V), si e' stabilito di incidere direttamente sull'autonomia della Regione Basilicata, senza considerare che la logica della vigente Costituzione e' quella della piena responsabilizzazione dei livelli locali di governo. Ancor piu' irragionevole, poi, e' che non si sia proceduto in contraddittorio con le Regioni, nel rispetto del principio di leale collaborazione che codesta ecc.ma Corte ha desunto gia' dal vecchio testo della Costituzione. A maggior ragione tale principio deve essere rispettato adesso, anche alla luce dell'art. 11 della legge della Costituzione n. 3 del 2001, che chiaramente indica la strada della cooperazione come quella da seguire per il raggiungimento dei fini unitari prospettati dall'art. 5 della Costituzione E' ben vero che il menzionato art. 11 non e' stato ancora attuato, ma non per questo puo' esserne negata la forza precettiva, che sorregge, ora piu' di allora, il principio cooperativo. 4. Quanto all'art. 24, commi 6, 7, 8 e 9: violazione degli artt. 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione L'art. 24 della legge impugnata regola il cosiddetto patto di stabilita' interno per le Province e i comuni per l'anno 2002. Risultano lesivi delle attribuzioni costituzionali della ricorrente Regione Basilicata, in particolare, i commi 6, 7, 8 e 9. 4.1. - L'art. 24, invero, dispone, al comma 6, che "Per l'acquisto di beni e servizi le province, i comuni, le comunita' montane e i consorzi di enti locali possono aderire alle convenzioni stipulate ai sensi dell'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dell'art. 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 338. In ogni caso per procedere ad acquisti in maniera autonoma i citati enti adottano i prezzi delle convenzioni di cui sopra come base d'asta al ribasso. Gli atti relativi sono trasmessi ai rispettivi organi di revisione contabile per consentire l'esercizio delle funzioni di controllo"; al comma 7 che "gli enti locali emanano direttive affinche' gli amministratori da loro designati negli enti e nelle aziende promuovano l'adesione alle convenzioni di cui al comma 6 o l'attuazione delle procedure di cui al secondo periodo del comma 6"; al comma 8 che "gli enti e le aziende di cui ai commi 6 e 7 devono promuovere opportune azioni dirette ad attuare l'esternalizzazione dei servizi al fine di realizzare economie di spesa e migliorare l'efficienza gestionale", e infine, al comma 9, che "in correlazione alle disposizioni di cui ai commi da 1 a 8, i trasferimenti erariali spettanti ai comuni e alle province a valere sui fondi di cui all'art. 34, comma 1, lett. a), b) e c), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, quali risultanti per ciascuno degli anni 2002, 2003 e 2004 in applicazione della legislazione vigente, sono rispettivamente ridotti dell'uno per cento, del due per cento e del tre per cento. Per l'anno 2002, qualora l'ente non rispetti i limiti di cui al comma 4, l'importo dei trasferimenti ad esso spettante sono ulteriormente ridotti in misura pari alla differenza tra gli obiettivi derivanti, per lo stesso ente, dall'osservanza del medesimo comma 4 e i risultati conseguiti. Le risorse che si rendono disponibili sono attribuite, con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze alle province e ai comuni che abbiano rispettato i medesimi limiti. Gli enti locali sono tenuti a trasmettere al Ministero dell'economia e delle finanze, secondo modalita' e tempi stabiliti con decreto dello stesso Ministero, le informazioni concernenti il rispetto dell'obiettivo di cui al comma 4; in caso di mancata trasmissione delle informazioni l'ente viene considerato come inadempiente ai fini del raggiungimento dell'obiettivo e i trasferimenti ad esso spettante sono ulteriormente ridotti dell'uno per cento rispetto alla riduzione prevista al primo periodo". 4.2. - Si deve subito dire, qui, che la materia dell'organizzazione e del funzionamento degli enti locali non e' di competenza legislativa statale, ma rappresenta un'area di autonomia degli enti locali, sulla base di disciplina generale dettata dalla legge regionale. Legge regionale che, si ripete, e' riservataria della materia, confidata, appunto, alla Regione in via esclusiva (allo Stato, invero, e' consentito - dall'art. 117, comma 2, lett. p) - regolare, in via esclusiva, solo gli "organi di governo" e le "funzioni fondamentali" degli enti locali, che qui non vengono in considerazione). Dimentica di questo, la legge impugnata ha: limitato i poteri discrezionali degli enti locali quanto all'acquisto di beni e servizi (art. 24, commi 6 e 7); imposto l'obiettivo dell'esternalizzazione dei servizi (comma 8); ridotto i trasferimenti erariali ai comuni, in particolare (ed e' quel che piu' conta) prevedendo un'ulteriore riduzione (aggravata se l'ente locale non trasmette al Ministero dell'economia le informazioni necessarie per le verifiche) nell'ipotesi del mancato rispetto del limite del sei per cento dell'incremento delle spese correnti, per rapporto a quanto risultante dagli impegni assunti nell'anno 2000 (comma 9, in relazione ai commi 2 e 4). Dal complesso delle disposizioni riportate, dunque, risulta un sistema di limiti e penalita' per tutti gli enti locali, sistema che sfocia nella riduzione dei trasferimenti erariali in misura pari alla differenza tra gli obiettivi che gli enti locali avrebbero dovuto conseguire e quelli effettivamente realizzati. Le risorse cosi' liberate sono attribuite alle province e ai comuni che, invece, hanno rispettato i limiti. In questo modo, la legge statale ha invaso il terreno riservato alla legge regionale, disciplinando una materia che e' sottratta all'intervento dello Stato dall'art. 117 della Costituzione. Si badi: il patto di stabilita' interno e' uno strumento di disciplina dei bilanci, ideato per assicurare sul piano della finanza nazionale (e in particolare a livello comunale e provinciale) il rispetto degli obblighi di bilancio assunti dall'Italia in sede comunitaria. Questo strumento, nato con l'art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' stato ulteriormente disciplinato dall'art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Il suo obiettivo, in breve, e' quello di imporre agli enti locali il rispetto dei parametri comunitari. Nonostante si parli di "patto", pero', qui non vi e' alcun incontro di distinte volonta' (alcun elemento pattizio, appunto). Gli enti locali, nella sostanza, sono completamente assoggettati alle decisioni dello Stato, e non possono far altro che adeguarsi. E' lo Stato, infatti, che stabilisce gli obiettivi e indica i mezzi, oltretutto con assoluta uniformita' e senza distinguere tra ente locale ed ente locale. L'intero sistema che ne risulta, di per se', appare oggi ampiamente censurabile, gia' sotto il solo profilo della ragionevolezza delle scelte del legislatore. Si pensi solo a due aspetti: il meccanismo che riguarda la verifica e il miglioramento del saldo tendenziale di cassa e' completamente diverso da quello che tende a garantire, giustamente, un equilibrio economico di gestione; anzi, rischia di compromettere quest'ultimo, giacche' vincola i comuni a rispettare una serie di vincoli giuridici precisi, imposti senza alcuna relazione con gli obiettivi di equilibrio finanziario che ciascun comune dovrebbe autonomamente individuare e perseguire. Il sistema rischia cosi' di portare in dissesto anche i bilanci degli enti locali che, finora, siano rimasti sani. Tutti i comuni, inoltre, sono vincolati a contribuire allo sforzo nazionale, e tutti nella medesima misura, senza distinzione ne' graduazione degli oneri in base, per esempio, all'entita' delle risorse disponibili, alla maggiore o minore "salute" iniziale dei bilanci o all'estensione del territorio governato, e men che mai a quel parametro che il nuovo testo dell'art. 119 della Costituzione definisce "capacita' fiscale". Si persegue insomma una (solo eventuale) riduzione forzosa della spesa, in modo indiscriminato e irragionevole, senza considerazione alcuna per gli effetti che puo' produrre nelle realta' locali piu' deboli. La legge impugnata, perpetuando tale sistema nonostante il nuovo assetto dei rapporti fra Stato e autonomie, e' evidentemente illegittima. In particolare: a) abbiamo gia' visto che l'attuazione degli impegni comunitari, nelle materie di loro competenza, e' riservata alle Regioni, sicche' e' radicalmente illegittimo che sia la legge dello Stato ad imporre obiettivi e mezzi agli enti locali, al fine di assicurare il rispetto di quegli impegni; b) la previsione di regole uniformi per tutti gli enti locali e per tutto il territorio nazionale e' irragionevolmente lesiva delle attribuzioni delle autonomie locali. La Costituzione, nel combinato disposto degli artt. 3 e 5, in una con le disposizioni del Titolo V), intende valorizzare le autonomie locali, laddove la legge impugnata impone la stessa "ricetta" a tutti gli enti locali, senza considerare la loro capacita' fiscale per abitante, la loro dimensione, etc. E' comprensibile che questo sia accaduto, visto che il legislatore statale non ha il "polso" della realta' delle singole autonomie, ma e' proprio per questo che, in questa materia, il nuovo testo della Costituzione ha previsto l'intervento (in via esclusiva) della legge regionale; c) la legge impugnata trascura completamente il nuovo sistema di finanziamento delle autonomie locali, non piu' basato sui trasferimenti erariali (salva l'ipotesi perequativa di cui all'art. 119, comma 5, della Costituzione), ma sul doppio canale dei tributi propri e della compartecipazione ai tributi erariali (art. 119, comma 2). In piena violazione della Costituzione, la legge continua ad operare con il sistema dei trasferimenti, imponendo, per soprammercato, prassi comportamentali che dovrebbero essere stabilite, semmai, dalla legge regionale (titolare della esclusiva competenza in materia). Ovviamente, non varrebbe obiettare che allo Stato resta sempre il potere di fissare i principi fondamentali relativi al coordinamento della finanza pubblica. Come gia' si e' osservato, infatti, qui ci troviamo di fronte a norme di dettaglio e a prescrizioni che non "coordinano" alcunche', ma impongono, autoritativamente, i comportamenti da tenere. La legge in contestazione, quindi, del tutto irragionevolmente e al di fuori della logica che regge attualmente l'autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali, introduce un meccanismo punitivo, che comprime l'autonomia organizzativa di tali enti e il ruolo di regolazione e coordinamento spettante alle Regioni. 5. Quanto all'art. 27, commi 8, 9, 10 e 11: violazione degli artt. 3, 5, 114 e 117 della Costituzione. Anche i vulnera inferti all'autonomia regionale dall'art. 27, della legge impugnata, commi 8, 9, 10 e 11, sono manifesti. 5.1. - Il comma 8 stabilisce che: "Il comma 16 dell'art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e' sostituito dal seguente: "16. Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF di cui all'art. 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, recante istituzione di una addizionale comunale all'IRPEF e successive modificazioni, e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonche' per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, e' stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all'inizio dell'esercizio purche' entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1 gennaio dell'anno di riferimento". Quanto al comma 9, esso dispone che "In deroga alle disposizioni dell'art. 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, i termini per la liquidazione e l'accertamento dell'imposta comunale sugli immobili, scadenti al 31 dicembre 2001, sono prorogati al 31 dicembre 2002, limitatamente alle annualita' d'imposta 1998 e successive. Il termine per l'attivita' di liquidazione a seguito di attribuzione di rendita da parte degli uffici del territorio competenti di cui all'art. 11, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e' prorogato al 31 dicembre 2002 per le annualita' d'imposta 1997 e successive". Il comma 10 dispone che "A decorrere dal 10 gennaio 2002 le basi di calcolo dei sovracanoni previsti dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 1980, n. 925, sono fissate rispettivamente in 13 euro e 3,50 euro, fermo restando per gli anni a seguire l'aggiornamento biennale previsto dall'art. 3 della medesima legge n. 925 del 1980". Il comma 11, infine, stabilisce che "Nel caso in cui l'imposta relativa a fabbricati del gruppo catastale D, in precedenza versata ad un unico comune in base a valori di bilancio unitariamente considerati, sia successivamente da versare a piu' comuni a seguito dell'attribuzione di separate rendite catastali per le parti insistenti su territori di comuni diversi, i comuni interessati sono tenuti a regolare mediante accordo i rapporti finanziari relativi, delegando il Ministero dell'interno ad effettuare le necessarie variazioni dell'importo a ciascuno spettante a titolo di trasferimenti erariali, senza oneri per lo Stato". 5.2 - Le riferite previsioni normative sono illegittime per i seguenti motivi: a) si deve ribadire che la materia della finanza locale e' assegnata alla competenza esclusiva delle Regioni, salvi i principi di coordinamento che la legge dello Stato puo' stabilire. Le disposizioni di che trattasi, invece, contengono norme di dettaglio, la cui introduzione, ormai, e' preclusa alla legge dello Stato (artt. 117 e 119 della Costituzione); b) ancor piu' di quelle gia' censurate, le disposizioni in epigrafe sono esasperatamente di dettaglio, giungendo a regolare i termini per l'adozione di regolamenti comunali (comma 8), i termini di accertamento e liquidazione dell'ICI (comma 9), le basi di calcolo (al centesimo di euro!) dei sovracanoni per le concessioni di derivazioni d'acqua (comma 10), i rapporti tra comuni in ordine alla percezione congiunta dell'ICI (comma 11); c) per quanto specificamente concerne il comma 8, la legge impugnata limita e condiziona la potesta' regolamentare dei comuni, senza considerare che l'art. 117, comma 6, della Costituzione, attribuisce ai comuni "potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite", potesta' che puo' essere indirizzata e delimitata soltanto dalla legge regionale nell'esercizio della competenza esclusiva assegnata, dall'art. 117, in materia di organizzazione e funzionamento degli enti locali; d) anche qui, e' del tutto irragionevole (e violativa degli artt. 3 e 5 della Costituzione, in una con le disposizioni del Titolo V) una disciplina uniforme, sul piano nazionale, per tutti i comuni, atteso che i principi fondamentali in materia sono quelli della sussidiarieta', della differenziazione e dell'adeguatezza, di cui all'art. 118, comma 11, della Costituzione. 6. - Quanto all'art. 27, commi 16 e 17: violazione degli artt. 3, 5, 114 e 117 della Costituzione. L'art. 27 della legge impugnata risulta altresi' illegittimo anche in riferimento ai suoi commi 16 e 17. 6.1. - Il comma 16 dispone che: "all'art. 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 177, e successive modificazioni sono aggiunte, in fine, le parole: "non tenendo conto del valore di quanto edificato aumentato delle spese di urbanizzazione ". Il comma 17, a sua volta, stabilisce che: "al comma 2 dell'art. 42 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le lettere a), b) e c), sono sostituite dalle seguenti: a) l'aumento del contributo in misura pari al 10 per cento qualora il versamento del contributo sia effettuato nei successivi centoventi giorni; b) l'aumento del contributo in misura pari al 20 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera a), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni; c) l'aumento del contributo in misura pari al 40 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera b), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni". 6.2. - Anche qui, i vizi che affliggono la normativa censurata sono evidenti. Essa, per vero, interviene, anche qui con previsioni di dettaglio, in una materia (quella dell'edilizia) che e' assegnata alla potesta' legislativa concorrente delle Regioni. Una volta di piu', il limite stabilito alla Costituzione (che impedisce alla legge dello Stato di andare oltre la fissazione dei principi fondamentali) e' stato superato. Il legislatore, addirittura, ha disposto la modificazione di alcune prescrizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il testo unico delle norme in materia edilizia, la cui entrata in vigore, come e' noto, e' stata ripetutamente procrastinata, anche allo scopo di consentire la sua armonizzazione con la revisione del Titolo V della Costituzione, della quale - come ha osservato la dottrina - non e' rispettoso. In tal modo, la censurata normativa non e' solo violativa dell'art. 117 Costituzione, ma anche intimamente contraddittoria e irrazionale, in quanto (in violazione degli artt. 3 e 5 della Costituzione, in una con le disposizioni del Titolo V) irrispettosa di una scelta prudenziale suggerita proprio dall'entrata in vigore delle nuove norme costituzionali. 7. - Quanto all'art. 29: violazione degli artt. 3, 5, 114 e 117 della Costituzione. Anche l'art. 29 della legge impugnata, recante (cosi' recita il titolo) "Misure di efficienza delle pubbliche amministrazioni", e' illegittimo. 7.1. - Esso dispone che: "le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' gli enti finanziati direttamente o indirettamente a carico del bilancio dello Stato sono autorizzati, anche in deroga alle vigenti disposizioni, a: a) acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione; b) costituire, nel rispetto delle condizioni di economicita' di cui alla lettera a), soggetti di diritto privato ai quali affidare lo svolgimento di servizi, svolti in precedenza; c) attribuire a soggetti di diritto privato gia' esistenti, attraverso gara pubblica, ovvero con adesione alle convenzioni stipulate ai sensi dell'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dell'art. 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, lo svolgimento dei servizi di cui alla lett. b). 2. Le amministrazioni di cui al comma 1 possono inoltre ricorrere a forme di autofinanziamento al fine di ridurre progressivamente l'entita' degli stanziamenti e dei trasferimenti pubblici a carico del bilancio dello Stato, grazie ad entrate proprie, derivanti dalla cessione dei servizi prodotti o dalla compartecipazione alle spese da parte degli utenti del servizio. 3. Ai trasferimenti di beni effettuati a favore dei soggetti di diritto privato, costituiti ai sensi del comma 1, lett. b,), si applica il regime tributario agevolato previsto dall'art. 90 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. 4. Al comma 23 dell'art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: "tremila abitanti" sono sostituite dalle seguenti: "cinquemila abitanti"; b) le parole: "che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti" sono soppresse. 5. Con regolamento, emanato ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro interessato e con il Ministro per la funzione pubblica, si provvede a definire la tipologia dei servizi trasferibili, le modalita' per l'affidamento, i criteri per l'esecuzione del servizio e per la determinazione delle relative tariffe nonche' le altre eventuali clausole di carattere finanziario, fatte salve le competenze delle regioni e degli enti locali. 6. Alla Concessionaria servizi informatici pubblici (CONSIP) S.p.a. sono trasferiti i compiti attribuiti al centro tecnico di cui all'art. 17, comma 19, della legge 15 maggio 1997, n. 127, non attinenti ad attivita' di indirizzo e certificazione. Per il migliore perseguimento dei propri fini istituzionali, le pubbliche amministrazioni possono stipulare con tale societa' specifiche convenzioni. L'applicazione delle disposizioni di cui al presente comma e' subordinata all'entrata in vigore di un regolamento governativo, da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie. 7. Alfine di migliorare la qualita' dei servizi e di razionalizzare la spesa per "informatica, il Ministro per l'innovazione e le tecnologie: a) definisce indirizzi per l'impiego ottimale dell'informatizzazione nelle pubbliche amministrazioni, sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; b) definisce programmi di valutazione tecnica ed economica dei progetti in corso e di quelli da adottare da parte delle amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo e degli enti pubblici non economici nazionali, nonche' assicura la verifica ed il monitoraggio dell'impiego delle risorse in relazione ai progetti informatici eseguiti, ove necessario avvalendosi delle strutture dell'Autorita' per l'informatica nella pubblica amministrazione (AIPA); le risorse, eventualmente accertate dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, quali economie di spesa, sono destinate al finanziamento di progetti innovativi nel settore informatico". 7.2. - Si deve premettere che l'art. 29 si dirige alle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. Fra tali pubbliche amministrazioni rientrano non solo gli enti locali, ma anche le Regioni. Tutte le autonomie territoriali, pertanto, risultano essere destinatarie delle previsioni qui censurate. I vizi che affliggono la normativa in epigrafe sono evidenti, e in parte non sono dissimili da altri gia' in precedenza evidenziati. Anche qui, infatti, il legislatore statale pretende di disciplinare, con normativa di dettaglio, l'organizzazione e il funzionamento degli enti locali. Anche qui, la materia cosi' invasa e' di esclusiva spettanza della legge regionale. Vi e', nondimeno, un'aggravante, che rende tali vizi ancor piu' clamorosi. Oltre agli enti locali, infatti, sono destinatarie della legge impugnata anche le stesse Regioni, il che significa che detta legge ha preteso di dettare norme addirittura sull'organizzazione interna delle Regioni, oggetto di una competenza - se cosi' si puo' dire - esclusiva quant'altre mai in favore (oltre che dello Statuto, ai sensi dell'art. 123 della Costituzione) della legge regionale (la cosa era pacifica addirittura nel vecchio disegno costituzionale: cfr., ex plurimis, sent. n. 507 del 2000). Incapace di cogliere la novita' determinata dalla legge della Costituzione n. 3 del 2001, il legislatore statale, come se nulla fosse, ha continuato a disciplinare l'organizzazione e il funzionamento degli enti locali, e sul piano di questi ultimi ha posto addirittura le Regioni, quasi che queste non fossero titolari di autonomia costituzionalmente garantita anche sul terreno della legislazione. 7.3. - Sarebbe ovviamente inutile obiettare che alcune delle norme censurate sono permissive, poiche' "autorizzano" al compimento di determinati atti, o stabiliscono che certi comportamenti "possono" essere tenuti. La lesivita' dell'intervento statale, infatti, per un verso, e' in re ipsa (poiche' e' lo stesso "fatto" dell'intervento che - disvelando la pretesa regolatoria statale - pregiudica il riparto costituzionale delle attribuzioni). Per l'altro, e' comunque determinata da cio' che anche le norme che si presentano come permissive lo sono, in realta', sub condicione, atteso che in tanto certe scelte possono essere compiute, in quanto siano conformi alle regole che le stesse disposizioni censurate, analiticamente, dettano (cfr. i commi 1, 2, 4 e 6). Infine, si deve considerare che alcune norme non sono permissive nemmeno in apparenza, ma sono esplicitamente imperative. Cosi', il comma 5 prevede un regolamento ministeriale identificativo dei servizi trasferibili, stabilendo soltanto che sono "fatte salve le funzioni delle regioni e degli enti locali". Una formula di salvaguardia, questa, che non e' affatto soddisfacente ne' garantista, poiche' qui non si tratta di salvaguardare le "funzioni" degli enti locali, ma - semplicemente - di escludere che il regolamento statale possa intromettersi in una materia che e' assegnata alla potesta' esclusiva delle Regioni e, nel rispetto delle leggi regionali, alla potesta' regolamentare degli enti locali. A sua volta, il comma 7 prevede che il Ministro per l'innovazione e le tecnologie definisca gli indirizzi "per l'impiego ottimale dell'informatizzazione nelle pubbliche amministrazioni" (ivi compresi, e' evidente, Regioni ed enti locali), quasi che, dopo la legge della Costituzione n. 3 del 2001, simili poteri di indirizzo fossero stati conservati allo Stato. Al contrario, e' evidente che la funzione statale di indirizzo e coordinamento e' stata cancellata dalla riforma, e che la previsione (nello stesso comma 7) del previo parare della Conferenza Stato-Regioni, lungi dall'attenuare i dubbi di incostituzionalita', li trasforma in certezze, rivelando che il legislatore statale e' stato ben consapevole di intervenire in materia riservata alle Regioni (tanto che ha voluto coinvolgere la Conferenza), ma ha pensato di prevedere poteri statali che il nuovo testo della Costituzione ha eliminato. Il tutto, senza considerare che la disposizione in questione sarebbe illegittima anche alla luce del vecchio testo costituzionale, poiche' prevede un'ipotesi di esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento che non rispetta i requisiti di forma e di sostanza tipici di quella funzione, stabiliti per costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e addirittura per precedente dettato normativo (cfr. art. 8 della legge n. 59 del 1997). Come e' noto, infatti, quanto alla forma, la funzione stessa doveva, in corrispondenza di un principio desumibile dalla stessa Costituzione, trovare svolgimento, ove non esercitata in forma di legge, in forma collegiale e cioe' con una delibera del Consiglio dei Ministri. Quanto alla sostanza, perche' occorreva idonea base legislativa per salvaguardare il principio di legalita' sostanziale, attraverso la previa determinazione, con legge, dei principi ai quali il Governo avrebbe dovuto attenersi (sentt. nn. 408 del 1998, 18 del 1997, 250 del 1996, 378 del 1995, 124 del 1994, 30 del 1992, 359 del 1991, nonche' la fondamentale sent. n. 150 del 1982). Tutto questo, si ripete, riguarda il passato, ma anche prima dell'entrata in vigore della legge della Costituzione n. 3 del 2001 la norma censurata sarebbe stata palesemente illegittima. Ne' varrebbe obiettare che l'art. 117, comma 2, lett. r), della Costituzione, affida allo Stato il "coordinamento statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale". Una cosa, infatti, e' il coordinamento dei dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, e ben altra e' l'attivita' di indirizzo riguardante le tecniche e le procedure di informatizzazione (onde "migliorare la qualita' dei servizi e ... razionalizzare la spesa per l'informatica"). Mentre l'art. 117 della Costituzione consente il primo, infatti, tace del tutto sulla (e quindi preclude la) seconda. Tanto, senza contare che il vizio procedurale derivante dall'affidamento di un potere cosi' delicato ad un singolo Ministro e' comunque evidente. 8. - Quanto all'art. 35: violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione. Non meno illegittimo, infine, l'art. 35 della legge impugnata, che detta disposizioni in materia di servizi pubblici locali, sostituendo o modificando diversi articoli del testo unico delle leggi sugli enti locali. 8.1. - Dispone, in particolare, l'art. 35, che "L'art. 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 e' sostituito dal seguente: "Art. 113. (Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici di rilevanza industriale). 1. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai servizi pubblici locali di rilevanza industriale. Restano ferme le disposizioni previste per i singoli settori e quelle nazionali di attuazione delle normative comunitarie. Gli enti locali non possono cedere la proprieta' degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanti stabilito dal comma 13. Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attivita' di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali di cui al comma 1 puo' essere separata da quella di erogazione degli stessi. E', in ogni caso, garantito l'accesso alle reti a tutti i soggetti legittimati all'erogazione dei relativi servizi. Qualora sia separata dall'attivita' di erogazione dei servizi, per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali gli enti locali, anche informa associata, si avvalgono: a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di societa' di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, cui puo' essere affidata direttamente tale attivita'; b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7. 5. L'erogazione del servizio, da svolgere in regime di concorrenza, avviene secondo le discipline di settore, con conferimento della titolarita' del servizio a societa' di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica. 6. Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le societa' che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo, servizi pubblici locali in virtu' di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o in seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle societa' controllate o collegate, alle loro controllanti, nonche' alle societa' controllate o collegate con queste ultime. Sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4. 7. La gara di cui al comma 5 e' indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorita' di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La gara e' aggiudicata sulla base del migliore livello di qualita' e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonche' dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. Tali elementi fanno parte integrante del contratto di servizio. 8. Qualora sia economicamente piu' vantaggioso, e' consentito l'affidamento contestuale con gara di una pluralita' di servizi pubblici locali diversi da quello del trasporto collettivo. In questo caso, la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non puo' essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore. 9. Alla scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla successiva gara di affidamento, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprieta' degli enti locali e delle societa' di cui al comma 13 sono assegnati al nuovo gestore. Sono, inoltre, assegnati al nuovo gestore o loro porzioni, gli impianti e le altre dotazioni realizzate, in attuazione dei piani di investimento di cui al comma 7, dal gestore uscente. A quest'ultimo e' dovuto da parte del nuovo gestore un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui ammontare e' indicato nel bando di gara. 10. E' vietata ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, nonche' alla concessione da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio. 11. I rapporti degli enti locali con le societa' di erogazione del servizio e con le societa' di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti. 12. L'ente locale puo' cedere tutto o in parte la propria partecipazione nelle societa' erogatrici dei servizi. Tale cessione non comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere. 13. Gli enti locali, in forma associata, possono conferire la proprieta' delle reti, degli impianti e delle altre datazioni patrimoniali a societa' di capitali di cui detengono la maggioranza, che e' incedibile. Tali societa' pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorita' di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla societa' suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lett. a) del comma 4, la gestione delle reti, nonche' il compito di espletare le gare di cui al comma 5. 14. Fermo quanto disposto dal comma 3, se le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali per la gestione dei servizi di cui al comma 1 sono di proprieta' di soggetti diversi dagli enti locali, questi possono essere autorizzati a gestire i servizi o loro segmenti, a condizione che siano rispettati gli standard di cui al comma 7 e siano praticate tariffe non superiori alla media regionale, salvo che le discipline di carattere settoriale o le relative Autorita' dispongano diversamente. Tra le parti e' in ogni caso stipulato, ai sensi del comma 11, un contratto di servizio in cui sono definite, tra l'altro, le misure di coordinamento con gli eventuali altri gestori. 15. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, se incompatibili con le attribuzioni previste dallo statuto e dalle relative norme di attuazione". 2. Nei casi in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscono un congruo periodo di transizione, ai fini dell'attuazione delle disposizioni previste dall'art. 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di citi al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo il regolamento di cui al comma 16 del presente articolo indica i termini, comunque non inferiori a tre anni e non superiori ai cinque anni, di scadenza o di anticipata cessazione della concessione rilasciata, con procedure diverse dall'evidenza pubblica. A valere da tale data si applica il divieto di cui al comma 6 del medesimo art. 113 del citato testo unico, salvo nei casi in cui si tratti dell'espletamento delle prime gare aventi per oggetto i servizi forniti dalle societa' partecipanti alla gara stessa. Il regolamento definisce altresi' le condizioni per l'ammissione alle gare di imprese estere, o di imprese italiane che abbiano avuto all'estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica, a condizione che, nel primo caso, sia fatto salvo il principio di reciprocita' e siano garantiti tempi certi per l'effettiva apertura dei relativi mercati. A far data dal termine di cui al primo periodo, e' comunque vietato alle societa' di capitali in cui la partecipazione pubblica e' superiore al 50 per cento, se ancora affidatarie dirette, di partecipare ad attivita' imprenditoriali al di fuori del proprio territorio. 3. Il periodo transitorio di cui al comma 2 puo' essere incrementato, alle condizioni sotto indicate, in misura non inferiore a: a) un anno nel caso in cui, almeno dodici mesi prima dello scadere dei termini previsti dal regolamento di cui al comma 16 del presente articolo, si dia luogo, mediante una o piu' fusioni, alla costituzione di una nuova societa' capace di servire un bacino di utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente servito dalla societa' maggiore; b) due anni nel caso in cui, entro il termine di cui alla lett. a), un'impresa affidataria, anche a seguito di una o piu' fusioni, si trovi ad operare in un ambito corrispondente almeno all'intero territorio provinciale ovvero a quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti; c) un anno nel caso in cui, entro il termine di cui alla lett. a), la societa' affidataria sia partecipata almeno per il 40 per cento da soggetti privati; d) un ulteriore anno nel caso in cui, entro il termine di cui alla lett. a), la societa' affidataria sia partecipata almeno per il 51 per cento dai privati. 4. Ove ricorra piu' di una delle condizioni indicate al comma 3 i relativi termini possono essere posticipati, sommando le relative scadenze. 5. In alternativa a quanto previsto dal comma 5 dell'art. 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, i soggetti competenti, individuati dalle regioni ai sensi dell'art. 9 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, possono affidare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il servizio idrico integrato a societa' di capitali partecipate unicamente da enti locali che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale, per un periodo non superiore a quello massimo determinato ai sensi delle disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo. Entro due anni da tale affidamento, anche se gia' avvenuto alla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalita' di cui al presente comma, gli enti locali azionisti applicano le disposizioni di cui alla lett. c) del comma 3, mediante procedura ad evidenza pubblica, pena la perdita immediata dell'affidamento del servizio alla societa' da essi partecipata. 6. Qualora le disposizioni dei singoli settori prevedano la gestione associata del servizio per ambiti territoriali di dimensione sovracomunale, il soggetto che gestisce il servizio stipula appositi contratti di servizio con i comuni di dimensione demografica inferiore a 5.000 abitanti, al fine di assicurare il rispetto di adeguati ed omogenei standard qualitativi di servizio, definiti dai contratti stessi. In caso di mancato rispetto di tali standard nel territorio di comuni di cui al primo periodo, i soggetti competenti ad affidare la gestione del servizio nell'ambito sovracomunale provvedono alla revoca dell'affidamento in corso sull'intero ambito. 7. Le imprese concessionarie cessanti nei termini stabiliti dal regolamento di cui al comma 16 del presente articolo reintegrano gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi. Ad esse e' dovuto dal gestore subentrante un indennizzo stabilito secondo le disposizioni del comma 9 dell'art. 113 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 1 del presente articolo. 8. Gli enti locali, entro il 31 dicembre 2002, trasformano le aziende speciali e i consorzi di cui all'art. 31, comma 8, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, che gestiscono i servizi di cui al comma 1 dell'art. 113 del medesimo testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, in societa' di capitali, ai sensi dell'art. 115 del citato testo unico. 9. In attuazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 13 dell'art. 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, gli enti locali che alla data di entrata in vigore della presente legge detengano la maggioranza del capitale sociale delle societa' per la gestione di servizi pubblici locali, che siano proprietarie anche delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l'esercizio di servizi pubblici locali, provvedono ad effettuare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, anche in deroga alle disposizioni delle discipline settoriali, lo scorporo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni. Contestualmente la proprieta' delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, oppure dell'intero ramo d'azienda e' conferita ad una societa' avente le caratteristiche definite dal citato comma 13 dell'art. 113 del medesimo testo unico. 10. La facolta' di cui al comma 12 dell'art. 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, riguarda esclusivamente le societa' per la gestione dei servizi ed opera solo a partire dalla conclusione delle operazioni di separazione di cui al comma 9 del presente articolo. 11. In deroga alle disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, e di cui al comma 9 del presente articolo, nonche' in alternativa a quanto stabilito dal comma 10, limitatamente al caso di societa' per azioni quotate in borsa e di societa' per azioni i cui enti locali soci abbiano gia' deliberato al 1 gennaio 2002 di avviare il procedimento di quotazione in borsa, da concludere entro il 31 dicembre 2003, di cui, alla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti locali detengano la maggioranza del capitale, e' consentita la piena applicazione delle disposizioni di cui al comma 12 dell'art. 113 del citato testo unico. In tale caso, ai fini dell'applicazione del comma 9 dell'art. 113 del citato testo unico, sulle reti, sugli impianti e sulle altre dotazioni patrimoniali attuali e future e' costituito, ai sensi dell'art. 1021 del codice civile, un diritto di uso perpetuo ed inalienabile a favore degli enti locali. Resta fermo il diritto del proprietario ove sia un soggetto diverso da quello cui e' attribuita la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, alla percezione di un canone da parte di tale soggetto. Non si applicano le disposizioni degli artt. 1024 e seguenti del codice civile. 12. Al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'art. 31, comma 8, le parole da: "aventi rilevanza economica" fino a: "nello statuto" sono sostituite dalle seguenti: "di cui all'art. 113- bis"; b) all'art. 42, comma 2, lett. e), le parole: "assunzione diretta" sono sostituite dalla seguente: "organizzazione"; c) all'art. 112, il comma 2 e' abrogato; d) all'art. 115: 1) al comma 1, le parole: "costituite" fino a "113, lettera c)" sono soppresse e le parole: "per azioni" sono sostituite dalle seguenti: "di capitali"; 2) il comma 5 e' abrogato; 3) e' aggiunto, infine, il seguente comma: "7-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche alla trasformazione dei consorzi, intendendosi sostituita dal consiglio comunale l'assemblea consortile. In questo caso le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei componenti; gli enti locali che non intendono partecipare alla societa' hanno diritto alla liquidazione sulla base del valore nominale iscritto a bilancio della relativa quota di capitale"; e) all'art. 116, al comma 1, dopo le parole: "per l'esercizio di servizi pubblici" sono inserite le seguenti: "di cui all'articolo 113-bis"; f) all'art. 118: 1) al comma 1, le parole: "societa' per azioni, costituite ai sensi dell'art. 113, let. e), sono sostituite dalle seguenti: "societa' di capitali di cui al comma 13 dell'art. 113"; 2) il comma 3 e' abrogato; g) all'art. 123, il comma 3 e' abrogato. 13. Gli articoli da 265 a 267 del testo unico per la finanza locale, di cui al regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, sono abrogati. 14. Nell'esercizio delle loro funzioni, gli enti locali, anche in forma associata, individuano gli standard di qualita' e determinano le modalita' di vigilanza e controllo delle aziende esercenti i servizi pubblici, in un quadro di tutela prioritaria degli utenti e dei consumatori. 15. Dopo l'art. 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, e' inserito il seguente: "Art. 113-bis (Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale). 1. Ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale sono gestiti mediante affidamento diretto a: a) istituzioni; b) aziende speciali, anche consortili; c) societa' di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice civile. 2. E' consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1. 3. Gli enti locali possono procedere all'affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate. 4. Quando sussistono ragioni tecniche, economiche o di utilita' sociale, i servizi di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere affidati a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo le modalita' stabilite dalle normative di settore. 5. I rapporti tra gli enti locali ed i soggetti erogatori dei servizi di cui al presente articolo sono regolati da contratti di servizio". 16. Con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sentite le Autorita' indipendenti di settore e la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il Governo adotta le disposizioni necessarie per l'esecuzione e l'attuazione del presente articolo, con l'individuazione dei servizi di cui all'art. 113, comma 1, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge". 8.2. - Si deve premettere che l'art. 35 appare come l'ennesimo frutto di una produzione normativa in materia di servizi pubblici locali a dir poco confusa. Il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, doveva, in teoria, rappresentare un punto fermo, ma in realta' e' stato subito oggetto di modificazioni e integrazioni. L'opera di ripensamento, ora, prosegue, ma, paradossalmente, senza alcuna considerazione della straordinaria novita' determinata dalla legge della Costituzione n. 3 del 2001. In realta', e' agevole cogliere i macroscopici profili di illegittimita' costituzionale che l'intervento del legislatore statale in questo campo, di per se', contiene. La disciplina della gestione dei servizi pubblici locali, infatti, ai sensi delle nuove disposizioni del Titolo V, appartiene alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni (e alla competenza regolamentare degli enti locali). La legge impugnata, invece, interviene pesantemente in tale materia, distinguendo tra servizi pubblici con e senza rilevanza industriale, e recando una normativa estremamente analitica e dettagliata. Tale normativa mortifica l'autonomia degli enti locali (anche pel profilo dell'autonomia finanziaria, poiche' l'oculata gestione dei servizi locali non grava sulle finanze locali, ma le arricchisce), che non hanno margini sostanziali per l'esercizio della loro potesta' regolamentare. Mortifica, pero', anche e soprattutto l'autonomia regionale, poiche' interviene in materia di competenza esclusiva della Regione, addirittura con prescrizioni di dettaglio. Quanto al fatto che la materia dei servizi pubblici locali sia di esclusiva competenza regionale, per vero, non possono nutrirsi dubbi. Delle due, invero, l'una: o si tratta di materia a se' stante, oppure si tratta di sottomateria ricompresa in quella dell'organizzazione e del funzionamento degli enti locali. In ogni caso, essa non rientra negli elenchi ne' del secondo ne' del terzo comma dell'art. 117, sicche', in ragione del comma 4, e' assegnata alle Regioni in via esclusiva. A cio' si aggiunga che, una volta di piu', la legge impugnata e' affetta da irragionevolezza, poiche', in violazione degli artt. 3 e 5 della Costituzione, in una con le disposizioni del Titolo V, azzarda un disegno piattamente unificato delle modalita' di gestione dei servizi pubblici locali, laddove il nuovo testo della Costituzione vuole la differenziazione e la valorizzazione dell'autonomia. A cio' si aggiunga ancora, ovviamente, che, come gia' ricordato, l'art. 118 sancisce i principi fondamentali della sussidiarieta', della differenziazione e dell'adeguatezza, sicche' risulta specificamente violato dalla livellante normativa dello Stato, qui censurata.