Ricorso  della  Regione Basilicata, in persona del Presidente pro
tempore  della giunta regionale, arch. Filippo Bubbico, rappresentato
e difeso, come da mandato a margine del presente atto ed in virtu' di
deliberazione  di  giunta  regionale  n. 246  del 20 febbraio 2002 di
autorizzazione  a stare in giudizio, dall'avv. prof. Massimo Luciani,
presso  il  cui  studio  in  Roma,  via  Bocca  di  Leone  n. 78,  e'
elettivamente domiciliato,
    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   della   legge
28 dicembre   2001,  n. 448  (pubblicata  nel  supplemento  ordinario
n. 285/L  alla  Gazzetta  Ufficiale  del  29 dicembre  2001  -  serie
generale  -  n. 301),  recante:  "Disposizioni  per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)",
con  particolare  riferimento agli artt. 10, comma 1, lett. a), b), e
c);  16,  comma 7;  19, commi 1, 3, 7, 8 e 14; 24, commi 6, 7, 8 e 9;
27, commi 8, 9, 10, 11, 16 e 17; 29; 35.

                              F a t t o

    Quella che qui si impugna e' la prima legge finanziaria approvata
dopo  le  modifiche  che  la  legge  costituzionale  n. 3 del 2001 ha
apportato al Tilolo V della Parte II della Costituzione.
    Come  accade  ormai  comunemente nelle annuali leggi finanziarie,
anche questa reca una varia congerie di previsioni normative del piu'
diverso  contenuto, tra le quali non e' semplice orientarsi. Quel che
piu'  conta, peraltro, e' che la novita' del quadro costituzionale di
riferimento,  insieme con il ritmo sostenuto dei lavori parlamentari,
ha   impedito  una  piena  consapevolezza,  e  dunque  il  necessario
rispetto, del nuovo disegno dei rapporti tra Stato e Regioni.
    Le competenze regionali, per come definite dalla nuova disciplina
costituzionale   e   in   particolare   dagli  artt. 114  sgg.  della
Costituzione, risultano infatti pesantemente lese per una consistente
serie di ragioni.
    E'  dato,  infatti,  riscontrare  una pluralita' di violazioni di
molteplici  disposizioni  costituzionali.  In  ispecie, le previsioni
denunciate  in  epigrafe  sono  costituzionalmente  illegittime per i
seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Quanto a tutte le norme censurate: violazione degli artt. 3,
5,  114, e 117 della Costituzione. E' necessario, in via preliminare,
analizzare  quale  sia  stato il complessivo atteggiamento tenuto dal
legislatore nella legge finanziaria 2002, poiche' cio' consentira' di
lumeggiare  subito  la  palese  fondatezza  di  tutte  le  censure di
illegittimita' costituzionale in appresso formulate.
    Quello   della   legge  in  esame,  in  effetti,  e'  un  esempio
emblematico  della  tendenza,  gia'  denunciata dalla piu' autorevole
dottrina  sin  dal  momento  dell'entrata  in  vigore  della  riforma
costituzionale,  a tenere in sostanziale non cale la profonda riforma
del  Titolo V della Costituzione. Come e' stato detto esattamente (da
D'Atena):  "oggi, probabilmente, il maggiore problema sul tappeto [e]
quello  della  difficolta'  di  metabolizzare - in termini di cultura
istituzionale  -  le enormi novita' introdotte nel nostro ordinamento
dalla  riforma del titolo V". E' evidente, infatti, come, "nonostante
il  rovesciamento  dell'enumerazione delle competenze legislative, lo
Stato  seguiti  a  legiferare  come  se  nulla  fosse avvenuto", vuoi
"intervenendo  con  propri  atti  anche  in materie assoggettate alla
competenza  esclusiva delle Regioni", vuoi adottando una normativa di
dettaglio nelle materie di competenza concorrente.
    Tanto  l'uno  quanto  l'altro  atteggiamento  non  possono essere
tollerati,  e le disposizioni normative nelle quali essi si traducono
sono senz'altro illegittime.
    In primo luogo, quanto all'intervento nelle materie di competenza
esclusiva  delle Regioni, va subito detto che, nel rispetto di quella
paritaria  nozione  delle  componenti della "Repubblica" che e' stata
introdotta  dall'art. 114  della  Costituzione  (che impone anche una
lettura  aggiornata dell'art. 5), il nuovo testo dell'art. 117 mostra
una  radicale  differenza dal precedente. Il vecchio, invero, esibiva
una  formulazione  volutamente riduttiva delle prerogative regionali,
poiche' consentiva alla Regione di adottare "norme legislative" e non
parlava  affatto  di  funzione legislativa (come faceva e fa, invece,
l'art. 70).  In questo modo, si voleva rimarcare la differenza tra la
legge  statale  e  quella  regionale,  suggerendo che una cosa era la
funzione  legislativa, destinata ad essere esercitata collettivamente
(solo)  dalle  Camere,  e  un'altra  la  mera attivita' di produzione
normativa,  ancorche' situata sul gradino della legislazione. Ora, il
nuovo  art. 117 ha inteso equiparare pienamente le Regioni e lo Stato
quanto  alla  titolarita' della funzione legislativa, sicche', ormai,
salve  le  peculiarita' espressamente previste, legge statale e legge
regionale   sono  in  posizione  di  piena  equiordinazione  (possono
vedersi,  in  proposito,  tra  le  prime  formulate  in  dottrina, le
considerazioni di F. Pizzetti).
    Il  primo comma, infatti, stabilisce che "La potesta' legislativa
e'  esercitata  dallo  Stato  e  dalle  Regioni  nel  rispetto  della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e  dagli  obblighi internazionali". In questo modo si e'
voluto sottolineare che, al di la' di qualunque discussione dogmatica
sui  rapporti  tra  legge  statale e legge regionale, queste hanno la
medesima  "dignita'"  e costituiscono al medesimo titolo modalita' di
pieno esercizio della funzione legislativa.
    In  armonia  con  tale diversa impostazione, ora la legge statale
non  puo'  piu'  intervenire nelle materie di competenza regionale se
non  negli stretti limiti imposti dalla Costituzione. In particolare,
non  le  e'  consentito  (se non in ipotesi espressamente menzionate)
entrare   nelle   materie  di  competenza  regionale  esclusiva,  ne'
intervenire  (nelle  stesse  materie  di  competenza concorrente) con
norme  di dettaglio, foss'anche disponendone la cedevolezza (i.e.: la
derogabilita'  da parte di successive leggi regionali). Infatti, "non
sembra contestabile che, nel quadro del nuovo sistema, esse risultino
assolutamente ingiustificabili. Per l'evidente ragione che, a seguito
del   rovesciamento   dell'enumerazione,  ormai  lo  Stato  non  puo'
intervenire  che  nelle  materie  riservategli dalla Costituzione (si
badi:  espressamente  riservategli, secondo quanto precisa il comma 4
dell'art. 117)" (cosi', in dottrina, ancora D'Atena).
    E'  bene ribadire: al legislatore statale e' precluso porre norme
di  dettaglio  non  solo  nelle materie di competenza esclusiva delle
Regioni,   ma   anche  in  quelle  che  sono  oggetto  di  competenza
concorrente. La possibilita' di adottare normativa di dettaglio nelle
materie   di   competenza   legislativa   concorrente,  invero,  deve
assolutamente  escludersi,  di  fronte  al  tenore testuale del terzo
comma  dell'art. 117,  giusta il quale "Nelle materie di legislazione
concorrente  spetta  alle  Regioni la potesta' legislativa, salvo che
per  la  determinazione  dei  principi  fondamentali,  riservata alla
legislazione dello Stato".
    Questa  formulazione, affatto inequivoca, non lascia ormai alcuno
spazio  alle  prassi,  che  diremmo di interpretazione elastica della
sfera   delle   competenze  regionali,  affermatesi  nel  vigore  del
previgente testo costituzionale. In precedenza, come e' noto, codesta
ecc.ma  Corte aveva consentito l'adozione di una normativa statale di
dettaglio,    affermando    ch'essa    poteva    trovare   (ancorche'
"eccezionalmente"  e  sotto un controllo di costituzionalita' "quanto
mai  rigoroso")  fondamento  nell'interesse  nazionale (cfr., ad es.,
sent.  n. 373  del  1995). Oggi, pero', a prescindere dai dubbi sulla
sopravvivenza   dell'interesse   nazionale   nutriti   da  una  parte
significativa  della  dottrina, e' chiaro che la normativa statale di
dettaglio  e' illegittima. L'intervento della legge statale, infatti,
e'  esplicitamente  limitato alla normazione di principio (alla legge
statale, anzi, "riservata").
    Per comprendere quanto il quadro sia cambiato e' bene (per quanto
ovvio  possa essere) rammentare che, prima, il vecchio art. 117 della
Costituzione  stabiliva che la Regione potesse "emanare" delle "norme
legislative"  in  varie  materie.  In  dette  materie, la Regione era
tenuta  ad  osservare  i  "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato",
oltre che l'interesse nazionale e quello delle altre Regioni. In tali
materie,  allo Stato spettava l'indicazione dei principi fondamentali
e alle Regioni la concreta legislazione di dettaglio, nel rispetto di
tali principi.
    L'art. 17,  comma 4, della legge 16 maggio 1970, n. 281, stabili'
che  le  Regioni  avrebbero  potuto legiferare anche in assenza delle
leggi  statali  identificative  dei principi fondamentali (e cioe' di
"leggi  cornice"),  ma  nel rispetto dei principi comunque desumibili
dal   complesso   della   legislazione  statale.  In  ogni  caso,  al
legislatore  statale  venne  consentito di non limitarsi all'adozione
delle  sole  disposizioni  di  principio,  ma di adottare anche norme
puntuali  di  dettaglio,  "efficaci  soltanto  per il tempo in cui la
regione  non  abbia  provveduto  ad  adeguare  la  normativa  di  sua
competenza  ai  nuovi  principi  dettati  dal  Parlamento"  (cosi, ex
plurimis, sent. 12 luglio 1985, n. 214).
    Le  cose, ora, sono molto cambiate. Nel vecchio testo, i principi
fondamentali  erano  qualificati  espressamente  come  un inevitabile
limite  delle  leggi  regionali. Solo grazie a questo si era giunti a
consentire  che  essi  fossero  desunti  da tutte le "leggi vigenti",
anche  in mancanza di vere e proprie "leggi cornice". Oggi, pero', si
dice  solo  che  la determinazione di quei principi e' riservata allo
Stato.
    Conseguentemente, un intervento legislativo statale nelle materie
regionali, al contrario di quanto accadeva in passato, non potra' mai
attenere alla normazione di dettaglio, per quanto cedevole essa possa
essere. L'art. 117, comma 3, infatti, affida espressamente allo Stato
solo   la  determinazione  dei  principi  fondamentali,  restando  la
normazione  di dettaglio completamente affidata alle Regioni. A tutto
concedere, nell'ipotesi in cui si ritenesse che l'interesse nazionale
sia   sopravvissuto,   esso  potrebbe  consentire,  oramai,  soltanto
l'esercizio  dei  poteri sostitutivi ai sensi dell'art. 120, comma 2.
Giammai, invece, l'adozione ex abrupto di una normativa di dettaglio,
a  prescindere da qualsivoglia inerzia regionale. L'adozione di norme
di  dettaglio  viola  l'intero  (nuovo)  disegno costituzionale delle
autonomie,  ed  e'  anche  manifestamente irragionevole (eppercio' in
contrasto  con  l'art. 3, nel suo rapporto con gli artt. 5, 114 e 117
della    Costituzione),   poiche',   in   presenza   della   garanzia
costituzionale  dei  poteri  sostitutivi  statali,  non  vi e' alcuna
ragione di ricorrere ad una normazione con siffatto contenuto.
    E'  quanto,  invece, e' accaduto con la legge qui impugnata, che,
con  assoluta  disinvoltura, ha dettato norme di analitico dettaglio,
oltretutto senza nemmeno la previsione della loro cedevolezza (il che
fa si' che la legge impugnata sarebbe illegittima anche alla luce dei
previgenti  parametri).  Tamquam la riforma costituzionale non esset.
Tutte le norme censurate, pertanto, sono radicalmente illegittime. In
ogni  caso,  in  riferimento  a ciascuna di esse debbono svolgersi le
censure che qui seguono.
    2.  -  Quanto all'art. 10, comma 1, lett. a), b) e c): violazione
degli  artt. 3,  5, 114, 117 e 119 della Costituzione L'art. 10 della
legge  finanziaria 2002, al comma 1, reca modificazioni al capo I del
decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, recante disposizioni in
materia  di  imposta  comunale  sulla  pubblicita' e di diritto sulle
pubbliche  affissioni,  disponendo che "a) all'articolo 3, il comma 5
e' sostituito dal seguente:
    "5.  In  deroga all'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le
tariffe  dell'imposta sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche
affissioni  sono  deliberate  entro  il  31  marzo  di ogni anno e si
applicano  a  decorrere  dal  1 gennaio del medesimo anno. In caso di
mancata  adozione della deliberazione, si intendono prorogate di anno
in anno";
        b)    all'art. 4,   comma   1,  concernente  la  facolta'  di
determinazione  delle  tariffe da parte dei comuni, sono soppresse le
seguenti parole: "delle prime tre classi";
        c) all'art. 17, dopo il comma 1, e' aggiunto il seguente:
    "1-bis.  L'imposta  non  e' dovuta per le insegne di esercizio di
attivita'   commerciali  e  di  produzione  di  beni  o  servizi  che
contraddistinguono   la   sede  ove  si  svolge  l'attivita'  cui  si
riferiscono,  di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati.
I  comuni, con regolamento adottato ai sensi dell'art. 52 del decreto
legislativo  15  dicembre 1997, n. 446, possono prevedere l'esenzione
dal  pagamento  dell'imposta  per  le  insegne  di esercizio anche di
superficie   complessiva  superiore  al  limite  di  cui  al  periodo
precedente".
    Le   disposizioni   indicate   in   epigrafe   sono   palesemente
illegittime.
    2.1.  -  In  primo  luogo,  e'  clamorosamente  evidente  la loro
analiticita'.  Esse  modificano  una fonte primaria (il d.lgs. n. 507
del  1993)  anteriore di circa dieci anni alla revisione del Titolo V
della  Costituzione, impiegando - incredibilmente - la stessa tecnica
legislativa  usata  allora,  come  se  nulla,  nel  frattempo,  fosse
accaduto. Valga il vero.
    Quanto  alla  lett.  a),  la  natura di dettaglio delle norme ivi
contenute  e'  disvelata  da  cio' che esse costituiscono "deroga" al
regime   in   vigore;   che   si  indicano  addirittura  le  date  di
deliberazione  e  di applicazione delle tariffe dell'imposta comunale
sulla  pubblicita'  e  del diritto sulle pubbliche affissioni; che si
disciplina il regime della proroga.
    Quanto  alla lett. b), si elimina il riferimento ai comuni "delle
prime  tre  classi"  (e cioe' ai comuni con popolazione oltre 500.000
abitanti;  da  100.000  a 500.000; da 30.000 a 100.000), consentendo,
ora, a tutti i comuni di suddividere le localita' del loro territorio
"in  due categorie in relazione alla loro importanza, applicando alla
categoria speciale una maggiorazione fino al centocinquanta per cento
della  tariffa  normale"  (cosi' l'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 507
del 1993, parzialmente novellato dalla norma censurata). Anche qui il
dettaglio  e'  spinto sino alla minuzia, con la precisazione non solo
delle   facolta'   dei  comuni,  ma  anche  delle  percentuali  delle
maggiorazioni tariffarie ammesse.
    Quanto  alla  lett.  c), nel disciplinare la materia dell'imposta
sulle  insegne  di  esercizio  commerciale,  si  individuano  precisi
requisiti  di dimensione delle insegne commerciali (fino a 5 mq), cui
e'  subordinata  l'esenzione dal pagamento dell'imposta, che i comuni
debbono  concedere.  Non  solo,  dunque, si incide direttamente sulla
potesta'   impositiva  comunale,  ma  lo  si  fa  con  l'autoritativa
determinazione  addirittura delle misure delle insegne degli esercizi
commerciali che vanno esenti da imposta.
    Tale  regime  normativo  e'  del tutto illegittimo, poiche', come
sopra  (si  confida)  delucidato,  la normazione statale di dettaglio
nelle materie di competenza regionale non e' piu' consentita.
    2.2.  -  L'art. 117,  comma 2, lett. e), attribuisce in esclusiva
alla  legge statale soltanto il "sistema tributario ... dello Stato".
Appartiene alle materie di competenza concorrente, invece, quella del
"coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema tributario"
(comma  3).  Ai  sensi  del  comma  4,  poi,  "spetta alle Regioni la
potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata  alla  legislazione  dello  Stato".  Da  cio'  e'  semplice
evincere che:
        a) la  materia  "sistema  tributario degli enti locali" (e in
particolare   dei  comuni)  non  rientra  tra  quelle  di  competenza
esclusiva  dello  Stato.  Conseguentemente,  ai  sensi dell'art. 117,
comma  4,  della  Costituzione,  si  tratta  di  materia di esclusiva
competenza regionale;
        b) in  materia  di  tributi  locali  la  legge  statale  puo'
intervenire   soltanto  nell'esercizio  di  potesta'  concorrente,  e
quindi,  ai  sensi dell'art. 117, comma 3, al solo fine di assicurare
la "determinazione dei principi fondamentali";
        c) in  ogni  caso,  in  tale  specifica  materia,  gli stessi
principi  fondamentali non possono avere un'estensione discrezionale,
ma  debbono  limitarsi  a  quel  che  e' necessario per assicurare il
"coordinamento  della  finanza  pubblica  e del sistema tributario" e
nulla di piu', poiche' tutta la residua disciplina compete alla legge
regionale;
        d) il coordinamento, poi, non spetta solo alla legge statale,
ma  anche  a  quella  regionale,  che  qui,  invece, e' completamente
trascurata.
    Ora,  se  si  esaminano  le  norme  censurate alla luce di questi
limpidi  precetti costituzionali, si desume chiaramente che esse sono
clamorosamente illegittime. Infatti: a) comportano l'intervento della
legge  dello Stato in materia che sfugge a tale fonte ed e' assegnata
(in  esclusiva!)  a fonte diversa (la legge regionale); b) sono norme
di dettaglio (per giunta prive di clausola di cedevolezza), che vanno
ben  oltre  la  determinazione  dei  principi  fondamentali, i quali,
oltretutto,  nelle  materie  di  competenza  concorrente sono il solo
campo  di  azione  della  legge dello Stato; c) non hanno nulla a che
vedere  con  il  "coordinamento"  tra  i  vari  livelli della finanza
pubblica  e  del  sistema  tributario, poiche', invece di coordinare,
disciplinano  direttamente  singole,  concrete  fattispecie, cio' che
alla legge dello Stato non e' consentito.
    Non basta. Sempre in riferimento all'art. 117 della Costituzione,
si  deve  considerare  che  la  materia delle insegne di esercizio e'
intimamente  connessa  a  quella  del governo del territorio, che, ai
sensi  del  nuovo  art. 117  della Costituzione e' senz'altro rimessa
alla  potesta' legislativa concorrente delle Regioni (con conseguente
esclusione della normazione statale di dettaglio).
    2.3.   -  Le  norme  censurate  violano  anche  l'art. 119  della
Costituzione,  poiche'  questo,  al  comma 4, dispone che "Le risorse
derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi  precedenti consentono ai
comuni,  alle  province,  alle citta' metropolitane e alle regioni di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite".
    Le  disposizioni censurate trascurano del tutto la considerazione
dell'autonomia  comunale,  in  particolare  in quanto stabiliscono, a
priori   e   senza  alcuna  valutazione  in  termini  di  apporto  al
finanziamento  delle  funzioni  degli  enti locali, che certe insegne
commerciali   siano  automaticamente  esentate  dalle  imposte  sulla
pubblicita'.  Tanto,  scavalcando  completamente  la legge regionale,
che,  come  si  e' detto, e' la sola fonte competente all'adozione di
previsioni normative di dettaglio in materia.
    2.4.  -  Infine,  e' evidente l'irragionevolezza della scelta del
legislatore statale, che ha deciso di intervenire direttamente, e con
norme  di dettaglio, in materia coperta (salvo per quanto concerne il
coordinamento,   assegnato  alla  concorrenza  tra  fonti  statali  e
regionali)   da   riserva  alla  potesta'  esclusiva  della  regione.
Interventi  di  tal  genere sono in radice illegittimi, poiche', come
gia'  osservato,  allo  Stato puo' residuare, tutt'al piu', l'impiego
del  potere  sostitutivo. Tale potere, tuttavia, presuppone l'inerzia
regionale,  e  in  questo  caso,  ovviamente,  tale  inerzia  non era
minimamente riscontrabile. Per soprammercato, non ricorrevano neppure
i  presupposti  per  l'esercizio  dello  stesso  potere  sostitutivo,
poiche'  le  norme  censurate  non  hanno certo lo scopo di garantire
l'unita'  giuridica  o economica del Paese, di garantire la sicurezza
pubblica,   etc.,   come   richiede   l'art. 120,   comma   2,  della
Costituzione.   Del   tutto  incomprensibili,  pertanto,  le  ragioni
giustificative della determinazione del legislatore statale.
    Ulteriore  profilo  di  irragionevolezza sta in cio' che i comuni
sono  tenuti  ad  assicurare l'esenzione di cui alla lett. c), non in
base  a  considerazioni  di  opportunita'  rimesse alla loro autonoma
valutazione,  ma  ...  in direzione obbligata, dal momento che non e'
loro  consentito  optare per ipotesi di esenzione solo per insegne di
dimensioni inferiori a quelle fissate.
    Il  contenuto  minimo  della  liberta' di apprezzamento in ordine
alle  scelte  impositive,  in cui si sostanzia l'autonomia tributaria
dei  comuni,  ne  risulta  limitato in maniera del tutto irrazionale,
eliminandosi cosi' la possibilita' per gli enti locali di determinare
una    propria,    autonoma    politica    di    incentivazione    (o
disincentivazione) della pubblicita' degli esercizi commerciali.
    Il   legislatore   statale   ha  dunque  introdotto  prescrizioni
inutilmente  onerose  per  gli  enti  locali  e lesive per la Regione
ricorrente.
    3.  - Quanto agli artt. 16, comma 7, e 19, commi 1, 3, 7, 8 e 14:
violazione  degli  artt. 3,  5,  114,  117, 118 della Costituzione, e
dell'art. 11,  legge  della  Costituzione  18  ottobre 2001, n. 3. Le
disposizioni  in  epigrafe  sono  gravemente  lesive dell'autonomia e
delle  prerogative  costituzionali  della Regione Basilicata, sia per
cio' che concerne la disciplina dell'impiego del personale regionale,
sia  per  cio'  che concerne la disciplina dell'impiego del personale
degli enti locali.
    3.1.  -  Secondo l'art. 16, comma 7, della legge n. 448 del 2001,
"Ai  sensi  dell'art. 48,  comma  2, del decreto legislativo 30 marzo
2001,  n. 165,  gli  oneri  derivanti dai rinnovi contrattuali per il
biennio  2002-2003 del personale dei comparti degli enti pubblici non
economici,  delle  regioni,  delle  autonomie  locali,  del  Servizio
sanitario  nazionale,  delle  istituzioni  e  degli enti di ricerca e
sperimentazione  e  delle  universita',  nonche'  degli  enti  di cui
all'art. 70, comma 4, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001,
e  gli  oneri  per  la  corresponsione dei miglioramenti economici al
personale  di cui all'art. 3, comma 2, del citato decreto legislativo
n. 165  del  2001,  sono a carico delle amministrazioni di competenza
nell'ambito  delle  disponibilita' dei rispettivi bilanci. I comitati
di settore, in sede di deliberazione degli atti di indirizzo previsti
dall'art. 47,  comma  1,  del medesimo decreto legislativo n. 165 del
2001,  si  attengono,  anche  per  la  contrattazione integrativa, ai
criteri  indicati  per  il  personale delle amministrazioni di cui al
comma  1  e  provvedono alla quantificazione delle risorse necessarie
per i rinnovi contrattuali".
    A  sua volta l'art. 19, al comma 1, dispone che "Per l'anno 2002,
alle  amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, alle
agenzie,   agli   enti  pubblici  non  economici,  alle  universita',
limitatamente  al  personale  tecnico ed amministrativo, agli enti di
ricerca  ed  alle  province,  ai comuni, alle comunita' montane ed ai
consorzi  di  enti  locali che non abbiano rispettato le disposizioni
del  patto  di stabilita' interno per l'anno 2001 e' fatto divieto di
procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato; i singoli
enti   locali   in   caso   di   assunzione   del   personale  devono
autocertificare  il  rispetto delle disposizioni relative al patto di
stabilita'   interno  per  l'anno  2001.  Alla  copertura  dei  posti
disponibili  si  puo'  provvedere  mediante ricorso alle procedure di
mobilita'  previste  dalle  disposizioni  legislative e contrattuali,
tenendo  conto  degli  attuali processi di riordino e di accorpamento
delle  strutture  nonche'  di  trasferimento  di  funzioni.  Si  puo'
ricorrere   alle  procedure  di  mobilita'  fuori  dalla  regione  di
appartenenza  dell'ente  locale  solo  nell'ipotesi  in cui il comune
ricevente  abbia  un  rapporto  dipendenti-popo-lazione  inferiore  a
quello  previsto  dall'art. 119,  comma 3, del decreto legislativo 25
febbraio  1995,  n. 77, e successive modificazioni, maggiorato del 50
per  cento.  Sono  consentite  le assunzioni connesse al passaggio di
funzioni  e  competenze agli enti locali il cui onere sia coperto dai
trasferimenti  erariali compensativi della mancata assegnazione delle
unita'  di  personale.  Il divieto non si applica al comparto scuola.
Sono  fatte  salve  le  assunzioni  di  personale  relative  a figure
professionali  non  fungibili  la  cui  consistenza  organica non sia
superiore all'unita', nonche' quelle relative alle categorie protette
e   quelle  relative  ai  vincitori  del  secondo  corso-concorso  di
formazione dirigenziale indetto dalla Scuola superiore della pubblica
amministrazione  di  cui al bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del  18  marzo  1997  -  4a serie speciale - n. 22. Il divieto non si
applica  al  personale  della carriera diplomatica. Il divieto non si
applica  altresi' ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili,
nonche' agli avvocati e procuratori dello Stato. In deroga al divieto
di  assunzioni,  il  Ministero  della giustizia, con riferimento alle
specifiche  esigenze  del  settore,  definisce  per  l'anno  2002  un
programma  straordinario  di  assunzioni  nel limite di 500 unita' di
personale   appartenente   alle   figure  professionali  strettamente
necessarie  ad assicurare la funzionalita' dell'apparato giudiziario.
Il   Mistero  della  giustizia,  nei  limiti  delle  spese  sostenute
nell'anno  2001  per  i  rapporti  di  lavoro a tempo determinato, e'
autorizzato  ad  avvalersi,  fino  al 31 dicembre 2002, del personale
assunto a tempo determinato ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. a,),
della  legge  18  agosto  2000, n. 242. Il programma di assunzioni va
presentato  per  l'approvazione  alla  Presidenza  del  Consiglio dei
ministri  ed  al Ministro dell'economia e delle finanze. I termini di
validita'  delle  graduatorie per l'assunzione di personale presso le
amministrazioni  pubbliche  sottoposte  al divieto di cui al presente
comma  sono  prorogati  di  un  anno.  Il  Ministero  della salute e'
autorizzato  ad  avvalersi,  fino  al 31 dicembre 2002, del personale
assunto  a  tempo  determinato  ai sensi dell'art. 12, comma 2, della
legge  16 dicembre 1999, n. 494. Il termine di cui all'art. 18, comma
3,  della legge 12 marzo 1999, n. 68, e' differito di diciotto mesi a
partire  dalla  sua  scadenza.  In  ogni  caso,  la spesa relativa al
personale  assunto  a  tempo  determinato  o  con  convenzioni  dalle
province,  dai comuni, dalle comunita' montane e dai consorzi di enti
locali  non puo' superare l'importo della spesa sostenuta al medesimo
titolo  nell'anno 2001, con un incremento pari al tasso di inflazione
programmata     indicato     nel    Documento    di    programmazione
economico-finanziaria".
    Il  comma 3 del medesimo articolo, poi, prevede che "All'art. 39,
comma  2,  della  legge  27  dicembre 1997, n. 449, 1'ultimo periodo,
introdotto  dalla  lett.  a)  del comma 1 dell'art. 51 della legge 23
dicembre  2000,  n. 388,  e'  sostituito  dal seguente: "Per ciascuno
degli  anni  2003  e  2004,  le  amministrazioni dello Stato anche ad
ordinamento  autonomo,  le  agenzie e gli enti pubblici non economici
con  organico  superiore  a  200  unita' sono tenuti a realizzare una
riduzione  di  personale  non  inferiore all'uno per cento rispetto a
quello in servizio al 31 dicembre 2002".
    Ai  sensi  del comma 7, per di piu', "Le assunzioni effettuate in
violazione  delle  disposizioni  del  presente articolo sono nulle di
diritto".
    Il  comma  8 inoltre, prevede che "A decorrere dall'anno 2002 gli
organi di revisione contabile degli enti locali di cui all'art. 2 del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, accertano che i documenti
di  programmazione  del  fabbisogno  di personale siano improntati al
rispetto  del  principio  di riduzione complessiva della spesa di cui
all'art. 39  della  legge  27  dicembre  1997,  n. 449,  e successive
modificazioni,  e  che  eventuali  deroghe  a  tale  principio  siano
analiticamente motivate".
    Il comma 14 dell'art. 19, infine, dispone che "Le amministrazioni
pubbliche  promuovono  iniziative  di  alta  formazione  del  proprio
personale  anche  ai  fini  dell'accesso  alla dirigenza favorendo la
partecipazione  dei  dipendenti  ai corsi di laurea, anche triennali,
organizzati  con l'impiego prevalente delle metodologie di formazione
a  distanza  per  finalita'  connesse alle attribuzioni istituzionali
delle  amministrazioni  interessate.  A  tal  fine,  nei limiti delle
ordinarie  risorse  finanziarie  destinate  all'aggiornamento  e alla
formazione  del personale, le amministrazioni pubbliche e le relative
scuole   o   strutture   di  formazione,  sentite  le  organizzazioni
sindacali,  possono  anche erogare borse di studio del valore massimo
corrispondente   all'iscrizione   ai   suddetti  corsi  di  laurea  o
provvedere al relativo rimborso".
    3.2.  - Come e' agevole verificare, le previsioni sopra riportate
disciplinano  direttamente,  e con estremo dettaglio, il rapporto tra
la  Regione  e  gli  enti  locali  e  il  rispettivo  personale. Tale
disciplina e' palesemente illegittima.
    Preliminarmente,   si  deve  ribadire  che  l'intervento  di  una
normativa  statale  di  dettaglio  (oltretutto  priva  di clausole di
cedevolezza)  e'  comunque  vietato  (sia nelle materie di competenza
esclusiva  che  in  quelle  di  competenza concorrente) dall'art. 117
della Costituzione, cosi' come si e' avuto modo di argomentare. Vanno
pertanto ribadite le stesse censure gia' piu' sopra formulate.
    Tanto  precisato,  si  deve osservare che la materia dell'impiego
presso  la  Regione  e  gli  enti locali e' assegnata alla competenza
esclusiva   delle   Regioni.  Detta  materia,  infatti,  non  rientra
nell'elenco  delle materie di competenza esclusiva dello Stato ne' in
quello  delle  materie di competenza concorrente, sicche', in ragione
dell'art. 17,   comma   4,  della  Costituzione,  ricade  nell'ambito
riservato alla legge regionale.
    Conseguentemente,  in  tale materia la legge dello Stato non puo'
intromettersi, men che meno stabilendo una normativa di dettaglio. La
legge  impugnata,  invece,  invade il campo dell'autonomia regionale,
anche  qui  agendo come se la riforma del Titolo V della Costituzione
non si fosse avuta. Valga il vero.
    L'art. 16,  comma  7,  della  legge impugnata incide direttamente
sull'autonomia  organizzativa  regionale, imponendo che gli oneri ivi
previsti   siano   a   carico  delle  amministrazioni  di  competenza
"nell'ambito  delle  disponibilita' dei rispettivi bilanci", con cio'
precludendo  la  possibilita'  di  una  diversa  articolazione  delle
disponibilita'  di  bilancio,  o  lo  stesso ricorso a nuove fonti di
finanziamento.  Inoltre,  vincola l'azione dei comitati di settore in
ordine  agli  atti  di indirizzo previsti dal d.lgs. n. 165 del 2001,
perpetuando,  cosi',  la  disciplina  di un procedimento che, dopo la
legge  della  Costituzione  n. 3  del  2001,  non ha piu' alcun senso
(atteso  che ogni Regione e' totalmente autonoma nella determinazione
delle  procedure  di  contrattazione collettiva). Quanto all'art. 19,
commi 1, 3, 7, 8 e 14, le previsioni sono ancor piu' analitiche.
    Infatti,   al   comma  1,  autoritativamente  si  determinano  le
conseguenze  (in  termini  di  assunzione  di  personale) del mancato
rispetto  del patto di stabilita' interno da parte degli enti locali;
si  regolano  le  procedure  di  mobilita'; si indicano le assunzioni
comunque  "fatte  salve";  si  dispone  in  materia  di assunzione di
disabili;  si  congela ai livelli del 2001 la spesa degli enti locali
per l'assunzione di personale a tempo determinato.
    Al  comma  3, per gli anni 2003 e 2004, si impone (oltre che alle
amministrazioni  dello  Stato) anche agli enti pubblici non economici
(con  organico superiore a 200 unita) una riduzione del personale non
inferiore  all'uno  per  cento  rispetto  a  quello in servizio al 31
dicembre  2002.  In  tal  modo,  per  un  verso,  non si detta alcuna
disposizione  di  salvaguardia  per  le Regioni, e comunque si incide
direttamente sulla disciplina degli enti pubblici non economici della
regione.
    Al  comma  7,  si  dispone la grave sanzione della nullita' delle
assunzioni  effettuate  in  violazione  delle  previsioni dello steso
art. 19.
    Al  comma 8 si incide direttamente sull'azione e sulle competenze
degli organi di revisione contabile degli enti locali.
    Al   comma   14,  infine,  con  previsione  diretta  a  tutte  le
"amministrazioni   pubbliche"   (Regioni  ed  enti  locali  compresi,
dunque),  si  disciplinano  le  facolta' relative alla formazione del
personale,  tanto  per il profilo delle azioni esperibili, quanto per
quello dei limiti delle risorse finanziarie destinabili alla bisogna.
    Da   questa   sommaria   esposizione  si  conferma  quanto  sopra
evidenziato:   la   legge   impugnata   interviene   direttamente   e
analiticamente  (con  norme,  cioe',  di dettaglio) in una materia di
competenza   esclusiva   della  Regione  Basilicata,  pretendendo  di
disciplinare aspetti essenziali del rapporto di lavoro dei dipendenti
regionali  e  degli  enti  locali,  senza che vi sia alcun titolo, in
Costituzione, per procedere a tanto.
    3.3.  -  Non meno palese della violazione dell'art. 117 e' quella
dell'art. 118  della  Costituzione. Le Regioni, invero, sono titolari
di  funzioni  amministrative  proprie,  e  la  prima  di  queste e' -
ovviamente  -  quella  di  autorganizzazione. Le censurate previsioni
normative, invece, incidono proprio sull'autonomia organizzativa, non
solo  con la sottrazione di tale materia alla legge regionale, ma con
la  diretta  limitazione  delle  scelte  discrezionali della Regione,
costretta a regolare i rapporti con il proprio personale (addirittura
nel  momento  genetico  dell'assunzione)  cosi'  come  il legislatore
statale ha imposto.
    L'autonomia organizzativa, si badi, e' incontestabile, sia per il
tenore  testuale  dell'art. 118,  che  per  il  suo  collegamento con
l'art. 119  della  Costituzione,  che garantisce alle Regioni (e agli
enti  locali)  l'autonomia  finanziaria  necessaria  per assolvere ai
compiti loro spettanti (e quindi, primariamente, per coprire le spese
relative al personale).
    3.4.  -  E'  assolutamente  evidente  che  le norme censurate non
potrebbero  essere  giustificate  richiamando la possibilita', per la
legge dello Stato, di dettare i principi in materia di "coordinamento
della finanza pubblica" (materia, si ripete, assegnata in concorrenza
allo Stato e alla Regione).
    In  primo  luogo,  si  deve ribadire che in tale materia lo Stato
deve  limitarsi  a dettare le norme di principio, cio' che qui non ha
fatto.
    In  secondo  luogo, una cosa e' il coordinamento della finanza, e
un'altra  la disciplina concreta delle singole materie. Poiche' quasi
tutte  le  scelte  pubbliche hanno conseguenze finanziarie, e' chiaro
che  l'intenzione del legislatore di revisione costituzionale sarebbe
tradita  e disattesa, ove il coordinamento della finanza divenisse il
grimaldello  per  garantire  allo Stato un potere di coordinamento in
tutte  le  materie  di competenza (anche esclusiva!) regionale. Cosi'
ragionando,  infatti, l'intero disegno della legge della Costituzione
n. 3  del  2001  (che distingue nettamente tra competenze esclusive e
concorrenti,  e  sottrae  allo  Stato la funzione di dettare norme di
principio in tutte le materie) sarebbe cancellato.
    3.5.  -  Non  basta.  L'intervento  qui  contestato  non potrebbe
trovare  giustificazione  nemmeno nell'esigenza di rispettare, in una
con  il patto di stabilita' interno, anche gli impegni comunitari del
nostro Paese. Infatti:
        a) l'attuazione degli impegni comunitari e' riservata ("nelle
materie   di   loro   competenza")  alle  Regioni,  salvo  il  potere
sostitutivo (e non preventivo!) dello Stato;
        b) se l'esigenza che la legge censurata intende perseguire e'
quella  del  rispetto  del  patto di stabilita', tale esigenza puo' e
deve essere perseguita attraverso l'indicazione degli obiettivi e non
l'imposizione   dei   mezzi,  almeno  quando  l'indirizzatario  delle
prescrizioni  e'  un  ente  territoriale  come  la Regione, dotata di
autonomia costituzionalmente garantita anche in forma esclusiva.
    Quanto  ora  osservato,  anzi,  evidenzia un ulteriore profilo di
incostituzionalita' della normativa in epigrafe, poiche', in modo del
tutto    irragionevole   (eppercio'   violativo   dell'art. 3   della
Costituzione, in combinato disposto con le norme del Titolo V), si e'
stabilito  di  incidere  direttamente  sull'autonomia  della  Regione
Basilicata,   senza   considerare   che   la   logica  della  vigente
Costituzione  e'  quella della piena responsabilizzazione dei livelli
locali di governo.
    Ancor  piu'  irragionevole,  poi,  e' che non si sia proceduto in
contraddittorio  con  le Regioni, nel rispetto del principio di leale
collaborazione  che  codesta ecc.ma Corte ha desunto gia' dal vecchio
testo  della  Costituzione.  A  maggior  ragione  tale principio deve
essere  rispettato  adesso,  anche alla luce dell'art. 11 della legge
della  Costituzione  n. 3  del 2001, che chiaramente indica la strada
della  cooperazione  come quella da seguire per il raggiungimento dei
fini  unitari  prospettati dall'art. 5 della Costituzione E' ben vero
che  il  menzionato  art. 11  non e' stato ancora attuato, ma non per
questo  puo'  esserne  negata  la forza precettiva, che sorregge, ora
piu' di allora, il principio cooperativo.
    4.  Quanto  all'art. 24,  commi  6,  7,  8  e 9: violazione degli
artt. 3,  5,  114, 117 e 119 della Costituzione L'art. 24 della legge
impugnata  regola  il  cosiddetto  patto di stabilita' interno per le
Province   e  i  comuni  per  l'anno  2002.  Risultano  lesivi  delle
attribuzioni  costituzionali  della ricorrente Regione Basilicata, in
particolare, i commi 6, 7, 8 e 9.
    4.1.   -  L'art. 24,  invero,  dispone,  al  comma  6,  che  "Per
l'acquisto  di  beni  e  servizi  le province, i comuni, le comunita'
montane  e i consorzi di enti locali possono aderire alle convenzioni
stipulate ai sensi dell'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488,
e  successive  modificazioni,  e dell'art. 59 della legge 23 dicembre
2000,  n. 338.  In  ogni  caso  per  procedere ad acquisti in maniera
autonoma  i  citati  enti  adottano i prezzi delle convenzioni di cui
sopra  come  base d'asta al ribasso. Gli atti relativi sono trasmessi
ai   rispettivi   organi   di   revisione  contabile  per  consentire
l'esercizio  delle  funzioni  di controllo"; al comma 7 che "gli enti
locali   emanano  direttive  affinche'  gli  amministratori  da  loro
designati  negli  enti  e  nelle  aziende  promuovano l'adesione alle
convenzioni  di  cui al comma 6 o l'attuazione delle procedure di cui
al  secondo  periodo  del  comma  6";  al  comma 8 che "gli enti e le
aziende  di  cui  ai  commi  6 e 7 devono promuovere opportune azioni
dirette  ad  attuare  l'esternalizzazione  dei  servizi  al  fine  di
realizzare economie di spesa e migliorare l'efficienza gestionale", e
infine,  al comma 9, che "in correlazione alle disposizioni di cui ai
commi  da  1 a 8, i trasferimenti erariali spettanti ai comuni e alle
province a valere sui fondi di cui all'art. 34, comma 1, lett. a), b)
e  c),  del  decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n. 504, quali
risultanti  per ciascuno degli anni 2002, 2003 e 2004 in applicazione
della legislazione vigente, sono rispettivamente ridotti dell'uno per
cento,  del  due  per  cento  e  del  tre per cento. Per l'anno 2002,
qualora l'ente non rispetti i limiti di cui al comma 4, l'importo dei
trasferimenti  ad esso spettante sono ulteriormente ridotti in misura
pari alla differenza tra gli obiettivi derivanti, per lo stesso ente,
dall'osservanza  del  medesimo  comma  4 e i risultati conseguiti. Le
risorse  che  si rendono disponibili sono attribuite, con decreto del
Ministro  dell'interno  di  concerto  con il Ministro dell'economia e
delle  finanze  alle  province  e  ai comuni che abbiano rispettato i
medesimi  limiti.  Gli  enti  locali  sono  tenuti  a  trasmettere al
Ministero  dell'economia  e  delle finanze, secondo modalita' e tempi
stabiliti   con  decreto  dello  stesso  Ministero,  le  informazioni
concernenti  il rispetto dell'obiettivo di cui al comma 4; in caso di
mancata trasmissione delle informazioni l'ente viene considerato come
inadempiente   ai   fini   del   raggiungimento  dell'obiettivo  e  i
trasferimenti  ad  esso spettante sono ulteriormente ridotti dell'uno
per cento rispetto alla riduzione prevista al primo periodo".
    4.2.   -   Si   deve   subito   dire,   qui,   che   la   materia
dell'organizzazione  e  del funzionamento degli enti locali non e' di
competenza  legislativa  statale, ma rappresenta un'area di autonomia
degli  enti  locali,  sulla base di disciplina generale dettata dalla
legge  regionale.  Legge  regionale  che,  si ripete, e' riservataria
della  materia,  confidata,  appunto,  alla  Regione in via esclusiva
(allo Stato, invero, e' consentito - dall'art. 117, comma 2, lett. p)
-  regolare,  in  via  esclusiva,  solo  gli "organi di governo" e le
"funzioni  fondamentali"  degli  enti  locali, che qui non vengono in
considerazione).
    Dimentica  di  questo,  la  legge impugnata ha: limitato i poteri
discrezionali degli enti locali quanto all'acquisto di beni e servizi
(art. 24,  commi  6  e 7); imposto l'obiettivo dell'esternalizzazione
dei servizi (comma 8); ridotto i trasferimenti erariali ai comuni, in
particolare  (ed  e'  quel  che  piu'  conta) prevedendo un'ulteriore
riduzione  (aggravata  se  l'ente  locale  non trasmette al Ministero
dell'economia   le   informazioni   necessarie   per   le  verifiche)
nell'ipotesi  del  mancato  rispetto  del  limite  del  sei per cento
dell'incremento   delle   spese   correnti,  per  rapporto  a  quanto
risultante   dagli  impegni  assunti  nell'anno  2000  (comma  9,  in
relazione ai commi 2 e 4).
    Dal  complesso  delle  disposizioni riportate, dunque, risulta un
sistema  di limiti e penalita' per tutti gli enti locali, sistema che
sfocia nella riduzione dei trasferimenti erariali in misura pari alla
differenza  tra  gli  obiettivi  che gli enti locali avrebbero dovuto
conseguire  e  quelli  effettivamente  realizzati.  Le  risorse cosi'
liberate sono attribuite alle province e ai comuni che, invece, hanno
rispettato  i  limiti.  In questo modo, la legge statale ha invaso il
terreno riservato alla legge regionale, disciplinando una materia che
e'   sottratta   all'intervento   dello   Stato  dall'art. 117  della
Costituzione.
    Si  badi:  il  patto  di  stabilita'  interno e' uno strumento di
disciplina dei bilanci, ideato per assicurare sul piano della finanza
nazionale  (e  in  particolare  a  livello comunale e provinciale) il
rispetto  degli  obblighi  di  bilancio  assunti  dall'Italia in sede
comunitaria.
    Questo  strumento,  nato  con  l'art. 28  della legge 23 dicembre
1998,  n. 448, e' stato ulteriormente disciplinato dall'art. 53 della
legge 23 dicembre 2000, n. 388. Il suo obiettivo, in breve, e' quello
di  imporre  agli  enti  locali il rispetto dei parametri comunitari.
Nonostante  si  parli di "patto", pero', qui non vi e' alcun incontro
di  distinte  volonta'  (alcun  elemento pattizio, appunto). Gli enti
locali,   nella   sostanza,   sono  completamente  assoggettati  alle
decisioni  dello  Stato, e non possono far altro che adeguarsi. E' lo
Stato,  infatti,  che  stabilisce  gli  obiettivi  e  indica i mezzi,
oltretutto  con  assoluta  uniformita'  e  senza distinguere tra ente
locale ed ente locale.
    L'intero  sistema  che  ne  risulta,  di  per  se',  appare  oggi
ampiamente   censurabile,   gia'   sotto   il   solo   profilo  della
ragionevolezza  delle  scelte  del  legislatore.  Si pensi solo a due
aspetti:  il  meccanismo  che riguarda la verifica e il miglioramento
del saldo tendenziale di cassa e' completamente diverso da quello che
tende  a garantire, giustamente, un equilibrio economico di gestione;
anzi,  rischia  di  compromettere  quest'ultimo,  giacche'  vincola i
comuni  a  rispettare una serie di vincoli giuridici precisi, imposti
senza  alcuna  relazione  con gli obiettivi di equilibrio finanziario
che  ciascun  comune dovrebbe autonomamente individuare e perseguire.
Il sistema rischia cosi' di portare in dissesto anche i bilanci degli
enti locali che, finora, siano rimasti sani.
    Tutti i comuni, inoltre, sono vincolati a contribuire allo sforzo
nazionale,  e  tutti  nella  medesima  misura,  senza distinzione ne'
graduazione  degli  oneri  in  base,  per  esempio, all'entita' delle
risorse  disponibili,  alla  maggiore  o minore "salute" iniziale dei
bilanci  o  all'estensione  del territorio governato, e men che mai a
quel  parametro  che  il nuovo testo dell'art. 119 della Costituzione
definisce "capacita' fiscale".
    Si  persegue insomma una (solo eventuale) riduzione forzosa della
spesa,  in  modo indiscriminato e irragionevole, senza considerazione
alcuna  per  gli  effetti che puo' produrre nelle realta' locali piu'
deboli.
    La  legge impugnata, perpetuando tale sistema nonostante il nuovo
assetto   dei  rapporti  fra  Stato  e  autonomie,  e'  evidentemente
illegittima. In particolare:
        a) abbiamo   gia'   visto   che  l'attuazione  degli  impegni
comunitari,  nelle  materie  di  loro  competenza,  e' riservata alle
Regioni,  sicche'  e' radicalmente illegittimo che sia la legge dello
Stato  ad  imporre  obiettivi  e  mezzi  agli enti locali, al fine di
assicurare il rispetto di quegli impegni;
        b) la previsione di regole uniformi per tutti gli enti locali
e per tutto il territorio nazionale e' irragionevolmente lesiva delle
attribuzioni  delle  autonomie locali. La Costituzione, nel combinato
disposto degli artt. 3 e 5, in una con le disposizioni del Titolo V),
intende  valorizzare  le autonomie locali, laddove la legge impugnata
impone la stessa "ricetta" a tutti gli enti locali, senza considerare
la  loro  capacita' fiscale per abitante, la loro dimensione, etc. E'
comprensibile  che  questo  sia  accaduto,  visto  che il legislatore
statale  non  ha il "polso" della realta' delle singole autonomie, ma
e'  proprio  per  questo che, in questa materia, il nuovo testo della
Costituzione  ha previsto l'intervento (in via esclusiva) della legge
regionale;
        c) la legge impugnata trascura completamente il nuovo sistema
di   finanziamento  delle  autonomie  locali,  non  piu'  basato  sui
trasferimenti   erariali   (salva   l'ipotesi   perequativa   di  cui
all'art. 119,  comma 5, della Costituzione), ma sul doppio canale dei
tributi   propri   e  della  compartecipazione  ai  tributi  erariali
(art. 119, comma 2). In piena violazione della Costituzione, la legge
continua  ad operare con il sistema dei trasferimenti, imponendo, per
soprammercato,   prassi   comportamentali   che   dovrebbero   essere
stabilite,  semmai,  dalla  legge regionale (titolare della esclusiva
competenza in materia).
    Ovviamente, non varrebbe obiettare che allo Stato resta sempre il
potere  di  fissare i principi fondamentali relativi al coordinamento
della  finanza  pubblica.  Come gia' si e' osservato, infatti, qui ci
troviamo  di  fronte  a  norme  di dettaglio e a prescrizioni che non
"coordinano"    alcunche',   ma   impongono,   autoritativamente,   i
comportamenti da tenere.
    La  legge in contestazione, quindi, del tutto irragionevolmente e
al   di   fuori   della  logica  che  regge  attualmente  l'autonomia
organizzativa   e   finanziaria   degli  enti  locali,  introduce  un
meccanismo  punitivo,  che comprime l'autonomia organizzativa di tali
enti  e  il  ruolo  di  regolazione  e  coordinamento  spettante alle
Regioni.
    5.  Quanto  all'art. 27,  commi  8,  9, 10 e 11: violazione degli
artt. 3,  5,  114  e  117 della Costituzione. Anche i vulnera inferti
all'autonomia regionale dall'art. 27, della legge impugnata, commi 8,
9, 10 e 11, sono manifesti.
    5.1. - Il comma 8 stabilisce che: "Il comma 16 dell'art. 53 della
legge 23 dicembre 2000, n. 388, e' sostituito dal seguente:
    "16.  Il  termine  per  deliberare  le  aliquote e le tariffe dei
tributi   locali,   compresa   l'aliquota  dell'addizionale  comunale
all'IRPEF  di  cui  all'art. 1,  comma  3, del decreto legislativo 28
settembre  1998,  n. 360,  recante  istituzione  di  una  addizionale
comunale  all'IRPEF  e  successive  modificazioni,  e  le tariffe dei
servizi pubblici locali, nonche' per approvare i regolamenti relativi
alle entrate degli enti locali, e' stabilito entro la data fissata da
norme  statali  per  la  deliberazione  del bilancio di previsione. I
regolamenti   sulle   entrate,  anche  se  approvati  successivamente
all'inizio  dell'esercizio  purche'  entro  il  termine di cui sopra,
hanno effetto dal 1 gennaio dell'anno di riferimento".
    Quanto  al comma 9, esso dispone che "In deroga alle disposizioni
dell'art. 3,  comma  3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, i termini
per  la  liquidazione  e  l'accertamento  dell'imposta comunale sugli
immobili, scadenti al 31 dicembre 2001, sono prorogati al 31 dicembre
2002,  limitatamente  alle annualita' d'imposta 1998 e successive. Il
termine  per l'attivita' di liquidazione a seguito di attribuzione di
rendita  da  parte  degli  uffici  del  territorio  competenti di cui
all'art. 11,  comma  1,  ultimo  periodo,  del decreto legislativo 30
dicembre  1992,  n. 504,  e'  prorogato  al  31  dicembre 2002 per le
annualita' d'imposta 1997 e successive".
    Il  comma 10 dispone che "A decorrere dal 10 gennaio 2002 le basi
di  calcolo dei sovracanoni previsti dagli artt. 1 e 2 della legge 22
dicembre 1980, n. 925, sono fissate rispettivamente in 13 euro e 3,50
euro,  fermo restando per gli anni a seguire l'aggiornamento biennale
previsto dall'art. 3 della medesima legge n. 925 del 1980".
    Il  comma  11,  infine, stabilisce che "Nel caso in cui l'imposta
relativa  a  fabbricati del gruppo catastale D, in precedenza versata
ad  un  unico  comune  in  base  a  valori  di bilancio unitariamente
considerati,  sia  successivamente da versare a piu' comuni a seguito
dell'attribuzione   di   separate  rendite  catastali  per  le  parti
insistenti  su territori di comuni diversi, i comuni interessati sono
tenuti  a  regolare  mediante accordo i rapporti finanziari relativi,
delegando  il  Ministero  dell'interno  ad  effettuare  le necessarie
variazioni   dell'importo   a   ciascuno   spettante   a   titolo  di
trasferimenti erariali, senza oneri per lo Stato".
    5.2  -  Le  riferite  previsioni normative sono illegittime per i
seguenti motivi:
        a) si  deve  ribadire  che la materia della finanza locale e'
assegnata  alla  competenza esclusiva delle Regioni, salvi i principi
di  coordinamento  che  la  legge  dello  Stato  puo'  stabilire.  Le
disposizioni  di che trattasi, invece, contengono norme di dettaglio,
la  cui  introduzione,  ormai,  e'  preclusa  alla  legge dello Stato
(artt. 117 e 119 della Costituzione);
        b) ancor  piu'  di  quelle gia' censurate, le disposizioni in
epigrafe  sono  esasperatamente  di dettaglio, giungendo a regolare i
termini  per  l'adozione di regolamenti comunali (comma 8), i termini
di accertamento e liquidazione dell'ICI (comma 9), le basi di calcolo
(al  centesimo  di  euro!)  dei  sovracanoni  per  le  concessioni di
derivazioni  d'acqua (comma 10), i rapporti tra comuni in ordine alla
percezione congiunta dell'ICI (comma 11);
        c) per  quanto  specificamente  concerne il comma 8, la legge
impugnata  limita  e condiziona la potesta' regolamentare dei comuni,
senza  considerare  che  l'art. 117,  comma  6,  della  Costituzione,
attribuisce   ai   comuni  "potesta'  regolamentare  in  ordine  alla
disciplina  dell'organizzazione  e  dello  svolgimento delle funzioni
loro  attribuite",  potesta' che puo' essere indirizzata e delimitata
soltanto   dalla  legge  regionale  nell'esercizio  della  competenza
esclusiva  assegnata,  dall'art. 117,  in materia di organizzazione e
funzionamento degli enti locali;
        d) anche  qui,  e' del tutto irragionevole (e violativa degli
artt. 3 e 5 della Costituzione, in una con le disposizioni del Titolo
V)  una disciplina uniforme, sul piano nazionale, per tutti i comuni,
atteso  che  i  principi  fondamentali  in  materia sono quelli della
sussidiarieta',  della  differenziazione  e  dell'adeguatezza, di cui
all'art. 118, comma 11, della Costituzione.
    6. - Quanto all'art. 27, commi 16 e 17: violazione degli artt. 3,
5,  114  e  117  della  Costituzione. L'art. 27 della legge impugnata
risulta  altresi' illegittimo anche in riferimento ai suoi commi 16 e
17.
    6.1. - Il comma 16 dispone che: "all'art. 3, comma 1, della legge
5 febbraio 1992, n. 177, e successive modificazioni sono aggiunte, in
fine,  le  parole:  "non tenendo conto del valore di quanto edificato
aumentato delle spese di urbanizzazione ".
    Il   comma   17,  a  sua  volta,  stabilisce  che:  "al  comma  2
dell'art. 42   del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia edilizia, di cui al decreto del Presidente
della  Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le lettere a), b) e c), sono
sostituite dalle seguenti:
        a) l'aumento  del  contributo  in misura pari al 10 per cento
qualora  il  versamento  del contributo sia effettuato nei successivi
centoventi giorni;
        b) l'aumento  del  contributo  in misura pari al 20 per cento
quando,  superato  il  termine  di cui alla lettera a), il ritardo si
protrae non oltre i successivi sessanta giorni;
        c) l'aumento  del  contributo  in misura pari al 40 per cento
quando,  superato  il  termine  di cui alla lettera b), il ritardo si
protrae non oltre i successivi sessanta giorni".
    6.2.  -  Anche  qui, i vizi che affliggono la normativa censurata
sono evidenti.
    Essa,   per   vero,  interviene,  anche  qui  con  previsioni  di
dettaglio,  in  una  materia  (quella dell'edilizia) che e' assegnata
alla  potesta'  legislativa  concorrente  delle Regioni. Una volta di
piu', il limite stabilito alla Costituzione (che impedisce alla legge
dello  Stato di andare oltre la fissazione dei principi fondamentali)
e' stato superato.
    Il  legislatore,  addirittura,  ha  disposto  la modificazione di
alcune  prescrizioni  del  d.P.R.  6  giugno 2001, n. 380, recante il
testo  unico  delle  norme  in  materia  edilizia,  la cui entrata in
vigore,  come  e'  noto,  e' stata ripetutamente procrastinata, anche
allo  scopo  di consentire la sua armonizzazione con la revisione del
Titolo  V  della  Costituzione,  della  quale  - come ha osservato la
dottrina - non e' rispettoso. In tal modo, la censurata normativa non
e'  solo  violativa  dell'art. 117 Costituzione, ma anche intimamente
contraddittoria e irrazionale, in quanto (in violazione degli artt. 3
e  5  della  Costituzione,  in  una con le disposizioni del Titolo V)
irrispettosa di una scelta prudenziale suggerita proprio dall'entrata
in vigore delle nuove norme costituzionali.
    7. -  Quanto  all'art. 29: violazione degli artt. 3, 5, 114 e 117
della  Costituzione.  Anche  l'art. 29 della legge impugnata, recante
(cosi'  recita  il  titolo)  "Misure  di  efficienza  delle pubbliche
amministrazioni", e' illegittimo.
    7.1.  -  Esso  dispone  che: "le pubbliche amministrazioni di cui
all'art. 1,  comma  2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
nonche'  gli  enti  finanziati direttamente o indirettamente a carico
del  bilancio  dello  Stato  sono  autorizzati,  anche in deroga alle
vigenti disposizioni, a:
        a) acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti
al  proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di
gestione;
        b) costituire,  nel rispetto delle condizioni di economicita'
di cui alla lettera a), soggetti di diritto privato ai quali affidare
lo svolgimento di servizi, svolti in precedenza;
        c) attribuire  a  soggetti di diritto privato gia' esistenti,
attraverso  gara  pubblica,  ovvero  con  adesione  alle  convenzioni
stipulate ai sensi dell'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488,
e  successive  modificazioni,  e dell'art. 59 della legge 23 dicembre
2000, n. 388, lo svolgimento dei servizi di cui alla lett. b).
        2. Le  amministrazioni  di  cui  al  comma  1 possono inoltre
ricorrere   a   forme   di   autofinanziamento  al  fine  di  ridurre
progressivamente  l'entita'  degli  stanziamenti  e dei trasferimenti
pubblici  a  carico  del  bilancio  dello  Stato,  grazie  ad entrate
proprie,  derivanti  dalla  cessione  dei  servizi  prodotti  o dalla
compartecipazione alle spese da parte degli utenti del servizio.
        3. Ai  trasferimenti di beni effettuati a favore dei soggetti
di  diritto  privato,  costituiti ai sensi del comma 1, lett. b,), si
applica  il  regime  tributario agevolato previsto dall'art. 90 della
legge 23 dicembre 2000, n. 388.
        4. Al  comma  23  dell'art. 53  della legge 23 dicembre 2000,
n. 388, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) le  parole:  "tremila  abitanti"  sono  sostituite dalle
seguenti: "cinquemila abitanti";
          b) le parole: "che riscontrino e dimostrino la mancanza non
rimediabile   di   figure   professionali   idonee   nell'ambito  dei
dipendenti" sono soppresse.
        5. Con  regolamento,  emanato ai sensi dell'art. 17, comma 1,
della  legge  23  agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su
proposta  del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con
il  Ministro  interessato e con il Ministro per la funzione pubblica,
si  provvede  a  definire  la  tipologia dei servizi trasferibili, le
modalita'  per l'affidamento, i criteri per l'esecuzione del servizio
e  per  la  determinazione  delle  relative  tariffe nonche' le altre
eventuali   clausole   di   carattere  finanziario,  fatte  salve  le
competenze delle regioni e degli enti locali.
        6. Alla  Concessionaria servizi informatici pubblici (CONSIP)
S.p.a.  sono trasferiti i compiti attribuiti al centro tecnico di cui
all'art. 17,  comma  19,  della  legge  15  maggio  1997, n. 127, non
attinenti ad attivita' di indirizzo e certificazione. Per il migliore
perseguimento   dei   propri   fini   istituzionali,   le   pubbliche
amministrazioni   possono  stipulare  con  tale  societa'  specifiche
convenzioni.  L'applicazione  delle  disposizioni  di cui al presente
comma   e'  subordinata  all'entrata  in  vigore  di  un  regolamento
governativo,  da  emanare ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge
23  agosto  1988,  n. 400, e successive modificazioni su proposta del
Ministro  dell'economia  e delle finanze, di concerto con il Ministro
per l'innovazione e le tecnologie.
        7. Alfine   di  migliorare  la  qualita'  dei  servizi  e  di
razionalizzare   la   spesa   per   "informatica,   il  Ministro  per
l'innovazione e le tecnologie:
          a) definisce     indirizzi     per    l'impiego    ottimale
dell'informatizzazione  nelle  pubbliche  amministrazioni, sentita la
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281;
          b) definisce  programmi di valutazione tecnica ed economica
dei  progetti  in  corso  e  di  quelli  da  adottare  da parte delle
amministrazioni  statali  anche  ad ordinamento autonomo e degli enti
pubblici  non economici nazionali, nonche' assicura la verifica ed il
monitoraggio  dell'impiego  delle  risorse  in  relazione ai progetti
informatici  eseguiti,  ove  necessario  avvalendosi  delle strutture
dell'Autorita'   per  l'informatica  nella  pubblica  amministrazione
(AIPA);    le   risorse,   eventualmente   accertate   dal   Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  di  concerto  con  il Ministro per
l'innovazione   e  le  tecnologie,  quali  economie  di  spesa,  sono
destinate   al  finanziamento  di  progetti  innovativi  nel  settore
informatico".
    7.2.  - Si deve premettere che l'art. 29 si dirige alle pubbliche
amministrazioni  di  cui  all'art. 1,  comma 2, del d.lgs. n. 165 del
2001.  Fra tali pubbliche amministrazioni rientrano non solo gli enti
locali,  ma  anche  le  Regioni.  Tutte  le  autonomie  territoriali,
pertanto,   risultano   essere   destinatarie  delle  previsioni  qui
censurate.
    I  vizi  che affliggono la normativa in epigrafe sono evidenti, e
in  parte non sono dissimili da altri gia' in precedenza evidenziati.
Anche  qui, infatti, il legislatore statale pretende di disciplinare,
con normativa di dettaglio, l'organizzazione e il funzionamento degli
enti  locali.  Anche  qui,  la  materia  cosi' invasa e' di esclusiva
spettanza della legge regionale.
    Vi  e',  nondimeno, un'aggravante, che rende tali vizi ancor piu'
clamorosi.  Oltre  agli enti locali, infatti, sono destinatarie della
legge  impugnata  anche le stesse Regioni, il che significa che detta
legge  ha  preteso  di  dettare norme addirittura sull'organizzazione
interna  delle  Regioni, oggetto di una competenza - se cosi' si puo'
dire  - esclusiva quant'altre mai in favore (oltre che dello Statuto,
ai  sensi dell'art. 123 della Costituzione) della legge regionale (la
cosa  era  pacifica  addirittura  nel vecchio disegno costituzionale:
cfr.,  ex  plurimis,  sent. n. 507 del 2000). Incapace di cogliere la
novita'  determinata dalla legge della Costituzione n. 3 del 2001, il
legislatore   statale,   come   se   nulla  fosse,  ha  continuato  a
disciplinare l'organizzazione e il funzionamento degli enti locali, e
sul piano di questi ultimi ha posto addirittura le Regioni, quasi che
queste non fossero titolari di autonomia costituzionalmente garantita
anche sul terreno della legislazione.
    7.3.  -  Sarebbe  ovviamente  inutile  obiettare che alcune delle
norme  censurate sono permissive, poiche' "autorizzano" al compimento
di determinati atti, o stabiliscono che certi comportamenti "possono"
essere  tenuti. La lesivita' dell'intervento statale, infatti, per un
verso,  e'  in  re ipsa (poiche' e' lo stesso "fatto" dell'intervento
che  -  disvelando  la  pretesa  regolatoria  statale - pregiudica il
riparto  costituzionale delle attribuzioni). Per l'altro, e' comunque
determinata  da  cio'  che  anche  le  norme  che  si presentano come
permissive  lo  sono, in realta', sub condicione, atteso che in tanto
certe  scelte  possono essere compiute, in quanto siano conformi alle
regole  che le stesse disposizioni censurate, analiticamente, dettano
(cfr. i commi 1, 2, 4 e 6).
    Infine,  si deve considerare che alcune norme non sono permissive
nemmeno in apparenza, ma sono esplicitamente imperative.
    Cosi',   il   comma   5   prevede   un  regolamento  ministeriale
identificativo dei servizi trasferibili, stabilendo soltanto che sono
"fatte  salve  le  funzioni  delle  regioni e degli enti locali". Una
formula di salvaguardia, questa, che non e' affatto soddisfacente ne'
garantista,  poiche' qui non si tratta di salvaguardare le "funzioni"
degli  enti  locali,  ma  -  semplicemente  -  di  escludere  che  il
regolamento  statale  possa  intromettersi  in  una  materia  che  e'
assegnata alla potesta' esclusiva delle Regioni e, nel rispetto delle
leggi regionali, alla potesta' regolamentare degli enti locali.
    A sua volta, il comma 7 prevede che il Ministro per l'innovazione
e  le  tecnologie  definisca  gli  indirizzi  "per l'impiego ottimale
dell'informatizzazione    nelle   pubbliche   amministrazioni"   (ivi
compresi,  e'  evidente,  Regioni ed enti locali), quasi che, dopo la
legge  della  Costituzione  n. 3 del 2001, simili poteri di indirizzo
fossero stati conservati allo Stato. Al contrario, e' evidente che la
funzione  statale  di  indirizzo  e coordinamento e' stata cancellata
dalla  riforma, e che la previsione (nello stesso comma 7) del previo
parare  della  Conferenza Stato-Regioni, lungi dall'attenuare i dubbi
di  incostituzionalita',  li  trasforma in certezze, rivelando che il
legislatore  statale  e'  stato  ben  consapevole  di  intervenire in
materia  riservata  alle  Regioni (tanto che ha voluto coinvolgere la
Conferenza),  ma  ha pensato di prevedere poteri statali che il nuovo
testo della Costituzione ha eliminato.
    Il  tutto,  senza  considerare  che  la disposizione in questione
sarebbe illegittima anche alla luce del vecchio testo costituzionale,
poiche' prevede un'ipotesi di esercizio della funzione di indirizzo e
coordinamento  che  non  rispetta  i requisiti di forma e di sostanza
tipici  di  quella funzione, stabiliti per costante giurisprudenza di
codesta  ecc.ma  Corte e addirittura per precedente dettato normativo
(cfr.  art. 8  della  legge  n. 59  del 1997). Come e' noto, infatti,
quanto alla forma, la funzione stessa doveva, in corrispondenza di un
principio  desumibile dalla stessa Costituzione, trovare svolgimento,
ove non esercitata in forma di legge, in forma collegiale e cioe' con
una  delibera  del  Consiglio  dei  Ministri.  Quanto  alla sostanza,
perche'  occorreva  idonea  base  legislativa  per  salvaguardare  il
principio    di   legalita'   sostanziale,   attraverso   la   previa
determinazione,  con  legge, dei principi ai quali il Governo avrebbe
dovuto attenersi (sentt. nn. 408 del 1998, 18 del 1997, 250 del 1996,
378  del  1995,  124  del 1994, 30 del 1992, 359 del 1991, nonche' la
fondamentale  sent.  n. 150  del  1982).  Tutto  questo,  si  ripete,
riguarda  il  passato,  ma  anche  prima dell'entrata in vigore della
legge  della  Costituzione  n. 3  del 2001 la norma censurata sarebbe
stata palesemente illegittima.
    Ne'  varrebbe  obiettare che l'art. 117, comma 2, lett. r), della
Costituzione,  affida  allo  Stato  il  "coordinamento  statistico  e
informatico   dei  dati  dell'amministrazione  statale,  regionale  e
locale".  Una cosa, infatti, e' il coordinamento dei dati in possesso
delle  pubbliche  amministrazioni,  e  ben  altra  e'  l'attivita' di
indirizzo riguardante le tecniche e le procedure di informatizzazione
(onde  "migliorare  la  qualita'  dei servizi e ... razionalizzare la
spesa  per  l'informatica").  Mentre  l'art. 117  della  Costituzione
consente  il  primo, infatti, tace del tutto sulla (e quindi preclude
la)  seconda. Tanto, senza contare che il vizio procedurale derivante
dall'affidamento  di  un potere cosi' delicato ad un singolo Ministro
e' comunque evidente.
    8.  -  Quanto all'art. 35: violazione degli artt. 3, 5, 114, 117,
118 e 119 della Costituzione. Non meno illegittimo, infine, l'art. 35
della  legge  impugnata, che detta disposizioni in materia di servizi
pubblici locali, sostituendo o modificando diversi articoli del testo
unico delle leggi sugli enti locali.
    8.1.  -  Dispone,  in particolare, l'art. 35, che "L'art. 113 del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 e' sostituito dal seguente:
"Art. 113. (Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici di
rilevanza industriale).
        1. Le  disposizioni  del  presente  articolo  si applicano ai
servizi  pubblici  locali  di rilevanza industriale. Restano ferme le
disposizioni  previste  per  i  singoli settori e quelle nazionali di
attuazione delle normative comunitarie.
    Gli  enti locali non possono cedere la proprieta' degli impianti,
delle  reti  e  delle  altre  dotazioni  destinati  all'esercizio dei
servizi  pubblici di cui al comma 1, salvo quanti stabilito dal comma
13.
    Le   discipline   di   settore  stabiliscono  i  casi  nei  quali
l'attivita'  di  gestione  delle reti e degli impianti destinati alla
produzione  dei servizi pubblici locali di cui al comma 1 puo' essere
separata  da  quella  di  erogazione  degli stessi. E', in ogni caso,
garantito   l'accesso  alle  reti  a  tutti  i  soggetti  legittimati
all'erogazione dei relativi servizi.
    Qualora  sia  separata  dall'attivita' di erogazione dei servizi,
per  la  gestione  delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali gli enti locali, anche informa associata, si avvalgono:
          a) di  soggetti  allo  scopo  costituiti,  nella  forma  di
societa'  di  capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti
locali,  anche  associati, cui puo' essere affidata direttamente tale
attivita';
          b) di  imprese idonee, da individuare mediante procedure ad
evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.
        5. L'erogazione  del  servizio,  da  svolgere  in  regime  di
concorrenza,   avviene   secondo   le   discipline  di  settore,  con
conferimento  della  titolarita'  del servizio a societa' di capitali
individuate  attraverso  l'espletamento  di  gare  con  procedure  ad
evidenza pubblica.
        6. Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5
le  societa'  che,  in  Italia  o  all'estero, gestiscono a qualunque
titolo,  servizi pubblici locali in virtu' di un affidamento diretto,
di  una procedura non ad evidenza pubblica, o in seguito dei relativi
rinnovi;   tale  divieto  si  estende  alle  societa'  controllate  o
collegate,  alle loro controllanti, nonche' alle societa' controllate
o  collegate  con queste ultime. Sono parimenti esclusi i soggetti di
cui al comma 4.
        7. La  gara  di  cui al comma 5 e' indetta nel rispetto degli
standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione
sul  territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorita' di
settore  o,  in  mancanza  di  essa,  dagli  enti  locali. La gara e'
aggiudicata sulla base del migliore livello di qualita' e sicurezza e
delle  condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani
di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli
impianti,  per  il loro rinnovo e manutenzione, nonche' dei contenuti
di  innovazione  tecnologica  e gestionale. Tali elementi fanno parte
integrante del contratto di servizio.
        8. Qualora sia economicamente piu' vantaggioso, e' consentito
l'affidamento  contestuale  con  gara  di  una  pluralita' di servizi
pubblici locali diversi da quello del trasporto collettivo. In questo
caso, la durata dell'affidamento, unica per tutti i servizi, non puo'
essere  superiore  alla media calcolata sulla base della durata degli
affidamenti indicata dalle discipline di settore.
        9. Alla  scadenza del periodo di affidamento, e in esito alla
successiva  gara  di  affidamento,  le  reti, gli impianti e le altre
dotazioni  patrimoniali  di  proprieta'  degli  enti  locali  e delle
societa'  di  cui  al comma 13 sono assegnati al nuovo gestore. Sono,
inoltre,  assegnati  al nuovo gestore o loro porzioni, gli impianti e
le   altre   dotazioni   realizzate,   in  attuazione  dei  piani  di
investimento  di  cui al comma 7, dal gestore uscente. A quest'ultimo
e' dovuto da parte del nuovo gestore un indennizzo pari al valore dei
beni  non ancora ammortizzati, il cui ammontare e' indicato nel bando
di gara.
        10. E' vietata ogni forma di differenziazione nel trattamento
dei  gestori  di  pubblico  servizio  in ordine al regime tributario,
nonche'  alla  concessione  da  chiunque  dovuta  di  contribuzioni o
agevolazioni per la gestione del servizio.
        11. I   rapporti   degli  enti  locali  con  le  societa'  di
erogazione  del  servizio  e con le societa' di gestione delle reti e
degli  impianti  sono  regolati da contratti di servizio, allegati ai
capitolati  di  gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da
garantire  e  adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli
previsti.
        12. L'ente  locale  puo'  cedere  tutto o in parte la propria
partecipazione  nelle  societa' erogatrici dei servizi. Tale cessione
non   comporta   effetti  sulla  durata  delle  concessioni  e  degli
affidamenti in essere.
        13. Gli enti locali, in forma associata, possono conferire la
proprieta'  delle  reti,  degli  impianti  e  delle  altre  datazioni
patrimoniali  a societa' di capitali di cui detengono la maggioranza,
che  e'  incedibile. Tali societa' pongono le reti, gli impianti e le
altre  dotazioni  patrimoniali  a disposizione dei gestori incaricati
della  gestione  del  servizio  o,  ove prevista la gestione separata
della  rete,  dei  gestori  di  quest'ultima,  a  fronte di un canone
stabilito  dalla  competente  Autorita'  di  settore, ove prevista, o
dagli  enti  locali.  Alla  societa' suddetta gli enti locali possono
anche  assegnare,  ai  sensi  della lett. a) del comma 4, la gestione
delle  reti,  nonche' il compito di espletare le gare di cui al comma
5.
        14. Fermo  quanto  disposto  dal  comma  3,  se  le reti, gli
impianti  e  le  altre  dotazioni  patrimoniali  per  la gestione dei
servizi  di  cui  al  comma  1 sono di proprieta' di soggetti diversi
dagli  enti  locali,  questi  possono  essere autorizzati a gestire i
servizi  o  loro  segmenti,  a  condizione  che  siano rispettati gli
standard  di  cui  al comma 7 e siano praticate tariffe non superiori
alla media regionale, salvo che le discipline di carattere settoriale
o  le  relative Autorita' dispongano diversamente. Tra le parti e' in
ogni  caso stipulato, ai sensi del comma 11, un contratto di servizio
in cui sono definite, tra l'altro, le misure di coordinamento con gli
eventuali altri gestori.
        15. Le  disposizioni  del  presente articolo non si applicano
alle  regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e
di  Bolzano,  se  incompatibili  con  le  attribuzioni previste dallo
statuto e dalle relative norme di attuazione".
        2. Nei  casi  in  cui  le disposizioni previste per i singoli
settori  non  stabiliscono un congruo periodo di transizione, ai fini
dell'attuazione  delle  disposizioni previste dall'art. 113 del testo
unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti locali, di citi al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma
1  del  presente  articolo  il  regolamento  di  cui  al comma 16 del
presente articolo indica i termini, comunque non inferiori a tre anni
e  non  superiori  ai  cinque  anni,  di  scadenza  o  di  anticipata
cessazione   della  concessione  rilasciata,  con  procedure  diverse
dall'evidenza  pubblica.  A valere da tale data si applica il divieto
di cui al comma 6 del medesimo art. 113 del citato testo unico, salvo
nei  casi  in cui si tratti dell'espletamento delle prime gare aventi
per  oggetto  i servizi forniti dalle societa' partecipanti alla gara
stessa.   Il   regolamento   definisce  altresi'  le  condizioni  per
l'ammissione  alle  gare di imprese estere, o di imprese italiane che
abbiano  avuto  all'estero la gestione del servizio senza ricorrere a
procedure di evidenza pubblica, a condizione che, nel primo caso, sia
fatto  salvo  il  principio  di  reciprocita' e siano garantiti tempi
certi  per  l'effettiva apertura dei relativi mercati. A far data dal
termine di cui al primo periodo, e' comunque vietato alle societa' di
capitali  in  cui  la  partecipazione pubblica e' superiore al 50 per
cento,  se  ancora  affidatarie  dirette, di partecipare ad attivita'
imprenditoriali al di fuori del proprio territorio.
        3. Il  periodo  transitorio  di  cui  al  comma 2 puo' essere
incrementato, alle condizioni sotto indicate, in misura non inferiore
a:
          a) un  anno nel caso in cui, almeno dodici mesi prima dello
scadere  dei  termini previsti dal regolamento di cui al comma 16 del
presente  articolo,  si  dia luogo, mediante una o piu' fusioni, alla
costituzione  di  una  nuova  societa' capace di servire un bacino di
utenza   complessivamente   non   inferiore   a   due   volte  quello
originariamente servito dalla societa' maggiore;
          b) due  anni  nel caso in cui, entro il termine di cui alla
lett.  a),  un'impresa  affidataria,  anche  a  seguito di una o piu'
fusioni,  si  trovi  ad  operare  in  un ambito corrispondente almeno
all'intero  territorio  provinciale ovvero a quello ottimale, laddove
previsto dalle norme vigenti;
          c) un  anno  nel  caso in cui, entro il termine di cui alla
lett.  a),  la  societa' affidataria sia partecipata almeno per il 40
per cento da soggetti privati;
          d) un  ulteriore  anno nel caso in cui, entro il termine di
cui alla lett. a), la societa' affidataria sia partecipata almeno per
il 51 per cento dai privati.
        4. Ove ricorra piu' di una delle condizioni indicate al comma
3 i relativi termini possono essere posticipati, sommando le relative
scadenze.
        5. In alternativa a quanto previsto dal comma 5 dell'art. 113
del  testo  unico  delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di
cui  al  decreto  legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito
dal comma 1 del presente articolo, i soggetti competenti, individuati
dalle regioni ai sensi dell'art. 9 della legge 5 gennaio 1994, n. 36,
possono affidare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore
della  presente  legge,  il  servizio  idrico integrato a societa' di
capitali  partecipate unicamente da enti locali che fanno parte dello
stesso  ambito  territoriale ottimale, per un periodo non superiore a
quello  massimo  determinato  ai  sensi  delle disposizioni di cui al
comma  2  del  presente articolo. Entro due anni da tale affidamento,
anche  se gia' avvenuto alla data di entrata in vigore della presente
legge,  con  le  modalita'  di cui al presente comma, gli enti locali
azionisti applicano le disposizioni di cui alla lett. c) del comma 3,
mediante  procedura  ad  evidenza pubblica, pena la perdita immediata
dell'affidamento del servizio alla societa' da essi partecipata.
        6. Qualora  le  disposizioni dei singoli settori prevedano la
gestione associata del servizio per ambiti territoriali di dimensione
sovracomunale,  il soggetto che gestisce il servizio stipula appositi
contratti   di  servizio  con  i  comuni  di  dimensione  demografica
inferiore  a  5.000  abitanti,  al  fine di assicurare il rispetto di
adeguati  ed  omogenei standard qualitativi di servizio, definiti dai
contratti  stessi.  In  caso di mancato rispetto di tali standard nel
territorio  di  comuni di cui al primo periodo, i soggetti competenti
ad  affidare  la  gestione  del  servizio  nell'ambito  sovracomunale
provvedono alla revoca dell'affidamento in corso sull'intero ambito.
        7. Le  imprese  concessionarie cessanti nei termini stabiliti
dal  regolamento di cui al comma 16 del presente articolo reintegrano
gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle altre
dotazioni  utilizzati  per la gestione dei servizi. Ad esse e' dovuto
dal   gestore   subentrante   un   indennizzo  stabilito  secondo  le
disposizioni  del comma 9 dell'art. 113 del citato testo unico di cui
al  decreto  legislativo n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 1
del presente articolo.
        8. Gli enti locali, entro il 31 dicembre 2002, trasformano le
aziende speciali e i consorzi di cui all'art. 31, comma 8, del citato
testo  unico  di  cui  al  decreto  legislativo  n. 267 del 2000, che
gestiscono  i  servizi  di  cui al comma 1 dell'art. 113 del medesimo
testo  unico,  come  sostituito dal comma 1 del presente articolo, in
societa' di capitali, ai sensi dell'art. 115 del citato testo unico.
        9. In  attuazione  delle  disposizioni di cui ai commi 2 e 13
dell'art. 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del
presente articolo, gli enti locali che alla data di entrata in vigore
della  presente  legge  detengano la maggioranza del capitale sociale
delle  societa' per la gestione di servizi pubblici locali, che siano
proprietarie anche delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
per l'esercizio di servizi pubblici locali, provvedono ad effettuare,
entro  un  anno dalla data di entrata in vigore della presente legge,
anche  in  deroga  alle  disposizioni delle discipline settoriali, lo
scorporo   delle  reti,  degli  impianti  e  delle  altre  dotazioni.
Contestualmente  la  proprieta'  delle  reti,  degli impianti e delle
altre  dotazioni  patrimoniali,  oppure dell'intero ramo d'azienda e'
conferita  ad  una  societa'  avente  le caratteristiche definite dal
citato comma 13 dell'art. 113 del medesimo testo unico.
        10. La  facolta'  di cui al comma 12 dell'art. 113 del citato
testo  unico,  come  sostituito  dal  comma  1 del presente articolo,
riguarda  esclusivamente  le  societa' per la gestione dei servizi ed
opera   solo   a   partire  dalla  conclusione  delle  operazioni  di
separazione di cui al comma 9 del presente articolo.
        11. In   deroga   alle   disposizioni   di  cui  al  comma  2
dell'art. 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del
presente articolo, e di cui al comma 9 del presente articolo, nonche'
in alternativa a quanto stabilito dal comma 10, limitatamente al caso
di  societa'  per  azioni quotate in borsa e di societa' per azioni i
cui  enti  locali  soci  abbiano gia' deliberato al 1 gennaio 2002 di
avviare  il  procedimento di quotazione in borsa, da concludere entro
il  31  dicembre  2003,  di cui, alla data di entrata in vigore della
presente   legge,  gli  enti  locali  detengano  la  maggioranza  del
capitale,  e'  consentita la piena applicazione delle disposizioni di
cui  al  comma 12 dell'art. 113 del citato testo unico. In tale caso,
ai  fini dell'applicazione del comma 9 dell'art. 113 del citato testo
unico,   sulle   reti,   sugli   impianti  e  sulle  altre  dotazioni
patrimoniali  attuali e future e' costituito, ai sensi dell'art. 1021
del  codice  civile,  un  diritto  di  uso perpetuo ed inalienabile a
favore degli enti locali. Resta fermo il diritto del proprietario ove
sia un soggetto diverso da quello cui e' attribuita la gestione delle
reti,  degli  impianti  e  delle  altre  dotazioni patrimoniali, alla
percezione  di  un canone da parte di tale soggetto. Non si applicano
le disposizioni degli artt. 1024 e seguenti del codice civile.
        12. Al  testo  unico  delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali,  di  cui  al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono
apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'art. 31,  comma  8,  le parole da: "aventi rilevanza
economica"  fino  a:  "nello statuto" sono sostituite dalle seguenti:
"di cui all'art. 113- bis";
          b) all'art. 42,  comma  2, lett. e), le parole: "assunzione
diretta" sono sostituite dalla seguente: "organizzazione";
          c) all'art. 112, il comma 2 e' abrogato;
          d) all'art. 115:  1)  al  comma  1, le parole: "costituite"
fino  a  "113,  lettera  c)" sono soppresse e le parole: "per azioni"
sono  sostituite  dalle  seguenti:  "di  capitali";  2) il comma 5 e'
abrogato;  3)  e'  aggiunto,  infine,  il  seguente comma: "7-bis. Le
disposizioni  di  cui  ai  commi  precedenti  si applicano anche alla
trasformazione  dei  consorzi,  intendendosi sostituita dal consiglio
comunale l'assemblea consortile. In questo caso le deliberazioni sono
adottate  a  maggioranza  dei  componenti;  gli  enti  locali che non
intendono  partecipare  alla societa' hanno diritto alla liquidazione
sulla  base  del  valore  nominale iscritto a bilancio della relativa
quota di capitale";
          e) all'art. 116,   al   comma   1,  dopo  le  parole:  "per
l'esercizio  di  servizi pubblici" sono inserite le seguenti: "di cui
all'articolo 113-bis";
          f) all'art. 118:  1)  al  comma 1, le parole: "societa' per
azioni,  costituite  ai sensi dell'art. 113, let. e), sono sostituite
dalle   seguenti:   "societa'   di   capitali  di  cui  al  comma  13
dell'art. 113"; 2) il comma 3 e' abrogato;
          g) all'art. 123, il comma 3 e' abrogato.
        13. Gli  articoli da 265 a 267 del testo unico per la finanza
locale,  di  cui  al  regio  decreto 14 settembre 1931, n. 1175, sono
abrogati.
        14. Nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  gli  enti locali,
anche  in  forma  associata,  individuano  gli standard di qualita' e
determinano  le  modalita'  di  vigilanza  e  controllo delle aziende
esercenti  i  servizi  pubblici,  in  un quadro di tutela prioritaria
degli utenti e dei consumatori.
        15. Dopo    l'art. 113    del   testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento  degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18
agosto  2000,  n. 267,  come  sostituito  dal  comma  1  del presente
articolo, e' inserito il seguente:
    "Art.  113-bis  (Gestione  dei  servizi  pubblici locali privi di
rilevanza industriale).
        1.  Ferme  restando  le  disposizioni  previste per i singoli
settori,  i  servizi  pubblici  locali privi di rilevanza industriale
sono   gestiti   mediante   affidamento  diretto  a:  a) istituzioni;
b) aziende   speciali,  anche  consortili;  c) societa'  di  capitali
costituite  o  partecipate  dagli  enti  locali,  regolate dal codice
civile.
        2. E'  consentita  la  gestione  in  economia  quando, per le
modeste  dimensioni  o  per  le caratteristiche del servizio, non sia
opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1.
        3. Gli  enti locali possono procedere all'affidamento diretto
dei  servizi  culturali  e  del  tempo libero anche ad associazioni e
fondazioni da loro costituite o partecipate.
        4. Quando   sussistono  ragioni  tecniche,  economiche  o  di
utilita'  sociale,  i servizi di cui ai commi 1, 2 e 3 possono essere
affidati  a  terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo
le modalita' stabilite dalle normative di settore.
    5. I  rapporti  tra  gli  enti locali ed i soggetti erogatori dei
servizi  di  cui  al  presente articolo sono regolati da contratti di
servizio".
        16.  Con  regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma
1,  della  legge  23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni,
sentite   le  Autorita'  indipendenti  di  settore  e  la  Conferenza
unificata  di  cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281, il Governo adotta le disposizioni necessarie per l'esecuzione
e  l'attuazione  del  presente  articolo,  con  l'individuazione  dei
servizi  di  cui  all'art. 113,  comma 1, del testo unico delle leggi
sull'ordinamento  degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18
agosto  2000,  n. 267,  come  sostituito  dal  comma  1  del presente
articolo,  entro  sei  mesi  dalla  data  di  entrata in vigore della
presente legge".
    8.2.  -  Si  deve premettere che l'art. 35 appare come l'ennesimo
frutto  di  una  produzione  normativa in materia di servizi pubblici
locali a dir poco confusa.
    Il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di
cui   al   d.lgs.   18   agosto  2000,  n. 267,  doveva,  in  teoria,
rappresentare  un  punto fermo, ma in realta' e' stato subito oggetto
di  modificazioni  e  integrazioni.  L'opera  di  ripensamento,  ora,
prosegue,  ma,  paradossalmente,  senza  alcuna  considerazione della
straordinaria novita' determinata dalla legge della Costituzione n. 3
del 2001.
    In  realta',  e'  agevole  cogliere  i  macroscopici  profili  di
illegittimita'   costituzionale   che  l'intervento  del  legislatore
statale in questo campo, di per se', contiene.
    La   disciplina  della  gestione  dei  servizi  pubblici  locali,
infatti,  ai  sensi delle nuove disposizioni del Titolo V, appartiene
alla   competenza   legislativa   esclusiva  delle  Regioni  (e  alla
competenza  regolamentare  degli  enti  locali).  La legge impugnata,
invece,  interviene  pesantemente  in  tale materia, distinguendo tra
servizi  pubblici  con  e  senza rilevanza industriale, e recando una
normativa   estremamente  analitica  e  dettagliata.  Tale  normativa
mortifica   l'autonomia   degli   enti   locali  (anche  pel  profilo
dell'autonomia  finanziaria,  poiche'  l'oculata gestione dei servizi
locali  non  grava  sulle finanze locali, ma le arricchisce), che non
hanno   margini  sostanziali  per  l'esercizio  della  loro  potesta'
regolamentare.  Mortifica,  pero',  anche  e  soprattutto l'autonomia
regionale,  poiche'  interviene  in  materia  di competenza esclusiva
della Regione, addirittura con prescrizioni di dettaglio.
    Quanto al fatto che la materia dei servizi pubblici locali sia di
esclusiva competenza regionale, per vero, non possono nutrirsi dubbi.
Delle due, invero, l'una: o si tratta di materia a se' stante, oppure
si  tratta di sottomateria ricompresa in quella dell'organizzazione e
del  funzionamento  degli enti locali. In ogni caso, essa non rientra
negli  elenchi  ne'  del  secondo  ne' del terzo comma dell'art. 117,
sicche',  in  ragione  del  comma 4, e' assegnata alle Regioni in via
esclusiva.
    A  cio' si aggiunga che, una volta di piu', la legge impugnata e'
affetta da irragionevolezza, poiche', in violazione degli artt. 3 e 5
della  Costituzione, in una con le disposizioni del Titolo V, azzarda
un  disegno  piattamente  unificato  delle  modalita' di gestione dei
servizi  pubblici  locali,  laddove il nuovo testo della Costituzione
vuole la differenziazione e la valorizzazione dell'autonomia.
    A  cio' si aggiunga ancora, ovviamente, che, come gia' ricordato,
l'art. 118  sancisce  i  principi  fondamentali della sussidiarieta',
della    differenziazione   e   dell'adeguatezza,   sicche'   risulta
specificamente  violato  dalla  livellante normativa dello Stato, qui
censurata.