Il  giudice,  dott.ssa  Gabriella  Tomai,  nel  procedimento  nei
confronti  di  Lo  Porto  Guido  +  1;  nel  sollevare  conflitto  di
attribuzioni  dinanzi  alla  Corte  costituzionale  in relazione alla
delibera  pronunciata dalla Camera dei deputati in data 6 marzo 2001;
letti gli atti e sentite le parti;

                            O s s e r v a

    Il  presente  procedimento  trae  origine  dalla denuncia querela
sporta dal dr. Domenico Gozzo, sostituto procuratore della Repubblica
presso  il  Tribunale  di  Palermo,  in data 15 settembre 2000, nella
quale  il magistrato esponeva di essere stato offeso nel suo decoro e
nella  sua  dignita'  professionale  dal contenuto della nota diffusa
dall'agenzia   ANSA   in  data  15  giugno  2000  che  riportava  una
dichiarazione  rilasciata dall'on. Guido Lo Porto, deputato di AN. Il
testo  del  predetto  comunicato stampa costituisce il corpo del capo
d'imputazione  contestato  al  Lo Porto ed al giornalista articolista
dell'ANSA,  Antonio Ravida', nella richiesta di rinvio a giudizio dei
due  imputati  per  il  reato di concorso in diffamazione aggravata a
mezzo stampa.
    Il  predetto comunicato recita testualmente "Mafia: Lo Porto (AN)
da  p.m.  pagina  di  cretinismo giudiziario (ANSA) - Palermo, 15 Giu
"Una  pagina  di  cretinismo giudiziario". Cosi' il deputato Guido Lo
Porto,  coordinatore  di  Alleanza  nazionale  in  Sicilia, definisce
alcuni  riferimenti  fatti  su di lui dal pubblico ministero Domenico
Gozzo  che  ieri,  concludendo la requisitoria, ha chiesto 10 anni di
reclusione  per concorso in associazione mafiosa per l'ex senatore di
An  Filiberto  Scalone,  avvocato  penalista.  Citato dal p.m. per un
presunto appoggio che sette anni fa avrebbe ottenuto da mafiosi e per
una  sua  smentita  vicinanza  al  movimento  "Sicilia  Libera un cui
ispiratore  occulto  anni fa sarebbe stato il boss corleonese Leoluca
Bagarella, oggi l'on. Lo Porto ha diffuso un dichiarazione assai dura
sul p.m.
    "Un  singolo  irrilevante  episodio del tutto avulso dal contesto
del  processo  Scalone" - afferma il parlamentare palermitano - viene
utilizzato  dal  dottor  Gozzo  per scrivere una pagina di cretinismo
giudiziario  a stento sorretta dall'aiuto di un "suo collaboratore di
giustizia  ,  gia'  da  me  querelato  e  gia' stritolato da un ampia
archiviazione  in mio vantaggio. Con due effetti: uno di buttar fango
su  un  onorato  partito  di  fronte  al  quale  il dottor Gozzo deve
soltanto  inchinarsi, l'altro di dimostrare come non contino le carte
processuali,  le  sentenze, le archiviazioni, le storie personali, ma
contino   soltanto  gli  odii  ideologici  e  le  strumentalizzazioni
politiche.".
    In  data  12  gennaio  2001  il  p.m.  titolare  del procedimento
informava  ex  art. 129  c.p.p. disp. att. il Presidente della Camera
dei  Deputati  della richiesta di rinvio a giudizio; successivamente,
con  nota  dell'8 marzo 2001, il Presidente della Camera dei deputati
comunicava  che  l'Assemblea,  nella  seduta  del 6 marzo 2001, aveva
deliberato  nel  senso  che  i  fatti  per  i  quali  e'  in corso il
procedimento   concernevano   opinioni  espresse  da  un  membro  del
Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
primo  comma,  della  Costituzione  e  allegava copia della relazione
della  Giunta per le autorizzazioni a procedere nonche' del resoconto
stenografico della citata seduta dell'Assemblea.
    In  via preliminare va sottolineato che questo giudice ritiene di
essere  legittimato  a sollevare conflitto di attribuzione tra Poteri
dello  Stato  ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
in    quanto   organo   giurisdizionale   competente   a   dichiarare
definitivamente  la  volonta' del Potere cui appartiene. E' indubbio,
infatti,  che la delibera di insindacabilita' sopra indicata - se non
rimossa  -  inibisce  l'esercizio  della  giurisdizione, imponendo al
giudice  di  pronunciare  formula  di  proscioglimento  nei confronti
dell'imputato  essendo  l'azione  improcedibile in quanto il fatto e'
stato commesso nell'esercizio del mandato parlamentare.
    Ad  avviso  di  questo  giudice  la  predetta deliberazione della
Camera  dei  deputati,  assunta in conformita' con la decisione della
giunta per le autorizzazioni a procedere, pronunciando un verdetto di
insindacabilita'  delle  dichiarazioni  dell'on. Lo  Porto  ai  sensi
dell'art. 68,  primo comma della Costituzione, ha violato la sfera di
attribuzione  del potere giurisdizionale, legittimando questo Ufficio
a ricorrere alla Corte costituzionale al fine di ottenere la verifica
del corretto uso del potere attribuito alla Camera del Parlamento.
    La  Camera, infatti, ha arbitrariamente ritenuto insindacabili le
dichiarazioni  del  parlamentare tralasciando di considerare che esse
furono  generate  da  ragioni  strettamente  personali attinenti alla
necessita'  avvertita  dal deputato di chiarire, con tono peraltro di
accesa   polemica,   alcune   vicende   processuali  che  lo  avevano
precedentemente   riguardato.   La   Camera  ha  osservato  che  tali
dichiarazioni      sarebbero      da     ricondurre     all'attivita'
politico-parlamentare  del  deputato,  eletto  in  un  collegio della
Sicilia  e  coordinatore del partito di Alleanza Nazionale, in quanto
rilasciate  a  margine di una vicenda processuale - quella relativa a
Filiberto  Scalone,  gia'  senatore  -  che aveva avuto risonanza nel
panorama politico palermitano.
    Tale contesto politico - parlamentare e la finalita' di difendere
la   propria   immagine   ed  i  risultati  della  propria  attivita'
nell'esercizio  del  mandato  elettivo  costituirebbero,  secondo  la
motivazione  resa  dalla Camera, il necessario "nesso funzionale" con
le  attivita'  svolte  "nella qualita'" di membro delle camere, nesso
che   solo  puo'  far  ritenere  le  predette  dichiarazioni  coperte
dall'insindacabilita'    posta    dalla   Costituzione   a   garanzia
dell'autonomia ed indipendenza del potere legislativo.
    Orbene  la  motivazione adottata dalla Camera non appare in linea
con  i  principi  espressi  dalla  Corte costituzionale in materia di
operativita' della prerogativa parlamentare.
    Ed  invero,  in  numerose  e  recenti pronunce la stessa Corte ha
ribadito  che  la  predetta prerogativa non copre tutti comportamenti
dei  membri  delle  camere,  ma  solo  quelli strettamente funzionali
all'esercizio  indipendente  delle  attribuzioni  proprie  del potere
legislativo,    cioe'    funzionalmente    collegati    all'esercizio
dell'attivita'  parlamentare,  affinche' l'immunita' non si trasformi
da  esenzione  di responsabilita' legata alla funzione, in privilegio
personale.  La  stessa Corte nella sentenza n. 11 del 17 gennaio 2000
ha  chiarito  che  a  questo  fine  l'interpretazione del primo comma
dell'art. 68  della  Costituzione porta ad escludere che sia compresa
nella  insindacabilita'  tutta  la  complessa  attivita' politica del
membro  del  parlamento, potendovi rientrare soltanto quella inerente
all'esercizio  delle funzioni parlamentari. In sostanza perche' possa
configurarsi il predetto "nesso funzionale non e' sufficiente il mero
contesto  politico,  ne'  il  semplice  collegamento di argomento fra
attivita' parlamentare e dichiarazione ma occorre l'identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   dell'attivita'
parlamentare" (cfr. Corte cost. 17 gennaio 2000, n. 10).
    Alla  luce  di  siffatti  principi rileva questo giudice che, nel
caso   in   esame,   la   Camera   non   ha   adeguatamente  motivato
sull'effettivita'  di  una  connessione  fra  le  dichiarazioni  rese
dell'on. Lo Porto nel suo attacco al pubblico ministero palermitano e
l'attivita'  parlamentare tipica, giacche' non appare individuabile a
quale   specifico   atto  parlamentare  si  riferissero  le  predette
dichiarazioni:   le   stesse,  invece,  meglio  possono  ricollegarsi
all'attivita'  politica  intesa  in senso ampio, che, pero', non puo'
costituire valido oggetto di immunita' parlamentare.
    Le  dichiarazioni per le quali si procede penalmente, dunque, non
appaiono  rese nell'ambito di un'attivita' parlamentare tipica ne' in
occasione  di un'attivita' connessa all'attivita' parlamentare tipica
per  cui si ritiene che la Camera dei deputati abbia fatto un uso non
corretto del proprio potere di dichiararne l'insindacabilita'.
    Alla luce delle precedenti considerazioni, ritiene questo giudice
che  il  deliberato  della  Camera abbia causato la menomazione della
sfera   di   attribuzioni   proprie   dell'Autorita'   giudiziaria  e
costituisca,  quindi, materia di conflitto di attribuzioni tra poteri
dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale.
    Il  presente  procedimento,  pertanto,  deve  essere  sospeso nei
confronti  di entrambi gli imputati attesa la stretta connessione fra
le  loro  posizioni  processuali  nonche'  la  refluenza  anche sulla
posizione del Ravida' della decisione della Corte costituzionale.