Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio  di
ammissibilita'  del  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  dell'Ordinanza  emessa  il  Tribunale  di Taranto,
sezione  I  penale, del 18 febbraio 1998, in un procedimento penale a
carico  dell'on. Giancarlo  Cito, con la quale e' stata rigettata una
istanza   di  rinvio  di  udienza  dibattimentale,  non  considerando
impedimento  assoluto  il diritto-dovere del deputato di assolvere il
mandato  parlamentare  attraverso  la  partecipazione  a votazioni in
Assemblea,  della  sentenza  del  Tribunale  di Taranto 18 febbraio -
13 marzo  1998,  n. 202/1998, che ha definito il procedimento stesso,
nonche' delle sentenze n. 85/2000 del 21 ottobre 1999 - 10 marzo 2000
della  Corte  d'appello  di  Lecce,  sezione distaccata di Taranto, e
n. 390/2001   del   15 febbraio   -  19 marzo  2001  della  Corte  di
cassazione,  sezione  V penale, che hanno confermato la decisione sul
rigetto  della  istanza predetta, promosso della Camera dei deputati,
con  ricorso  depositato  il  25 maggio 2001 e iscritto al n. 193 del
registro ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 13 marzo 2002 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto  che  con ricorso depositato il 25 maggio 2001 la Camera
dei  deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato nei confronti del Tribunale di Taranto, sezione I penale, della
Corte  d'Appello  di  Lecce,  sezione  distaccata di Taranto, e della
Corte di cassazione, sezione V penale;
        che   -   come   riferisce  la  Camera  ricorrente  -  in  un
procedimento  penale  pendente  nei  confronti del deputato Giancarlo
Cito per il reato di diffamazione, il Tribunale di Taranto, sezione I
penale,    respingeva,   con   ordinanza   pronunciata   nell'udienza
dibattimentale   del  18 febbraio  1998,  un'istanza  presentata  dal
difensore  del  deputato il giorno precedente l'udienza, con la quale
si  chiedeva  di  considerare  giustificata  l'assenza  dell'imputato
perche' dovuta a legittimo impedimento a comparire, in considerazione
del suo diritto-dovere di partecipare all'attivita' parlamentare e in
particolare  di  essere  presente  alle  votazioni in Assemblea della
Camera  dei  deputati  nei giorni 17, 18, 19 e 20 febbraio 1998, come
comprovato  dal  calendario  dei  lavori  parlamentari  presentato al
Tribunale, il quale peraltro motivava la propria decisione affermando
sia  che  l'istanza  era tardiva sia che, comunque, essendo la seduta
delle votazioni per il giorno 18 febbraio fissata a partire dalle ore
sedici,   l'imputato  avrebbe  potuto  comparire  nella  mattinata  e
chiedere che il suo processo fosse trattato con precedenza;
        che,  cosi' disponendo, l'ordinanza in questione - osserva la
ricorrente - non ha tenuto in considerazione il fatto che il deputato
era impegnato nelle votazioni in assemblea gia' dal giorno precedente
l'udienza,  cioe'  dal  17 febbraio,  giorno in cui i lavori si erano
protratti  fino  a  ora  notturna;  ne'  -  aggiunge  la  Camera - il
Tribunale,   immediatamente   dopo,   ha   ritenuto   di   ritornare,
revocandola,  sulla  propria  decisione,  allorche'  di  dette ultime
circostanze  era  stata  data  informazione con un fax inviato quello
stesso  giorno dall'imputato, il quale comunicava l'ordine del giorno
della  seduta  (con  votazioni)  del giorno 18 febbraio e riferiva di
come  egli si fosse trovato impegnato in votazioni sin dalla sera del
giorno precedente;
        che  con  sentenza  del  medesimo  giorno  18 febbraio  1998,
depositata il successivo 13 marzo, il Tribunale di Taranto condannava
l'imputato  per  il  reato  di diffamazione, rinviando espressamente,
nella  motivazione, alla propria ordinanza con cui era stata respinta
l'istanza di rinvio dell'udienza;
        che, in sede di gravame, la Corte d'Appello di Lecce, sezione
distaccata   di   Taranto,   ha  rigettato  l'eccezione  di  nullita'
dell'ordinanza   del   Tribunale   del   18 febbraio  1998  formulata
dall'interessato, da un lato ritenendo che l'istanza originaria fosse
tardiva  -  ma  facendo  riferimento  testuale  non  gia' all'istanza
presentata  dal difensore il giorno prima dell'udienza, bensi' al fax
trasmesso  dall'imputato il giorno stesso dell'udienza - e dall'altro
escludendo  che  l'impegno  parlamentare  rivestisse  il carattere di
impedimento  assoluto  a comparire, affermando che l'imputato sarebbe
stato  chiamato  a  votare  in  giorni  diversi  da quello in cui era
fissata   l'udienza,   cioe'   nei   giorni  17  e  20 febbraio;  una
affermazione  quest'ultima  - si osserva nel ricorso della Camera dei
deputati  - non sorretta da alcun dato obiettivo, tenuto conto che il
calendario  settimanale  delle  sedute era identico nei contenuti per
tutti  e  quattro  i  giorni  e  che l'ordine del giorno della seduta
decisiva, cioe' del giorno 18, indicava che le votazioni si sarebbero
svolte a partire dalle ore sedici e venti;
        che  la  Corte di cassazione, sezione V penale, ha confermato
il  giudizio  d'appello,  compreso  il  rilievo  circa  la tardivita'
dell'istanza;  nella  propria decisione la Corte di cassazione, oltre
ad  affermare  che la pronuncia del giudice di merito si sottraeva al
controllo  di  legittimita',  per  avere  argomentato al riguardo con
"proposizioni  logicamente e giuridicamente ineccepibili", aggiungeva
sul  punto  che  "l'indiscriminata valenza dell'impedimento di natura
parlamentare paralizzerebbe la definizione del procedimento", che "il
delicato   equilibrio   tra  la  funzione  giurisdizionale  e  quella
parlamentare  trova contemperamento nel bilanciamento degli interessi
configgenti,  operato  di  volta  in  volta dal giudice, sulla scorta
della  situazione  processuale"  e  infine  che  "la  definizione del
processo  in tempi ragionevoli non soddisfa solo l'interesse punitivo
[...] dello Stato e le legittime aspettative della persona offesa, ma
anche  l'interesse  dello stesso imputato, ove questo non si proponga
fini dilatori";
        che  la ricorrente Camera dei deputati - affermata la propria
legittimazione  attiva  al  ricorso  e  quella  passiva  degli organi
giurisdizionali - motiva circa l'ammissibilita', sul piano oggettivo,
del  conflitto,  la  materia  del  quale e' data, nella specie, dalla
esigenza  di  delimitare  le  attribuzioni  costituzionali del potere
giudiziario  (di  trattare  e  concludere  i  processi innanzi a esso
pendenti)   a   fronte   delle  esigenze  di  funzionalita'  e  delle
prerogative  di  autonomia  e  indipendenza  del  potere legislativo,
incise  dalla  pretesa  del  primo  di  disconoscere  al  deputato il
carattere di impedimento a comparire a una udienza per adempiere alle
proprie funzioni di parlamentare;
        che,  premesse diverse considerazioni quanto alla sussistenza
dell'interesse   a   ricorrere   e   agli   aspetti   preliminari  di
ammissibilita'  del  conflitto, la ricorrente osserva che nel caso in
esame  si  rivela  la  netta divergenza di vedute tra la Camera e gli
organi  giurisdizionali,  nella  contrapposizione  tra  un ordine del
giorno  delle  sedute  del  periodo  17  - 20 febbraio 1998 da cui ha
origine  il dovere del parlamentare di prendere parte alle votazioni,
e  una  serie  di  pronunce  giurisdizionali  che, seppure variamente
argomentate,   convergono   nel   negare   a  questi  stessi  impegni
parlamentari  il  carattere  di  impedimento  assoluto  a partecipare
all'udienza del processo penale;
        che viceversa la ricorrente chiede che venga considerato, per
i propri componenti, impedimento assoluto a comparire all'udienza del
processo   penale  l'esercizio  della  funzione  parlamentare  e  "in
particolare"  l'esercizio del diritto di voto in Assemblea o anche in
Commissione legislativa;
        che  le  decisioni  dei giudici di merito di primo grado e di
appello  per  le  quali  e'  promosso conflitto, se pure non prendono
posizione  circa  la  questione  di  principio,  attinente al rilievo
processuale  della  posizione  dell'imputato  che  sia  impegnato  in
attivita'  parlamentare,  comunque hanno per effetto comune quello di
negare  la  natura  di  impedimento  assoluto alla partecipazione del
deputato   a  votazioni  in  Assemblea,  ovvero  di  subordinarne  il
riconoscimento  ad  apprezzamenti del giudice, secondo considerazioni
del singolo caso concreto;
        che  la  pronuncia  della  Corte di cassazione invece enuclea
esplicitamente  il  principio  secondo  il  quale  spetta  al giudice
operare  di  volta in volta, in base appunto alla concreta situazione
processuale,  il  contemperamento  tra  le  esigenze  della  funzione
giurisdizionale  e  di quella parlamentare, cosi' da far dipendere il
riconoscimento  o  il  disconoscimento dell'impedimento funzionale da
considerazioni  del  singolo  caso,  che potrebbero di volta in volta
mutare   -   ad   esempio,  ammettendo  l'impedimento  per  attivita'
parlamentari  diverse  dal voto e viceversa negandolo per l'esercizio
del  voto -, con una considerazione indistinta di equiordinazione, in
linea  di principio, di tutte le attivita' nelle quali si realizza la
funzione parlamentare;
        che  secondo  la  Camera  la  pretesa della giurisdizione, di
considerare  tra  loro fungibili le attivita' di un parlamentare e di
rimettere  al giudice l'apprezzamento di una di esse come impedimento
assoluto,   finisce   per   compromettere  l'autonomia  e  la  stessa
funzionalita'   della   Camera   di  appartenenza  del  parlamentare,
menomando   il  libero  esercizio  del  mandato  rappresentativo,  in
violazione  degli artt. 64, 68 e 72 della Costituzione, disconoscendo
la  peculiarita' delle votazioni in Assemblea, poiche' il voto e' una
attivita'  personalissima,  non  delegabile,  sulla  quale il singolo
deputato  non  puo'  influire  quanto al momento del suo svolgimento,
cosicche'  tra  esso  e le altre pur rilevanti attivita' parlamentari
(discussioni,  interventi  programmati, atti del sindacato ispettivo)
sussiste  una  differenza  qualitativa,  potendo  le  altre attivita'
tipiche essere modulate nei loro tempi anche in via di prassi, mentre
lo stesso non vale per l'attivita' di votazione, che e' indisponibile
dal  singolo  deputato  e  i  cui tempi non sono rinviabili; cio' che
dimostra  come  il  voto  sia  atto  che  attiene immediatamente alla
funzione costituzionalmente assegnata alle Camere, la cui limitazione
dunque,  sempre  secondo la ricorrente, rappresenta una incisione nel
pieno  e libero espletamento di quella stessa funzione, garantita nel
suo  svolgimento,  autonomo  e  senza  condizionamenti  esterni,  dai
menzionati artt. 64, 68 e 72 della Costituzione;
        che, svolgendo un ulteriore profilo, la Camera rileva che gli
atti  che  hanno  originato  il  conflitto  compromettono  la  stessa
funzionalita'  della  Camera,  mettendo  a  rischio la formazione del
quorum richiesto di volta in volta per la deliberazione parlamentare,
in  violazione  delle  norme  della  Costituzione e delle altre leggi
costituzionali (artt. 64, primo e terzo comma; 73, secondo comma; 79,
primo  comma;  83, terzo comma; 90, secondo comma; 138, primo e terzo
comma,   della   Costituzione;  art. 12  della  legge  costituzionale
11 marzo  1953,  n. 1;  art. 3 della legge costituzionale 22 novembre
1967,   n. 2;   artt. 9,   comma  3,  e  10,  comma  3,  della  legge
costituzionale  16 gennaio  1989,  n. 1)  che  richiedono  per talune
delibere o votazioni particolari maggioranze, assolute o qualificate,
come  in  tema  di  approvazione dei regolamenti, di dichiarazione di
urgenza  di  una  legge,  di  approvazione  di amnistia e indulto, di
elezione  del  Presidente  della  Repubblica, di elezione dei giudici
costituzionali,  di  messa  in  stato  d'accusa  del Presidente della
Repubblica,  di  autorizzazione a procedere per i reati dei ministri,
di approvazione di leggi costituzionali;
        che la Camera ricorrente lamenta inoltre la coartazione della
liberta'  del mandato parlamentare, in violazione degli artt. 67 e 68
della  Costituzione,  dato  che  le prerogative dei parlamentari sono
stabilite  non  nell'interesse individuale dei singoli ma in funzione
dell'integrita'  della  posizione costituzionale della istituzione di
appartenenza,  cosicche', ogni volta che sia leso il libero esercizio
del mandato garantito dalle citate disposizioni costituzionali, si ha
una   corrispondente   violazione   dell'autonomia  delle  Camere  di
appartenenza:  nel  caso specifico, le determinazioni giurisdizionali
avrebbero   inciso   sulla  liberta'  di  mandato  del  parlamentare,
costretto   alla   scelta  tra  due  differenti  diritti,  quello  di
partecipare  alle  votazioni e quello di essere presente nel processo
che lo riguarda;
        che  la  Camera  rileva  altresi' la mancanza, nelle pronunce
giurisdizionali   che  danno  luogo  al  conflitto,  di  un  adeguato
bilanciamento  tra  le  esigenze  della  giurisdizione e quelle della
funzionalita',  dell'autonomia e dell'indipendenza del Parlamento, in
quanto  le  decisioni,  negando  (direttamente, quelle dei giudici di
merito; indirettamente, con l'affermazione di principio, quella della
Corte   di   cassazione)   il   carattere   di  impedimento  assoluto
dell'attivita'  di  votazione,  hanno  sacrificato  integralmente  le
seconde   alle   prime,   non   potendosi  ravvisare  alcun  corretto
bilanciamento  nell'imposizione  al  deputato della scelta tra le due
sedi,  secondo  un  criterio  inidoneo  a  raggiungere un ragionevole
contemperamento  tra i due ordini di interessi, i quali d'altra parte
non si pongono neppure sul medesimo piano, dato che uno e' un diritto
soggettivo pieno e individuale, il diritto alla difesa, l'altro e' un
diritto-dovere  di  carattere  funzionale eccedente la dimensione del
singolo;
        che    pertanto,    anche   a   riconoscere   il   fondamento
costituzionale dell'esigenza di efficienza e celerita' del processo -
prosegue  la  Camera  -  non  potrebbe per cio' solo giustificarsi il
sacrificio  della  autonomia  e  indipendenza  e perfino della stessa
funzionalita'  del  Parlamento, attribuendo, come e' invece avvenuto,
alle  forme  di  esercizio  del  mandato  parlamentare un significato
"dilatorio",  e  anche  questo rilievo varrebbe a far considerare del
tutto  inadeguato  il  criterio  di  giudizio  adottato  dai giudici,
poiche'  il calendario dei lavori parlamentari, e l'ordine del giorno
che   ne   e'   espressione,   costituiscono  determinazioni  che  il
parlamentare  e' tenuto a rispettare e non e' abilitato a modificare,
traducendosi  in  esse  il contemperamento delle esigenze dei diversi
soggetti  costituzionali  interessati  all'organizzazione  dei lavori
delle Camere, a garanzia di ciascuno di essi e di tutti, maggioranza,
opposizione,  governo; e' dunque impropria, afferma la ricorrente, la
pretesa   di   subordinare   queste   attivita'  all'esercizio  della
giurisdizione  penale,  valendo  semmai  (art. 68 della Costituzione)
l'esigenza opposta;
        che  infine  la  Camera  ricorrente lamenta la violazione del
principio  di leale collaborazione tra poteri e del dovere di lealta'
e   correttezza,   ripetutamente   enunciato   dalla   giurisprudenza
costituzionale  e  valevole anche in relazione al potere giudiziario,
in quanto le affermazioni che portano a rigettare l'istanza difensiva
di  rinvio  sarebbero incongrue, sotto numerosi aspetti: il Tribunale
fa riferimento a una istanza presentata dal difensore il giorno prima
dell'udienza,   dunque  non  qualificabile  come  tardiva;  la  Corte
d'appello  fa invece riferimento a un fax dell'imputato, trasmesso lo
stesso   giorno   dell'udienza,   senza  prendere  in  considerazione
l'istanza difensiva del giorno precedente; il Tribunale, pur avendo a
disposizione   il   calendario  settimanale  dei  lavori  e  l'ordine
delgiorno  della  seduta  del  18 febbraio  1998,  non  ne deduce che
l'imputato  fosse  impegnato  nelle votazioni fino alle ore ventitre'
del giorno precedente l'udienza, benche' tale circostanza, risultante
dai  documenti  trasmessi,  fosse essenziale nel senso di rendere non
praticabile  la  soluzione  prospettata  dall'organo  giudiziario, di
presentarsi  nella  mattinata  del giorno 18 febbraio per chiedere la
trattazione  del  processo  con  precedenza  sugli altri; proprio per
sottolineare che l'impegno parlamentare riguardava sia la sera del 17
che  il primo pomeriggio del 18 febbraio, l'imputato aveva spedito un
fax,  ma  il Tribunale non aveva ritenuto di riconsiderare la propria
decisione adottata con l'ordinanza; dal suo canto, la Corte d'appello
mostra di accorgersi dell'impegno delle votazioni per la sera del 17,
ma  sembra ritenere che le votazioni concernessero solo il giorno 20,
nonostante  che il calendario della settimana (17-20 febbraio) avesse
un  contenuto comune e soprattutto nonostante che l'ordine del giorno
del  18  prevedesse espressamente votazioni in Aula; infine, la Corte
di  cassazione  sembra  evocare  potenziali  utilizzazioni  dilatorie
dell'impedimento,  quando  risulta che nell'intero processo penale di
cui  si tratta l'impedimento venne fatto valere esclusivamente in una
circostanza, cioe' appunto per l'udienza del 18 febbraio 1998;
        che,  per  i  rilievi esposti, la Camera solleva conflitto di
attribuzioni chiedendo:
          a)  di  dichiarare  che non spetta al Tribunale di Taranto,
sezione  I  penale,  ne'  alla  Corte  d'appello  di  Lecce,  sezione
distaccata  di  Taranto,  ne'  alla  Corte  di  cassazione, V sezione
penale,  negare  che  per  il  deputato  Giancarlo  Cito  costituisca
impedimento  assoluto  alla partecipazione all'udienza dibattimentale
in   data  18 febbraio  1998  dinanzi  al  Tribunale  di  Taranto  il
diritto-dovere  di  assolvere  il  mandato parlamentare, partecipando
alle votazioni dell'Assemblea indette per lo stesso giorno;
          b)   "in   particolare,   che  non  spetta  alla  Corte  di
cassazione,   V   sezione   penale,   il   dichiarare   riservato  al
bilanciamento  del  giudice  penale,  alla  stregua  delle risultanze
processuali, il giudizio sulla spettanza del carattere di impedimento
assoluto  a  partecipare  all'udienza  alla  situazione dell'imputato
parlamentare che sia impegnato in votazioni in Assemblea concomitanti
con l'udienza penale";
          c)  di  annullare,  per  l'effetto, l'ordinanza 18 febbraio
1998  del  Tribunale  di  Taranto,  sezione  I  penale;  la  sentenza
18 febbraio  -  13 marzo  1998,  n. 202,  del  medesimo Tribunale; la
sentenza   21 ottobre  1999  -  10 marzo  2000,  n. 85,  della  Corte
d'Appello  di  Lecce,  sezione  distaccata  di Taranto, e la sentenza
15 febbraio  -  19 marzo  2001,  n. 390,  della  Corte di cassazione,
sezione V penale.
    Considerato  che  in  questa  fase  la Corte e' chiamata, a norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 97,
a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in
quanto  esista  la  materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
alla   sua   competenza,   restando   impregiudicata  ogni  ulteriore
decisione, anche relativamente all'ammissibilita';
        che,  sotto  l'aspetto  soggettivo, la Camera dei deputati e'
legittimata  a  sollevare  conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato,  quale  organo  competente  a  dichiarare  definitivamente  la
volonta' del potere cui appartiene;
        che del pari deve essere riconosciuta la legittimazione degli
organi  giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in relazione ai
quali  e'  promosso  il  conflitto di attribuzione a essere parti del
medesimo,  poiche',  come ripetutamente affermato da questa Corte (da
ultimo,  ordinanze  n. 84,  n. 37  e n. 6 del 2002), i singoli organi
giurisdizionali  sono  legittimati,  nell'esercizio  della funzione a
essi   assegnata   dalla   Costituzione   ed   esercitata   in  piena
indipendenza,   a   essere  parti  nei  conflitti  costituzionali  in
questione;
        che,  sotto  l'aspetto oggettivo del conflitto, la ricorrente
Camera  dei deputati lamenta la lesione della sfera di attribuzioni a
essa    costituzionalmente   garantite   in   ragione   del   mancato
riconoscimento,  da parte degli organi giurisdizionali indicati nella
parte  narrativa,  del  legittimo impedimento a comparire all'udienza
penale di un proprio componente impegnato in votazioni in Assemblea;
        che  dal  ricorso  si  ricavano le ragioni del conflitto e le
norme   costituzionali  che  regolano  la  materia,  come  prescritto
dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.