ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa l'8 marzo 2001 dal Tribunale di Pistoia sulle istanze riunite proposte da Conceria Peretti s.p.a. ed altre nei confronti di P.R. Salotti di Petreti Rodolfo, iscritta al n. 454 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1a serie speciale, dell'anno 2001. Udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2002 il giudice relatore Annibale Marini. Ritenuto che, con ordinanza emessa l'8 marzo 2001, il Tribunale di Pistoia chiamato a pronunciarsi su talune istanze di fallimento nei confronti di un imprenditore commerciale - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui non prevede che per l'imprenditore individuale il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento decorre dalla pubblicazione della cessazione dell'attivita' nel registro delle imprese"; che, ad avviso del giudice a quo la disciplina riguardante il fallimento dell'impresa individuale che abbia cessato la propria attivita' risulterebbe - alla stregua del diritto vivente - sostanzialmente diversa da quella dettata per l'impresa collettiva dalla stessa legge fallimentare, come emendata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 319 del 2000; che, infatti, il termine di cui all'art. 10 della legge fallimentare decorrerebbe per la impresa collettiva dalla data della sua cancellazione dal registro delle imprese, per l'impresa individuale dalla data di effettiva cessazione dell'attivita'; che siffatta diversita' di disciplina si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, determinando una ingiustificata disparita' di trattamento tra i creditori dell'imprenditore collettivo, nei cui confronti assumerebbe rilevanza la pubblicita' prevista dall'art. 2196 del codice civile, ed i creditori dell'imprenditore individuale, ai quali la cessazione dell'attivita' di impresa sarebbe opponibile a prescindere da qualsiasi pubblicita', con conseguente lesione, nei confronti di costoro, anche del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dall'art. 24 della Costituzione. Considerato che questione identica a quella sollevata dall'odierno rimettente e' stata dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n. 361 del 2001; che, successivamente all'entrata in vigore della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), istitutiva del registro delle imprese, va esclusa la configurabilita' di un diritto vivente sulla rilevanza, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 10 della legge fallimentare, della semplice cessazione di fatto dell'impresa individuale; che nella stessa ordinanza e' stato, altresi', evidenziato come l'affermazione costante nella giurisprudenza, anche recente, della Cassazione secondo cui "la cessazione dell'attivita' di impresa, ai fini della decorrenza del termine annuale entro il quale puo' essere dichiarato il fallimento dell'imprenditore (art. 10 legge fallimentare), presuppone che nel detto periodo non vengano compiute operazioni intrinsecamente identiche a quelle poste in essere nell'esercizio dell'impresa" (Cassazione 4 settembre 1998, n. 8781), non sia affatto incompatibile con l'efficacia dichiarativa della iscrizione nell'apposito registro della cessazione dell'attivita' di impresa in quanto la pubblicita' della cessazione non esclude certo la possibilita' per i terzi di provare la non veridicita' del fatto iscritto e, dunque, in ipotesi, il compimento di atti di esercizio dell'impresa successivamente all'iscrizione della sua cessazione; che va, pertanto, ribadito che l'interpretazione sulla cui base il rimettente solleva la questione di costituzionalita' e' erroneamente qualificata in termini di diritto vivente e non e' sicuramente l'unica compatibile con il testo della norma denunciata; che, essendo, conseguentemente, possibile dare della norma stessa una interpretazione conforme a Costituzione, la questione va dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.