ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 112, quinto
comma,  del  decreto  del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,
n. 1124   (Testo   unico   delle   disposizioni  per  l'assicurazione
obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali), promossi con due ordinanze emesse il 20 febbraio 2001
dalla  Corte  di  appello  di  Venezia, iscritte ai nn. 278 e 279 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 17, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  di  costituzione dell'INAIL nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2002 il giudice relatore
Massimo Vari;
    Uditi  l'avvocato  Nicola D'Angelo per l'INAIL e l'avvocato dello
Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  la  Corte  d'appello  di Venezia, con due distinte
ordinanze   (r.o.  nn. 278  e  279  del  2001),  entrambe  emesse  il
20 febbraio 2001 ed aventi la stessa motivazione in punto di diritto,
ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 112,
quinto  comma,  del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno
1965,  n. 1124  (Testo  unico  delle disposizioni per l'assicurazione
obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali),  "in  riferimento  all'art. 444  codice  di procedura
penale",  denunciandone  il  contrasto  con  gli  artt. 3  e 24 della
Costituzione;
        che  le  ordinanze  sono  state  emesse nel corso dei gravami
interposti  dall'INAIL  per  la riforma delle sentenze di primo grado
del  Tribunale  di Venezia, che hanno dichiarato decaduto il medesimo
Istituto  dall'intentata  azione  di  regresso, "per essere trascorsi
oltre  tre  anni  dalla  data in cui si era concluso, con sentenza di
applicazione  concordata della pena, il procedimento penale contro" i
responsabile civili di un infortunio sul lavoro;
        che,  a tal riguardo, il rimettente evidenzia che gli appelli
proposti    dall'INAIL   si   incentrano   sull'asserita   violazione
dell'art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, nel senso che, a fronte di
sentenza  emessa  "a  seguito di patteggiamento" (art. 444 cod. proc.
pen.),  essendo  questa  equiparata  a sentenza di condanna (art. 445
cod. proc. pen.), il giudice di primo grado avrebbe dovuto applicare,
nella   fattispecie   sottoposta  alla  sua  cognizione,  il  termine
triennale  di  prescrizione  (  validamente  interrotta"  nel caso di
specie)  stabilito  "nella  seconda  parte  del comma quinto di detto
articolo"  e  non  gia'  il  termine di decadenza "disciplinato dalla
prima  parte  del  medesimo comma, rispetto al quale non sono ammessi
atti interruttivi";
        che,  tanto  premesso,  il  giudice  a  quo  assume che, dopo
l'intervento  delle sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza
n. 3288 del 1997), "la distinzione tra termine di decadenza e termine
di  prescrizione nell'ambito del quinto comma del menzionato art. 112
puo'  qualificarsi  diritto  vivente",  rilevando la prima ipotesi in
"mancanza  di  un  accertamento  del fatto-reato da parte del giudice
penale",  mentre  l'ipotesi  della  prescrizione  "e'  caratterizzata
dall'esistenza  di  tale accertamento contenuto nella sentenza penale
di condanna";
        che, inoltre, il rimettente, nel rilevare che il quinto comma
dell'art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965 non contempla espressamente
il   caso   di   procedimento   penale   definito  con  sentenza  "di
patteggiamento",  ritiene  "arduo"  equiparare  detta  sentenza "alle
"sentenze  di  non  doversi  procedere"  di  cui alla prima parte del
comma", non senza, peraltro, riconoscere "che sussiste la eadem ratio
e  cioe'  l'esigenza  di  pervenire  a  un  rapido accertamento delle
responsabilita' del fatto-reato";
        che,  peraltro,  si  argomenta  ancora  nelle  ordinanze, "la
diversa   opzione   interpretativa"   -   sostenuta   dall'INAIL   e,
ultimamente,  dalla stessa Corte di cassazione (con sentenza n. 14734
del  1999)  -  per  cui, agli effetti del denunciato art. 112, quinto
comma,  la sentenza di patteggiamento e' ricondotta a una sentenza di
condanna,  "non  risulta  convincente perche' appare in contrasto sia
con  l'orientamento prevalente che riserva tale equiparazione ai soli
effetti propriamente penali", sia con la ratio dello stesso art. 112,
individuata,  dalla  menzionata  decisione  delle sezioni unite della
cassazione,  "nell'esigenza di garantire un rapido accertamento delle
responsabilita' del fatto-reato nei rapporti tra Istituto, assicurato
e   datore  di  lavoro,  e,  nell'interesse  di  quest'ultimo,  senza
consentire    indefinitamente   all'Istituto   di   interrompere   la
prescrizione con aggravio della possibilita' di prova";
        che,   pertanto,   dovendosi  ragionevolmente  escludere  "la
soluzione   radicale   di   negare   all'ipotesi   di  patteggiamento
l'applicabilita'  sia  del termine di decadenza sia di quello (breve)
di   prescrizione",   il   rimettente  ritiene  che  la  disposizione
denunciata  contrasti  con  i  "diritti costituzionali a una efficace
difesa  in  giudizio  (art. 24  della  Costituzione)  e  a  un uguale
trattamento   di   situazioni   giuridiche  consimili  (art. 3  della
Costituzione)"  e  cio'  a motivo del "diverso, deteriore trattamento
che  fatalmente  consegue  in  danno del presunto responsabile civile
dell'infortunio  dal  fatto che l'art. 112, quinto comma, nel fissare
all'INAIL termini di decadenza per agire in regresso nelle ipotesi in
cui  manca  un accertamento del fatto-reato, non ha incluso l'ipotesi
del procedimento penale chiuso con sentenza di patteggiamento";
        che  si e' costituito l'INAIL, parte appellante nei giudizi a
quibus   concludendo   per  l'inammissibilita'  o  per  la  manifesta
infondatezza delle questioni;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  chiesto  una  declaratoria  di  inammissibilita'  o  di manifesta
infondatezza.
    Considerato,   preliminarmente,   che   le  ordinanze  denunciano
entrambe  la  stessa  disposizione,  in  base  ad  identiche censure,
sicche'  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere decisi con
un'unica pronuncia;
        che  il  giudice  a quo nel sollevare le questioni, muove dal
presupposto  che  l'interpretazione  seguita  dalla giurisprudenza di
legittimita'  sull'art. 112,  quinto  comma,  del  d.P.R. n. 1124 del
1965,  in  ordine  alla disciplina relativa ai termini per esercitare
l'azione   di  regresso  da  parte  dell'INAIL,  costituisca  diritto
vivente,  nel  senso che detta azione, ove manchi un accertamento del
fatto-reato  da parte del giudice penale, e' soggetta (prima partedel
comma  quinto dell'art. 112) a termine triennale di decadenza, mentre
laddove  sussista  il  menzionato  accertamento  la  stessa azione e'
soggetta  (ultima  parte  del  comma  quinto dell'art. 112) a termine
triennale di prescrizione;
        che,  nell'aderire  espressamente a siffatto orientamento, il
rimettente,   tuttavia,   adduce,   per   un  verso,  la  difficolta'
ermeneutica di equiparare la sentenza di patteggiamento alle sentenze
di  non  doversi  procedere  di cui alla prima parte del comma quinto
dell'art. 112, pur ravvisando la medesima ratio - "e cioe' l'esigenza
di  pervenire  a  un  rapido  accertamento  delle responsabilita' del
fatto-reato"  -  tra  i  due  menzionati  tipi di pronunce; per altro
verso,     afferma,     motivatamente,     di     non     condividere
quell'interpretazione,  fatta  propria  da  un'unica  decisione della
cassazione,  secondo  la  quale  la  sentenza pronunciata dal giudice
penale  a  norma  dell'art. 444  cod.  proc.  pen. deve  reputarsi di
condanna,  con  la  conseguenza  che  il termine di cui all'art. 112,
quinto   comma,  del  d.P.R.  n. 1124  del  1965  deve  ritenersi  di
prescrizione;
        che,  cosi'  opinando, il rimettente fornisce, a supporto dei
proposti  incidenti  di costituzionalita', una motivazione perplessa,
giacche',  da  un  lato,  dubita  della  equiparazione,  agli effetti
disciplinati   dalla   disposizione  denunciata,  della  sentenza  di
patteggiamento  a  quelle  di  non doversi procedere, ma, dall'altro,
esprime  netta  contrarieta'  che,  ai  medesimi predetti effetti, la
stessa   sentenza  di  patteggiamento  possa  reputarsi  sentenza  di
condanna;
        che,  inoltre,  il  giudice  a  quo pur palesando chiaramente
quale sia l'interpretazione della norma censurata che predilige e che
reputa maggiormente  conforme  al dettato costituzionale, si risolve,
nonostante  cio',  a  proporre  le  questioni,  si'  da utilizzare il
giudizio  di costituzionalita' allo scopo di ottenere da questa Corte
un avallo dell'opzione interpretativa ritenuta preferibile e, dunque,
per un fine estraneo a detto giudizio (tra le molte, ordinanza n. 351
del 2001);
        che,  pertanto,  sotto  entrambi  gli  esaminati  profili, le
questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili.