ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 146 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) e 51, primo comma, n. 4, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 2 aprile 2001 dal Tribunale di Messina nel procedimento fallimentare promosso da Italcarni s.r.l. contro Domenica Carnabuci ed altri, iscritta al n. 601 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, 1a serie speciale, dell'anno 2001. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il giudice relatore Franco Bile. Ritenuto che, con ordinanza in data 2 aprile 2001, il giudice delegato del Tribunale di Messina ha sollevato, in riferimento all'art. 111 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e dell'art. 51, primo comma, n. 4, del codice di procedura civile, con riguardo alla garanzia dell'imparzialita' del giudice; che l'ordinanza e' stata resa nel corso di una procedura fallimentare a carico di una societa' a responsabilita' limitata, nella quale il rimettente aveva - ai sensi dell'art. 146 del regio decreto n. 267 del 1942 - autorizzato la proposizione da parte del curatore dell'azione di responsabilita' ex articoli 2393 e 2394 del codice civile contro amministratori ed ex amministratori della societa' fallita, nonche' disposto, inaudita altera parte, un sequestro conservativo nei riguardi di alcuni di essi; che il rimettente richiama il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, secondo cui la competenza funzionale del giudice delegato a disporre le misure cautelari ai sensi del citato art. 146 non e' venuta meno a seguito dell'introduzione della disciplina del procedimento cautelare uniforme (artt. 669-bis e ss. cod. proc. civ.), e - in questo quadro - il giudice delegato, adottati inaudita altera parte i provvedimenti cautelari citati, deve, ai sensi dell'art. 669-sexies del codice di procedura civile, fissare per la loro conferma, modifica o revoca un'udienza di comparizione avanti a se', e in essa provvedere con ordinanza, reclamabile al collegio ai sensi dell'art. 669-terdecies del codice di procedura civile; che il rimettente si sofferma poi ad illustrare i riflessi del principio di terzieta', ora espressamente prevista dall'art. 111 della Costituzione, in materia fallimentare, con particolare riferimento al ruolo del giudice delegato; che - per quanto riguarda il potere cautelare - il rimettente ritiene la disciplina impugnata non conforme a Costituzione, in quanto il giudice delegato che abbia autorizzato con decreto il curatore all'azione di responsabilita' "sarebbe "vincolato dalla forza della prevenzione di tale valutazione nel successivo provvedimento cautelare"; che, sulla base di tali rilievi, il rimettente ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento alla regola dell'imparzialita' di cui all'art. 111 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146 della legge fallimentare (nella parte in cui prevede che, prima dell'inizio della causa di merito, le misure cautelari contro gli amministratori e i sindaci della societa' fallita, nei cui confronti sia stata autorizzata dal giudice delegato l'azione di responsabilita', possano essere disposte da questo stesso giudice anziche' secondo le norme ordinarie), e dell'art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (nella parte in cui non prevede una corrispondente fattispecie di incompatibilita' fra giudice delegato e giudice della cautela); che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, depositando memoria nella quale ha sostenuto l'infondatezza della questione. Considerato che il rimettente ha prospettato congiuntamente due questioni di legittimita' costituzionale, delle quali l'una concerne l'articolo 146 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui prevede la competenza del giudice delegato (che autorizzi l'azione di responsabilita' a norma degli articoli 2393 e 2394 del codice civile nei confronti di amministratori ed ex amministratori della societa' fallita) ad adottare le opportune misure cautelari, in luogo della normale competenza ante causam del giudice competente sul merito dell'azione, e l'altra concerne invece l'art. 51, numero 4, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice delegato (che abbia dato quella autorizzazione) ad adottare le misure cautelari; che il rimettente ritiene violato l'art. 111 della Costituzione, con riguardo al principio di imparzialita' del giudice, in quanto le due norme denunciate non assicurerebbero la sua osservanza e in particolare non garantirebbero l'esclusione della "forza della prevenzione" a carico del giudice delegato; che, secondo il rimettente, la prevenzione del giudice delegato in tema di adozione delle ricordate misure cautelari discenderebbe dall'assunzione del provvedimento di autorizzazione del curatore all'esercizio dell'azione di responsabilita'; che la questione e' manifestamente infondata; che di recente questa Corte (cfr. ordinanza n. 176 del 2001) - con riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, evocati in quanto, prima della novellazione dell'art. 111 della Costituzione, assicuravano il giusto processo, particolarmente sotto il profilo dell'imparzialita' del giudice - ha ritenuto non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice delegato, che abbia autorizzato l'azione di responsabilita' ed accolto l'istanza di misure cautelari, a partecipare al successivo giudizio di merito su tale azione, in particolare sottolineando che l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilita' non e' un provvedimento giurisdizionale di contenuto decisorio in ordine alla lite da promuoversi dal curatore e non comporta quindi alcuna valutazione sul suo oggetto, ma costituisce soltanto esplicazione da parte del giudice delegato delle sue funzioni di gestione, controllo e direzione della procedura fallimentare, quale forma di esecuzione concorsuale (cfr. sentenza n. 351 del 1997); che questa Corte ha anche rilevato (cfr. da ultimo l'ordinanza n. 75 del 2002) che il riconoscimento espresso del principio di imparzialita' nell'art. 111, secondo comma, della Costituzione nulla aggiunge alla consistenza che il principio gia' aveva, ne' comporta ricadute sul modo di intendere quel particolare aspetto dell'imparzialita' correlato all'esigenza che il giudice non subisca la "forza della prevenzione" derivante da precedenti valutazioni relative alla stessa res iudicanda; che - nella medesima prospettiva per cui si ritiene che, autorizzando l'azione di responsabilita', il giudice delegato non esprime alcuna valutazione sull'oggetto di essa (cfr. la citata ordinanza n. 176 del 2001) - ad analoga conclusione deve pervenirsi relativamente all'azione, strumentalmente collegata a quella di merito, avente ad oggetto le misure cautelari, con riferimento sia al momento dell'adozione inaudita altera parte, sia a quello della loro conferma, modifica o revoca in contraddittorio. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.