IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi: 1) n. 9404 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, in persona dei rispettivi rappresentanti legali protempore, rappresentate e difese dagli avvocati Paolo Vitucci, Giovanni Gabrielli e Luigi Medugno, ed elettivamente domidiiate in Roma, nello studio di quest'ultimo, via Panama n. 12; 2) n. 9405 del 2001 Reg. Gen., proposto dall'Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane (ACRI), dalla fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Loreto, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pescara e Loreto Apruntino, dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Savigliano, dall'istituto Banco di Napoli Fondazione, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Fondazione Cassamarca, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Forli', dalla Fondazione Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Parma, dalla Fondazione Monte di Parma, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Piacenza e Vigevano, dalla Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana, dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, dalla Fondazione Banca del Monte di Lombardia, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Imola e dalla Fondazione "A. De Mari" Cassa di Risparmio di Savona, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro-tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Paolo Vitucci, Giovanni Gabrielli e Luigi Medugno, ed elettivamente domiciliate in Roma, nello studio di quest'ultimo, via Panama n. 12; 3) n. 9807 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Aurelio Gentili, nel cui studio, sito in Roma, via Po n. 24, elettivamente domicilia; 4) n. 9808 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Aurelio Gentili e Adolfo Ciardiello, nel cui studio, sito in Roma, via Po n. 24, elettivamente domicilia; 5) n. 9811 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Aurelio Gentili e Adolfo Ciardiello, nel cui studio, sito in Roma, via Po n. 24, elettivamente domicilia; 6) n. 9208 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e di Pescia, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco e Fabrizio Carbonetti, nel cui studio, sito in Roma, via G. Antonelli n. 47, elettivamente domicilia; 7) n. 9151 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Morbidelli, nel cui studio, sito in Roma, via Carducci n. 4, elettivamente domicilia; 8) n. 9365 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Morbidelli, nel cui studio, sito in Roma, via Carducci n. 4, elettivamente domicilia; 9) n. 9367 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Morbidelli, nel cui studio, sito in Roma, via Carducci n. 4, elettivamente domicilia; 10) n. 9369 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Morbidelli, nel cui studio, sito in Roma, via Carducci n. 4, elettivamente domicilia; 11) n. 8964 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Emilio Ferreri e Paolo Vaiano ed elettivamente domiciliata in Roma, nello studio di quest'ultimo, Lungotevere Marzio n. 3; 12) n. 9357 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Anello e Silvio Rizzini Bisinelli ed elettivamente domiciliata in Roma, nello studio degli stessi, via Isonzo n. 34; 13) n. 9360 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Anello, Silvio Rizzini Bisinelli e Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliata in Roma, nello studio Anello, via Isonzo n. 34; 14) n. 9487 del 2001 Reg. Gen., proposto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, in persona del rappresentante legale pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Carullo e Angelo Clarizia, ed elettivamente domiciliata in Roma, nello studio di quest'ultimo, via Principessa Clotilde n. 2; Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Per l'annullamento: a) dell'Atto di indirizzo del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica datato 22 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 2001, n. 118; b) della successiva nota 24 maggio 2001, con la quale il medesimo ministro ha fornito indicazioni per la corretta applicazione dell'atto di indirizzo indicato sub-a); c) di ogni altro atto comunque connesso al precedente atto di indirizzo e, in particolare, della nota datata 7 giugno 2001, prot. 610441, a firma del Direttore generale del dipartimento del Tesoro - Dir. IV del ministero intestato; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e uditi, alla pubblica udienza del 19 dicembre 2001, gli avvocati Vitucci, Medugno, Gabrielli, Carbonetti, Anello, Clarizia, Di Paolo, per delega dell'avv. Vaiano, Morbidelli, Gentili, Ciardiello e l'avv. dello Stato Fiorilli; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o Con i ricorsi in epigrafe indicati, tutti depositati nell'anno 2001, numerose fondazioni impugnano l'atto di indirizzo 22 maggio 2001, adottato dal Ministro del tesoro, e le determinazioni ad esso conseguenti. In particolare: A) Con le impugnative n. 9404 e n. 9405 vengono dedotti i seguenti motivi di doglianza: 1) Violazione e falsa applicazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461 e del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153. Eccesso di potere, in quanto il Ministro emanante non avrebbe esercitato il proprio potere di indirizzo in conformita' e nei limiti di cui all'art. 10, comma 3, lettera e) del decreto legislativo epigrafato, che ne prevederebbe l'utilizzazione solo nella fase di adeguamento degli statuti delle fondazioni alle disposizioni contenute nella normativa primaria. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10 del decreto legislativo n. 153/1999 per contrasto con gli artt. 3, 18, 41 e 76 della Costituzione. Invalidita' derivata degli atti emanati in applicazione, dello stesso in quanto l'attribuzione di un potere del tipo esercitato nella specie si porrebbe in contrasto: a) con il principio della piena autonomia statutaria delle fondazioni, sancito dall'art. 2, primo comma, lettera l) del decreto legislativo n. 153/1999; b) con il principio di eguaglianza, riferito alle altre persone giuridiche di diritto privato, che non subirebbero tale forma di ingerenza; c) con il principio che vieta di introdurre limitazioni alla capacita' delle persone (art. 1 cod. civ.) con un provvedimento amministrativo, anziche' con un atto di normazione primaria. 3) Violazione, e falsa applicazione delle disposizioni di cui al citato decreto legislativo n. 153/1999. Eccesso di potere per errore nei presupposti di diritto, difetto assoluto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicita' e contraddittorieta' vizi riferiti espressamente alla previsione di incompatibilita' disciplinata al punto 2.2 del provvedimento impugnato. B) Con i ricorsi n. 9807, 9808 e n. 9811 vengono denunciate le seguenti illegittimita': 1) Incompetenza ed eccesso di potere non sussistendo il potere di indirizzo esercitato dal Ministro, che sarebbe utilizzabile solo nella fase di adeguamento degli statuti delle fondazioni alle disposizioni contenute nella normativa primaria. Inoltre, a voler considerare l'atto impugnato per quello che realmente esso e' - un regolamento - non risulterebbero rispettate le regole di produzione normativa contenute nell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400. 2) Eccesso, di potere, e violazione di legge, vizi riferiti espressamente alle singole statuizioni del provvedimento impugnato. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10 del decreto legislativo n. 153/1999 per contrasto con gli artt. 3, 18, 41 e 76 della Costituzione. Invalidita' derivata degli atti emanati in applicazione dello stesso in quanto l'attribuzione di un potere del tipo esercitato nella specie si porrebbe in contrasto: a) con il principio della piena autonomia statutaria delle fondazioni sancito dall'art. 2, primo comma, lettera l) del decreto legislativo n. 153/1999; b) con il principio di eguaglianza, riferito alle altre persone giuridiche di diritto privato, che non subirebbero tale forma di ingerenza; c) con il principio che vieta di introdurre limitazioni alla capacita' delle persone (art. 1 cod. civ.) con un provvedimento amministrativo, anziche' con un atto di normazione primaria. C) Con il ricorso n. 9208 si deducono: 1) Violazione falsa applicazione degli artt. 2 primo comma e 4 primo comma, lettera l) del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, non riscontrandosi un fondamento normativo al potere esercitato nella specie dal Ministro del tesoro. 2) Eccesso di potere risultando carente la motivazione addotta dall'autorita' a sostegno delle proprie determinazioni. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10 del decreto legislativo n. 153/1999 per contrasto con l'art. 76 della Costituzione in quanto l'attribuzione di un potere all'autorita' amministrativa del tipo esercitato nella specie si porrebbe in contrasto con le disposizioni contenute nella legge di delega. D) Con l'impugnativa n. 9151 vengono dedotti i seguenti motivi di doglianza: 1) Violazione, e falsa applicazione dell'art. 2, primo comma della legge 23 dicembre 1998, n. 461, dell'art. 2, primo comma, lettera f) del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 e dell'art. 2 del codice civile. Eccesso di potere risultando del tutto inammissibile un ordine di adeguamento dello statuto rivolto a soggetti che la normativa primaria configurerebbe come persone giuridiche di diritto privato, con il riconoscimento della loro piena autonomia statutaria. In ogni caso, tale potere di indirizzo avrebbe potuto essere utilizzato solo nella fase di primo adeguamento degli statuti. 2) Violazione dell'art. 97 della Costituzione, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e dei principi in materia di trasparenza. Eccesso di poter per contraddittorieta', vizi riferiti alla sequenza temporale fra approvazione dei singoli statuti ed emanazione di un atto di indirizzo che immediatamente impone il rimaneggiamento degli stessi. 3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della Costituzione e dei principi in tema capacita' delle persone in quanto si sarebbe provveduto con atto amministrativo in una materia riservata alla legge. E) Con i ricorsi n. 9365, n. 9367 e n. 9369 vengono proposti i seguenti motivi di doglianza: 1) Violazione dell'art. 17 terzo e quarto comma della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dei principi generali in tema di fonti del diritto, in quanto, nelle forme dell'atto di indirizzo, il Ministro del tesoro avrebbe emanato un regolamento senza seguire il procedimento prescritto dalla normativa epigrafata. 2) Violazione dei principi generali in tema di atti di governo (artt. 94 e 95, della Costituzione in quanto il Governo, pur essendo ancora in carica, avrebbe dovuto tenere conto dell'esito della tornata elettorale del 13 maggio 2001, che aveva ribaltato la maggioranza parlamentare, determinando un deficit di rappresentativita' nell'esecutivo. 3) Violazione del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153. Eccesso di potere per travisamento, illogicita' e carenza di motivazione difettando nell'autorita' emanante il potere di dettare prescrizioni vincolanti per persone giuridiche private, quali le fondazioni, per giunta su materie espressamente demandate ai rispettivi statuti. 4) Violazione di legge e del principio di irretroattivita' delle fonti secondarie degli atti amministrativi, vizi riferiti alle singole statuizioni di cui l'atto di indirizzo si compone. 5) Violazione dell'art 10, secondo comma del citato decreto legislativo n. 153/1999. Eccesso di potere non essendo dato di conoscere l'avviso dell'associazione fra le casse di risparmio italiane, quale organizzazione rappresentativa delle fondazioni, che pure sarebbe stata sentita. 6) Violazione di legge ed eccesso di potere riferiti agli atti applicativi, viziati per illegittimita' derivata. F) Con il ricorso n. 8964 si censura, in primo luogo, lo scorretto - e percio' illegittimo - esercizio del potere di indirizzo, contenendo l'atto de quo statuizioni specifiche e concrete. In secondo luogo, si denuncia il contrasto tra legge di delega e decreto delegato, sicche', nella specie, vi sarebbe una palese violazione dell'art. 76 della Costituzione. Si nega la sussistenza, inoltre, di un potere di indirizzo nella materia de qua. In via subordinata, si solleva la questione di costituzionalita' di norme che andrebbero ad incidere sulla liberta' statutaria di cui godono le persone giuridiche di diritto privato, quali quelle in questione. Vengono, infine, contestate una delle ipotesi di incompatibilita' fissate dall'atto impugnato e l'efficacia retroattiva attribuita a quest'ultimo. G) Con i ricorsi n. 9357 e n. 9360 vengono proposti i seguenti motivi di doglianza: 1) Violazione di legge ed eccesso di potere in quanto non sussisterebbe nella specie il potere del Ministro del tesoro di emanare un provvedimento vincolante per le fondazioni; inoltre, quello assunto nella specie non conterrebbe i caratteri tipici dell'atto di indirizzo. 2)Violazione di principi generali in tema di atti di Governo (art. 17, terzo e quarto comma della legge 23 agosto 1988, n. 400) ascrivendosi l'atto de quo nella categoria dei regolamenti e risultando illegittimo per non aver seguito l'autorita' emanante il procedimento all'uopo prescritto dalla normativa epigrafata. 3) Illegittimita' del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, in quanto il decreto legislativo epigrafato non avrebbe rispettato i principi direttivi dettati dalla legge n. 461/1998. H) Con il ricorso n. 9487 vengono proposti i seguenti motivi di doglianza: 1) Eccesso di potere sotto il profilo dell'illogicita' e dell'irragionevolezza in quanto il provvedimento de quo sarebbe ineseguibile, non essendo stati neppure formati gli organi di governo delle fondazioni. 2) Violazione della legge 23 agosto 1988, n. 400, ascrivendosi l'atto de quo nella categoria dei regolamenti e risultando illegittimo per non aver seguito l'autorita' emanante il procedimento aIl'uopo prescritto dalla normativa epigrafata. 3) Illegittimita' per violazione degli artt. 4 e 10, terzo comma, lettera e) del decreto legislativo 17 maggio 1999 n. 153, in quanto l'atto assunto nella specie risulterebbe un provvedimento specifico e concreto ed, in quanto tale, non ascrivibile alla categoria degli atti di indirizzo, quale delineata dalla giurisprudenza amministrativa. Inoltre, esso giammai avrebbe potuto intervenire in una materia, quale quella delle incompatibilita', riservata all'autonomia statutaria. 4) Eccesso di potere per sviamento, e per carenza di motivazione vizio riferito alla prevista retroattivita' degli effetti dell'atto impugnato e all'assenza di un'esplicita indicazione delle ragioni delle incompatibilita' in esso previste. 5) Illegittimita' per violazione dell'art. 4 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, in quanto il Ministro del tesoro non possiederebbe il potere di indirizzo esercitato nella specie, utilizzabile solo nella fase di adeguamento degli statuti delle fondazioni alla normativa primaria. 6) lllegittimita' per violazione del T.U. sulla legge bancaria riferita alla definizione dei concetti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'atto di indirizzo. 7) Eccesso di potere per contraddittorieta'. Illegittimita' per violazione dell'art. 10 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 per essere intervenuto l'atto de quo immediatamente dopo l'approvazione da parte dell'Autorita' ministeriale dello statuto (a seguito dell'adeguamento di quest'ultimo alla normativa primaria). 8) Illegittimita' costituzionale degli artt. 4 primo comma e 10 primo, secondo e terzo comma, lettera e) del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 per violazione degli artt. 2, 3, 18, 4 76 della Costituzione, prospettata in via subordinata, atteso che gli artt. 4 e 10 epigrafati violerebbero i principi contenuti nella legge delega, il principio di parita' di trattamento, nonche' quello di tutela dell'autonomia privata e di liberta' di associazione. Si e' costituito in tutti i giudizi il Ministero dell'economia e delle finanze, il quale controdeduce specificamente alle censure mosse ai provvedimenti impugnati e conclude per il rigetto dei ricorsi. D i r i t t o 1) In via preliminare, va disposta la riunione di tutte le impugnative proposte, che hanno ad oggetto i medesimi atti amministrativi e presentano doglianze in larga parte coincidenti. 2) Torna all'esame del tribunale la questione riguardante i limiti e la legittimita' stessa del potere di indirizzo che il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 riserva al Ministro del tesoro nei confronti delle fondazioni bancarie. In precedenza la sezione si e' occupata dell'"Atto di indirizzo a carattere generale in materia di adeguamento degli statuti delle fondazioni alle disposizioni della legge 23 dicembre 1998, n. 461 e del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153", adottato dal Ministro del tesoro e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 agosto 1999, n. 186; la decisione assunta in quella sede e' stata che l'atto impugnato non arrecasse un immediato nocumento alle numerose fondazioni ricorrenti, in quanto esso non costituiva una determinazione immediatamente vincolante per le fondazioni in sede di redazione dei rispettivi statuti". Tale conclusione si e' fondata sulla natura degli atti di indirizzo previsti dall'art. 10, comma 3, lettera e) del citato decreto legislativo n. 153/1999, che consentono "all'autorita' emanante la facolta' di modulare il proprio intervento, con riguardo tanto al contenuto, quanto ai destinatari, nella maniera ritenuta piu' consona agli interessi da realizzare": poiche' il provvedimento assunto nella specie si sostanziava "non in singole e precise statuizioni, caratteristiche dell'esercizio della funzione normativa, ma, piuttosto, nell'illustrazione delle problematiche connesse all'interpretazione della legge, con puntualizzazioni degli aspetti piu' rilevanti nonche' con esemplificazioni", esso aveva l'unico scopo di "orientare la successiva attivita' applicativa" dell'amministrazione del tesoro in sede di approvazione degli statuti ad essa sottoposti. Con i propri precedenti (cfr., per tutte, la sentenza 1 giugno 2000, n. 4537), la sezione ha altresi' precisato "che i poteri di indirizzo vanno esercitati in conformita' e nei limiti delle disposizioni primarie, espressione che potrebbe risultare pleonastica, in presenza del principio di legalita' dell'azione amministrativa, se non sottintendesse la volonta' del legislatore di espressamente escludere qualsivoglia ampliamento, sia pur sub specie di integrazione, del tessuto ordinamentale da parte degli organi amministrativi. Ne discende che la normativa primaria costituisce l'unico parametro di riferimento per l'attivita' di verifica prevista dalla lettera c) del medesimo articolo, con la conseguenza che giammai l'autorita' amministrativa, preposta a tale forma di controllo, potrebbe riferirsi ad un suo provvedimento per supportare la mancata approvazione di uno statuto, che risulti rispettoso della fonte legislativa". La precedente esposizione serve, in primo luogo, a puntualizzare la natura ed i limiti normativi che incontra il potere contemplato dal piu' volte citato art. 10, comma 3, lettera e). Consente, inoltre, di marcare le differenze con il provvedimento ministeriale attualmente in esame, che, sin dalle espressioni letterali utilizzate, non lascia margini di dubbio circa la sua immediata vincolativita' (circostanza della quale, peraltro, non dubita neppure parte resistente). L'Atto di indirizzo 22 maggio 2001 contiene, infatti, precise prescrizioni e non semplici suggerimenti o indicazioni. Inoltre, come si legge nell'ultimo "Considerato", esso e' diretto ad assicurare "la sana e prudente gestione delle fondazioni e l'effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti" e ad "evitare conflitti di interessi ed assicurare l'indipendenza e la trasparenza delle decisioni delle fondazioni"; in tal modo si collega strettamente con il potere di vigilanza che l'art. 10, comma 2 del medesimo decreto legislativo n. 153/1999 riconosce al Ministro del tesoro, diretto proprio a verificare, fra' l'altro, "la sana e prudente gestione delle fondazioni ... e l'effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti", potere che puo' comportare anche l'adozione delle misure sanzionatorie contemplate dal successivo art. 11. Del resto, la migliore riprova di quanto teste' affermato proviene dalla stessa autorita' amministrativa, la quale, con gli atti applicativi, anch'essi impugnati, ha imposto alle fondazioni di attenersi immediatamente alle prescrizioni dettate dall'atto di indirizzo in questione, a prescindere dal recepimento delle stesse nei singoli statuti delle fondazioni. Per completezza di trattazione, deve aggiungersi che, seppure fossero riconosciuti illegittimi i soli atti applicativi, negandosi, quindi, l'immediata precettivita' delle disposizioni contenute nell'atto di indirizzo, non verrebbe comunque meno la lesivita' di quest'ultimo, atteso che le fondazioni non potrebbero por mano ad una modificazione del proprio statuto se non uniformandosi puntualmente a quanto prescritto nell'atto in questione. Fatta tale premessa, occorre passare all'esame dei singoli motivi di doglianza. Il primo, comune a tutte le ricorrenti, concerne la violazione delle disposizioni contenute nella legge n. 461/1998 e nel decreto legislativo n. 153/1999, che sarebbero di ostacolo all'emanazione di un atto della portata di quello adottato nella specie dal Ministro del tesoro. In via gradata, buona parte delle fondazioni solleva espressamente la questione di costituzionalita', sotto una pluralita' di aspetti, della fonte normativa attributiva del potere. In via ulteriormente subordinata, vengono mosse censure attinenti al procedimento seguito o, specificamente, alle singole prescrizioni dettate con l'atto in questione. La suddetta modulazione riflette l'interesse che muove le ricorrenti nella specie: il principale risultato che esse intendono perseguire e', infatti, l'accertamento giurisdizionale dell'insussistenza del potere di indirizzo di cui all'art. 10, comma 3, lettera e), piu' volte citato, da intendersi come insussistenza in senso assoluto o, quanto meno, nella particolare materia delle incompatibilita' e dei requisiti di onorabilita' degli organi di governo. La ragione e' intuitiva: una siffatta conclusione garantirebbe le fondazioni dal possibile riesercizio del potere, con la conseguente affermazione di un (correlato) potere statutario delle stesse senza limiti derivanti da atti dell'amministrazione vigilante. Per converso, l'eventuale annullamento delle singole statuizioni dell'atto di indirizzo 22 maggio 2001, tanto piu' se per ragioni di carattere formale o procedurale, non impedirebbe al Ministro del tesoro di rideterminarsi, adottando le medesime prescrizioni (sia pur depurate dai vizi riscontrati dal Tribunale amministrativo regionale ) o, comunque, di portata equivalente costringendo cosi' le fondazioni ad una defatigante attivita' difensiva nei confronti dello specifico potere autoritativo. Pertanto, il collegio, conformandosi alle legittime aspettative di giustizia fatte valere dalle attuali ricorrenti, intende seguire il seguente percorso decisionale: 1) verifica della sussistenza in capo all'autorita' ministeriale del potere di indirizzo citato nella specie; 2) riscontro di conformita' costituzionale della normativa primaria applicata dal Ministro del tesoro; 3) esame delle censure che denunciano l'illegittimita' dello specifico atto adottato nella specie, per vizi attinenti al procedimento seguito o alle singole statuizioni, nel solo caso in cui fossero superate favorevolmente (per la p.a.) le indagini di cui ai punti 1) e 2). Solo per completezza di trattazione, deve ricordarsi che le questioni di costituzionalita' possono essere sollevate d'ufficio dal giudice chiamato ad applicare una determinata norma; pertanto, nella specie, non costituisce ostacolo la circostanza che alcune fondazioni non prospettino al collegio, in maniera espressa, i possibili vizi della legge primaria, che, pure, si desumono dalla formulazione della doglianza principale di tutte le impugnative, atteso che essa contesta in radice la sussistenza del potere esercitato nella specie. Andando per ordine, deve affermarsi, in primo luogo, che il Ministro del tesoro si e' mosso nell'ambito dei poteri attribuitigli dall'ordinamento. Tale conclusione emerge, senza margini di opinabilita', dalla lettura dell'art. 10 comma 3 lett. e) del decreto legislativo n. 153/1999, che assegna all'autorita' di vigilanza la competenza ad emanare "atti di indirizzo di carattere generale" aventi ad oggetto, tra l'altro, "i requisiti di onorabilita', le ipotesi di incompatibilita' e le cause che determinano la sospensione temporanea dalla carica dei soggetti che svolgono funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione e controllo presso le fondazioni e la disciplina del conflitto di interessi". Tale potere e' univocamente attribuito "a regime" e non nella sola fase di adeguamento degli statuti alle norme dello stesso decreto legislativo n. 153/1999. La tesi opposta e' smentita dall'art. 28 di quest'ultimo (rubricato: "Disposizioni transitorie"), che, disciplinando proprio l'attivita' di adeguamento, attribuisce al Ministro del tesoro il potere di emanare gli atti necessari "ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera e)". Risulta decisiva, infine, la previsione dell'art. 4 primo comma del medesimo decreto legislativo, che riserva agli statuti l'individuazione dei requisiti di professionalita', delle ipotesi di incompatibilita', ecc., ma impone che la relativa regolamentazione, avvenga "nel rispetto degli indirizzi generali fissati ai sensi dell'articolo 10, com-ma 3, lettera e)". 3) La conclusione teste' raggiunta impone al collegio l'immediata valutazione della legittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 2, 3, 18, 41 e 76 della Costituzione, degli articoli 4 primo comma lett. g) e 10 com-ma 3 lett. e) del decreto legislativo n. 153/1999, alla stregua tanto dell'assetto complessivo dato alle fondazioni dallo stesso legislatore delegato, quanto dei principi dettati dal Parlamento nella legge n. 461/1998, denunciando le ricorrenti un'intrinseca contraddittorieta' del decreto legislativo n. 153/1999, prima ancora che il contrasto di quest'ultimo con le disposizioni ad esso sovraordinate. In punto di rilevanza, va richiamato quanto esposto circa lo scopo prioritariamente perseguito dalle ricorrenti, rispetto al quale gli ulteriori motivi di doglianza - attinenti ad aspetti del tutto contingenti alla particolare fattispecie - riflettono solo uno scrupolo difensivo, che ha portato ad esporre, in via dichiaratamente subordinata, tutte le possibili censure suscettibili comunque di determinare l'annullamento, dell'atto di indirizzo in questione. Rispondono a questa logica di "difesa avanzata": 1) la censura riguardante il contenuto dell'atto impugnato, che esulerebbe dalla semplice funzione di indirizzo, appunto, per sfociare in una determinazione specifica e concreta. Solo per completezza e del tutto incidentalmente, non puo' farsi a meno di osservare che gli atti di indirizzo sono tra quelli che, per dottrina e giurisprudenza prevalenti, non possono essere sussunti in uno schema predeterminato, potendo essere modellati a seconda e in funzione dello specifico obiettivo che l'amministrazione e' chiamata a perseguire. Valga, in proposito, quanto affermato nelle precedenti sentenze della sezione, nelle quali non a caso si e' indicata la normativa primaria quale punto di riferimento e, insieme, limite a siffatta forma di esercizio del potere autoritativo; 2) la prospettata necessita' di seguire il procedimento dettato dalla legge 23 agosto 1988 n. 400, sul presupposto che il contenuto dell'atto impugnato facesse ascendere quest'ultimo al rango di norma regolamentare. Tale censura, oltre a non essere risolutrice, non e' neppure fondata, solo che si osservi che, nella specie, il Ministro del tesoro ha esercitato un potere vincolante - e di natura non normativa - che gli proveniva dalla legge, senza, pertanto, dover attivare il particolare procedimento predisposto per introdurre innovazioni all'ordinamento giuridico; 3) la denuncia che l'atto di indirizzo, essendo stato emanato in data successiva all'esito delle elezioni politiche del 13 maggio 2001, avrebbe dovuto tenere conto del ribaltamento della maggioranza parlamentare, che avrebbe inibito l'ulteriore azione governativa; 4) le doglianze strettamente attinenti alla legittimita' delle singole prescrizioni dettate in tema di incompatibilita' e di requisiti di onorabilita' dei membri di governo delle fondazioni. Tutt'e quattro le tipologie di vizi denunciati presentano il comune carattere di non essere dirimenti, nel senso che la loro eventuale condivisione lascerebbe comunque sopravvivere il potere ministeriale di indirizzo nella materia. In conclusione, ragioni di giustizia sostanziale portano ad affrontare direttamente le questioni di costituzionalita' proposte dalle ricorrenti, seguendo, peraltro, un'impostazione metodologica che trova numerosi precedenti nella giurisprudenza amministrativa, anche di questa sezione (cfr., per tutte, l'ordinanza 10 novembre 1997 n. 2655, sul problema della legittimita' del numero chiuso universitario, che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale 27 novembre 1998 n. 383). Nel merito, i dubbi mossi dalle ricorrenti non appaiono manifestamente infondati e meritano, pertanto, di essere sottoposti alla valutazione della Corte costituzionale. Punto di partenza e' la configurazione e la natura che sia la legge n. 461/1993 che il conseguente decreto legislativo n. 153/1999 attribuiscono alle fondazioni, nell'ambito del complessivo riordino degli enti conferenti di cui all'art. 11 primo comma del decreto-legislativo 20 novembre 1990 n. 356. Viene in evidenza l'art. 2 lett. l) della legge n. 461/1998, che, sotto la rubrica "Regime civilistico", ne fornisce una definizione chiara ed inequivocabile: "persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale". Tale configurazione e' il punto di arrivo di un procedimento di conformazione dello statuto alla disciplina primaria ("... provvedono ad adeguare gli statuti alle disposizioni dettate dai decreti legislativi previsti dalla presente legge entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti stessi"), procedimento che si conclude con l'approvazione ministeriale dello statuto, che ha l'effetto di far mutare natura giuridica ai soggetti stessi. (Incidentalmente, e' incontroverso, in fatto, che detto procedimento si sia concluso nei riguardi di tutte le attuali ricorrenti). All'uopo, il medesimo art. 2, prima di formulare la conclusione di cui alla lett. l), detta i principi direttivi ai quali il Governo deve attenersi in sede di legislazione delegata. Fra essi, assumono rilievo decisivo nella specie: 1) il "principio di economicita' della gestione" - di cui alla lett. c) -, che riguarda specificamente l'impiego del patrimonio "in modo da ottenerne un'adeguata redditivita'", sicche' anche i documenti contabili (libri, scritture e bilanci) vanno tenuti secondo le disposizioni del codice civile (lett. d); 2) quello - di cui alla lett. g) -, in forza del quale i singoli enti prevedono nei loro statuti "distinti organi di indirizzo, di amministrazione e di controllo, ... fissando specifici requisiti di professionalita' e ipotesi di incompatibilita' per coloro che ricoprono i rispettivi, incarichi" e quello, strettamente connesso - enunciato alla lett. h) --, riguardante l'incompatibilita' tra la carica di consigliere di amministrazione dell'ente conferente e quella corrispondente della societa' conferitaria; 3) infine, quello di cui alla lett. i), che regola l'attivita' di verifica del rispetto della legge e dello statuto e della regolarita' ed economicita' della gestione, prevedendo, all'uopo, in capo all'autorita' di vigilanza, una serie di poteri autorizzatori e sanzionatori. In conclusione, il modello dettato dalla legge n. 461/1998 sancisce la autonomia statutaria delle fondazioni, in linea con la disciplina che il Codice civile detta al Capo II del Titolo II per tale tipologia di persone giuridiche. In perfetta analogia con gli articoli 25 e seguenti del Codice civile, il legislatore del 1998 ha previsto poi un potere di controllo dell'autorita' governativa sull'attivita' delle stesse con l'ovvia conseguenza - scaturente anche dal principio di legalita' dell'azione amministrativa - che le forme di ingerenza consentite sono solo quelle tassativamente indicate (e disciplinate) dalla normativa - primaria. Restringendo il campo di azione alla particolare materia su cui e' intervenuto l'atto di indirizzo impugnato, per evidenti ragioni di rilevanza della questione, puo' affermarsi, in conclusione, che il piu' volte citato art. 2 assegna la stessa (sub specie della composizione degli organi e delle cause di incompatibilita' e dei requisiti di onorabilita) all'esclusiva disciplina statutaria, con un'unica eccezione contemplata, specificamente, alla lett. h). Passando al decreto legislativo n. 153/1999, deve osservarsi, in primo luogo, che esso, all'art. 2, riafferma solennemente la piena autonomia statutaria delle fondazioni. Quando, pero', al successivo art. 3, passa ad elencare i principi ai quali gli statuti, "nel definire l'assetto organizzativo delle fondazioni", devono conformarsi, in relazione ai requisiti di onorabilita' e alle ipotesi di incompatibilita' che gli stessi sono chiamati a fissare (lett. g) pur riproducendo, sostanzialmente, la dizione contenuta nella legge di delega, aggiunge l'inciso "nel rispetto degli indirizzi generali fissati ai sensi dell'art. 10 terzo comma lettera e)", che, a sua volta, attribuisce all'autorita' di vigilanza il compito di emanare "atti di indirizzo di carattere generale", tra l'altro nella materia di cui ci si occupa. Da quanto teste' esposto, emerge che il decreto legislativo n. 153/1999 si pone in contrasto con i principi contenuti nella legge di delega e che, inoltre, risulta intimamente contraddittorio. Anzitutto, il potere di indirizzo introdotto dall'art. 10 comma 3, lett. e) e l'effetto vincolante sancito dal precedente art. 3 primo comma lett. g) non trovano un espresso addentellato nella legge n. 461/1998. Inoltre, la funzione ministeriale di indirizzo non puo' ricavarsi, per implicito, da compiti di controllo riservati all'Autorita' amministrativa. In primo luogo, perche' questi ultimi sono espressamente (e tassativamente) elencati dall'art. 2 lett. i) e si risolvono in provvedimenti di autorizzazione (riferiti a operazioni di trasformazione e concentrazione), di approvazione (delle modifiche statutarie), di determinazione (di limiti di reddito in relazione al patrimonio) e, infine, di applicazione di sanzioni agli organi e di liquidazione dell'ente. In secondo luogo, perche' tali poteri sono preordinati al compito assegnato all'autorita' di vigilanza, "la quale verifica il rispetto della legge e dello statuto, la sana e prudente gestione, la redditivita' del patrimonio e l'effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti". La formula appena riportata porta ad affermare che gli unici parametri normativi, cui l'autorita' e' tenuta a conformare il riscontro commissionatole dall'ordinamento, sono rappresentati dalla legge e dallo statuto, quali, rispettivamente, fonte eteronoma ed autonoma di disciplina dell'attivita' delle ordinarie persone giuridiche di diritto privato, come quelle di cui ci si occupa. Ne discende che il silenzio del legislatore sul punto non puo' che essere interpretato come negazione di ogni possibilita' per l'autorita' amministrativa di introdurre, con proprio atto (non rileva se di natura normativa), prescrizioni comunque vincolanti per soggetti operanti su un piano dichiaratamente privatistico. La riprova di quanto teste' affermato viene, sia pur ex post, dall'art. 11 quattordicesimo comma della recentissima legge finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448, il quale, coerentemente con i principi generali dell'ordinamento, attribuisce un espresso potere normativo all'autorita' di vigilanza per l'emanazione delle disposizioni attuative delle norme da esso stesso introdotte, ma, anche qui non senza, un preciso significato, imponendo alle fondazioni di adeguare i propri statuti "alle" - sole - "disposizioni del presente articolo". Ma, pur a voler prescindere dal dato testuale, la conclusione non cambia: l'attribuzione di un potere di controllo, infatti, non comporta, quale implicito corollario, l'affidamento di quello di indirizzo, che e' nozione ontologicamente diversa, in quanto finalizzata non a consentire la verifica della legittimita' dell'azione o, comunque, dei risultati da perseguire, ma, piuttosto, ad orientare l'attivita' del soggetto che ne e' destinatario, fissando a quest'ultimo tanto regole di comportamento quanto, soprattutto, obiettivi da raggiungere, determinandone una correlata compressione della sfera di autonomia operativa, che, nella specie, finisce con l'incidere sulla libera formazione della volonta' statutaria della persona giuridica. Da quanto esposto, puo' enuclearsi una prima questione di costituzionalita', per violazione dell'art. 76 della Costituzione, riferita agli articoli 3, primo comma, lett. g), e 10, comma 3, lett. e), del decreto legislativo n. 153/1999, nella parte in cui prevedono atti di indirizzo nella materia delle incompatibilita' e dei requisiti di onorabilita' degli organi delle fondazioni, ponendosi in contrasto con la legge di delega n. 461/1998, la quale: 1) alla lett. i) non contempla espressamente il potere di indirizzo dell'autorita' di vigilanza (e, transitoriamente, del Ministro del tesoro) sulle fondazioni bancarie; 2) alla lett. g) attribuisce alla competenza esclusiva degli statuti la determinazione dei requisiti di onorabilita' e delle incompatibilita' degli organi delle fondazioni stesse; 3) alla lett. l) garantisce a queste ultime "piena" autonomia statutaria e gestionale. L'affermazione, in linea con la legge di delega della "piena autonomia statutaria delle fondazioni", da parte dell'art. 2 del decreto legislativo n. 153/1999, comporta l'emersione di una seconda questione di costituzionalita' tutta interna a quest'ultimo: non puo' non evidenziarsi il contrasto logico tra la formula appena riportata e la configurazione del potere di indirizzo di cui agli articoli 3, primo comma, lett. g), e 10, comma 3, lett. e), del medesimo decreto legislativo, che ha l'effetto di comprimere proprio quella "pienezza" precedentemente sancita; quello che appare, all'evidenza, una discrasia del legislatore delegato rifluisce in termini di irragionevolezza sulla fonte normativa, sospettata, pertanto, di violare l'art. 3 della Costituzione. Un ulteriore profilo di incostituzionalita', questa volta per violazione degli articoli 2, 18 e 41 della Carta, risulta rinvenibile nella specie. Il legislatore - tanto il delegante che il delegato - ha configurato un modello di persona giuridica sostanzialmente sovrapponibile a quello privatistico: in tal senso depone non solo l'inequivocabile definizione, piu' volte ricordata, di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 153/1999, ma anche l'intera disciplina dettata da quest'ultimo, che esalta la piena autodeterminazione, volontaristica e gestionale, delle fondazioni stesse. A titolo meramente esemplificativo, possono citarsi: a) lo stesso art. 2, che (insieme con il successivo art. 8), altribuisce proprio allo statuto il compito di individuare gli scopi da perseguire, con l'unico vincolo che si operi in almeno uno dei settori rilevanti indicati dal precedente art. 1; b) l'art. 3, primo comma, il quale stabilisce che le fondazioni, per il raggiungimento dei propri scopi, operino con tutte le modalita' consentite dalla natura giuridica (privatistica), come definita, appunto, dal precedente art. 2; c) lo stesso art. 3, comma 4, che demanda allo statuto la determinazione delle modalita' di svolgimento dell'attivita' istituzionale; d) l'art. 5, che vincola il patrimonio della fondazione al perseguimento degli scopi statutari. Su tale premessa, appare evidente che una coartazione (o, quanto meno, un condizionamento) ab externo e di natura autoritativa, oltre a male inserirsi nel contesto delineato dallo stesso decreto legislativo n. 153/1999 (corroborando, cosi', ulteriormente il sospetto di irrazionalita' gia' in precedenza evidenziato), si pone in palese contrasto con l'art. 41 della Costituzione, che tutela l'autonomia privata, sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo a fini sociali, che, se, da un lato, non sono quelli perseguiti con la nomina degli amministratori delle fondazioni, dall'altro portano allo snaturamento del modello privatistico, pure affermato dal legislatore nella specie, impedendo la libera - e soprattutto autonoma - formazione della volonta' della persona giuridica (sui limiti che incontra la tutela dell'autonomia privata assicurata dall'art. 41 Cost., cfr. Corte costituzionale 30 giugno 1994, n. 268, e 6 marzo 2000, n. 70). Il vizio assume una maggiore consistenza in relazione anche agli articoli 18 e 2 della Costituzione, che tutelano, rispettivamente, il diritto di associazione dei cittadini e i diritti dell'uomo nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento (cfr., Corte costituzionale 18 luglio 1997, n. 248, e 29 dicembre 1993, n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti degli enti creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218, ed al decreto delegato 20 novembre 1990, n. 356, soffermandosi specificamente sui rapporti fra le originarie fondazioni bancarie e la relativa liberta' statutaria). Al riguardo e' importante ricordare che l'art. 3, primo comma, lett. d), consente alle fondazioni (in relazione alla loro origine associativa) di conservare l'assemblea dei soci, alla quale, i pu restando sottratti i compiti gestionali, viene comunque riservato il diritto di concorrere a formare l'organo di indirizzo. Da ultimo, e' possibile ipotizzare un'ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione, derivante dal fatto che gli articoli 4, primo comma, lett. g), e 10, comma 3, lett. e), del decreto legislativo n. 153/1999, configurando ipotesi di incompatibilita' rispetto ad un ufficio di diritto privato, finiscono con il limitare la capacita' giuridica delle persone, che, ex art. 1 del codice civile, assurge a principio cardine dell'ordinamento. Non lo fanno, pero', direttamente, a cio' legittimate come norme di rango legislativo, ma delegando tale compito ad un atto amministrativo, che, per sua natura, e' inabilitato ad innovare a livello primario. Occorre darsi carico di un ulteriore problema, che potrebbe avere effetti in punto di rilevanza della questione di costituzionalita'. Successivamente alla celebrazione dell'udienza di discussione, e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2001, n. 301, la legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante: "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)", che, all'art. 11, ha proceduto alla modifica, integrazione o soppressione di numerose disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 153/1999. In particolare, va posta l'attenzione su quelle introdotte dai primi quattro commi del citato art. 11, che hanno l'effetto: a) di limitare la liberta' di azione delle sole fondazioni in rapporto prevalente con il territorio ad operare nei soli "settori ammessi"; b) di modificare la composizione dell'organo di indirizzo, nel quale l'originaria necessita' della presenza di "un'adeguata rappresentanza del territorio, con particolare riguardo agli enti locali" si trasforma in quella "di una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all'art. 114 della Costituzione". Trattasi di innovazioni che sono insuscettibili di incidere sulla rilevanza della questione che si va a rimettere alla Corte costituzionale. Esse, infatti, pur incidendo, sulla liberta' di scelta delle fondazioni, non fanno venire meno la autonomia statutaria delle singole persone giuridiche a determinare le incompatibilita' e i requisiti di professionalita' e di onorabilita' dei soggetti che svolgono funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione e controllo presso le fondazioni stesse; tantomeno, la normativa del 2001 legittima, per converso, il potere di indirizzo esercitato nella specie. 4) Per le considerazioni che precedono va conseguentemente sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4, primo comma, lett. g), e dell'art. 10, comma 3, lett. e), del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, per contrasto con gli articoli 2, 3, 18, 41 e 76 della Costituzione. Deve disporsi, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.