Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto: F a t t o e d i r i t t o 1. - Il ricorrente, docente universitario afferente alla facolta' di medicina e chirurgia, in servizio presso l'Universita' degli studi di Trieste, impugna i provvedimenti con cui viene disposta la applicazione del regime di impegno a tempo definito, in quanto sanitario optante per l'attivita' libero professionale extramuraria, a norma dell'art. 5, comma 12, d.lgs. 21 dicembre 1999 n. 517, di cui deduce la illegittimita' costituzionale. 2. - Il ricorso investe vari profili della legislazione delegata di riforma del settore sanitario per farne discendere, in via derivata, l'incostituzionalita' della norma precitata: va allora definito e circoscritto l'oggetto del giudizio, in quanto l'esame di questo giudice deve incentrarsi esclusivamente sull'oggetto diretto ed immediato della contestazione giudiziale, e cioe' l'automatica correlazione tra opzione per l'attivita' libero professionale intramuraria ed il regime di tempo pieno nonche' fra attivita' libero professionale extramuraria ed il regime di tempo definito imposto dal detto art. 5, comma 12. 3. - Rileva preliminarmente il collegio che, con precedente ricorso giurisdizionale n. 3748/2000, il ricorrente ha gia' impugnato, unitamente ad altri sanitari, l'intimazione di opzione tra attivita' assistenziale intramuraria (definita anche come "attivita' assistenziale esclusiva") e attivita' libero professionale extramuraria ai sensi dell'art. 5, commi 7 e 8, d.lgs. n. 517/1999 cit.; e che, con ordinanza n. 8988/2000, la sezione ha sollevato, in relazione a tale ricorso, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 comma 8 del d.lgs. n. 517 cit. per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., dell'art. 5 comma 7 per contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost., deIl'art. 5 commi da 1 a 6 e da 8 a 11 e dell'art. 3 in parte qua per contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost. 4. - In sede di delibazione dell'istanza cautelare odiernamente proposta dal ricorrente, la sezione ha meditatamente ritenuto di accordare, sia pure interinalmente, il chiesto provvedimento di sospensione, rinviando a separata contestuale ordinanza la proposizione della questione di costituzionalita' del sistema normativo posto a base dell'impugnata applicazione del tempo definito per possibile contrasto, quantomeno, con gli artt. 3, 97, 33 e 76 Cost., anche in riferimento all'art. 11 d.P.R. n. 382/1980, come modificato dall'art. 3 legge n. 705/85 e dagli artt. 3 e 4 legge n. 118/1989. In questa sede, in punto di rilevanza, basti ricordare l'orientamento della Corte costituzionale secondo il quale il requisito della rilevanza non viene meno nel caso in cui il giudice, contemporaneamente all'ordinanza di rimessione, abbia disposto, con separato provvedimento, la sospensione stessa, in via provvisoria e temporanea, sino alla ripresa del giudizio cautelare (cfr. sentt. nn. 444 del 1990, 367 del 1991 e 4 del 2000); e cio' anche per il caso che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l'unico motivo del ricorso innanzi al giudice a quo, essendo comunque individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalle questioni di legittimita' costituzionale, sul quale questo giudice e' chiamato a pronunciarsi (cfr. sentt. nn. 263 del 1994, 128 del 1998 e 4 del 2000 cit.). 5. - Sempre in punto di rilevanza, va ricordato che la contestata applicazione del tempo definito e' imposta dall'art. 5 comma 12, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 cit.: si' che, dovendosi fare necessariamente applicazione della detta disposizione, il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. D'altro canto, i provvedimenti in questa sede impugnati costituiscono puntuale applicazione della disposizione medesima, con la conseguenza che l'eventuale eliminazione della stessa dalla realta' giuridica determinerebbe il soddisfacimento dell'interesse sostanziale del ricorrente. 6. - La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente infondata; ed invero, come gia' esposto e ritenuto nella precitata ordinanza cautelare, la sezione dubita della legittimita' costituzionale della norma posta a base dei detti provvedimenti: ritiene pertanto di dover sollevare, anche d'ufficio per i profili non trattati dal ricorrente, la relativa questione di costituzionalita' per contrasto con i gia' ricordati artt. 3, 97, 33 e 76 Cost., anche in riferimento all'art. 11 d.P.R. n. 382/1980, come modificato dall'art. 3 legge n. 705/1985 e dagli artt. 3 e 4 legge n. 118/1989. 7. - Ragioni di economia processuale imporrebbero di non ripetere le considerazioni gia' esposte nella ricordata ordinanza di rimessione n. 8988/2000; peraltro, per comodita' di giudizio nonche' di esposizione dei profili specificatamente oggetto della odierna ordinanza, si ritiene opportuno riportare i contenuti della detta ordinanza n. 8988. "5. Viene in primo luogo in considerazione la norma dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517/1999, che impone un termine perentorio (che sia di tale natura non sembra revocabile in dubbio, attese le conseguenze derivanti dall'omesso esercizio dell'opzione nel termine fissato, previste dall'ultima parte del comma stesso) per l'esercizio dell'opzione ai sensi e per gli effetti di cui al comma 7: tale ultimo comma stabilisce che i professori ed i ricercatori universitari afferenti alla facolta' di medicina e chirurgia optano rispettivamente per l'esercizio di attivita' assistenziale intramuraria, ai sensi dell'articolo 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 e successive modificazioni e secondo le tipologie di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 2 dello stesso "articolo ovvero per l'esercizio di attivita' libero professionale extramuraria; tali tipologie fanno espresso riferimento alle strutture aziendali individuate dal direttore generale d'intesa con il collegio di direzione, con cio' ponendo una stretta correlazione tra l'individuazione delle strutture destinate all'attivita' libero professionale e l'esercizio dell'attivita' medesima. Tale stretta correlazione e', del resto, logico corollario della compenetrazione tra l'attivita' sanitaria assistenziale e quella didattico-scientifica dei docenti universitari della facolta' di medicina, che operano nelle cliniche e negli istituti universitari di "ricovero e cura , che costituisce "il dato caratterizzante le loro funzioni ed il conseguente stato giuridico (cfr. Corte cost. 16 maggio 1997 n. 134). E nel senso della "inscindibilita' delle attivita' assistenziali del personale universitario da quelle di didattica e di ricerca si pone anche l'art. 5 del d.m. 31 luglio 1997, che reca le linee guida per la stipula dei protocolli d'intesa Universita-Regioni. Nel sistema normativo scaturente dall'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/99 e dell'art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502/92 e' quindi configurabile un obbligo dell'amministrazione di individuare le strutture aziendali entro cui va esercitata l'attivita' assistenziale intramuraria (o le soluzioni alternative, di cui all'art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448), si' da rendere concretamente disponibili le strutture stesse ed i servizi (in tal senso, cfr., anche, Cons. Stato, VI sez., ord.za, 24 marzo 2000 n. 1431). E tale obbligo dell'amministrazione e' correlato al diritto all'esercizio di attivita' libero professionale individuale ... nell'ambito delle "strutture aziendali (art. 15-quinquies, punto 2, lett. a, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 nel testo introdotto dall'art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999 n. 229) da parte dei sanitari universitari, diritto il cui esercizio sembra di dubbia attuabilita' in assenza della detta individuazione e predisposizione delle strutture, non apparendo rilevante, sul piano della effettivita' del diritto stesso, la mera possibilita' di tutela nelle competenti sedi nei confronti dei funzionari inadempienti (ex art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998). Se cio' e' vero, sembra ravvisabile una intrinseca contraddittorieta', pur nel medesimo contesto normativo, tra il comma 8 dell'art. 5 d.lgs. n. 517/1999 cit. - nella parte in cui introduce il censurato termine "perentorio per l'opzione, omettendo di subordinare o comunque correlare l'opzione medesima alla concreta disponibilita' delle strutture - ed il comma 7 nella parte in cui (rinviando alle tipologie di cui alle lettere a), b), c) d) comma 2, art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502/1992 e successive modificazioni) fa riferimento all'individuazione delle strutture medesime, con conseguente configurabilita', per tale profilo, di un'ipotesi di contrasto tra la censurata disposizione dell'art. 5 comma 8, del d.lgs. n. 517/1999, sub specie di manifesta irragionevolezza ed intrinseca contraddittorieta' col sistema normativo in cui si colloca e l'art. 3 Cost. - inteso come generale canone di coerenza e ragionevolezza dell'ordinamento (Corte cost. n. 204/1982) - nonche' col principio di buon andamento ex art. 97 Cost.: quest'ultimo, in particolare, sotto il profilo della mancanza di proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore delegato rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' da perseguire, nonche' sotto il profilo della razionale organizzazione dei servizi. Appare quindi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517/1999 nella parte in cui, imponendo di compiere una scelta entro un termine perentorio, e attribuendo alla mancata opzione dell'interessato un significato legale tipico (equivalenza alla scelta per l'attivita' assistenziale esclusiva), non condiziona o correla l'esercizio dell'opzione alla concreta disponibilita' delle strutture, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. sotto i profili indicati. 8. Il collegio dubita nel contempo della conformita' ai parametri costituzionali ex art. 33 Cost. dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999, nella parte in cui impone la detta opzione relativamente al personale sanitario universitario, in uno con le disposizioni allo stesso sottese (o comunque connesse, art. 5 commi da 1 a 6 e da 8 a 11, e art. 3 in parte qua) in quanto sembra porsi ex se - indipendentemente, cioe', dal profilo della necessita' di prescrizione della previa individuazione delle strutture - altresi' in contrasto con il principio dell'autonomia universitaria nel perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici. Stabilisce il comma 7 cit. che "l'opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva e' requisito necessario per l'attribuzione ai professori e ricercatori universitari di incarichi di direzione di struttura nonche' dei programmi di cui al comma 4. A tacere della incidenza sullo stato giuridico degli interessati di una prescrizione siffatta, giusta altresi' le conseguenze derivanti alla posizione degli stessi (cfr. in particolare, commi 4, 5 e 6 dello stesso art. 5), certo e' che i programmi di cui al comma 4, infra o interdipartimentali, sono dichiaratamente finalizzati alla integrazione delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle innovazioni tecnologiche ed assistenziali, nonche' al coordinamento delle attivita' sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica ed assistenziale. La preclusione della attribuzione della responsabilita' e della gestione dei detti programmi per i sanitari universitari non optanti per l'attivita' assistenziale esclusiva appare con tutta evidenza lesiva di quel principio di compenetrazione tra attivita' sanitaria assistenziale e attivita' didattica e di ricerca scientifica, che costituisce dato caratterizzante l'attivita' dei sanitari universitari e che trova tutela (anche) nei principi di autonomia didattico scientifica postulati dall'art. 33 Cost. Ma la stessa opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva - tra l'altro irretrattabile, a norma del comma 10 dell'art. 5 cit., fatta eccezione per limitate specifiche ipotesi - non sembra in linea con i principi di autonomia didattico-scientifica ex art. 33 Cost. L'opzione comporta l'assoggettamento dell'attivita' assistenziale del sanitario universitario alle determinazioni organizzative assistenziali del direttore generale dell'azienda ospedaliera (sia pure d'intesa col rettore o su proposta del responsabile di struttura complessa; in particolare, commi 1, 2, 5, 6 dell'art. 5 cit.) dell'adempimento della attivita' assistenziali - che pur "si integrano con quelle di didattica e di ricerca a norma del comma 2 dell'art. 5 - il personale universitario risponde al (solo) direttore generale, ai sensi dello stesso comma; l'attribuzione e la revoca degli incarichi di struttura semplice e degli incarichi di natura professionale e' disposta dal direttore generale su proposta del responsabile della struttura complessa di appartenenza del sanitario (comma 6); l'incarico di direzione di struttura complessa e' attribuito (e revocato) dal direttore generale sulla base di (mera) intesa con il rettore, ai sensi del comma 5 (analogamente a quanto disposto per il direttore del dipartimento ad attivita' integrata dall'art. 3, comma 4). Ne discende la possibile incidenza delle dette determinazioni del direttore generale sulle attribuzioni in materia didattica e di ricerca riservate all'istituzione universitaria (anche per cio' che concerne l'attivita' di programmazione di tali aspetti); la stessa collocazione funzionale assistenziale per effetto della esercitata opzione - rimessa, in definitiva, al direttore generale - ben puo' incidere, in concreto, sulla liberta' d'insegnamento (si pensi, in particolare, all'attribuzione di un incarico assistenziale che non consenta un'adeguata e proficua utilizzazione di strutture e personale per esigenze di didattica e ricerca nel quadro della programmazione del dipartimento). L'attivita' di insegnamento appare, in sostanza, suscettibile di condizionamenti in relazione alle determinazioni in materia assistenziale di un direttore generale che ha come obiettivo gestionale essenzialmente la realizzazione di un progetto di assistenza sanitaria ospedaliera, e non certo di un programma universitario scientifico-didattico. Cio' in presenza di una posizione "marginale assegnata dal sistema normativo in esame agli organi istituzionali dell'universita' in materia di coordinamento degli interessi che sono propri dell'autonomia dell'istituzione (id est, di insegnamento e ricerca scientifica), posizione non bilanciata dalla previsione di partecipazione recte, intesa) del rettore alla nomina del direttore del dipartimento ad attivita' integrata ex art. 3 comma 4, quale centro di collegamento tra assistenza, didattica e ricerca. Se e' vero, infatti, che tale organismo e' concepito in funzione, del detto necessario coordinamento, e' pur vero che gli interessi istituzionali dell'Universita' restano comunque ampiamente condizionati dalle scelte gestionali del direttore del dipartimento: e cio' in termini di programmazione, organizzazione e gestione dell'attivita' di insegnamento e di aggiornamento e ricerca scientifica, che la Costituzione assegna primariamente alla autonomia dell'universita' stessa. Ed invero, a tacer d'altro, il direttore del dipartimento assume la responsabilita' gestionale nei confronti del direttore generale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti, tenendo "anche conto della necessita' di soddisfare le peculiari esigenze connesse alle attivita' didattiche e scientifiche, con cio' conferendo, nelle scelte decisionali, priorita' ai profili dell'assistenza rispetto a quelli della ricerca e della didattica, in violazione, altresi', del disposto dell'art. 6 lett. b) della legge delega (vedasi al riguardo il successivo punto 7), laddove si intende assicurare lo svolgimento delle attivita' assistenziali funzionali alle esigenze della didattica e della ricerca, con inversione, quindi, del processo logico postulato dal legislatore delegante. Quanto sopra fa dubitare, anche, in via derivata, della conformita' al dettato costituzionale delle norme in tema di organizzazione interna delle aziende, di cui all'art. 3 del d.lgs. cit., per i riflessi sulla posizione dei sanitari optanti per l'attivita' assistenziale esclusiva, nella parte in cui non prevedono una partecipazione diretta di organi universitari alle scelte decisionali in tema di collegamento tra assistenza, didattica e ricerca. Sembra quindi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 5 comma 7, del d.lgs. n. 517/999 e delle norme ad esso sottese, o comunque connesse, in parte qua (art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 ad 11 e art. 3) per contrasto con l'art. 33 Cost. 9. La normativa delegata in materia di opzione dei sanitari universitari non sembra inoltre avere compiutamente realizzato - attese le evidenziate incongruenze del sistema - il disegno del legislatore delegante in ordine alla "coerenza fra l'attivita' assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca (art. 6, lett. b), c) della legge 30 novembre 1998 n. 419, anche in relazione a quanto sopra esposto). E' ben vero che la normativa medesima si occupa di tale profilo laddove si prevede - come gia' ricordato al punto 6 - una organizzazione dipartimentale al fine di assicurare l'esercizio integrato delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca (art. 3) anche sotto l'aspetto della utilizzazione delle strutture assistenziali ma sembra al collegio che debba ragionevolmente dubitarsi della effettivita' della richiesta "coerenza tra le dette esigenze e l'attivita' assistenziale (oltre che per i motivi gia' illustrati) in presenza di un espresso disposto della legislazione delegata che non consente al sanitario universitario non optante per l'attivita' assistenziale esclusiva la preposizione, non solo alla direzione di strutture, con conseguente impossibilita' di impostazione dei programmi, delle modalita' e degli specifici contenuti della ricerca scientifica, ma addirittura ai programmi espressamente finalizzati alla "integrazione delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle innovazioni tecnologiche ed assistenziali. E tale limite di legge non puo' essere posto nel nulla neppure dal sistematico rinvio a futuri (ed incerti nei contenuti) protocolli d'intesa. D'altro canto, non puo' esservi "coerenza tra i detti profili se il sistema e' "sbilanciato verso la primaria considerazione delle esigenze assistenziali; ne' il legislatore delegato si e' mosso nella ottica di un rafforzamento dei processi di collaborazione tra universita' e servizio sanitario nazionale ex art. 6 lett. a) della legge delega, se e' vero che l'autonomia dell'universita' ne risulta ampiamente "sacrificata , giusta le pregresse considerazioni. Non sembra altresi' che la delega ex art. 6 lett. c) cit. abbia ad oggetto anche la modificazione dello stato giuridico del personale sanitario universitario: nel momento in cui si va ad alterare, quantomeno per il personale universitario non optante per l'attivita' assistenziale esclusiva, il quadro di ragionevole compenetrazione fra attivita' didattico-scientifica e attivita' assistenziale, siccome consolidato anche dal complessivo andamento della pluriennale legislazione in materia, si va invero ad incidere in modo sostanziale sulla particolare connotazione della posizione dei sanitari universitari, che costituisce "il dato caratterizzante le loro funzioni ed il conseguente stato giuridico (Corte cost. n. 134/1997 cit.). L'art. 6 della legge delega, alla lett. c), si e' limitato a demandare al legislatore delegato l'emanazione di "idonee disposizioni in materia di personale nel quadro dell'esigenza di assicurare la "coerenza fra l'attivita' assistenziale e quella di formazione e ricerca, e non ha inteso assolutamente consentire lo stravolgimento dello stato giuridico dei sanitari universitari: ed invero, l'oggetto della delega e' espressamente e chiaramente definito nella prima parte del comma 1, laddove la delega stessa e' intesa all'emanazione di decreti legislativi specificatamente volti a ridefinire i rapporti tra Servizio "sanitario nazionale e universita' ; ed in tali limiti deve mantenersi l'attivita' normativa del legislatore delegato. Ne' e' riferibile ai professori e ricercatori universitari - sia per la collocazione sistematica della norma che per il richiamo inequivoco al "solo personale della dirigenza sanitaria in servizio al 31 dicembre 1998 - il criterio direttivo di cui all'art. 2 lett. q) della legge n. 419/1998 cit., in ordine alla previsione di modalita' per pervenire all'esclusivita' del rapporto di lavoro quale scelta individuale. Sembra pertanto ipotizzabile il contrasto della norma di opzione (e delle norme sottese o connesse, gia' sopra indicate) anche con i canoni costituzionali ex art. 76 Cost.". 8. - Cio' premesso, considerazioni analoghe vanno esposte con riferimento alla norma dell'art. 5, comma 12, oggetto di odierno esame, secondo cui, fino alla data di entrata in vigore della legge di riordino dello stato giuridico universitario "lo svolgimento di attivita' libero professionale intramuraria comporta l'opzione per il tempo pieno e lo svolgimento dell'attivita' extramuraria comporta l'opzione per il tempo definito ai sensi dell'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382". Ed invero, la norma deve ritenersi viziata, in primo luogo, in via derivata in quanto l'eventuale caducazione delle norme in precedenza sottoposte alla verifica di costituzionalita' comporterebbe, attesa la correlazione automatica con le norme stesse, l'eliminazione dalla realta' giuridica (anche) della disposizione del comma 12. La norma appare altresi' viziata ex se, ove si ponga mente alla disciplina del regime dell'impegno di servizio - a tempo pieno ovvero definito - per i professori universitari, giusta previsione dell'art. 11 d.P.R. n. 382/1980, come modificato dall'art. 3 legge n. 705/1985 e dagli artt. 3 e 4 legge n. 118/1989. L'ordinamento universitario impone una scelta meditata tra tempo pieno e tempo definito, entro un termine perentorio riferito all'inizio dell'anno accademico e con impegno almeno biennale. A seconda dell'impegno prescelto, i docenti universitari assumono una diversa collocazione nel quadro della struttura universitaria e, in definitiva, un diverso status professionale, anche in termini di completa (o minore) dedizione ai compiti istituzionali delle universita', e cioe' l'insegnamento e la ricerca. Si' che la scelta del legislatore delegato nel senso della piu' volte ricordata (nell'ordinanza n. 8988 cit.) "correlazione automatica" da' adito a dubbi di costituzionalita' con riferimento al principio dell'autonomia universitaria nel perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici ex art. 3 della Costituzione e, incidendo in definitiva sullo stato giuridico del sanitario universitario, anche con riferimento all'art. 76 Cost., attesi i gia' evidenziati (sempre nell'ordinanza n. 8988) limiti ex art. 6 lett. c) della legge delega. Ne' puo' non essere rilevata quella manifesta irragionevolezza ed intrinseca contraddittorieta', nel contesto normativo inerente al regime di servizio dei docenti universitari, tra la disposizione dell'art. 5 comma 12 d.lgs. n. 517 cit. e quella dell'art. 11 d.P.R. n. 382/1980, che gia' nell'ordinanza n. 8988/2000 e' stata rilevata tra altre norme per poi farne derivare una ipotesi di contrasto con l'art. 3 Cost., quale canone generale di coerenza e ragionevolezza dell'ordinamento, e con l'art. 97 Cost., sotto il profilo della mancanza di proporzionalita' rispetto alle finalita' da perseguire. Sembra pertanto che la norma dell'art. 5 comma 12 non sia esente da dubbi di costituzionalita', oltre che in via derivata, anche per contrasto con gli artt. 3, 33, 76 e 97 Cost., ed in riferimento all'art. 11 d.P.R. 382/1980 cit. e successive modificazioni. 9. - Per le considerazioni che precedono, va conseguentemente sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 12, d.lgs. n. 517/1999 cit., in via derivata e per contrasto con gli artt. 3, 33, 76 e 97 Cost. Va disposta, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.