IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 7865/2001, proposto da Bardelli Anna Maria, rappresentata e difesa dall'avv. Gian Luca Lemmo ed elettivamente domiciliata in Roma, via Barnaba Oriani n. 85, presso lo studio dell'avv. Giovan Battista Santangelo; Contro Universita' degli studi di Siena; Ministero della sanita'; Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica; Presidenza del Consiglio dei ministri; Per l'annullamento: a) della nota rettoriale prot. n. 7517 datata 11 aprile 2001, con la quale la ricorrente veniva invitata ad optare ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 517/1999; b) di ogni altro atto collegato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi della ricorrente, ivi compresa e per quanto lesiva la circolare del Ministero della sanita' del 13 marzo 2000, nonche' l'eventuale provvedimento di accettazione del rapporto esclusivo formatosi per silentium, la relazione del Ministero della sanita' unitamente all'atto di indirizzo e coordinamento concernente l'attivita' libero professionale, ove esistente. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore, per la camera di consiglio dell'11 luglio 2001, il consigliere Bruno Mollica; Uditi, altresi', i difensori come da verbale; Vista l'ordinanza cautelare della sezione n. 4481 dell'11 luglio 2001; Ritenuto e considerato in: F a t t o e D i r i t t o 1. - La ricorrente, docente universitario afferente alla facolta' di medicina e chirurgia, in servizio presso l'Universita' degli studi di Siena, impugna con ricorso rubricato al n. 7865/2001, il provvedimento specificato in epigrafe, con cui viene intimato di optare per l'esercizio dell'attivita' assistenziale intramuraria (definita anche come "attivita' assistenziale esclusiva") o dell'attivita' libero professionale extramuraria, ai sensi dell'art. 5, commi 7 e 8, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517. 2. - Il ricorso investe vari profili della legislazione delegata di riforma del settore sanitario: va allora definito e circoscritto l'oggetto del giudizio, restando estranee allo stesso alcune delle argomentazioni esposte dalla difesa dell'istante, in quanto l'esame di questo giudice deve incentrarsi esclusivamente sull'oggetto diretto ed immediato della contestazione giudiziale, e cioe' l'esercizio della detta opzione da parte dei sanitari universitari e le conseguenze che ne derivano a loro posizione di status nell'una e nell'altra ipotesi. 3. - In sede di delibazione dell'istanza cautelare proposta dalla ricorrente, la sezione ha meditatamente ritenuto di accordare, sia pure interinalmente, il chiesto provvedimento di sospensione, rinviando a separata contestuale ordinanza la proposizione della questione di costituzionalita' del sistema normativo per possibile contrasto, quantomeno, con gli artt. 3, 97, 33 e 76 Cost., avuto altresi' riguardo all'entrata in vigore del d.lgs. n. 254/2000. In questa sede, in punto di rilevanza, basti ricordare l'orientamento della Corte costituzionale secondo il quale il requisito della rilevanza non viene meno nel caso in cui il giudice contemporaneamente all'ordinanza di rimessione, abbia disposto, con separato provvedimento, la sospensione stessa, in via provvisoria e temporanea, sino alla ripresa del giudizio cautelare (cfr. sentt. n. 444 del 1990, nn. 367 del 1991 e 4 del 2000); e cio' anche per il caso che la dedotta incostituzionalita' di una o piu' norme legislative costituisca l'unico motivo del ricorso innanzi al giudice a quo, essendo comunque individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalle questioni di legittimita' costituzionale, sul quale questo giudice e' chiamato a pronunciarsi (cfr. sentt. nn. 263 del 1994, 128 del 1998 e 4 del 2000 cit.). 4. - Sempre in punto di rilevanza, va ricordato che la contestata opzione e' imposta dall'art. 5, commi 7 e 8, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 cit.: si' che, dovendosi fare necessariamente applicazione delle dette disposizioni, il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. D'altro canto, il provvedimento in questa sede impugnato costituisce puntuale applicazione delle disposizioni medesime, con la conseguenza che l'eventuale eliminazione delle stesse dalla realta' giuridica determinerebbe il soddisfacimento dell'interesse sostanziale della ricorrente. 5. - L'entrata in vigore del d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254 - che reca disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. n. 229/1999 - impone al collegio di soffermarsi sulla normativa introdotta dall'art. 3 (che costituisce il comma 10 dell'art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502/1992, introdotto dall'art. 13 d.lgs. n. 229/1999 ai fini della verifica della rilevanza o meno di tale disposizione sulla controversia all'esame della Sezione). L'art. 3 cit. consente, in caso di carenza di strutture e spazi idonei alle necessita' connesse allo svolgimento delle attivita' libero professionali in regime ambulatoriale, limitatamente alle medesime attivita' e fino al 31 luglio 2003, l'utilizzo del "proprio studio professionale" da parte dei sanitari universitari optanti per l'attivita' intramuraria. Tale norma non rileva, peraltro, allo stato, nel giudizio che ne occupa. Ed invero, la questione di costituzionalita' del sistema normativo posto a base dell'impugnata opzione viene sollevata dal collegio sotto tre distinti profili (di cui, infra): per contrasto con l'art. 33 Cost. in relazione al principio dell'autonomia universitaria nel perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici; per contrasto con l'art. 76 Cost; per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., specificatamente, della norma dell'art. 5, comma 8, d.lgs. n. 517/199 nella parte in cui, imponendo di compiere una scelta entro un termine perentorio, e attribuendo alla mancata opzione dell'interessato un significato legale tipico (equivalenza alla scelta per l'attivita' assistenziale esclusiva), non condiziona o correla l'esercizio dell'opzione alla concreta disponibilita' delle strutture. Appare di tutta evidenza che i primi due aspetti (contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost.) non sono minimamente scalfiti dalla portata del detto art. 3, in quanto la rilevata questione di costituzionalita' viene sollevata, giusta la prospettazione che segue, indipendentemente dal profilo della necessita' di prescrizione della previa individuazione delle strutture. Un approfondimento meriterebbe il punto relativo al contrasto dell'art. 5, comma 8, cit. con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto riferito alla concreta disponibilita' delle strutture. Ma, in questa sede, non sembra possa ritualmente porsi tale questione. Ed invero, la "novita'" introdotta dal legislatore delegato attiene esclusivamente alle attivita' professionali "in regime ambulatoriale" e quindi investe solo la posizione dei sanitari universitari che espletano la propria attivita' in tale regime. Orbene, se e' vero che la ricorrente non si qualifica espressamente sotto tale profilo, e' pur vero che nulla e' eccepito dall'amministrazione sul punto dell'attivita' specificatamente espletata dalla ricorrente: deve allo stato degli atti ragionevolmente ritenersi, pertanto, che la norma dell'art. 3 per nulla incida sulla posizione dell'odierna ricorrente in riferimento all'attivita' di pertinenza. Ne' puo' orientare diversamente il richiamo, ad opera del precitato art. 3, alle previsioni dell'art. 72 legge 23 dicembre 1998, n. 448 per quanto espressamente concerne l'attivita' libero professionale "in regime di ricovero". Tale disposizione, che demanda al direttore generale dell'Azienda sanitaria l'assunzione di "iniziative" per il reperimento di spazi sostitutivi al di fuori dell'azienda stessa, si muove sul piano dei meri intenti operativi, mentre la prescrizione normativa in questa sede contestata che, per essere conforme - ad avviso di questo giudice - ai canoni costituzionali (secondo le considerazioni di cui infra), avrebbe necessariamente richiesto l'introduzione della previsione di concreta disponibilita' delle strutture medesime quale condizione per l'esercizio dell'opzione per cui e' causa. 6. - La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente infondata; ed invero, come gia' esposto e ritenuto nella precitata ordinanza cautelare, la sezione dubita della legittimita' costituzionale delle norme poste a base dei detti provvedimenti e delle disposizioni alle stesse sottese (o comunque connesse): ritiene pertanto di dover sollevare, anche d'ufficio per profili non trattati dai ricorrenti, la relativa questione di costituzionalita' per contrasto con i gia' ricordati artt. 3, 97, 33 e 76 Cost. 7. - Viene in primo luogo in considerazione la norma dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517/1999, che, come gia' esposto, impone un termine perentorio (che sia di tale natura non sembra revocabile in dubbio, attese le conseguenze derivanti dall'omesso esercizio dell'opzione nel termine fissato, previste dall'ultima parte del comma stesso) per l'esercizio dell'opzione ai sensi e per gli effetti di cui al comma 7: tale ultimo comma stabilisce che i professori ed i ricercatori universitari afferenti alla facolta' di medicina e chirurgia optano rispettivamente per l'esercizio di attivita' assistenziale intramuraria ai sensi dell'art. 15-quinquies del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e succesive modificazioni e "secondo le tipologie di cui alle lettere a) b) c) e d) del comma 2 dello stesso articolo" ovvero per l'esercizio di attivita' libero professionale extramuraria; tali "tipologie" fanno espresso riferimento alle "strutture aziendali individuate dal direttore generale d'intesa con il collegio di direzione", con cio' ponendo una stretta correlazione tra l'individuazione delle strutture destinate all'attivita' libero professionale e l'esercizio dell'attivita' medesima. Tale stretta correlazione e', del resto, logico corollario della "compenetrazione tra l'attivita' sanitaria assistenziale e quella didattico-scientifica dei docenti universitari della facolta' di medicina, che operano nelle cliniche e negli istituti universitari di ricovero e cura", che costituisce "il dato caratterizzante le loro funzioni ed il conseguente stato giuridico" (cfr. Corte cost. 16 maggio 1997, n. 134). E nel senso della "inscindibilita'" delle attivita' assistenziali del personale universitario da quelle di didattica e di ricerca si pone anche l'art. 5 del d.m. 31 luglio 1997, che reca le linee guida per la stipula dei protocolli d'intesa universita-regioni. Nel sistema normativo scaturente dall'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999 e dell'art. 15-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 502/1992, e' quindi configurabile un obbligo dell'amministrazione di individuare le strutture aziendali entro cui va esercitata l'attivita' assistenziale intramuraria (o le soluzioni alternative, di cui all'art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448), si' da rendere concretamente disponibili le strutture stesse ed i servizi (in tal senso, cfr., anche Cons. Stato, VI Sez., ord.za 24 marzo 2000, n. 1431). E tale obbligo dell'amministrazione e' correlato al "diritto all'esercizio di attivita' libero professionale individuale ... nell'ambito delle strutture aziendali" (art. 15-quinquies, punto 2, lettera a) del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 nel testo introdotto dall'art. 13 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229) da parte dei sanitari universitari, diritto il cui esercizio sembra di dubbia attuabilita' in assenza della detta individuazione e predisposizione delle strutture, non apparendo rilevante, sul piano della effettivita' del diritto stesso, la mera possibilita' di tutela nelle competenti sedi nei confronti dei funzionari inadempienti (ex art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998). Se cio' e' vero, sembra ravvisabile una intrinseca contraddittorieta', pur nel medesimo contesto normativo, tra il comma 8 dell'art. 5 d.lgs. n. 517/1999 cit. - nella parte in cui introduce il censurato termine "perentorio" per l'opzione, omettendo di subordinare o comunque correlare l'opzione medesima alla concreta disponibilita' delle strutture - ed il comma 7, nella parte in cui (rinviando alle tipologie di cui alle lettere a) b) c) d) comma 2, art. 15-quinquies del d.lgs. n. 502/1992 e successive modificazioni) fa riferimento all'individuazione delle strutture medesime, con conseguente configurabilita', per tale profilo, di un'ipotesi di contrasto tra la censurata disposizione dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517/1999, sub specie di manifesta irragionevolezza ed intrinseca contraddittorieta' col sistema normativo di cui si colloca e l'art. 3 Cost. - inteso come generale canone di coerenza e di ragionevolezza dell'ordinamento (Corte cost. n. 204/1982) - nonche' col principio di buon andamento ex art. 97 Cost.: quest'ultimo, in particolare, sotto il profilo della mancanza di proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore delegato rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' da perseguire, nonche' sotto il profilo della razionale organizzazione dei servizi. Appare quindi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517/1999 nella parte in cui, imponendo di compiere una scelta entro un termine perentorio, e attribuendo alla mancata opzione dell'interessato un significato legale tipico (equivalenza alla scelta per l'attivita' assistenziale esclusiva), non condiziona o correla l'esercizio dell'opzione alla concreta disponibilita' delle strutture, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. sotto i profili indicati. 8. - Il collegio dubita nel contempo della conformita' ai parametri costituzionali ex art. 33 Cost. dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999, nella parte in cui impone la detta opzione relativamente al personale sanitario universitario, in uno con le disposizioni allo stesso sottese (o comunque connesse, art. 5 commi da 1 a 6 e da 8 a 11, e art. 3 in parte qua) in quanto sembra porsi ex se - indipendentemente, cioe', dal profilo della necessita' di prescrizione della previa individuazione delle strutture - altresi' in contrasto con il principio dell'autonomia universitaria nel perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici. Stabilisce il comma 7 cit. che "l'opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva e' requisito necessario per l'attribuzione ai professori e ricercatori universitari di incarichi di direzione di struttura nonche' dei programmi di cui al comma 4". A tacere della incidenza sullo stato giuridico degli interessati di una prescrizione siffatta, giusta altresi' le conseguenze derivanti alla posizione degli stessi (cfr., in particolare, commi 4, 5 e 6 dello stesso art. 5), certo e' che i programmi di cui al comma 4, infra o interdipartimentali, sono dichiaratamente finalizzati "alla integrazione delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle innovazioni tecnologiche ed assistenziali, nonche' al coordinamento delle attivita' sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica ed assistenziale". La preclusione della attribuzione della responsabilita' e della gestione dei detti programmi per i sanitari universitari non optanti per l'attivita' assistenziale esclusiva appare con tutta evidenza lesiva di quel principio di compenetrazione tra attivita' sanitaria assistenziale e attivita' didattica e di ricerca scientifica, che costituisce dato caratterizzante l'attivita' dei sanitari universitari e che trova tutela (anche) nei principi di autonomia didattico-scientifica postulati dall'art. 33 Cost. Ma la stessa opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva - tra l'altro irretrattabile, a norma del comma 10 dell'art. 5 cit., fatta eccezione per limitate specifiche ipotesi - non sembra in linea con i principi di autonomia didattico-scientifica ex art. 33 Cost. L'opzione comporta l'assoggettamento dell'attivita' assistenziale del sanitario universitario alle determinazioni organizzative assistenziali del direttore generale dell'azienda ospedaliera (sia pure d'intesa col rettore o su proposta del responsabile di strutura complessa; cfr., in particolare, commi 1, 2, 5, 6 dell'art. 5 cit.): dell'adempimento delle attivita' assistenziali - che pur "si integrano" con quelle di didattica e di ricerca a norma dcl comma 2 dell'art. 5 - il personale universitario risponde al (solo) direttore generale, ai sensi dello stesso comma; l'attribuzione e la revoca degli incarichi di struttura semplice e degli incarichi di natura professionale e' disposta dal direttore generale su proposta del responsabile della struttura complessa di appartenenza del sanitario (comma 6); l'incarico di direzione di struttura complessa e' attribuito (e revocato) dal direttore generale sulla base di (mera) intesa con il rettore, ai sensi del comma 5 (analogamente a quanto disposto per il direttore del dipartimento ad attivita' integrata dall'art. 3, comma 4). Ne discende la possibile incidenza delle dette determinazioni del direttore generale sulle attribuzioni in materia didattica e di ricerca riservate all'istituzione universitaria (anche per cio' che concerne l'attivita' di programmazione di tali aspetti); la stessa collocazione funzionale assistenziale per effetto della esercitata opzione - rimessa, in definitiva, al direttore generale - ben puo' incidere, in concreto, sulla liberta' d'insegnamento (si pensi, in particolare, all'attribuzione di un incarico assistenziale che non consenta un'adeguata e proficua utilizzazione di strutture e personale per esigenze di didattica e ricerca nel quadro della programmazione del dipartimento). L'attivita' di insegnamento appare, in sostanza, suscettibile di condizionamenti in relazione alle determinazioni in materia assistenziale di un direttore generale che ha come obiettivo gestionale essenzialmente la realizzazione di un progetto di assistenza sanitaria ospedaliera, e non certo di un programma universitario scientifico-didattico. Cio' in presenza di una posizione "marginale" assegnata dal sistema normativo in esame agli organi istituzionali dell'universita' in materia di coordinamento degli interessi che sono propri dell'autonomia dell'istituzione (id est, di insegnamento e ricerca scientifica), posizione non bilanciata dalla previsione di partecipazione (recte, intesa), del rettore alla nomina del direttore del dipartimento ad attivita' integrata ex art. 3 comma, quale centro di collegamento tra assistenza, didattica e ricerca. Se e' vero, infatti, che tale organismo e' concepito in funzione del detto necessario coordinamento, e' pur vero che gli interessi istituzionali dell'universita' restano comunque ampiamente condizionati dalle scelte gestionali del direttore del dipartimento: e cio' in termini di programmazione, organizzazione e gestione dell'attivita' di insegnamento e di aggiornamento e ricerca scientifica, che la Costituzione assegna primariamente all'autonomia dell'universita' stessa. Ed invero, a tacer d'altro, il direttore del dipartimento assume la responsabilita' gestionale nei confronti del direttore generale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti, tenendo "anche" conto della necessita' di soddisfare le peculiari esigenze connesse alle attivita' didattiche e scientifiche, con cio' conferendo, nelle scelte decisionali, priorita' a profili dell'assistenza rispetto a quelli della ricerca e della didattica, in violazione, altresi', del disposto dell'art. 6 lettera b) della legge delega (vedasi al riguardo il successivo punto 9), laddove si intende "assicurare" lo svolgimento delle attivita' assistenziali "funzionali alle esigenze della didattica e della ricerca" con inversione, quindi, del processo logico postulato dal legislatore delegante. Quanto sopra fa dubitare, anche, in via derivata, della conformita' al dettato costituzionale delle norme in tema di organizzazione interna delle aziende, di cui all'art. 3 del d.lgs. cit., per i riflessi sulla posizione dei sanitari optanti per l'attivita' assistenziale esclusiva, nella parte in cui non prevedono una partecipazione diretta di organi universitari alle scelte decisionali in tema di collegamento tra assistenza, didattica e ricerca. Sembra quindi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999 e delle norme ad esso sottese, o comunque connesse, in parte qua (art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11 e art. 3) per contrasto con l'art. 33 Cost. 9. - La normativa delegata in materia di opzione dei sanitari universitari non sembra inoltre avere compiutamente realizzato - attese le evidenziate incongruenze del sistema - il disegno del legislatore delegante in ordine alla "coerenza fra l'attivita' assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca" (art. 6, lettera b, c, della legge 30 novembre 1998, n. 419, anche in relazione a quanto sopra esposto). E' ben vero che la normativa medesima si occupa di tale profilo laddove si prevede - come gia' ricordato al punto 8 - una organizzazione dipartimentale al fine di assicurare l'esercizio integrato delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca (art. 3) anche sotto l'aspetto della utilizzazione delle strutture assistenziali; ma sembra al collegio che debba ragionevolmente dubitarsi della effettivita' della richiesta "coerenza" tra le dette esigenze e l'attivita' assistenziale (oltre che per i motivi gia' illustrati) in presenza di un espresso disposto della legislazione delegata che non consente al sanitario universitario non optante per l'attivita' assistenziale esclusiva la preposizione, non solo alla direzione di strutture, con conseguente impossibilita' di impostazione dei programmi, delle modalita' e degli specifici contenuti della ricerca scientifica, ma addirittura ai programmi espressamente finalizzati alla "integrazione delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle innovazioni tecnologiche ed assistenziali". E tale limite di legge non puo' essere posto nel nulla neppure dal sistematico rinvio a futuri (ed incerti nei contenuti) protocolli d'intesa. D'altro canto, non puo' esservi "coerenza" tra i detti profili se il sistema e' "sbilanciato" verso la primaria considerazione delle esigenze assistenziali; ne' il legislatore delegato si e' mosso nell'ottica di un rafforzamento dei processi di collaborazione tra universita' e Servizio sanitario nazionale ex art. 6 lettera a) della legge delega, se e' vero che l'autonomia dell'universita' ne risulta ampiamente "sacrificata", giuste le pregresse considerazioni. Non sembra altresi' che la delega ex art. 6 lett. c) cit. abbia ad oggetto anche la modificazione dello stato giuridico del personale sanitario universitario: nel momento in cui si va ad alterare, quantomeno per il personale universitario non optante per l'attivita' assistenziale esclusiva, il quadro di ragionevole compenetrazione fra attivita' didattico-scientifica e attivita' assistenziale, siccome consolidato anche dal complessivo andamento della pluriennale legislazione in materia, si va invero ad incidere in modo sostanziale sulla particolare connotazione della posizione dei sanitari universitari, che costituisce il "dato caratterizzante le loro funzioni ed il conseguente stato giuridico" (Corte cost. n. 134/1997 cit.). L'art. 6 della legge delega, alla lettera c), si e' limitato a demandare al legislatore delegato l'emanazione di "idonee disposizioni in materia di personale" nel quadro dell'esigenza di assicurare la "coerenza" fra l'attivita' assistenziale e quella di formazione e ricerca, e non ha inteso assolutamente consentire lo stravolgimento dello stato giuridico dei sanitari universitari: ed invero, l'oggetto della delega e' espressamente e chiaramente definito nella prima parte del comma 1, laddove la delega stessa e' intesa all'emanazione di decreti legislativi specificatamente "volti a ridefinire i rapporti tra Servizio sanitario nazionale e universita'", ed in tali limiti deve mantenersi l'attivita' normativa del legislatore delegato. Ne' e' riferibile ai professori e ricercatori universitari - sia per la collocazione sistematica della norma che per il richiamo inequivoco al "solo personale della dirigenza sanitaria" in servizio al 31 dicembre 1998 - il criterio direttivo di cui all'art. 2, lettera q) della legge n. 419/1998 cit., in ordine alla previsione di modalita' per pervenire all'esclusivita' del rapporto di lavoro quale scelta individuale. Sembra pertanto ipotizzabile il contrasto della norma di opzione (e delle norme sottese e connesse, gia' sopra indicate) anche con i canoni costituzionali ex art. 76 Cost. 10. - Per le considerazioni che precedono, va conseguentemente sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost; dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999 per contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost; nonche' dell'art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11, e dell'art. 3 del d.lgs. n. 517/1999 cit., in parte qua, per contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost. Va disposta, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.