IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Decidendo  sulla questione di costituzionalita' proposta dal p.m.
e cui si sono associati i difensori degli imputati,

                            O s s e r v a

    1. - All'udienza   del   19 dicembre  2001  il  p.m.  ha  chiesto
l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento (art. 431 c.p.p.) dei
verbali   delle   dichiarazioni   rese,   nel  corso  delle  indagini
preliminari  da  Magliano  Rosa,  Peloso  Mara, Gramaglia Marcellino,
Giorgino  Patrizia,  imputati  di  reato  in  procedimento  connesso,
concluso  con  sentenza  passata in giudicato (testimoni ai sensi del
nuovo  testo  dell'art. 197  e  dell'art. 197-bis  c.p.p.,  come tali
obbligati   a   rispondere   alle   domande  e  a  dire  la  verita),
dichiarazioni  tutte  utilizzate per le contestazioni durante l'esame
dibattimentale;  il  tribunale  ha  respinto  l'istanza  non  essendo
l'acquisizione  consentita dal nuovo testo dell'art. 500, commi 2 e 4
c.p.p.,  introdotto con l'art. 16 della legge 1 marzo 2001, n. 63. Il
p.m.  ha  allora sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale
delle  dette  norme  per contrasto con gli art. 2, 3, 24 comma 1, 101
comma 2 con riferimento all'art. 25, comma 2 e 112 della Costituzione
e i difensori degli imputati si sono associati.
    2. - Il  sistema  previsto  dal  nuovo  testo  dei  commi  2  e 4
dell'art. 500 c.p.p. - che segna il ritorno all'originaria disciplina
del  codice  del 1988, caduta con la sentenza 255 del 1992 di codesta
Corte - seppure consente alle parti di portare a piena conoscenza del
giudice  le  dichiarazioni  assunte  durante le indagini dal pubblico
ministero  o  dalla  polizia  giudiziaria, cosi' facendo emergere nel
dibattimento   una   doppia  verita'  processuale,  vieta,  sia  pure
implicitamente,  che  tali dichiarazioni possano costituire prova dei
fatti  in  esse  affermati, consentendone la valutazione soltanto per
stabilire  la  credibiita'  della  persona  esaminata. Sicche' - come
rilevato  nella  sentenza 255 del 1992 di codesta Corte - la norma in
esame   e'   suscettibile  di  imporre  (nuovamente)  al  giudice  di
contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa
decisione.
    2.1 -   Non  ignora questo tribunale le tesi che in dottrina sono
risolutamente  contrarie  alla  utilizzabilita'  delle  dichiarazioni
raccolte  dal p.m. e dalla p.g. nel corso delle indagini preliminari:
si afferma che la non utilizzabilita' sarebbe conforme al principio -
ora   costituzionalizzato   -   della   formazione  della  prova  nel
contradditorio,  e  che  percio'  anche  la  sentenza 255 del 1992 di
codesta Corte dovrebbe considerarsi superata; che la soluzione scelta
dal  legislatore  ordinario,  con la formulazione del nuovo testo dei
commi  2  e  4  dell'art. 500  c.p.p.  sarebbe  imposta  dalla  norma
costituzionale, come l'unica con essa compatibile.
    Si   afferma   ancora,   che  "consentire  l'utilizzazione  delle
dichiarazioni predibattimentali significherebbe inserire nel processo
valutativo  materiale  investigativo  assunto unilateralmente", senza
contraddittorio  e  in  violazione  del principio costituzionale; per
altro  verso,  che  "il  carattere  strumentale  del  processo penale
rispetto  all'eserciziodella  funzione  giurisdizionale  non  postula
affatto  un  modello  di  processo  penale  che  non contempli limiti
all'assunzione  della  prova";  che  anzi "essi sono connaturati agli
ordinamenti  democratici  che  adottano sistemi processuali di stampo
accusatorio  o  tendenzialmente  tale,  in  quanto  volti a garantire
proprio  una  maggiore  rispondenza  della  verita'  processuale alla
verita'  reale,  attraverso  la  preclusione all'impiego di materiale
cognitivo nelle cui modalita' acquisitive il legislatore non rinviene
un  adeguato  livello di affidabilita'"; che "ritenere viceversa che,
nell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  il  giudice  possa
"comunque   pervenire  all'accertamento  dei  fatti,  equivarrebbe  a
disconoscere  la  stessa necessita' del processo penale, la cui unica
funzione  e'  appunto quella di disciplinare le forme e gli strumenti
attraverso   i   quali   il  giudice  puo'  legittimamente  pervenire
all'accertamento della responsabilita' penale"; che infine "il libero
convincimento  del  giudice potrebbe legittimamente formarsi soltanto
attraverso  quel  modello  di  processo e sulla scorta di quelle sole
prove  che  da  quel  modello  non sono escluse e quindi non potrebbe
formarsi  sulla base di prove assunte al di fuori del contraddittorio
perche'  a  cio' osterebbe apertamente il comma 4 dell'art. 111 della
Costituzione".
    Si  sottolinea  altresi'  che,  per  il  nuovo art. 111 Cost., il
contraddittorio  deve  riguardare  la  formazione,  non  soltanto  la
critica,  delle  prove,  e  che  la  dichiarazione  utilizzata per le
contestazioni e' certamente un mezzo che serve al contraddittorio, in
quanto  costringe  l'esaminato  a  render  conto  del mutamento nella
versione  dei  fatti, ma non e' formata in contraddittorio e pertanto
non  puo'  essere  prova:  contraddittorio  dunque nel senso forte di
contradditorio  per  l'assunzione  e nell'assunzione della prova, non
nel  senso  debole  o  ridotto  di  contraddittorio sulla prova. Cio'
escluderebbe  anche  la  possibilita'  che  la dichiarazione raccolta
nelle indagini preliminari e sottoposta al vaglio delle parti tramite
la  contestazione,  possa  considerarsi parte integrante di una prova
formata nel contraddittorio dibattimentale.
    2.2 - Ritiene questo tribunale che il quadro normativo risultante
dal  nuovo art. 111 della Costituzione non sia radicalmente mutato al
punto  da togliere valore ad alcuni dei principi affermati da codesta
Corte nella sentenza n. 255 del 1992, e segnatamente:
        che "fine primario e ineludibile del processo penale non puo'
che  rimanere  quello  della  ricerca  della  verita' (in armonia coi
principi  della  Costituzione: come reso esplicito nell'art. 2, prima
parte,  e  nella  direttiva  n. 73, della legge di delega, tradottasi
nella  formulazione  degli articoli 506 e 507 c.p.p.) di guisa che in
taluni  casi, in cui la prova non possa, di fatto, prodursi oralmente
e'  dato  rilievo,  nei  limiti  ed alle condizioni di volta in volta
indicate,  ad  atti  formatisi prima e al di fuori del dibattimento";
(il quinto comma dell'art. 111 della Costituzione consente tuttora al
legislatore  ordinario  di regolare i casi in cui la formazione della
prova  non  ha luogo in contraddittorio "per accertata impossibilita'
di natura oggettiva");
        che  la  volonta' del legislatore esprime anche "un principio
di non dispersione dei mezzi di prova" e che cio' emerge con evidenza
da   tutti   quegli   istituti   che   recuperano  al  fascicolo  del
dibattimento,  e  quindi  alla  utilizzazione  probatoria,  atti  non
suscettibili  di  essere  surrogati  (o  compiutamente e genuinamente
surrogati) da una prova dibattimentale";
        che   "il   principio   dell'oralita'   e   dell'immediatezza
dibattimentale  ...  non e' regola assoluta bensi' criterio-guida del
nuovo processo", in linea con il criterio tendente a contemperare "il
rispetto  del metodo orale con l'esigenza di evitare la "perdita , ai
fini  della  decisione,  di quanto acquisito prima del dibattimento e
che sia irripetibile in tale sede";
        che l'art. 500 comma 2 c.p.p. (l'originario art. 500, comma 3
c.p.p.   cosi'   formulato:   "La  dichiarazione  utilizzata  per  la
contestazione,  anche se letta dalla parte, non puo' costituire prova
dei  fatti  in  essa  affermati. Puo' essere valutata dal giudice per
stabilire la credibilita' della persona esaminata", dettava una norma
nella   sostanza   identica   all'attuale   art. 500,   comma  2  "Le
dichiarazioni  lette  per la contestazione possono essere valutate ai
fini  della  credibilita'  del  teste") "istituisce una irragionevole
regola  di  esclusione  che,  non solo puo' giocare cosi' a vantaggio
come  a  danno  dell'imputato,  ma  e'  suscettibile di ostacolare la
funzione  stessa del processo penale proprio nei casi nei quali si fa
piu'  pressante  l'esigenza  della difesa della societa' dal delitto,
quando  per  di  piu'  il  ricorso all'intimidazione dei testimoni si
verifica assai di frequente; che, "posto che il nuovo codice fa salvo
(e,  in  aderenza  ai  principi  costituzionali,  non  poteva  essere
altrimenti)  il  principio  del  libero  convincimento,  inteso  come
liberta' del giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente
apprezzamento,  con l'obbligo di dare contoin motivazione dei criteri
adottati  e  dei  risultati  conseguiti (art. 192), la norma in esame
impone  al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel
contesto   della  stessa  decisione,  in  quanto,  se  la  precedente
dichiarazione  e' ritenuta veritiera, e per cio' stesso sufficiente a
stabilire l'inattendibilita' del teste nella diversa deposizione resa
in  dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta
introdotta  nel giudizio, entrata quindi nel patrimonio di conoscenze
del  giudice,  ed  esaminata  nel contraddittorio delle parti (con la
presenza   del   teste   che  rimane  comunque  sottoposto  all'esame
incrociato), non possa essere utilmente acquisita al fine della prova
dei fatti in essa affermati".
    La  saldezza  di  tali proposizioni e l'autorevolezza della fonte
dalla  quale  provengono, la stessa cautela del legislatore ordinario
(che  nella  formulazione  del comma 2 dell'art. 500 afferma soltanto
per  implicito  -  a  differenza  del  legislatore  del 1988 - la non
idoneita'  delle dichiarazioni in parola a costituire prova dei fatti
con  esse affermati) induce a ritenere non manifestamente infondata -
per  contrasto  con  l'art. 101  secondo comma della Costituzione, in
relazione  al principio di legalita' posto dall'art. 25 secondo comma
della  Costituzione.  la questione di costituzionalita' dell'art. 500
comma  2,  nella parte in cui non prevede che possano essere valutate
anche quali fonti di prova e dell'art. 500 comma 4 c.p.p. nella parte
in  cui non prevede l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento,
se  utilizzate  per  le contestazioni previste dal primo comma, delle
dichiarazioni  precedentemente  rese  dal  testimone  e contenute nel
fascicolo   del   pubblico  ministero.  Come  osservato  dal  giudice
remittente  nell'ordinanza  con  cui  ha  sollevato  la  questione di
costituzionalita'  ritenuta  fondata da codesta Corte con la sentenza
n. 255  del  1992,  le  suddette  norme  della Costituzione postulano
"strumenti giuridici che integrino un processo giusto, ma al contempo
non  impediscano al giudice la piena cognizione del fatto - reato per
la effettiva attuazione della legge che ha il dovere di applicare".
    Non  sembrano  emergere  attualmente  i  profili di contrasto con
l'art. 3  della  Costituzione  delineati nell'ordinanza di remissione
alla Corte che dette luogo alla sentenza n. 255 del 1992.
    2.3 - La  questione  proposta  attiene  sia  all'assunzione degli
elementi  di  prova, mediante l'acquisizione al fascicolo ex art. 431
c.p.p. delle dichiarazioni rese dai suddetti testimoni nelle indagini
preliminari  -  ora  non  piu' consentita dalla norma impugnata - sia
alla  valutazione  che  di  tali  elementi  potra'  farsi  nella fase
decisionale ed e' dunque rilevante per la decisione.