IL TRIBUNALE

    All'udienza  del  19  ottobre  2001 nel processo nei confronti di
Peruffo Walter ha emesso la seguente ordinanza.
    Prima   del   compimento   delle   formalita'   di  apertura  del
dibattimento,  all'udienza del 13 luglio 2001 l'imputato ha formulato
richiesta  di  applicazione  della  pena in relazione al reato di cui
all'art. 189  comma  6 codice della strada, concordando col p.m. pena
che  questo  tribunale  ha  ritenuto  troppo esigua e non conforme ai
parametri di cui all'art. 133 c.p., in relazione alle circostanze del
fatto,  connesse  ad  un  grave  episodio  di  resistenza  a p.u.; il
processo  e'  stato  rinviato  all'odierna  udienza,  avendo le parti
preannunziato  nuova  istanza  di  applicazione pena, che avrebbe - a
giudizio  di  questo giudicante - potuto essere decisa senza soffrire
degli  effetti  pregiudicanti  connessi  al  rigetto della precedente
istanza.
    All'odierna  udienza,  tuttavia, la difesa ha avanzato istanza di
giudizio  abbreviato,  al  cui accoglimento non si oppongono ostacoli
formali.
    Va  tuttavia  rilevato che al rigetto della precedente istanza di
applicazione pena conseguirebbe, ai termini dell'art. 34 comma 2 cpv.
c.p.p.,   come   risultante  in  esito  alle  pronunzie  della  Corte
costituzionale  che  hanno  dichiarato  la parziale illegittimita' di
detta  norma,  l'incompatibilita'  di  questo  giudicante  -  che  ha
rigettato  per motivi non formali l'istanza di applicazione di pena -
a  giudicare  nel merito dell'imputazione contestata, con conseguente
obbligo  di  astensione dalle funzioni di giudice del dibattimento in
relazione  al procedimento in oggetto, ai sensi dell'art. 36 lett. g)
c.p.p.
    La  norma  cosi'  risultante  dalla  citata decisione della Corte
costituzionale  e' gia' stata oggetto di censura di costituzionalita'
da  parte di questo giudicante, che ebbe modo di rilevare che, con la
ordinanza  n. 232 del 7 novembre 1999 la stessa Corte costituzionale,
nel  rigettare  questione  di incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p.
(nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  ad emettere
sentenza  del  giudice  che  abbia  rigettato,  nella fase degli atti
preliminari  al  dibattimento,  istanza  di oblazione), ha richiamato
propria    piu'    recente    giurisprudenza,    secondo   la   quale
"l'imparzialita'  del  giudice  non  puo'  ritenersi intaccata da una
valutazione,  anche  di  merito,  compiuta all'interno della medesima
fase  del  procedimento,  "intesa  quale  ordinata  sequenza di atti,
ciascuno  dei quali legittima, prepara e condiziona quello successivo
al  fine  di  evitare  una  "assurda frammentazione dell procedimento
mediante  l'attribuzione  di  ciascun  segmento di esso ad un giudice
diverso ".
    Analoghe  osservazioni erano state dalla Corte gia' svolte con la
ordinanza  n. 24  del  1996  e  con la sentenza n. 448 del 1995; e va
rilevato  altresi'  che  con la predetta ordinanza n. 232 del 1999 la
Corte  costituzionale  ha espressamente affermato, nella sua veste di
giudice   delle  leggi,  "che  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,
nell'affermare  il principio generale che l'imparzialita' del giudice
non  e'  pregiudicata  da  una valutazione, anche di merito, compiuta
nella  medesima  fase del procedimento, consente di ritenere superate
le  conclusioni  cui  e' pervenuta questa Corte nella sentenza n. 186
del  1992,  che  aveva  ravvisato un'ipotesi di incompatibilita' alla
funzione  di  giudizio  del  giudice  che,  prima  dell'apertura  del
dibattimento, avesse respinto la richiesta di applicazione della pena
concordata tra le parti".
    Tali  statuizioni,  e'  bene  rilevare,  sono state ulteriormente
ribadite  con  la  ordinanza  n. 443/1999,  con  la quale la Corte ha
espressamente   affermato  che  la  incompatibilita'  conseguente  al
compimento  di  atti  tipici della fase unitaria di cui il giudice e'
investito  "finirebbe  con  l'attribuire  alle  parti  la potesta' di
determinare  l'incompatibilita' nel corso di un giudizio del quale il
giudice  e'  gia'  investito,  sicche'  lo  stesso  giudice  verrebbe
spogliato  di  tale  giudizio  in  ragione  del compimento di un atto
processuale  cui e' tenuto a seguito dell'istanza di una parte; esito
questo  non  solo  irragionevole,  ma  in contrasto col principio del
giudice   naturale  precostituito  per  legge  dal  quale  l'imputato
verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto".
    Le  eccezioni  sollevate  da  questo  giudice  sono  state  pero'
ritenute   inammissibili  dalla  Corte  costituzionale  che,  con  la
pronunzia n. 108 del 22 marzo 2001, ha ritenuto che, con le questioni
richiamate,  in  realta',  piu'  che  "impugnare"  una  norma, questo
giudicante  avesse  inammissibilmente  operato  l'impugnazione  della
sentenza  n. 186/1992,  in  violazione del disposto degli artt. 136 e
137 u.c. Cost.
    Orbene,  col massimo rispetto per la Corte costituzionale, questo
giudicante non puo' esimersi dallo svolgere le seguenti osservazioni:
        1) nella  giurisprudenza  assolutamente  maggioritaria  della
Corte,  si  e' sempre ritenuta possibile la reiterazione di eccezioni
gia'  sollevate e risolte, salvo a dichiararne l'inammissibilita' per
ragioni  di  merito, legate alla loro ritenuta manifesta infondatezza
alla  stregua  proprio  delle  pronunzie  che gia' avevano risolto le
suddette questioni;
        2) talune  delle suddette occasioni, addirittura, la Corte ha
invece accolto eccezioni che gia' aveva precedentemente rigettato: e'
proprio   il   caso,   per   certi  versi  analogo  (vertendo  sempre
sull'art. 34 c.p.p.) a quello che qui occupa, della notissima vicenda
della  incompatibilita'  alle funzioni di giudice del giudizio per il
magistrato  che  si  fosse  pronunziato  sulla  stessa  materia quale
componente del tribunale ex artt. 309 o 310 c.p.p.
        3) addirittura, non sono mancate le occasioni in cui la Corte
ha,  con  propria  sentenza,  dichiarato  la  parziale illegittimita'
costituzionale  di  norma  che  gia' aveva precedentemente censurato,
modificando  con  la  seconda  pronunzia  l'ambito della prima: e' il
notissimo  caso  della  determinazione  dei  casi di decorrenza della
prescrizione  dei  crediti del lavoratore in pendenza del rapporto di
lavoro  (esclusa con la sentenza n. 63 del 1966; aftermata per i casi
di  rapporti  "garantiti"  con le sentenze nn. 143 del 1969 e 174 del
1972;
        4) ne  consegue  che  deve  osservarsi che la stessa Corte ha
ripetutamente  ritenuto  che  le  proprie  sentenze interpretative di
accoglimento  creino - col loro effetto parzialmente abrogativo della
precedente - una nuova norma, suscettibile come ogni altra di censure
di costituzionalita';
        5) infine,  va  altresi' osservato che, ai sensi dell'art. 23
comma  2 della legge n. 87/1953, il giudice ha il dovere di sollevare
questione di incostituzionalita' ogni qualvolta la stessa non risulti
manifestamente infondata: e poiche' la Corte non ha con la richiamata
pronunzia   n. 108/2001   in   alcun   modo  sconfessato  i  principi
ripetutamente   da   lei  stessa  autorevolmente  e  convincentemente
affermati  con  le proprie precedenti ordinanze nn. 448/1995, 24/1996
e,  principalmente, 232/1999 e 443/1999, questo giudice ha il dovere,
proprio  in  forza  dello  stesso  insegnamento ed indirizzo espresso
dalla  Corte, di ritenere non manifestamente infondata la questione e
quindi sollevarla.
    Va  pertanto  ribadito da questo giudicante che l'art. 34 c.p.p.,
nella  formulazione conseguente alla sentenza n. 186/1992 della Corte
costituzionale,   appare   affetto,   alla   stregua  delle  medesime
motivazioni  addotte  dalla  stessa  Corte  con la predetta ordinanza
n. 232/1999, ribadite con la ordinanza n. 443/1999, da manifesti vizi
di   incostituzionalita',   per   violazione   degli   artt. 3  e  97
Costituzione,  in  quanto  realizza  una  irragionevole disparita' di
trattamento  tra situazioni del tutto analoghe (come, appunto, quella
del  giudice  che  abbia  rigettato  istanza  di oblazione speciale e
quella  del  giudice  che  abbia rigettato istanza di applicazione di
pena,  in  entrambi  i  casi  in  forza  di valutazioni implicanti un
apprezzamento  del fatto ascritto all'imputato), e contemporaneamente
assoggetta  irragionevolmente  alla  medesima - disciplina situazioni
non  comparabili  processualmente  (prevedendo  l'incompatibilita' al
giudizio   sia   del   giudice   che  abbia  legittimamente  espresso
valutazioni  di  merito  nell'ambito della medesima fase processuale,
sia del giudice che le abbia espresse nell'ambito di fase processuale
diversa;   il   tutto   in   violazione   dei   principi   di   buona
amministrazione,    per    detta    via   realizzandosi   "un'assurda
frammentazione  del  procedimento";  ed  in  violazione  altresi' del
principio del giudice naturale precostituito per legge, consentendosi
alle  parti,  mediante studiata proposizione di istanze inaccoglibili
ex  art. 444  c.p.p.,  di  "sbarazzarsi"  del  loro giudice naturale,
costringendolo all'astensione.
    La   questione   e'   senz'altro   rilevante   atteso   che,  non
sollevandola,  questo  giudice dovrebbe, in applicazione dell'art. 34
c.p.p.  nella  formulazione vigente, astenersi; e va osservato che le
riforme   apportate  dal  d.lgs.  n. 51/1998  alla  disciplina  delle
incompatibilita'   non   appaiono   mutare  il  quadro  normativo  di
riferimento  rispetto  alle  valutazioni  qui  espresse e gia operate
dalla  stessa  Corte  costituzionale; va pertanto sollevata davanti a
detta Corte la questione di costituzionalita' della norma menzionata.