IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 7990/2001,
proposto  da  Rengo  Franco e Salvatore Marco, rappresentati e difesi
dall'avv. Mario  Racco ed elettivamente domiciliati nel suo studio in
Roma, viale Mazzini, n. 114/B;
    Contro  Ministero  della sanita'; Ministero universita' e ricerca
scientifica   e   tecnologica;  Universita'  degli  Studi  di  Napoli
"Federico  II"; Azienda universitaria Policlinico - Universita' degli
studi  di  Napoli  "Federico  II"; per l'accertamento del diritto dei
ricorrenti,  in  quanto  professori  universitari  della  facolta' di
medicina,  a vedersi garantita l'applicazione della normativa vigente
sull'ordinamento  universitario, quale risulta dal d.P.R. n. 382/1980
e   successive   modificazioni   e  integrazioni  e  dalle  ulteriori
disposizioni legislative intervenute in materia, in tema di esercizio
dell'attivita'  istituzionale  di  didattica  e  ricerca  e regime di
impegno a tempo pieno o definito.
    Nonche'   per  l'annullamento,  previa  sospensione,  delle  note
dell'Universita'  degli  studi  di  Napoli "Federico II", indirizzate
individualmente    a    ciascuno    dei   ricorrenti   in   epigrafe,
rispettivamente  prot.  n. 039730 del 26 giugno .2001 (Rengo) e prot.
n. 040108  del  27 giugno  2001  (Salvatore)  di  identico contenuto,
aventi  ad  oggetto  "Opzione  ex  art. 5,  commi  7  -  8 del d.lgs.
n. 517/1999".
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato  relatore,  per  la  camera  di consiglio dell'11 luglio
2001, il consigliere Bruno Mollica;
    Uditi, altresi', i difensori delle parti, come da verbale;
    Vista  l'ordinanza cautelare della sezione n. 4463 dell'11 luglio
2001;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto:

                           Fatto e diritto

    1.  -  I ricorrenti, docenti universitari afferenti alla facolta'
di medicina e chirurgia, in servizio presso l'Universita' degli studi
di  Napoli  "Federico  II",  impugnano  i provvedimenti con cui viene
disposta  la  applicazione del regime di impegno a tempo definito, in
quanto   sanitari   optanti   per  l'attivita'  libero  professionale
extramuraria,  a norma dell'art. 5, comma 12, d.lgs. 21 dicembre 1999
n. 517, di cui deducono la illegittimita' costituzionale.
    2.  - Il ricorso investe vari profili della legislazione delegata
di  riforma  del  settore  sanitario  per  farne  discendere,  in via
derivata,  l'incostituzionalita'  della  norma  precitata:  va allora
definito  e circoscritto l'oggetto del giudizio, in quanto l'esame di
questo  giudice  deve incentrarsi esclusivamente sull'oggetto diretto
ed  immediato  della  contestazione  giudiziale, e cioe' l'automatica
correlazione   tra   opzione  per  l'attivita'  libero  professionale
intramuraria ed il regime di tempo pieno nonche' fra attivita' libero
professionale extramuraria ed il regime di tempo definito imposto dal
detto art. 5, comma 12.
    3.  -  Rileva  preliminarmente  il  collegio  che, con precedente
ricorso   giurisdizionale   n. 3854/2000,  i  ricorrenti  hanno  gia'
impugnato, unitamente ad altri sanitari, l'intimazione di opzione tra
attivita'  assistenziale intramuraria (definita anche come "attivita'
assistenziale    esclusiva")   e   attivita'   libero   professionale
extramuraria  ai  sensi  dell'art. 5, commi 7 e 8, d.lgs. n. 517/1999
cit.; e che, con ordinanza n. 10904/2000, la sezione ha sollevato, in
relazione a tale ricorso, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 5,  comma  8,  del d.lgs. n. 517 cit. per contrasto con gli
artt. 3  e  97  Cost.,  dell'art. 5  comma  7  per  contrasto con gli
artt. 33  e  76  Cost.,  dell'art. 5,  commi  da  1 a 6 e da 8 a 11 e
dell'art. 3, in parte qua per contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost.
    4.  -  In sede di delibazione dell'istanza cautelare odiernamente
proposta  dai  ricorrenti,  la  sezione  ha meditatamente ritenuto di
accordare,  sia  pure  interinalmente,  il  chiesto  provvedimento di
sospensione,   rinviando   a   separata   contestuale   ordinanza  la
proposizione   della   questione  di  costituzionalita'  del  sistema
normativo posto a base dell'impugnata applicazione del tempo definito
per  possibile  contrasto,  quantomeno,  con gli artt. 3, 97, 33 e 76
Cost.,  anche  in  riferimento  all'art. 11  d.P.R. n. 382/1980, come
modificato dall'art. 3, legge n. 705/1985, e dagli artt. 3 e 4, legge
n. 118/1989.
    In   questa   sede,   in  punto  di  rilevanza,  basti  ricordare
l'orientamento   della  Corte  costituzionale  secondo  il  quale  il
requisito  della rilevanza non viene meno nel caso in cui il giudice,
contemporaneamente  all'ordinanza  di rimessione, abbia disposto, con
separato  provvedimento,  la sospensione stessa, in via provvisoria e
temporanea,  sino  alla  ripresa  del giudizio cautelare (cfr. sentt.
n. 444 del 1990, 367 del 1991 e 4 del 2000); e cio' anche per il caso
che  la  dedotta  incostituzionalita' di una o piu' norme legislative
costituisca  l'unico  motivo  del  ricorso  innanzi al giudice a quo,
essendo  comunque  individuabile  nel  giudizio principale un petitum
separato  e  distinto dalle questioni di legittimita' costituzionale,
sul  quale  questo  giudice  e'  chiamato a pronunciarsi (cfr. sentt.
nn. 263 del 1994, 128 del 1998 e 4 del 2000 cit.).
    5. - Sempre in punto di rilevanza, va ricordato che la contestata
applicazione  del tempo definito e' imposta dall'art. 5 comma 12, del
d.lgs.  21  dicembre  1999,  n. 517  cit.:  si'  che,  dovendosi fare
necessariamente  applicazione  della  detta disposizione, il giudizio
non  puo'  essere  definito indipendentemente dalla risoluzione della
questione di legittimita' costituzionale.
    D'altro   canto,   i   provvedimenti  in  questa  sede  impugnati
costituiscono  puntuale applicazione della disposizione medesima, con
la  conseguenza  che  l'eventuale  eliminazione  della  stessa  dalla
realta'  giuridica  determinerebbe  il soddisfacimento dell'interesse
sostanziale dei ricorrenti.
    6. - La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente
infondata;  ed  invero,  come gia' esposto e ritenuto nella precitata
ordinanza   cautelare,   la   sezione   dubita   della   legittimita'
costituzionale  della  norma  posta  a  base dei detti provvedimenti:
ritiene  pertanto  di  dover sollevare, anche d'ufficio per i profili
non    trattati    dai   ricorrenti,   la   relativa   questione   di
costituzionalita'  per contrasto con i gia' ricordati artt. 3, 97, 33
e  76  Cost.,  anche  in riferimento all'art. 11, d.P.R. n. 382/1980,
come  modificato  dall'art. 3, legge n. 705/1985 e dagli artt. 3 e 4,
legge n. 118/1989.
    7. - Ragioni di economia processuale imporrebbero di non ripetere
le   considerazioni   gia'   esposte  nella  ricordata  ordinanza  di
rimessione n. 10904/2000; peraltro, per comodita' di giudizio nonche'
di  esposizione  dei  profili  specificatamente oggetto della odierna
ordinanza,  si  ritiene  opportuno  riportare i contenuti della detta
ordinanza n. 10904/2000.
    "5.  Viene in primo luogo in considerazione la norma dell'art. 5,
comma 8, del d.lgs n. 517/1999, che impone un termine perentorio (che
sia  di  tale  natura  non  sembra  revocabile  in  dubbio, attese le
conseguenze  derivanti dall'omesso esercizio dell'opzione nel termine
fissato, previste dall'ultima parte del comma stesso) per l'esercizio
dell'opzione  ai  sensi  e  per  gli  effetti di cui al comma 7: tale
ultimo   comma   stabilisce   che   i  professori  ed  i  ricercatori
universitari  afferenti  alla facolta' di medicina e chirurgia optano
rispettivamente    per   l'esercizio   di   attivita'   assistenziale
intramuraria  ai sensi dell'art. 15-quinquies del decreto legislativo
30  dicembre  1992  n. 502  e  successive  modificazioni e secondo le
tipologie  di  cui  alle  lettere  a),  b), c) e d) del comma 2 dello
stesso   articolo   ovvero   per   l'esercizio  di  attivita'  libero
professionale extramuraria; tali tipologie fanno espresso riferimento
alle strutture azien-dali individuate dal direttore generale d'intesa
con   il   collegio  di  direzione,  con  cio'  ponendo  una  stretta
correlazione   tra   l'individuazione   delle   strutture   destinate
all'attivita'   libero  professionale  e  l'esercizio  dell'attivita'
medesima.
    Tale  stretta correlazione e', del resto, logico corollario della
compenetrazione  tra  l'attivita'  sanitaria  assistenziale  e quella
didattico-scientifica  dei  docenti  universitari  della  facolta' di
medicina, che operano nelle cliniche e negli istituti universitari di
ricovero  e  cura,  che  costituisce il "dato caratterizzante le loro
funzioni  ed  il  conseguente  stato  giuridico  (cfr. Corte cost. 16
maggio 1997 n. 134).
    E  nel senso della "inscindibilita' delle attivita' assistenziali
del  personale  universitario  da quelle di didattica e di ricerca si
pone  anche l'art. 5 del d.m. 31 luglio 1997, che reca le linee guida
per la stipula dei protocolli d'intesa universita-regioni.
    Nel sistema normativo scaturente dall'art. 5, comma 7, del d.lgs.
n. 517/1999    e    dall'art. 15-quinquies,   comma 2,   del   d.lgs.
n. 502/1992,  e' quindi configurabile un obbligo dell'amministrazione
di  individuare  le  strutture  aziendali  entro  cui  va  esercitata
l'attivita'  assistenziale  intramuraria (o le soluzioni alternative,
di  cui all'art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448),
si'  da  rendere  concretamente  disponibili le strutture stesse ed i
servizi  (in tal senso, cfr., anche, Cons. Stato, VI Sez., ord.za, 24
marzo 2000 n. 1431). E tale obbligo dell'amministrazione e' correlato
al   diritto   all'esercizio   di   attivita'   libero  professionale
individuale    ...    nell'ambito    delle    "strutture    aziendali
(art. 15-quinquies,  punto  2,  lett.  a, del d.lgs 30 dicembre 1992,
n. 502  nel  testo  introdotto  dall'art. 13 del d.lgs 19 giugno 1999
n. 229)  da parte dei sanitari universitari, diritto il cui esercizio
sembra di dubbia attuabilita' in assenza della detta individuazione e
predisposizione  delle  strutture, non apparendo rilevante, sul piano
della effettivita' del diritto stesso, la mera possibilita' di tutela
nelle  competenti  sedi nei confronti dei funzionari inadempienti (ex
art. 72, comma 11, della legge n. 448 del 1998).
    Se    cio'   e'   vero,   sembra   ravvisabile   una   intrinseca
contraddittorieta', pur nel medesimo contesto normativo, tra il comma
8 dell'art. 5 d.l.gs. n. 517/1999 cit. - nella parte in cui introduce
il   censurato   termine  "perentorio  per  l'opzione,  omettendo  di
subordinare  o  comunque  correlare  l'opzione medesima alla concreta
disponibilita'  delle  strutture  - ed il comma 7, nella parte in cui
(rinviando  alle  tipologie di cui alle lettere a), b), c), d), comma
2,    art. 15-quinquies    del   d.lgs   n. 502/1992   e   successive
modificazioni)  fa  riferimento  all'individuazione  delle  strutture
medesime,  con  conseguente  configurabilita',  per  tale profilo, di
un'ipotesi  di  contrasto  tra  la censurata disposizione dell'art. 5
comma   8,   del   d.lgs.   n. 517/1999,   sub  specie  di  manifesta
irragionevolezza   ed   intrinseca   contraddittorieta'  col  sistema
normativo  in  cui si colloca e l'art. 3 Cost. - inteso come generale
canone  di  coerenza  e  ragionevolezza dell'ordinamento (Corte cost.
n. 204/1982)  -  nonche'  col  principio di buon andamento ex art. 97
Cost.:  quest'ultimo, in particolare, sotto il profilo della mancanza
di  proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal legislatore delegato
rispetto  alle  esigenze  obiettive da soddisfare o alle finalita' da
perseguire,  nonche'  sotto il profilo della razionale organizzazione
dei servizi.
    Appare  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517/1999 nella
parte  in  cui,  imponendo  di  compiere  una scelta entro un termine
perentorio,  e  attribuendo  alla mancata opzione dell'interessato un
significato  legale  tipico  (equivalenza alla scelta per l'attivita'
assistenziale   esclusiva),  non  condiziona  o  correla  l'esercizio
dell'opzione   alla  concreta  disponibilita'  delle  strutture,  per
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. sotto i profili indicati.
    6. Il collegio dubita nel contempo della conformita' ai parametri
costituzionali  ex  art. 33  Cost.  dell'art. 5,  comma 7, del d.lgs.
n. 517/1999, nella parte in cui impone la detta opzione relativamente
al personale sanitario universitario, in uno con le disposizioni allo
stesso  sottese  (o comunque connesse, art. 5 commi da 1 a 6 e da 8 a
11,  e  art. 3  in  parte  qua)  in  quanto  sembra  porsi  ex  se  -
indipendentemente,   cioe',   dal   profilo   della   necessita'   di
prescrizione  della  previa individuazione delle strutture - altresi'
in  contrasto  con  il  principio  dell'autonomia  universitaria  nel
perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici.
    Stabilisce  il  comma  7  cit.  che  "l'opzione  per  l'attivita'
assistenziale esclusiva e' requisito necessario per l'attribuzione ai
professori  e  ricercatori  universitari di incarichi di direzione di
struttura nonche' dei programmi di cui al comma 4.
    A  tacere della incidenza sullo stato giuridico degli interessati
di   una   prescrizione  siffatta,  giusta  altresi'  le  conseguenze
derivanti  alla posizione degli stessi (cfr. in particolare, commi 4,
5 e 6, dello stesso art. 5), certo e' che i programmi di cui al comma
4, infra o interdipartimentali, sono dichiaratamente finalizzati alla
integrazione  delle attivita' assistenziali, didattiche e di ricerca,
con   particolare   riguardo   alle   innovazioni   tecnologiche   ed
assistenziali,  nonche' al coordinamento delle attivita' sistematiche
di revisione e valutazione della pratica clinica ed assistenziale.
    La  preclusione  della attribuzione della responsabilita' e della
gestione  dei detti programmi per i sanitari universitari non optanti
per  l'attivita'  assistenziale  esclusiva  appare con tutta evidenza
lesiva  di  quel principio di compenetrazione tra attivita' sanitaria
assistenziale  e  attivita'  didattica  e di ricerca scientifica, che
costituisce    dato    caratterizzante   l'attivita'   dei   sanitari
universitari  e  che  trova  tutela (anche) nei principi di autonomia
didattico scientifica postulati dall'art. 33 Cost.
    Ma  la  stessa  opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva -
tra  l'altro  irretrattabile,  a norma del comma 10 dell'art. 5 cit.,
fatta eccezione per limitate specifiche ipotesi - non sembra in linea
con i principi di autonomia didattico-scientifica ex art. 33 Cost.
    L'opzione comporta l'assoggettamento dell'attivita' assistenziale
del   sanitario   universitario   alle  determinazioni  organizzative
assistenziali  del  direttore  generale dell'azienda ospedaliera (sia
pure d'intesa col rettore o su proposta del responsabile di struttura
complessa;  in  particolare,  commi  1,  2,  5,  6 dell'art. 5 cit.):
dell'adempimento   delle   attivita'  assistenziali  -  che  pur  "si
integrano  con  quelle  di didattica e di ricerca a norma del comma 2
dell'art. 5 - il personale universitario risponde al (solo) direttore
generale,  ai  sensi  dello  stesso comma; l'attribuzione e la revoca
degli  incarichi  di  struttura  semplice e degli incarichi di natura
professionale  e'  disposta  dal  direttore  generale su proposta del
responsabile  della struttura complessa di appartenenza del sanitario
(comma   6);  l'incarico  di  direzione  di  struttura  complessa  e'
attribuito  (e  revocato) dal direttore generale sulla base di (mera)
intesa  con  il  rettore, ai sensi del comma 5 (analogamente a quanto
disposto  per  il  direttore  del dipartimento ad attivita' integrata
dall'art. 3, comma 4).
    Ne discende la possibile incidenza delle dette determinazioni del
direttore  generale  sulle  attribuzioni  in  materia  didattica e di
ricerca  riservate  all'istituzione universitaria (anche per cio' che
concerne  l'attivita'  di  programmazione di tali aspetti); la stessa
collocazione  funzionale  assistenziale  per effetto della esercitata
opzione  -  rimessa,  in definitiva, al direttore generale - ben puo'
incidere,  in  concreto,  sulla liberta' d'insegnamento (si pensi, in
particolare,  all'attribuzione  di  un incarico assistenziale che non
consenta   un'adeguata   e  proficua  utilizzazione  di  strutture  e
personale  per  esigenze  di  didattica  e  ricerca  nel quadro della
programmazione del dipartimento).
    L'attivita'  di insegnamento appare, in sostanza, suscettibile di
condizionamenti   in   relazione   alle   determinazioni  in  materia
assistenziale   di  un  direttore  generale  che  ha  come  obiettivo
gestionale   essenzialmente   la  realizzazione  di  un  progetto  di
assistenza   sanitaria  ospedaliera,  e  non  ceno  di  un  programma
universitario scientifico-didattico.
    Cio'  in  presenza  di  una  posizione  "marginale  assegnata dal
sistema normativo in esame agli organi istituzionali dell'universita'
in   materia   di  coordinamento  degli  interessi  che  sono  propri
dell'autonomia  dell'istituzione  (id  est, di insegnamento e ricerca
scientifica),   posizione   non   bilanciata   dalla   previsione  di
partecipazione  (recte, intesa) del rettore alla nomina del direttore
del  dipartimento  ad  attivita'  integrata ex art. 3, comma 4, quale
centro di collegamento tra assistenza, didattica e ricerca.
    Se  e' vero, infatti, che tale organismo e' concepito in funzione
del  detto  necessario  coordinamento,  e' pur vero che gli interessi
istituzionali    dell'universita'    restano    comunque   ampiamente
condizionati  dalle scelte gestionali del direttore del dipartimento:
e  cio'  in  termini  di  programmazione,  organizzazione  e gestione
dell'attivita'   di   insegnamento   e  di  aggiornamento  e  ricerca
scientifica, che la Costituzione assegna primariamente alla autonomia
dell'Universita' stessa.
    Ed  invero, a tacer d'altro, il direttore del dipartimento assume
la responsabilita' gestionale nei confronti del direttore generale in
ordine  alla  razionale  e  corretta  programmazione e gestione delle
risorse  assegnate  per  la realizzazione degli obiettivi attribuiti,
tenendo  "anche  conto  della  necessita'  di soddisfare le peculiari
esigenze  connesse alle attivita' didattiche e scientifiche, con cio'
conferendo,   nelle   scelte   decisionali,   priorita'   ai  profili
dell'assistenza rispetto a quelli della ricerca e della didattica, in
violazione,  altresi',  del disposto dell'art. 6 lett. b) della legge
delega (vedasi al riguardo il successivo punto 7), laddove si intende
"assicurare  lo  svolgimento delle attivita' assistenziali funzionali
alle  esigenze  della  didattica  e  della  ricerca,  con inversione,
quindi, del processo logico postulato dal legislatore delegante.
    Quanto   sopra   fa  dubitare,  anche,  in  via  derivata,  della
conformita'   al  dettato  costituzionale  delle  norme  in  tema  di
organizzazione  interna  delle aziende, di cui all'art. 3, del d.lgs.
cit.,  per  i  riflessi  sulla  posizione  dei  sanitari  optanti per
l'attivita' assistenziale esclusiva, nella parte in cui non prevedono
una   partecipazione  diretta  di  organi  universitari  alle  scelte
decisionali  in  tema  di  collegamento  tra  assistenza, didattica e
ricerca.
    Sembra  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 5,  comma  7,  del  d.lgs. n. 517/1999 e
delle  norme  ad  esso  sottese,  o  comunque  connesse, in parte qua
(art. 5,  commi  da  1  a 6 e da 8 ad 11, e art. 3) per contrasto con
l'art. 33 Cost.
    7. La  normativa  delegata  in  materia  di  opzione dei sanitari
universitari  non  sembra  inoltre  avere  compiutamente realizzato -
attese  le  evidenziate  incongruenze  del  sistema  - il disegno del
legislatore  delegante  in  ordine  alla  "coerenza  fra  l'attivita'
assistenziale e le esigenze della formazione e della ricerca (art. 6,
lett. b), c), della legge 30 novembre 1998 n. 419, anche in relazione
a quanto sopra esposto).
    E'  ben  vero  che la normativa medesima si occupa ditale profilo
laddove   si  prevede  -  come  gia'  ricordato  al  punto  6  -  una
organizzazione  dipartimentale  al  fine  di  assicurare  l'esercizio
integrato  delle  attivita'  assistenziali,  didattiche  e di ricerca
(art. 3)  anche  sotto  l'aspetto della utilizzazione delle strutture
assistenziali;  ma  sembra  al  collegio  che  debba  ragionevolmente
dubitarsi  della  effettivita' della richiesta "coerenza tra le dette
esigenze  e  l'attivita'  assistenziale  (oltre che per i motivi gia'
illustrati)  in  presenza  di un espresso disposto della legislazione
delegata  che  non  consente  sanitario universitario non optante per
l'attivita'  assistenziale  esclusiva  la preposizione, non solo alla
direzione   di   strutture,   con   conseguente   impossibilita'   di
impostazione   dei  programmi,  delle  modalita'  e  degli  specifici
contenuti  della  ricerca  scientifica,  ma  addirittura ai programmi
espressamente   finalizzati   alla   integrazione   delle   attivita'
assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle
innovazioni tecnologiche ed assistenziali.
    E  tale  limite  di legge non puo' essere posto nel nulla neppure
dal sistematico rinvio a futuri (ed incerti nei contenuti) protocolli
d'intesa.
    D'altro  canto, non puo' esservi "coerenza tra i detti profili se
il  sistema  e'  "sbilanciato  verso la primaria considerazione delle
esigenze  assistenziali;  ne'  il  legislatore  delegato  si e' mosso
nell'ottica  di  un  rafforzamento dei processi di collaborazione tra
universita'  e  Servizio sanitario nazionale ex art. 6 lett. a) della
legge  delega, se e' vero che l'autonomia dell'universita' ne risulta
ampiamente "sacrificata , giusta le pregresse considerazioni.
    Non  sembra  altresi' che la delega ex art. 6 lett. c) cit. abbia
ad oggetto anche la modificazione dello stato giuridico del personale
sanitario  universitario:  nel  momento  in  cui  si  va ad alterare,
quantomeno per il personale universitario non optante per l'attivita'
assistenziale esclusiva, il quadro di ragionevole compenetrazione fra
attivita'  didattico-scientifica  e  attivita' assistenziale, siccome
consolidato   anche   dal  complessivo  andamento  della  pluriennale
legislazione in materia, si va invero ad incidere in modo sostanziale
sulla   particolare   connotazione   della   posizione  dei  sanitari
universitari,  che  costituisce  il  "dato  caratterizzante  le  loro
funzioni  ed  il conseguente stato giuridico (Corte cost. n. 134/1997
cit.).
    L'art. 6  della  legge  delega,  alla  lett. c), si e' limitato a
demandare   al   legislatore   delegato   l'emanazione   di   "idonee
disposizioni  in  materia  di  personale  nel quadro dell'esigenza di
assicurare  la  "coerenza  fra  l'attivita' assistenziale e quella di
formazione  e  ricerca,  e  non ha inteso assolutamente consentire lo
stravolgimento  dello  stato  giuridico dei sanitari universitari: ed
invero,   l'oggetto  della  delega  e'  espressamente  e  chiaramente
definito  nella  prima parte del comma 1, laddove la delega stessa e'
intesa all'emanazione di decreti legislativi specificatamente volti a
ridefinire i rapporti tra Servizio sanitario nazionale e universita';
ed   in   tali  limiti  deve  mantenersi  l'attivita'  normativa  del
legislatore delegato.
    Ne'  e' riferibile ai professori e ricercatori universitari - sia
per  la  collocazione  sistematica  della  norma  che per il richiamo
inequivoco  al  "solo personale della dirigenza sanitaria in servizio
al  31  dicembre 1998 - il criterio direttivo di cui all'art. 2 lett.
q)  della  legge  n. 419/1998  cit.,  in  ordine  alla  previsione di
modalita' per pervenire all'esclusivita' del rapporto di lavoro quale
scelta individuale.
    Sembra  pertanto ipotizzabile il contrasto della norma di opzione
(e  delle  norme sottese o connesse, gia' sopra indicate) anche con i
canoni costituzionali ex art. 76 Cost.".
    8.  -  Cio'  premesso,  considerazioni analoghe vanno esposte con
riferimento  alla  norma  dell'art. 5,  comma  12, oggetto di odierno
esame,  secondo  cui, fino alla data di entrata in vigore della legge
di  riordino  dello  stato giuridico universitario "lo svolgimento di
attivita' libero professionale intramuraria comporta l'opzione per il
tempo  pieno  e  lo  svolgimento dell'attivita' extramuraria comporta
l'opzione per il tempo definito ai sensi dell'art. 11 del decreto del
Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382".
    Ed  invero,  la  norma deve ritenersi viziata, in primo luogo, in
via  derivata  in  quanto  l'eventuale  caducazione  delle  norme  in
precedenza    sottoposte    alla    verifica   di   costituzionalita'
comporterebbe, attesa la correlazione automatica con le norme stesse,
l'eliminazione dalla realta' giuridica (anche) della disposizione del
comma 12.
    La  norma  appare altresi' viziata ex se, ove si ponga mente alla
disciplina del regime dell'impegno di servizio - a tempo pieno ovvero
definito  -  per  i  professori  universitari,  giusta  la previsione
dell'art.  11  d.P.R.  382/1980,  come  modificato  dall'art. 3 legge
705/1985 e dagli artt. 3 e 4 legge 118/1989.
    L'ordinamento  universitario impone una scelta meditata tra tempo
pieno   e  tempo  definito,  entro  un  termine  perentorio  riferito
all'inizio dell'anno accademico e con impegno almeno biennale.
    A seconda dell'impegno prescelto, i docenti universitari assumono
una  diversa collocazione nel quadro della struttura universitaria e,
in  definitiva,  un diverso status professionale, anche in termini di
completa   (o   minore)  dedizione  ai  compiti  istituzionali  delle
universita', e cioe' l'insegnamento e la ricerca.
    Si'  che  la scelta del legislatore delegato nel senso della piu'
volte   ricordata   (nell'ordinanza   n. 10904   cit.)  "correlazione
automatica" da' adito a dubbi di costituzionalita' con riferimento al
principio  dell'autonomia  universitaria  nel  perseguimento dei fini
istituzionali didattici e scientifici ex art. 3 Cost. e, incidendo in
definitiva  sullo  stato giuridico del sanitario universitario, anche
con  riferimento all'art. 76 Cost., attesi i gia' evidenziati (sempre
nell'ordinanza  n. 10904)  limiti  ex  art. 6  lett.  c)  della legge
delega.
    Ne' puo' non essere rilevata quella manifesta irragionevolezza ed
intrinseca  contraddittorieta',  nel  contesto  normativo inerente al
regime  di  servizio  dei  docenti  universitari, tra la disposizione
dell'art. 5  comma l2 d.lgs. n. 517 cit. e quella dell'art. 11 d.P.R.
n. 382/1980,  che  gia'  nell'ordinanza  n. 10904  del  2000 e' stata
rilevata  tra  altre  norme  per  poi  farne  derivare una ipotesi di
contrasto  con  l'art. 3  Cost.,  quale canone generale di coerenza e
ragionevolezza  dell'ordinamento,  e  con  l'art.  97 Cost., sotto il
profilo della mancanza di proporzionalita' rispetto alle finalita' da
perseguire.
    Sembra  pertanto  che  la  norma  dell'art.  5, comma 12, non sia
esente  da  dubbi  di  costituzionalita',  oltre che in via derivata,
anche  per  contrasto  con  gli  art.  3,  33,  76  e 97 Cost., ed in
riferimento   all'art.  11,  d.P.R.  n. 382/1980  cit.  e  successive
modificazioni.
    9.  -  Per  le  considerazioni che precedono, va conseguentemente
sollevata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
comma  12,  d.lgs.  n. 517/1999 cit., in via derivata e per contrasto
con gli artt. 3, 33, 76 e 97 Cost.
    Va  disposta,  pertanto,  la  trasmissione  degli atti alla Corte
costituzionale,  con  conseguente  sospensione  del giudizio ai sensi
dell'art. 23,  della  legge  11  marzo  1953, n. 87, per la pronuncia
sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.