ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

    Nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
15 dicembre   1998  relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dall'on.  Tiziana Parenti, relativamente alle dichiarazioni
rese il 4 e il 9 novembre 1994 agli ispettori del Ministero di grazia
e giustizia nell'ambito dell'inchiesta sulla Procura della Repubblica
presso  il Tribunale di Milano, promosso con ricorso del Tribunale di
Roma  - 5a sezione penale - notificato il 18 maggio 2000, deposito in
Cancelleria  il  24  successivo  ed  iscritto  al  n. 25 del registro
conflitti 2000.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2001 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  Con  atto depositato il 9 novembre 1999 il Tribunale di Roma,
quinta  sezione  penale,  nel  corso  del  dibattimento  a carico del
deputato  Tiziana  Parenti  per  il reato di calunnia ai danni di due
magistrati,  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione nei confronti
della  Camera  dei  deputati  avverso  la  deliberazione con la quale
l'assemblea,  in  data  15 dicembre  1998,  ha  dichiarato,  ai sensi
dell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, che i fatti ascritti
alla  parlamentare  concernono  opinioni  espresse  da  un membro del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
    I  fatti  oggetto  del  procedimento,  espone il ricorrente, come
emergono dal capo di imputazione, consistono nelle dichiarazioni rese
il  4  e  9 novembre  1994  agli  ispettori del Ministero di grazia e
giustizia,  nell'ambito di un'inchiesta sull'attivita' dei magistrati
della  Procura  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Milano,
dall'on. Parenti, che avendo fatto parte di quell'ufficio nel periodo
oggetto dell'inchiesta, era stata ascoltata perche' riferisse fatti e
circostanze relativi alle c.d. indagini di "mani pulite".
    Premette  il  tribunale:  a)  che  la  posizione dell'on. Parenti
dinanzi  all'autorita'  ispettiva  sarebbe  assimilabile  a quella di
persona   informata   sui   fatti   nell'ambito  di  un  procedimento
giudiziario,  in  quanto  ella  rappresentava  fatti  e comportamenti
riconducibili  a  se' medesima ed ai suoi ex colleghi, in qualita' di
testimone  con  i  conseguenti  obblighi;  b)  che  le  dichiarazioni
sarebbero  state rese in un contesto avulso, sia cronologicamente che
sostanzialmente,  dall'attivita'  svolta in qualita' di parlamentare,
atteso  che l'indagine ispettiva era diretta ad accertare la "verita'
dei  fatti",  e  non la "visione politica degli stessi"; non sarebbe,
pertanto,  - osserva ancora il tribunale condivisibile la conclusione
cui  e'  giunta  la  Camera  dei  deputati  nella  delibera impugnata
(andando  di contrario avviso rispetto a quanto espresso dalla Giunta
per  le  autorizzazioni  a  procedere  nella  relazione  trasmessa il
22 luglio   1998),   secondo  la  quale  l'on. Parenti  rispose  agli
ispettori  non  spogliandosi  della propria funzione parlamentare, ma
anzi   fornendo  dati  e  circostanze  con  un  taglio  precipuamente
politico.
    Ad  avviso del ricorrente, perche' il Parlamento possa "bloccare"
un  procedimento  a  carico  di  un  suo membro davanti ad un giudice
ordinario  occorrerebbe  che  la  condotta  oggetto  del giudizio sia
legata  con un nesso funzionale alle attribuzioni tipiche del mandato
parlamentare  (vengono  richiamate,  in proposito, le sentenze n. 329
del  1999  e n. 289 del 1998), non essendo sufficiente, per sottrarla
al  sindacato  giurisdizionale,  "ne'  un  mero  criterio cronologico
(riferito  al  tempo  in cui la condotta e' posta in essere), ne' una
generica motivazione politica della condotta" stessa.
    Alla  luce  di tali rilievi, il giudice ricorrente ritiene che la
Camera    dei   deputati   abbia   illegittimamente   deliberato   la
insindacabilita',   ai   sensi   dell'art. 68,   primo  comma,  della
Costituzione,  della  condotta  tenuta  dall'on. Parenti  nell'ambito
della  ispezione  ministeriale, relativamente alle dichiarazioni rese
agli ispettori il 4 e 9 novembre 1994.
    2. Il conflitto e' stato dichiarato, in sede di delibazione senza
contraddittorio  a  norma  dell'art. 37,  terzo e quarto comma, della
legge   11 marzo   1953,   n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale) ammissibile dalla Corte con
ordinanza  n. 140 del 2000; il ricorso, unitamente a detta ordinanza,
e'  stato  notificato  alla  Camera dei deputati il 18 maggio 2000, e
depositato il successivo 24 maggio.
    3.   Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Camera  dei  deputati,
chiedendo,   in   via   preliminare,   di   dichiarare  il  conflitto
irricevibile   o  inammissibile;  in  subordine,  e  nel  merito,  di
dichiarare  che  spettava alla Camera affermare l'insindacabilita', a
norma  dell'art. 68,  primo comma, della Costituzione, delle opinioni
espresse   dalla  on. Parenti  nel novembre  1994  in  occasione  del
procedimento ispettivo concernente la Procura di Milano.
    Un  primo  motivo di inammissibilita' viene individuato nel fatto
che l'atto introduttivo del conflitto non e' sottoscritto da ciascuno
dei  componenti  del  collegio,  come sarebbe prescritto dall'art. 26
delle  norme integrative (viene richiamata, in proposito, la sentenza
n. 10 del 2000); l'incompletezza della sottoscrizione si tradurrebbe,
altresi', in carenza di legittimazione del ricorrente, che solo nella
sua   interezza   di   organo   giurisdizionale  collegiale  potrebbe
qualificarsi  "organo  competente a dichiarare la volonta' del potere
cui appartiene" ex art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953.
    Un   secondo   motivo   di  inammissibilita'  risiederebbe  nella
circostanza che l'atto introduttivo e' sprovvisto della denominazione
tanto   di   ordinanza   che  di  ricorso,  sicche'  non  apparirebbe
riconducibile  ad  alcuna  categoria di atti introduttivi di giudizio
davanti  a questa Corte; la notificazione dell'atto, poi, non sarebbe
valida,  in  difetto  dell'ordine  del  giudice  alla  cancelleria di
procedere alla notificazione stessa.
    Inoltre,   il   ricorso   sarebbe  inammissibile  perche'  l'atto
introduttivo  non  conterrebbe  la  "richiesta  di  una pronuncia che
dichiari  non  spettare  alla  Camera  la valutazione contenuta nella
deliberazione   impugnata,   e   che   annulli   quest'ultima",   ne'
l'indicazione  delle  norme  costituzionali che regolano la materia -
non essendo sufficiente la citazione dell'art. 68, primo comma, della
Costituzione  -  ne'  le  ragioni alla base del conflitto, atteso che
esso  non  da'  conto  dei  contenuti  delle dichiarazioni rese dalla
parlamentare; a tale omissione non potrebbe ovviare il riferimento ai
capi  di  imputazione  nel processo penale in corso, ove si consideri
quanto  prescritto  dall'art. 26  delle  norme  integrative, e quanto
disposto  dall'ordinanza  n. 140  del  2000,  di  ammissibilita'  del
presente  conflitto,  che  ha ritenuto irrituale la trasmissione alla
Corte   degli   atti   del   procedimento   penale,  disponendone  la
restituzione al tribunale ricorrente.
    Nel  merito,  la  Camera  contesta i motivi dedotti relativi alla
anteriorita'  dei  fatti,  rispetto  all'assunzione  dello  status di
parlamentare,  e  alla  circostanza  che le dichiarazioni siano state
rese  nel  corso  di  un'inchiesta  disciplinare,  ovvero  in sede di
testimonianza  penale,  e sostiene che lo stesso resoconto dei fatti,
indipendentemente  dalle  valutazioni  personali,  sarebbe  idoneo ad
integrare  la  nozione  di  "opinioni  espresse",  e  ad  attivare la
guarentigia  dell'insindacabilita';  ne' potrebbe condividersi l'idea
che  talune  sedi  extraparlamentari,  come  nella specie l'inchiesta
disciplinare, comportino la dismissione della veste di parlamentare.
    Cio'  posto,  la  difesa  della  Camera  dei deputati - dopo aver
ricordato  la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 11 del 2000
e  n. 417  del  1999)  secondo la quale possono considerarsi espresse
nell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari  non  solo  le opinioni
contenute  in  atti svolti all'interno dei vari organi parlamentari e
paraparlamentari,  ma  anche  quelle  espresse  extra  moenia purche'
inerenti all'esercizio di tali funzioni - deduce che le dichiarazioni
in esame rientrerebbero nell'ambito della guarentigia costituzionale,
con ampie argomentazioni.
    4.  In  una successiva memoria la Camera dei deputati, insistendo
nelle  conclusioni  gia' rassegnate e riproponendo gli argomenti gia'
dedotti,    ha,    in    particolare,    sottolineato,    in   ordine
all'ammissibilita' del conflitto, come il ricorso non contenga alcuna
indicazione  circa  il contenuto delle dichiarazioni del parlamentare
di   cui  si  dovrebbe  stabilire  l'appartenenza  alla  sfera  della
insindacabilita'.
    Tale carenza, sempre secondo la difesa della Camera dei deputati,
vertendo  sull'elemento  del  conflitto  che  assume priorita' logica
(rispetto  alle censure alla delibera di insindacabilita), renderebbe
indecifrabile  l'intero  atto  introduttivo, perche' precluderebbe la
possibilita'  di apprezzare la correlazione fra dichiarazioni esterne
e  attivita' politico-parlamentare, venendo a mancare uno dei termini
di tale correlazione.

                       Considerato in diritto

    1.  Preliminarmente  devono  essere  esaminate  le  eccezioni  di
inammissibilita'  del ricorso, avanzate dalla difesa della Camera dei
deputati in questa seconda fase del conflitto.
    Non  e'  fondata  l'eccezione  relativa  alla  mancanza nell'atto
introduttivo  della  sottoscrizione di tutti i componenti dell'organo
collegiale:  come questa Corte ha gia' affermato (sentenza n. 321 del
2000),  per  la  validita'  dell'atto  introduttivo  del  ricorso per
conflitto promosso da un organo collegiale, nella specie giudiziario,
e'  sufficiente la sottoscrizione del Presidente dello stesso, che lo
rappresenta.
    Parimenti  e'  infondata l'eccezione desunta dall'assenza di ogni
intitolazione   dell'atto   introduttivo:   il   ricorso  e'  valido,
indipendentemente  dalla  sua  autoqualificazione, in quanto contenga
gli  elementi  essenziali  che  lo  devono  caratterizzare  per legge
(sentenze n. 11 e n. 10 del 2000).
    A  una  diversa  conclusione  la Corte perviene in relazione alla
deduzione   da  parte  della  Camera  dei  deputati  della  mancanza,
nell'atto  introduttivo,  di una valida domanda volta ad ottenere una
pronuncia  che  dichiari  non  spettare  alla  Camera  la valutazione
contenuta  nella deliberazione impugnata, e che annulli quest'ultima,
e di una compiuta prospettazione del thema decidendum.
    Alla luce dell'indirizzo interpretativo affermato con le sentenze
n. 364  e  n. 363  del  2001; n. 31 e n. 15 del 2002, il ricorso deve
essere  dichiarato  inammissibile.  Infatti, l'atto introduttivo, pur
contenendo  gli  elementi indispensabili per la identificazione delle
"ragioni  del  conflitto"  difetta di una compiuta prospettazione del
thema  decidendum. Manca, nella specie, una domanda consistente nella
sostanziale  richiesta  di una pronuncia della Corte che dichiari non
spettare  alla  Camera di appartenenza la valutazione contenuta nella
delibera   impugnata   con   conseguente  annullamento  della  stessa
delibera;
    Ne  consegue  l'inammissibilita'  del  ricorso  per  conflitto in
quanto carente dei suoi requisiti essenziali.