LA CORTE DI ASSISE

    All'udienza  dibattimentale  del  12 febbraio  2002  ha emesso la
seguente  ordinanza  nel  procedimento a carico di Alberti Gerlando e
Sutera  Giovanni,  nonche'  di  Federico  Franca,  Federico Giuseppe,
Cannistra'   Agata   e   Romano   Francesco,  imputati  i  primi  due
dell'omicidio aggravato di Campagna Graziella e del connesso reato in
materia  di  armi,  commessi  in  Villafranca  Tirrena  (Messina)  il
12 dicembre  1985, e gli altri del reato di cui agli artt. 378 c.p. e
7  della  legge  n. 203  del 1991, commesso in Messina e provincia in
varie date comprese fra il 14 dicembre 1985 e il 23 maggio 1997.
    Nel  corso  dell'udienza  odierna, destinata all'assunzione delle
prove  richieste  dal  difensore  delle  parti civili Curreri Santa e
Campagna  Piero  con lista integrativa depositata il 22 ottobre 2001,
il   testimone  Sfameni  Antonino  ha  evidenziato,  durante  l'esame
condotto  dallo  stesso difensore che ha chiesto la sua audizione, la
propria  intenzione  di non essere obbligato a deporre su circostanze
riguardanti  il  padre  Santo  e,  in particolare, su quanto potrebbe
pregiudicare  la  sua  situazione  giudiziaria.  Sentite  le parti in
merito alla questione, i difensori degli imputati hanno rappresentato
la  necessita'  di  evitare che il testimone possa essere obbligato a
deporre  su  fatti  e  circostanze che coinvolgono il padre Santo, in
quanto  imputato  nell'ambito  di  procedimento connesso o collegato,
ipotizzando  una interpretazione estensiva o analogica della facolta'
di  astensione  accordata ai prossimi congiunti dall'art. 199 c.p.p.,
mentre  il  pubblico  ministero ha sottolineato l'inapplicabilita' di
tale norma allo Sfameni.
    La   questione  sottoposta  all'attenzione  della  corte  involge
evidentemente  la possibilita' di estendere la facolta' di astensione
ai   prossimi   congiunti   di  persone  che,  sebbene  non  imputate
nell'ambito   del   procedimento   nel   quale   deve   assumersi  la
testimonianza,  siano  sottoposte  a  procedimento  penale connesso o
collegato  a  quello,  e  quindi  godano,  anche  in  base alla nuova
formulazione dell'art. 210 c.p.p., della facolta' di non rispondere.
    Giova  chiarire  che  Sfameni  Santo,  convocato  originariamente
davanti  a  questa  corte  su  richiesta  delle  parti  civili con le
modalita'  di  cui  all'art. 210  c.p.p.  (ed inserito al n. 61 della
lista  iniziale  depositata il 2 dicembre 1998), comparso all'udienza
del  7 giugno  2001,  peraltro  in  seguito  ad  un  provvedimento di
accompagnamento  coattivo,  ha  dichiarato  di volersi avvalere della
facolta'  di non rispondere. In merito alla necessita' di assumere lo
Sfameni  con  le  garanzie in questione, in conformita' alla espressa
indicazione  della  stessa  parte  che  ne  ha  chiesto  l'esame, non
sussiste  alcun  dubbio e tutte le parti si sono limitate a prenderne
atto,  essendo ripetutamente emerso nel corso del dibattimento che lo
Sfameni  figura  quale  imputato o indagato in altri procedimenti che
concernono vicende che l'impostazione accusatoria collega a quella in
esame,  ed  avendo  il  pubblico ministero proceduto, all'udienza del
7 giugno  2001  e  subito dopo la comparizione di Sfameni Santo, alla
modificazione dell'imputazione di favoreggiamento ascritta a Federico
Franca,  Federico  Giuseppe, Cannistra' Agata e Romano Francesco, tra
l'altro contestando l'aggravante di cui all'art. 7 del d.l. 13 maggio
1991,  n. 152,  conv. dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, "per essere
stati  i  fatti commessi al fine di agevolare la associazione mafiosa
di  cui  facevano  parte  Alberti Gerlando, Sutera Giovanni e Sfameni
Santo  o  -  comunque  -  con  cui  costoro  erano  in  contatto". La
situazione  illustrata attesta la legittima applicazione allo Sfameni
delle  garanzie  di  cui all'art. 210 c.p.p., e, conseguentemente, la
legittimita' della sua scelta di sottrarsi all'esame.
    Cio'  posto, e' evidente che l'esame nelle forme ordinarie, quale
testimone,  del  figlio dello Sfameni finira' per estendersi a quelle
circostanze che, ove il congiunto non si fosse avvalso della facolta'
di  non  rispondere,  avrebbero  formato  oggetto  del  suo esame. Il
capitolato  di  prova  articolato  dalla  parte istante ed ammesso da
questa  corteinveste  infatti  i  "rapporti  intercorrenti fra questi
[Antonino   Sfameni],  il  padre  Santo  Sfameni,  Gerlando  Alberti,
Romualdo  Viola,  Enzo  La  Rosa  e  Antonino Cisco e su quanto a sua
conoscenza    sui    fatti   di   cui   ai   capi   di   imputazione"
L'onnicomprensivita'  delle  circostanze indicate e le stesse battute
iniziali  dell'esame  condotto  dal difensore della parte richiedente
attestano,   senza   dubbio   alcuno,   la   fondatezza   dei  timori
rappresentati  dal testimone e la certa estensione dell'esame a fatti
coinvolgenti  la  posizione  e  le  responsabilita' del congiunto. La
circostanza poi che lo stesso Sfameni Santo, gia' convocato da questa
corte,  si sia avvalso della facolta' di non rispondere, rende ancora
piu'  evidente la possibilita' che, attraverso l'esame del congiunto,
possano  emergere  fatti o elementi in relazione ai quali il primo si
era  determinato,  in  omaggio  al  fondamentale  canone per cui nemo
tenetur se detegere, ad avvalersi della facolta' di non rispondere.
    In  merito  alla  norma invocata dai difensori degli imputati per
consentire  al  teste  Sfameni  Antonino  di  non  essere obbligato a
deporre  su  fatti  concernenti  la  posizione  del  padre, va subito
evidenziato  che  essa,  per interpretazione assolutamente dominante,
non  e'  suscettibile  di  interpretazione  analogica o estensiva, in
quanto  il  rapporto  di parentela deve sussistere tra il teste ed il
soggetto  contro  cui  si  sta procedendo e la norma esaurisce i suoi
effetti  nell'ambito  del  processo  in questione (v. fra tante Cass.
12 giugno 1996, Curinga).
    Il   diritto   vivente,   confermando   l'impraticabilita'  della
soluzione  prospettata dai difensori, e' in sintonia con il principio
di  carattere generale, che e' ispirato dalla eccezionalita' di tutte
le norme che pongono limiti alla generale capacita' di testimoniare o
determinano  specifiche  esenzioni dai relativi obblighi. Tuttavia la
obbligata  applicazione  delle  regole generali non esclude che possa
dubitarsi  della legittimita' costituzionale dei limiti entro i quali
la  facolta'  di  astensione  dei  prossimi congiunti e' prevista dal
citato  art. 199  del  codice di rito. Infatti il vulnus arrecato dai
limiti  della  normativa  denunziata al principio di eguaglianza e al
diritto  di  difesa  non e' adeguatamente compensato dalla estensione
della  gamma  di  soggetti  che possono legittimamente sottrarsi alla
testimonianza.
    Richiamate, per quanto attiene alla indiscutibile rilevanza della
questione,   le   considerazioni  in  precedenza  illustrate,  appare
difficilmente  superabile,  innanzitutto,  il  contrasto con l'art. 3
della   Costituzione,   in   quanto   situazioni   assimilabili  sono
irragionevolmente disciplinate in maniera diversa.
    La  ratio  della  facolta'  di  astensione  accordata ai prossimi
congiunti  dell'imputato  e'  quella  di impedire il conflitto che si
determina  tra  l'obbligo  di  testimoniare  e  la  volonta'  di  non
compromettere,  con  le  proprie  dichiarazioni,  persone  legate  al
dichiarante  da  vincoli particolarmente significativi, conflitto che
l'ordinamento   mira  a  prevenire  attraverso  la  previsione  della
facolta'  in  esame,  e  a  risolvere  successivamente  attraverso la
specifica  causa  di  non  punibilita'  contemplata dall'art. 384 del
codice penale.
    La  ratio  in  questione non puo' non riguardare anche il caso in
cui  il  rapporto  che  potrebbe  indurre a rendere dichiarazioni non
veritiere  o  a essere reticenti intercorra tra il testimone ed altra
persone  imputata  di  reato  connesso  o  collegata,  la cui vicenda
processuale  e'  legata  in  tale  misura  al  processo  nel quale le
dichiarazioni dovrebbero essere raccolte da determinare la previsione
della facolta' di non rispondere.
    D'altra  parte,  anche  con  riferimento  a  questa  ipotesi,  il
conflitto denunziato sarebbe risolto dall'ordinamento, per cosi' dire
"a  valle",  attraverso  l'applicazione  della specifica causa di non
punibilita',  che  ha  ambito  piu'  esteso  della facolta' accordata
dall'art. 199  del codice di rito, e, attesa l'identita' degli esiti,
non  si  intende per quale plausibile motivo non possa anticiparsi la
soluzione  del  problema  al  momento  stesso  dell'assunzione  della
testimonianza,  con la auspicabile conseguenza di evitare di porre il
dichiarante  nell'alternativa  di  pregiudicare  il  congiunto  o  di
deporre il falso.
    Il  che  appare  ancora  meno comprensibile nelle ipotesi in cui,
come  nel  caso in esame, l'imputato di reato connesso o collegato si
sia  gia'  avvalso  della  facolta' di non rispondere, e viceversa al
prossimo   congiunto   tale   facolta'   non  possa  riconoscersi.  A
prescindere   dagli  eventuali  limiti  di  utilizzabilita'  di  tali
dichiarazioni  nel  processo  che  vede  coinvolto  il  congiunto del
testimone,  appare  evidente  che  attraverso  le  dichiarazioni  del
testimone  potrebbero rimanere frustrate le ragioni che hanno indotto
il  soggetto  qualificato  ex  art. 210  c.p.p.  ad  avvalersi  della
facolta'  di  non  rispondere,  e  cio' pone la normativa in esame in
contrasto  con  il  suo  diritto  di  difesa (art. 24 Cost.) a cui la
concessione di quella facolta' appare preordinata.
    Della  relativa  questione  di  legittimita' deve essere pertanto
investita  la  Corte costituzionale con la conseguente sospensione di
questo processo e le relative statuizioni accessorie.