ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  per  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato
sorti  a  seguito:  a)  dell'art. 9, comma 7, del decreto legislativo
30 luglio  1999,  n. 303  (Ordinamento della Presidenza del Consiglio
dei ministri, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59);
b)  dei  decreti  del Presidente del Consiglio dei ministri emessi il
23 dicembre    1999    (Disciplina   dell'autonomia   finanziaria   e
contabilita'   della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri),  il
15 aprile  2000  e  il  4 agosto  2000  (Ordinamento  delle strutture
generali   della   Presidenza   del  Consiglio  dei  ministri)  e  il
12 settembre  2000  (Modifiche dell'art. 6 del decreto del Presidente
del  Consiglio  dei ministri 4 agosto 2000, recante ordinamento delle
strutture  generali  della  Presidenza  del  Consiglio dei ministri),
promossi dalla Corte dei conti con ricorsi notificati il 12 gennaio e
il  15 marzo  2001,  depositati  il  17 gennaio e il 26 marzo 2001, e
iscritti ai nn. 4 e 12 del registro conflitti dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15 gennaio  2002  il  giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
    Uditi  gli  avvocati  Vincenzo Caputi Jambrenghi per la Corte dei
conti  e l'avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte  dei  conti,  in  persona  del suo Presidente ha
proposto  due  ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato contro il Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del
Consiglio,  e  contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri, per
violazione degli artt. 76 e 100, secondo comma, della Costituzione:
        a)   il   primo   (reg.  conflitti  n. 4/2001)  in  relazione
all'approvazione   dell'art. 9,  comma  7,  del  decreto  legislativo
30 luglio  1999,  n. 303  (Ordinamento della Presidenza del Consiglio
dei ministri, a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59),
all'emanazione  del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
23 dicembre    1999    (Disciplina   dell'autonomia   finanziaria   e
contabilita'   della   Presidenza   del  Consiglio  dei  ministri)  e
all'emanazione  del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
15 aprile 2000 (Ordinamento delle strutture generali della Presidenza
del Consiglio dei ministri);
        b)  il  secondo  (reg.  conflitti  n. 12/2001)  in  relazione
all'approvazione  del citato art. 9, comma 7, del decreto legislativo
n. 303  del  1999,  all'emanazione  del  decreto  del  Presidente del
Consiglio  dei  ministri  4 agosto  2000 (Ordinamento delle strutture
generali   della   Presidenza   del   Consiglio   dei   Ministri)   e
all'emanazione  del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
12 settembre  2000  (Modifiche  all'art. 6 del decreto del Presidente
del  Consiglio  dei ministri 4 agosto 2000, recante ordinamento delle
strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri).
    2.  - Nel primo ricorso (reg. conflitti n. 4/2001) - premesso che
nella Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio 2000, n. 24, e nella Gazzetta
Ufficiale   del   21 aprile   2000,   n. 94,  sono  stati  pubblicati
rispettivamente   il   d.P.C.m.   23 dicembre   1999   sull'autonomia
finanziaria  e  la  contabilita'  della  Presidenza del Consiglio dei
ministri e il d.P.C.m. 15 aprile 2000, relativo all'ordinamento delle
strutture  generali  della  Presidenza  del  Consiglio - la Corte dei
conti  lamenta che i citati decreti, pur essendo "atti di Governo" di
"estrema  rilevanza", il primo dei quali dotato di efficacia esterna,
poiche'  al  capo  V  contiene la disciplina dell'attivita' negoziale
della  Presidenza  del  Consiglio,  mentre  il secondo "importa oneri
assai  notevoli  a  carico  del bilancio dello Stato", non sono stati
sottoposti al controllo di legittimita' della stessa Corte dei conti,
contrariamente  a  quanto dispongono l'art. 100, secondo comma, della
Costituzione  e l'art. 3, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti).
    2.1.  -  La  ricorrente ricorda che la legislazione ordinaria sul
controllo  di  legittimita'  della Corte dei conti ha subito numerose
modifiche  fino all'entrata in vigore della legge n. 20 del 1994, che
ha conservato, all'art. 3, il controllo preventivo di legittimita' su
alcune  categorie  di  atti  del  Governo  "nell'ambito  dei rapporti
giuridici  di  piu'  spiccato  profilo  contabilistico  e  di  tutela
oggettiva dei principi di legalita' e di buon andamento".
    L'art. 9,  comma  7,  del  decreto  legislativo  n. 303  del 1999
dispone  che  ai  decreti  emanati  dal  Presidente del Consiglio dei
ministri in base agli artt. 7, 8 e 9 del medesimo decreto legislativo
non  sono  applicabili  ne'  la disciplina dettata dall'art. 17 della
legge  23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e
ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei ministri), ne' il
controllo  preventivo  di legittimita' della Corte dei conti regolato
dall'art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge n. 20 del 1994.
    Il  ricorso  investe  pertanto  il decreto legislativo n. 303 del
1999  e  i  due  citati  decreti  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri,  che  del primo costituirebbero le "piu' cospicue e dirette
applicazioni illegittime".
    2.2. - Cio' premesso, la ricorrente, richiamata la giurisprudenza
costituzionale  in  materia,  afferma  la  propria  legittimazione  a
sollevare  - nell'esercizio della funzione di controllo preventivo di
legittimita' - conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
    Quanto  alla  natura  legislativa  dell'atto che si assume lesivo
della  sfera di attribuzioni riservata alla Corte dei conti, essa non
e'  -  prosegue  la  ricorrente  - di ostacolo all'ammissibilita' del
conflitto,    perche'    questo   tende   a   ripristinare   l'ordine
costituzionale delle competenze.
    2.3.  -  Nel  merito,  la  ricorrente  sostiene  che  il  decreto
legislativo  n. 303  del 1999 violi l'art. 76 della Costituzione, per
eccesso di delega.
    Con  riferimento  alla possibilita' di dedurre in un giudizio per
conflitto   di   attribuzioni   tale   vizio,   nel  caso  di  specie
sussisterebbe  il requisito - individuato dalla Corte costituzionale,
in  particolare  nella  sentenza n. 457 del 1999 - consistente in uno
stretto collegamento tra la lesione dell'art. 76 della Costituzione e
la  compressione  delle  attribuzioni  costituzionali fatte valere in
giudizio.
    La  ricorrente  ritiene  che,  in  un  contesto nel quale vengono
introdotti   elementi   -  di  natura  legislativa,  regolamentare  o
provvedimentale  -  i quali tendono "ad affrancare il piu' possibile"
l'attivita' amministrativa del Governo dal controllo esercitato dalla
Corte   dei  conti,  il  Governo  stesso  abbia  irragionevolmente  e
immotivatamente  interpretato  in  modo  estensivo le norme contenute
nell'art. 11,  comma  1,  lettera  a),  e  nell'art. 12  della  legge
15 marzo  1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per  il conferimento di
funzioni  e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa). Da
tale  "forzatura"  interpretativa  deriverebbero sia, in primo luogo,
l'art. 9  del  decreto  legislativo  n. 303  del 1999, che, pur senza
abrogarlo,  neutralizzerebbe la parte significativa dell'art. 3 della
legge  n. 20 del 1994, rendendolo inapplicabile proprio nei confronti
dei  decreti  governativi  previsti nello stesso decreto legislativo,
sia,  conseguentemente,  gli  ulteriori  atti  impugnati nel presente
giudizio.
    L'art. 11, comma 1, della legge n. 59 del 1997, prosegue la Corte
dei  conti,  stabilisce  che  si  proceda,  con  decreti  legislativi
delegati,  ad una "razionalizzazione" - anche attraverso il riordino,
la  soppressione e la fusione - dell'ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei ministri e dei ministeri. La delega non si estenderebbe
pero'  fino  a  consentire  la "irrazionale" sottrazione al controllo
preventivo   di   legittimita'  delle  attivita'  amministrative  che
realizzano tale riorganizzazione e di quelle da essa derivanti.
    Il  controllo  preventivo  di legittimita' e' stato rivisitato in
occasione  della  riforma attuata con la legge n. 20 del 1994 secondo
un'ispirazione,  ad avviso della ricorrente, "riduttiva dell'area del
controllo in questione": per questo motivo gli attuali piu' ristretti
confini  entro  i quali si esercita il controllo preventivo sarebbero
da  ritenere  invalicabili, pena l'alterazione della fisionomia della
funzione  di  controllo  delineata  dall'ordinamento. Interpretazioni
riduttive  dell'elenco,  contenuto  nell'art. 3 della legge n. 20 del
1994,  degli  atti  governativi  soggetti  al controllo preventivo di
legittimita'  sarebbero  percio'  da escludere in quanto confliggenti
con l'art. 100, secondo comma, della Costituzione.
    La  ricorrente  prende inoltre in considerazione l'art. 12, comma
2,  della  legge  n. 59 del 1997, affermando che questa attribuisce e
regola  "nuovi  poteri  di bilancio" per il Presidente del Consiglio,
circostanza  dalla  quale  si  desumerebbe che il legislatore, avendo
disciplinato  in maniera cosi' dettagliata la materia contabile senza
toccare  la  materia  del  controllo,  avrebbe  inteso escludere ogni
modificazione  al  regime  dei  controlli  imperniato  sull'art. 100,
secondo comma, della Costituzione e sull'art. 3 della legge n. 20 del
1994.
    L'eccesso  di  delega risulterebbe evidente ove si consideri che,
pur  nel  dettaglio  che  caratterizza  gli artt. 11 e 12 della legge
n. 59  del  1997,  nessun  riferimento  sarebbe  in essi contenuto al
regime dei controlli sui "nuovi" atti amministrativi del Governo. Dal
silenzio del legislatore dovrebbe - secondo la ricorrente - desumersi
il  divieto  di sopprimere o ridurre i controlli previsti dalla legge
n. 20 del 1994.
    2.4.  -  Con  riferimento  alla dedotta violazione dell'art. 100,
secondo comma, della Costituzione, la Corte dei conti afferma inoltre
che   la   categoria   degli   "atti  di  governo"  richiamata  dalla
disposizione  costituzionale citata deve essere individuata a partire
dagli  artt. da 92 a 95 della Costituzione, che regolano la struttura
e  le  funzioni  del  Governo.  Da  cio'  dovrebbe  desumersi che, in
presenza  di  precise definizioni dei termini soggettivi e oggettivi,
il  rispetto  della norma costituzionale sul controllo della Corte e'
"un   elemento   compositivo  del  quadro  costituzionale  rigido  ed
immodificabile".
    2.5.  -  La ricorrente passa quindi a esporre le censure relative
al  d.P.C.m.  23 dicembre  1999. Il Governo avrebbe omesso di inviare
l'atto  al  controllo  preventivo  illegittimamente,  poiche' sarebbe
"palesemente  incostituzionale" la norma contenuta nell'art. 9, comma
7,  del decreto legislativo n. 303 del 1999, che a cio' lo autorizza.
Da cio' deriverebbe non solo l'illegittimita' dell'atto in questione,
ma anche la sua inefficacia.
    Il  citato  d.P.C.m. violerebbe, ad avviso della Corte dei conti,
sia  l'art. 100,  secondo  comma,  della  Costituzione, sia l'art. 3,
comma  1, della legge n. 20 del 1994, che elenca gli atti del Governo
soggetti  al  controllo  preventivo  di  legittimita'.  Questi sono -
afferma  la  ricorrente  - gli atti normativi a rilevanza esterna che
hanno natura di atti di indirizzo politico-amministrativo: ricorrendo
tale  presupposto la soggezione al controllo preventivo sussisterebbe
comunque, a prescindere dall'inquadramento dell'atto in questione tra
quelli "di governo".
    Non  sarebbe accettabile, prosegue la Corte dei conti, la pretesa
del  Governo di escludere l'atto in questione dal controllo in quanto
"atto   regolamentare   interno",  perche'  in  esso  sono  contenute
previsioni  generali  ed  astratte,  dirette  a regolare rapporti con
terzi e suscettibili di applicazione ripetuta.
    All'atto  in  questione  dovrebbe essere riconosciuta funzione di
indirizzo  politico-amministrativo,  poiche'  esso  esprime direttive
generali per l'indirizzo e lo svolgimento dell'azione amministrativa,
con   la   conseguenza   che,  anche  volendo  escluderne  la  natura
regolamentare,   esso  ricadrebbe  tra  gli  atti  da  sottoporre  al
controllo  ai  sensi  dell'art. 3,  comma  1, lettera b), della legge
n. 20 del 1994.
    Ne'  sarebbe  accettabile la tesi, sostenuta dal Governo, secondo
cui  solo  gli  atti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio
dei  ministri  potrebbero definirsi quali atti del Governo, mentre le
altre  ipotesi contemplate all'art. 3, comma 1, della legge n. 20 del
1994   avrebbero   carattere  "meramente  aggiuntivo"  rispetto  alla
previsione  dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione. Secondo
la  ricorrente  tale interpretazione si discosta "dal diritto scritto
come  da  quello  vivente", poiche' la Costituzione, nel delineare il
Governo  quale  organo  complesso caratterizzato dalla collegialita',
dall'autonomia dei singoli ministri e dalla preminenza del Presidente
del Consiglio, precluderebbe, ai fini dell'imputazione degli atti che
da   esso   provengono,  ogni  distinzione  tra  gli  organi  che  lo
compongono. Sarebbe pertanto impossibile negare la natura di atto del
Governo  a  un  atto  normativo  o a una direttiva del Presidente del
Consiglio,  pur  in mancanza dell'intervento collegiale del Consiglio
dei ministri.
    Parimenti,  dovrebbe essere attribuita natura di atto del Governo
a  un  atto  normativo  o di programmazione di un ministro, poiche' a
questi  -  salva  la  responsabilita'  individuale  per  gli atti del
proprio  ministero  -  spetta  l'attuazione  dell'indirizzo  politico
governativo collegialmente stabilito.
    2.6.  -  La ricorrente espone quindi censure di analogo contenuto
relativamente  al d.P.C.m. 15 aprile 2000. Anche questo atto, come il
precedente,  violerebbe  le attribuzioni costituzionalmente garantite
della  Corte  dei  conti,  trovando il suo fondamento nell'art. 9 del
decreto  legislativo  n. 303  del  1999, di cui si assume il vizio di
eccesso  di  delega;  e  anch'esso sarebbe inefficace in quanto privo
"della fondamentale fase del controllo preventivo".
    Nel  merito, il decreto impugnato, che rappresenta la nuova fonte
di  disciplina  degli uffici della dirigenza generale operanti presso
la  Presidenza  del  Consiglio, sarebbe un atto normativo a rilevanza
esterna,   costituente   esercizio   della   funzione   di  indirizzo
politico-amministrativo  spettante  -  ai sensi dell'art. 3, comma 1,
del  decreto  legislativo  3 febbraio  1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina  in  materia  di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2
della  legge  23 ottobre  1992,  n. 421)  [disposizione  ora trasfusa
nell'art. 4  del  decreto  legislativo  30 marzo  2001, n. 165 (Norme
generali   sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze  delle
amministrazioni  pubbliche)]  -  agli organi di governo, a differenza
degli  atti  di  gestione  finanziaria,  tecnica  ed  amministrativa,
riservati ai dirigenti dal comma 2 dello stesso articolo.
    Ma  anche  qualora  si considerasse il d.P.C.m. in questione come
regolamento  interno  esso,  ad avviso della ricorrente, rientrerebbe
nell'elenco di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge n. 20
del  1994,  poiche' si tratta di un atto del Presidente del Consiglio
che  ha ad oggetto la formulazione di direttive generali, l'indirizzo
e  lo  svolgimento di un'azione amministrativa che incide nell'ambito
dell'organizzazione   amministrativa   generale   e  dell'ordinamento
giuridico.
    2.7. - La ricorrente conclude chiedendo alla Corte costituzionale
di dichiarare:
        a)   "che  non  spetta  al  Governo  sottrarre  al  controllo
preventivo  di legittimita' i suoi atti amministrativi" - nel caso di
specie  gli  atti di governo emanati dal Presidente del Consiglio dei
ministri, dal Consiglio dei ministri o dal singolo ministro - secondo
quanto dispone l'art. 3, comma 1, della legge n. 20 del 1994;
        b)  che  spetta  alla  Corte dei conti, in base all'art. 100,
secondo  comma,  della  Costituzione,  il  controllo  sugli  atti del
Governo  elencati  dal  citato art. 3, comma 1, della legge n. 20 del
1994;
        c)  l'illegittimita'  dell'invasione delle attribuzioni della
Corte   dei   conti,   determinata  dall'approvazione  ed  emanazione
dell'art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999.
    Conseguentemente,   la   Corte   dei   conti  chiede  alla  Corte
costituzionale:
        a)  di annullare tale ultima disposizione, nella parte in cui
dichiara  non  applicabile,  ai decreti previsti negli artt. 7, 8 e 9
dello  stesso  decreto  legislativo  n. 303,  la  disciplina  di  cui
all'art. 3,  commi  1,  2  e  3,  della  legge  n. 20  del  1994 e la
disciplina di cui all'art. 17 della legge n. 400 del 1988;
        b)  di  dichiarare  "l'inefficacia" del d.P.C.m. 23 settembre
1999  e  del  d.P.C.m.  15 aprile 2000, per mancato conseguimento del
visto   al  termine  del  procedimento  di  controllo  preventivo  di
legittimita'    previsto    dall'art. 100,   secondo   comma,   della
Costituzione.
    3. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  depositando una memoria nella quale, con riserva di ulteriori
deduzioni,  si  afferma  in  primo  luogo  che  e' "da dubitare" - in
relazione  alla  natura  delle funzioni che si pretende di tutelare e
alle modalita' di accesso al giudizio per conflitto di attribuzioni -
sia  dell'ammissibilita' del ricorso, sia dell'interesse al medesimo,
considerato  che  la  Corte  dei  conti avrebbe gia' espletato le sue
funzioni  collaborative  -  precisamente  di  tipo  consultivo  -  in
relazione all'emanazione dell'atto amministrativo contestato.
    L'Avvocatura  rileva inoltre che il d.P.C.m. 15 aprile 2000, gia'
modificato  da  un d.P.C.m. del 23 maggio 2000, e' stato abrogato dal
d.P.C.m. 4 agosto 2000.
    Nel   merito,   l'Avvocatura   -  lasciando  impregiudicata  ogni
considerazione sulla natura degli atti amministrativi impugnati e sul
loro  rapporto  con  l'art. 3,  comma 1, della legge n. 20 del 1994 -
afferma che:
        a)  il  decreto  legislativo  n. 303  del 1999 ha inteso dare
attuazione al disposto dell'art. 95 della Costituzione, cosicche' non
sussisterebbe l'eccesso di delega denunciato;
        b) il decreto legislativo impugnato non inciderebbe sull'area
del controllo preventivo attribuita dalla Costituzione alla Corte dei
conti;
        c)    conseguentemente,   una   volta   esclusa   l'idoneita'
dell'art. 9,  comma  7,  del  decreto  legislativo  n. 303 del 1999 a
ledere  le attribuzioni costituzionalmente riservate alla ricorrente,
sarebbe  da  escludere  la lesivita' degli atti amministrativi che ad
esso si conformano.
    4. - Nel secondo ricorso (reg. conflitti n. 12/2001) la Corte dei
conti,  rilevato  che  il  d.P.C.m.  4 agosto  2000  ha espressamente
abrogato  il d.P.C.m. 15 aprile 2000, sostiene preliminarmente che si
sarebbe  determinato  il  venir meno della materia del contendere del
precedente  ricorso, limitatamente al punto concernente la domanda di
declaratoria di inefficacia del decreto del 15 aprile 2000.
    4.1.  -  La  Corte  dei  conti  riproduce  le considerazioni gia'
svolte,  a  proposito  del  decreto legislativo n. 303 del 1999 e del
d.P.C.m.  15 aprile  2000,  nel  precedente  ricorso,  precisando che
l'ulteriore  conflitto e' giustificato "dalla necessita' di investire
della  censura  di  inefficacia  il  d.P.C.m. 4 agosto 2000 (e la sua
modifica del 12 settembre 2000)", e chiedendo inoltre la riunione dei
giudizi.
    Nel  merito  si  ribadisce  che il decreto legislativo n. 303 del
1999   avrebbe  violato,  per  eccesso  di  delega,  l'art. 76  della
Costituzione,  comprimendo  le  attribuzioni  in materia di controllo
preventivo  di legittimita' garantite - dall'art. 100, secondo comma,
della  Costituzione  -  alla Corte dei conti, mentre l'illegittimita'
del  d.P.C.m.  4 agosto  2000  e  del d.P.C.m. 12 settembre 2000, che
modifica    l'art. 6   del   precedente,   deriverebbe   direttamente
dall'illegittimita' da cui ictu oculi sarebbe viziato l'art. 9, comma
7, del decreto legislativo censurato.
    4.2.  -  La  ricorrente  conclude  per  una pronuncia della Corte
costituzionale che dichiari:
        a)   "che  non  spetta  al  Governo  sottrarre  al  controllo
preventivo di legittimita' di competenza della Corte dei conti i suoi
atti amministrativi" - nel caso di specie gli atti di governo emanati
dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal Consiglio dei ministri
o  dal  singolo  ministro  secondo  quanto dispone l'art. 3, comma 1,
della legge n. 20 del 1994;
        b)  che  spetta  alla  Corte dei conti, in base all'art. 100,
secondo  comma,  della  Costituzione,  il  controllo  sugli  atti del
Governo  elencati  dal  citato art. 3, comma 1, della legge n. 20 del
1994;
        c)  l'illegittimita'  dell'invasione delle attribuzioni della
Corte   dei   conti,   determinata  dall'approvazione  ed  emanazione
dell'art. 9, comma 7, del decreto legislativo n. 303 del 1999.
    Conseguentemente,   la   Corte   dei   conti  chiede  alla  Corte
costituzionale:
        a)  di annullare tale ultima disposizione, nella parte in cui
dichiara  non  applicabile,  ai decreti previsti negli artt. 7, 8 e 9
dello  stesso  decreto  legislativo  n. 303,  la  disciplina  di  cui
all'art. 3,  commi  1,  2  e  3,  della  legge  n. 20  del  1994 e la
disciplina di cui all'art. 17 della legge n. 400 del 1988;
        b)  di  dichiarare l'inefficacia del d.P.C.m. 4 agosto 2000 e
del  d.P.C.m.  12 settembre 2000, per mancato conseguimento del visto
al  termine  del procedimento di controllo preventivo di legittimita'
previsto dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione.
    5.  -  Si  e' costituito in questo secondo giudizio il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale   dello  Stato,  depositando  una  memoria  nella  quale  si
riproducono  -  "dato  il  carattere  reiterativo  del  ricorso" - le
argomentazioni   svolte   nell'atto   di   costituzione  relativo  al
precedente conflitto.
    6. - La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibili entrambi i
conflitti,  rispettivamente,  con  l'ordinanza  n. 573 del 2000 e con
l'ordinanza n. 38 del 2001.
    7.  -  In  prossimita'  dell'udienza, l'Avvocatura generale dello
Stato,  in  rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri,
ha  depositato,  in  riferimento a entrambi i conflitti, una "memoria
unica" nella quale richiede che essi siano dichiarati inammissibili o
infondati.
    7.1.   -   Dopo   aver  riassunto  i  termini  dei  due  ricorsi,
l'Avvocatura  dello  Stato  afferma  che - avendo il Presidente della
Corte   dei  conti  sollevato  i  conflitti  sulla  base  dei  poteri
conferitigli  da  due deliberazioni della Sezione del controllo - non
e'  chiaro  se questi sono stati proposti dalla Corte dei conti nella
sua  unita'  istituzionale  quale  titolare  del potere di controllo,
ovvero nell'esercizio delle funzioni di controllo preventivo.
    Le citate delibere - prosegue l'Avvocatura dello Stato - sembrano
impostare  il  conflitto  in termini di menomazione delle funzioni di
controllo  preventivo  dipendente  da  un  comportamento omissivo (la
mancata  sottoposizione  al  controllo dei decreti del Presidente del
Consiglio  dei  ministri). Poiche' tale omissione trova fondamento in
una  norma di rango primario, contro quest'ultima i ricorsi risultano
formalmente rivolti, "in via principale". Ipotizzando che i conflitti
trovino origine nell'esercizio, da parte della Corte dei conti, delle
proprie  funzioni  di controllo preventivo, il resistente richiama la
giurisprudenza  costituzionale  in materia, dalla quale desume la non
configurabilita', nell'adempimento di tali funzioni, di un "incidente
di   costituzionalita'"  sull'atto  legislativo  posto  a  fondamento
dell'atto sottoposto al controllo.
    7.2.  - L'Avvocatura dello Stato dubita inoltre dell'interesse al
ricorso della Corte dei conti.
    Questa  infatti  avrebbe  esercitato la funzione di controllo nel
modo  "piu'  ampio",  sia  sul piano della legittimita' che su quello
dell'opportunita',  mediante  il  parere  delle Sezioni riunite sullo
schema  del  d.P.C.M.  che  disciplina  l'autonomia  finanziaria e la
contabilita'  della Presidenza del Consiglio dei ministri, parere nel
quale  non  sono  stati  sollevati  dubbi  relativi alla lesivita' ed
illegittimita'  del decreto legislativo n. 303 del 1999 o del decreto
presidenziale.
    7.3.  -  Nel  merito,  con  riferimento alla lamentata violazione
dell'art. 76 della Costituzione, il resistente rileva che la legge di
delega  considera  contestualmente  ma in modo autonomo la Presidenza
del  Consiglio  e  i  ministeri,  operando  una netta distinzione dei
rispettivi modelli in funzione delle diverse esigenze cui rispondono.
    Da  un lato la legge di delega lascerebbe al legislatore delegato
la  scelta  riguardo ai ministeri da istituire, fondere o sopprimere,
dall'altro promuoverebbe una razionalizzazione dell'ordinamento della
Presidenza   del   Consiglio  dei  ministri  che,  coerentemente  con
l'art. 95 della Costituzione, avrebbe come obiettivo il potenziamento
delle  autonome  funzioni  di  coordinamento  e  di  direzione  della
politica generale del Governo spettanti al Presidente.
    Prosegue  l'Avvocatura  dello  Stato affermando che la Presidenza
del  Consiglio  dei ministri si differenzia dai ministeri - strutture
burocratiche  dotate  di propria competenza e di funzioni di gestione
relative  ad  interessi pubblici di settore - perche' e' un organismo
meramente   servente,   strumentale   all'esercizio   delle  funzioni
costituzionali  di cui e' titolare l'organo Presidente del Consiglio.
Mentre  l'attribuzione  delle  funzioni  (che  possono  o meno essere
costituzionalmente  necessarie)  ai  ministeri  e' rimessa alla legge
ordinaria,  la  Presidenza  -  ad  avviso  dell'Avvocatura  -  e'  un
organismo  costituzionalmente  necessario,  funzionalmente  volto  ad
assicurare l'autonomia dell'esercizio delle funzioni presidenziali.
    L'art. 95  della  Costituzione,  nel  disporre che sia la legge a
provvedere    all'ordinamento   della   Presidenza   del   Consiglio,
demanderebbe  ad  essa  di  assicurare al Presidente del Consiglio la
struttura  necessaria per l'efficiente e autonomo esercizio delle sue
funzioni.  Le  finalita'  della  legge  di  delega, che espressamente
richiama   la   citata  disposizione  costituzionale,  sono,  secondo
l'Avvocatura  dello  Stato,  il potenziamento delle autonome funzioni
presidenziali  e  la  garanzia,  per  la  Presidenza  del  Consiglio,
dell'autonomia  organizzativa, regolamentare e finanziaria, al riparo
da  ingerenze  esterne,  "come  avviene  per le amministrazioni degli
altri organi costituzionali".
    Il decreto legislativo n. 303 del 1999, pertanto, in coerenza con
la  legge di delega, avrebbe inteso dare piena attuazione all'art. 95
della  Costituzione,  disciplinando la Presidenza del Consiglio quale
"struttura   di   avvalimento"   per   l'esercizio   delle   funzioni
presidenziali.
    Ad avviso del resistente, "in piena coerenza con le finalita' che
hanno determinato la delega", il decreto legislativo n. 303 del 1999:
        a)  ha  lasciato  inalterato  il  regime  dei  controlli  sui
provvedimenti   -  conseguenti  a  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri  -  elencati  nell'art. 3,  comma 1, lettera a), della legge
n. 20 del 1994, che individuano l'area delle attribuzioni della Corte
dei   conti  costituzionalmente  previste  in  materia  di  controllo
preventivo;
        b)  ha  attribuito  al  Presidente del Consiglio dei ministri
l'esercizio  di  un  ampio  potere  inerente  alla  organizzazione  e
disciplina  della  struttura  servente le attribuzioni costituzionali
del  medesimo,  potere destinato ad esplicarsi mediante l'adozione di
atti - i decreti - che avrebbero valenza interna e ricadrebbero nelle
altre  previsioni  dell'art. 3,  comma 1, della legge n. 20 del 1994,
non essendo necessariamente identificabili come atti del Governo;
        c) ha escluso l'applicabilita', ai decreti del Presidente del
Consiglio   dei   ministri  adottati  nell'esercizio  dei  poteri  di
organizzazione  della Presidenza, delle procedure di emanazione e dei
controlli  preventivi  previsti  dall'art. 17  della legge n. 400 del
1988 e dall'art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge n. 20 del 1994.
    Rileva inoltre l'Avvocatura che la "riconsiderazione" del sistema
dei  controlli  rappresenta  un  elemento  del complessivo disegno di
riforma  introdotto  dalla  legge n. 59 del 1997. Da questa pero' non
viene  richiamato, quale criterio cui attenersi per l'esercizio della
delega, l'art. 3 della legge n. 20 del 1994.
    Inoltre, ancora con riferimento al rapporto tra legge di delega e
decreto  legislativo,  i principi e criteri direttivi enunciati nella
prima,   pur   delimitando   l'ampiezza  della  discrezionalita'  del
legislatore   delegato,  non  potrebbero  -  anche  alla  luce  della
giurisprudenza  costituzionale  -  eliminare  ogni  margine di scelta
nell'esercizio della delega.
    Secondo   l'Avvocatura,   la   stessa  Corte  dei  conti  avrebbe
implicitamente  riconosciuto  l'esistenza  di detto margine di scelta
del   legislatore  delegato,  allorche'  ha  invocato  la  violazione
dell'art. 100  della  Costituzione  solo  con  riferimento al decreto
legislativo e non anche alla legge di delega, postulando cosi' che il
primo  potrebbe essere incorso nella prospettata violazione pur nella
coerente  attuazione  della  norma  di  delega e in piena conformita'
all'oggetto, ai principi e ai criteri di questa.
    7.4.  -  Con riferimento alla lamentata violazione dell'art. 100,
secondo  comma,  della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato esclude
che  sia  costituzionalmente  vincolata  la sottoposizione degli atti
impugnati  al  controllo  preventivo  di legittimita' della Corte dei
conti,  osservando  che  gli  atti  in  cui si traduce l'attivita' di
governo  non  sono "tutti e necessariamente "atti del Governo"". Atti
del  Governo sarebbero soltanto quelli che implicano una delibera del
Consiglio  dei  ministri,  come si ricava dalla circostanza che nelle
disposizioni   costituzionali   in   cui  e'  citato  il  Governo  il
riferimento  e'  al  Consiglio dei ministri, mentre il legislatore ha
escluso i regolamenti emanati da uno o piu' ministri dal novero degli
atti governativi, contrapponendo inoltre i regolamenti ministeriali e
interministeriali ai regolamenti emanati dal Governo.
    Ulteriore   conferma   dovrebbe,   ad   avviso   dell'Avvocatura,
rinvenirsi   nella  distinzione  -  confortata  dalla  giurisprudenza
costituzionale  -  tra  responsabilita'  collegiale e responsabilita'
individuale   dei   singoli   ministri,   che   presuppone   la   non
configurabilita' come atti del Governo di atti dei singoli componenti
il cui presupposto non risieda su scelte di carattere collegiale.
    In definitiva, l'area del controllo preventivo costituzionalmente
attribuito  alla  Corte dei conti coinciderebbe con quella degli atti
amministrativi  riconducibili  alla  responsabilita'  collegiale  del
Consiglio  dei  ministri. Al di fuori di tale area rientrerebbe nella
discrezionalita' del legislatore estendere o ridefinire i confini del
controllo   preventivo,   senza   che   cio'  possa  configurare  una
menomazione  delle  attribuzioni costituzionalmente riconosciute alla
Corte dei conti.
    Le    disposizioni    legislative    che   integrano   il   testo
costituzionale,  e in particolare quelle contenute nelle lettere b) e
seguenti  dell'art. 3,  comma  1,  della  legge  n. 20  del 1994, non
potrebbero  condizionare  le  successive  scelte  del  legislatore in
ordine alla ridefinizione delle ipotesi di controllo.
    Gli   atti   del   Presidente   del   Consiglio   che  ineriscono
all'autonomia   organizzativa  e  finanziaria  della  Presidenza  non
rientrerebbero  percio'  nella categoria degli atti "del Governo", la
cui  nozione  sarebbe  comunque  circoscritta  anche  da  limitazioni
desumibili   in   via   interpretativa   da   altre  norme  di  rango
costituzionale,  quali  quelle  relative  alle  funzioni di direzione
della  politica  generale e di impulso, indirizzo e coordinamento che
la Costituzione attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri.
    7.5.  -  Con  riferimento  infine  alla  autonomia  di  bilancio,
finanziaria  e  contabile riconosciuta alla Presidenza del Consiglio,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  premesso  che  essa attua la
previsione  contenuta  nell'art. 12,  comma  2, della legge n. 59 del
1997  -  afferma  che  essa  assicura  alla Presidenza la "necessaria
flessibilita'"  nella distribuzione delle risorse in sede di bilancio
preventivo  e  di variazioni in corso di esercizio nell'ambito di uno
stanziamento   previsto   nelle  leggi  finanziaria  e  di  bilancio,
"analogamente agli altri organi costituzionali".
    Rileva  inoltre  l'Avvocatura  che la ricorrente non ha censurato
l'art. 8,  comma  3,  del  decreto  legislativo  n. 303 del 1999 che,
prevedendo  la trasmissione alle Camere del bilancio e del rendiconto
della   gestione   finanziaria,  "implicitamente"  escluderebbe  ogni
controllo esterno sulla gestione al di fuori di quello parlamentare.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Corte dei conti, con due ricorsi, ha proposto conflitto
di  attribuzione  nei  confronti  del  Governo,  in relazione ad atti
governativi   che   si   assumono  lesivi  delle  proprie  competenze
costituzionali di controllo sugli atti del Governo.
    Entrambi  i  ricorsi  concernono  l'art. 9,  comma 7, del decreto
legislativo  30 luglio 1999, n. 303 (Ordinamento della Presidenza del
Consiglio  dei  ministri,  a  norma dell'art. 11 della legge 15 marzo
1997,  n. 59),  il  quale,  nel  suo primo periodo, stabilisce che ai
decreti  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  previsti dal
medesimo  art. 9  -  in  materia  di  personale  della Presidenza del
Consiglio  -, dall'art. 7 - di esercizio dell'autonomia organizzativa
della  Presidenza  del  Consiglio  -  e  dall'art. 8  - in materia di
autonomia  contabile  e  di bilancio della Presidenza del Consiglio -
non si applica la disciplina dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988,
n. 400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei ministri) e dell'art. 3, commi 1, 2 e 3,
della  legge  14 gennaio  1994,  n. 20  (Disposizioni  in  materia di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti). Cio' significa, per
quanto  rileva  ai  fini  del  presente  conflitto,  che i decreti in
questione  non  sono  sottoposti  al visto e alla registrazione della
Corte  dei  conti,  previsti  per  l'appunto dal comma 4 dell'art. 17
della legge n. 400 del 1988 e dall'art. 3 della legge n. 20 del 1994.
    Il  primo  dei  due  ricorsi,  inoltre,  concerne  il decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei ministri 23 dicembre 1999 (Disciplina
dell'autonomia   finanziaria  e  contabilita'  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri) e il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri  15 aprile  2000 (Ordinamento delle strutture generali della
Presidenza del Consiglio dei ministri). Il secondo dei due ricorsi, a
sua  volta,  coinvolge  il  decreto  del Presidente del Consiglio dei
ministri  4 agosto  2000  (Ordinamento delle strutture generali della
Presidenza  del  Consiglio  dei ministri) e il decreto del Presidente
del  Consiglio  dei  ministri 12 settembre 2000 (Modifiche all'art. 6
del  decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2000,
recante  ordinamento  delle  strutture  generali della Presidenza del
Consiglio  dei  ministri).  Tutti  questi decreti, i quali trovano la
loro base normativa nel decreto legislativo n. 303 del 1999, non sono
stati  sottoposti al controllo preventivo di legittimita' della Corte
dei conti, in applicazione del suddetto art. 9, comma 7, del medesimo
decreto legislativo n. 303 del 1999.
    Ad   avviso   della   ricorrente,  la  sottrazione  al  controllo
preventivo  di  legittimita'  da parte della Corte dei conti prevista
dalla   norma   del   decreto   legislativo  lederebbe  la  sfera  di
attribuzioni  costituzionali  della  Corte  dei conti, in conseguenza
della  violazione  dell'art. 100  e  dell'art. 76 della Costituzione.
Quanto  ai  decreti  del  Presidente del Consiglio emanati in assenza
della  previa sottoposizione al controllo della Corte dei conti, essi
sarebbero inefficaci, cio' di cui si chiede la relativa dichiarazione
da parte di questa Corte.
    2.  -  I due giudizi per conflitto di attribuzione proposti dalla
Corte dei conti possono essere riuniti per una trattazione congiunta.
Essi riguardano infatti il medesimo tema controverso, con riferimento
agli stessi testi normativi o a testi adottati in loro sostituzione o
modifica.
    3.  -  Poiche'  il  d.P.C.m.  del  4 agosto 2000 ha integralmente
abrogato  e  sostituito il precedente d.P.C.m. del 15 aprile 2000, in
relazione  a quest'ultimo deve essere pronunciata la cessazione della
materia  del  contendere.  Di  conseguenza,  il conflitto da decidere
riguarda  la  pretesa  violazione  delle  attribuzioni costituzionali
della  Corte  dei  conti derivante innanzitutto dall'art. 9, comma 7,
del  decreto legislativo n. 303 del 1999 e poi la pretesa inefficacia
dei d.P.C.m. 23 dicembre 1999, 4 agosto e 12 settembre 2000, emanati,
a   norma   del   predetto   art. 9,  comma  7,  senza  essere  stati
preventivamente sottoposti al controllo della ricorrente.
    4.  -  La  difesa  del  Presidente  del Consiglio prospetta, come
ragioni di inammissibilita' dei ricorsi:
        a)  la  non  chiara  riconducibilita' dei medesimi, in quanto
promossi   dal  Presidente  della  Corte  dei  conti  sulla  base  di
deliberazioni della Sezione del controllo, alla Corte dei conti nella
sua  unita',  quale  titolare  del  potere di controllo, ovvero quale
esercente le funzioni di controllo preventivo;
        b)  la  non  configurabilita'  di  questioni  di legittimita'
costituzionale  (quale sarebbe, par di comprendere, quella sollevata,
tramite  ricorso  per  conflitto,  sull'art. 9,  comma 7, del decreto
legislativo  in  questione) sull'atto legislativo che e' a fondamento
della  mancata  sottoposizione a controllo preventivo dei decreti del
Presidente del Consiglio sopra citati;
        c)  la carenza di interesse al ricorso della Corte dei conti,
posto che questa ha gia' esercitato un ampio controllo sul (lo schema
di)  decreto  del  Presidente  del  Consiglio in materia di autonomia
finanziaria,  in  sede  di  formulazione  del  parere  delle  Sezioni
riunite,  senza  che  nessun  rilievo sia stato formulato a proposito
dell'eliminazione  del  controllo  preventivo di legittimita' a opera
della  disposizione  del  decreto  legislativo che ha dato origine al
conflitto.
    Nessuno  di  questi rilievi puo' essere condiviso. Non quello sub
a)  in  quanto,  come  gia' ritenuto da questa Corte (a partire dalla
sentenza  n. 302  del 1995), il conflitto, ancorche' deliberato dalla
Sezione del controllo, e' da riferirsi all'organo titolare del potere
di  controllo, secondo l'art. 100, secondo comma, della Costituzione,
in relazione al quale la lesione risulta affermata, e tale organo non
e'  la Sezione del controllo, ma la Corte dei conti nella sua unita',
della  cui  rappresentanza  e'  investito  il suo Presidente al quale
spetta  (come  e'  avvenuto  nella specie) promuovere il ricorso; non
quello sub b) poiche' il conflitto sollevato sulla norma di legge che
esclude  determinate categorie di atti dal controllo preventivo della
Corte  dei  conti, nel momento della presa d'atto di tale esclusione,
non da' luogo a un giudizio sulla legge, proposto in via incidentale,
ma, in assenza di un procedimento di controllo, da' luogo a un'azione
di   rivendicazione  di  competenza  proponibile  come  conflitto  di
attribuzione  in  riferimento alla legge che tale sottrazione prevede
(cosi'  la sentenza n. 457 del 1999); non quello sub c) in quanto una
pronuncia  sollecitata  alla Corte dei conti nell'esercizio delle sue
funzioni  consultive sul contenuto di atti amministrativi adottati in
base  a  una  disposizione legislativa che si assuma lesiva delle sue
attribuzioni  costituzionali  non  e' tale, in ogni caso, da incidere
sull'interesse  alla  difesa  delle  attribuzioni  costituzionali  di
controllo,   dalle   quali   la  funzione  consultiva  e'  del  tutto
indipendente.
    5. - Nel merito, i ricorsi per conflitto di attribuzione proposti
in relazione all'approvazione da parte del Governo dell'art. 9, comma
7, del decreto legislativo n. 303 del 1999, sono fondati.
    5.1. - Nel presente giudizio, prioritario e' l'esame dell'art. 9,
comma 7, del decreto legislativo n. 303, circa la pretesa sua portata
lesiva  delle attribuzioni della Corte dei conti ricorrente. La sorte
dei  decreti  del Presidente del Consiglio emanati e pubblicati sulla
base  di quella norma, infatti, consegue evidentemente alla decisione
del  conflitto  sorto  sulla  legge  che ne prevede la sottrazione al
controllo  preventivo  di  legittimita' della Corte dei conti. Quanto
poi  ai  profili  costituzionali  di lesione delle attribuzioni della
ricorrente,  prioritario e' l'esame di quello riguardante il rispetto
dell'art. 76  della  Costituzione  da parte del legislatore delegato.
Solo  una  volta  riconosciuto,  in ipotesi, il rispetto della delega
ricevuta  da parte del Governo, si potrebbe passare a esaminare se il
decreto  legislativo,  legittimamente  adottato  nell'esercizio delle
funzioni   legislative   delegate,   comporti   la  violazione  delle
attribuzioni  costituzionali  determinate,  per  la  Corte dei conti,
dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione.
    5.2.  - Seguendo l'ordine di trattazione anzidetto, deve in primo
luogo   confermarsi  l'orientamento  circa  la  configurabilita'  del
conflitto  costituzionale  di  attribuzioni  in  relazione ad atti di
valore  legislativo,  tutte  le volte in cui da essi possano derivare
lesioni  dirette  dell'ordine  costituzionale  delle competenze e non
esista  un giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e
quindi  possa  essere  sollevata la questione incidentale sulla legge
(sentenza n. 457 del 1999). Cio' che si riscontra nella specie.
    Ugualmente,  deve  essere  confermata la giurisprudenza di questa
Corte  (sentenza  n. 139  del  2001)  secondo  la  quale  il soggetto
costituzionale   confliggente   puo'   far   valere   nel   conflitto
esclusivamente  le  norme  della  Costituzione  che ne configurano le
attribuzioni.  Nel  caso  in  esame, tali norme comprendono l'art. 76
della  Costituzione,  in  quanto,  come  gia' chiarito nella sentenza
teste'   ricordata,   il  principio  di  legalita'  che,  secondo  la
Costituzione,  presiede  all'ordinamento  dei  poteri della Corte dei
conti  di  controllo  sugli  atti  del  Governo,  qualifica lo status
costituzionale  della  Corte  dei  conti  medesima. La conseguenza da
trarsi  e' che l'esercizio di poteri normativi del Governo - soggetto
costituzionale   i  cui  atti  sono,  per  l'appunto,  l'oggetto  del
controllo   -   fuori   o   contro  quanto  consentito  dalla  delega
legislativa,  comporta  violazione  dell'ordine  costituzionale delle
competenze,  suscettibile  di  essere  fatto  valere nel giudizio per
conflitto  di  attribuzioni,  quando  da  tale  esercizio illegittimo
possano  derivare  lesioni  dell'ambito materiale della competenza di
controllo assegnata dalla Costituzione alla Corte dei conti.
    L'art. 9,  comma  7,  del  decreto  legislativo  n. 303  e' stato
approvato  dal  Governo sulla base della delega contenuta nella legge
15 marzo  1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per  il conferimento di
funzioni  e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), in
particolare   nell'art. 11,   comma  1,  lettera  a),  esplicitamente
indicato,  nella  premessa,  quale  fondamento  specifico del decreto
legislativo  delegato.  Il  potere legislativo delegato al Governo da
tale    disposizione    riguarda,   per   quanto   qui   rileva,   la
"razionalizzazione"  dell'ordinamento  della Presidenza del Consiglio
dei ministri. Quanto ai criteri e principi direttivi da seguire nello
svolgimento  della delega relativa alla predetta lettera a) del comma
1   dell'art. 11,  l'art. 12  della  stessa  legge  n. 59  del  1997,
anch'esso   specificamente   indicato   nel   preambolo  del  decreto
legislativo,  prevede  come principi e criteri direttivi - per quanto
puo'  in  questa  occasione  rilevare  - oltre al vincolo ai principi
generali desumibili dalla legge n. 400 del 1988, dalla legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di  diritto  di  accesso  ai  documenti amministrativi) e dal decreto
legislativo     3 febbraio     1993,     n. 29     (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina  in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della
legge  23 ottobre  1992,  n. 421),  l'obiettivo  di  "garantire  alla
Presidenza   del  Consiglio  dei  ministri  autonomia  organizzativa,
regolamentare  e  finanziaria nell'ambito dello stanziamento previsto
ed  approvato  con  le  leggi  finanziaria e di bilancio dell'anno in
corso".
    Questo  e'  tutto.  Ricavare da cio' che la legge abbia delegato,
anche  solo per implicito, il Governo a intervenire, per sopprimerli,
sui  controlli  riguardanti gli atti del Presidente del Consiglio dei
ministri  previsti  dall'art. 9,  comma  7,  del  decreto legislativo
n. 303    del    1999,   e'   impossibile.   La   "razionalizzazione"
dell'ordinamento  della Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui
tratta  la legge di delegazione, consiste nella garanzia di autonomia
organizzativa,  regolamentare  e  finanziaria,  entro  i limiti dello
stanziamento   stabilito  per  legge.  L'esistenza  di  controlli  di
legittimita'  del  tipo  in  esame  sugli  atti  di esercizio di tale
autonomia, in quanto svolti secondo criteri di imparzialita', non e',
di  per  se',  incompatibile  con  tale  garanzia,  ne'  tantomeno la
pregiudica.  L'autonomia  organizzativa,  regolamentare e finanziaria
risulta  infatti dalle norme sostanziali che definiscono, in positivo
e  in negativo, i poteri attraverso i quali essa puo' estrinsecarsi e
ne precisano l'ambito, cioe' l'estensione e i limiti. Non puo' quindi
ritenersi  che,  di  per se', la delega a dettare norme organizzative
con   l'obiettivo   di   garantire   spazi   di  autonomia  comprenda
implicitamente l'autorizzazione alla revisione, tramite soppressione,
del sistema dei controlli di legittimita' esistenti.
    Questa  Corte,  con  la  sentenza  n. 457 del 1999, in materia di
disciplina  dei  controlli  su  enti  di ricerca, ha affermato che il
disegno  di  riforma  delle amministrazioni e degli enti pubblici (si
intende:  operanti  in quel settore) risultante dalla legge n. 59 del
1997 comprende nell'insieme i loro aspetti organizzativi; che cio' e'
conforme    alla    profondita'    dell'intervento    riformatore   e
all'innovativita'   degli  obiettivi  in  quella  legge  prefigurati,
cosicche'  la  riconsiderazione  della  disciplina  dei  controlli  -
disciplina richiamata espressamente dalla legge di delegazione - puo'
essere  intesa  come elemento di tale riforma. Ma queste proposizioni
non  si  prestano  a  valere  in  un campo di applicazione diverso da
quello rispetto al quale sono state pronunciate, come vorrebbe invece
la difesa del Governo. La formula adoperata dal legislatore delegante
per    definire    l'innovazione   consentita   al   Governo   -   la
"razionalizzazione"  dell'ordinamento  della Presidenza del Consiglio
-;  la  mancanza  di qualsivoglia riferimento, nella legge di delega,
alla  disciplina  dei  controlli; l'estraneita' concettuale di questi
ultimi  rispetto  all'autonomia  di tale ordinamento, la cui garanzia
costituisce  l'obiettivo  della  legislazione  delegata:  tutto  cio'
impedisce  di  applicare la ratio decidendi della sentenza n. 457 del
1999 al caso da risolvere ora.
    E  neppure  risultano conferenti, dal punto di vista del rispetto
dell'art. 76  della  Costituzione,  gli  argomenti  che  l'Avvocatura
generale  dello  Stato  avanza,  a partire dalla considerazione della
posizione   costituzionale  del  Presidente  del  Consiglio  e  dalle
conseguenze  che  questa  avrebbe  sulla disciplina della Presidenza,
quale  sua  struttura  servente: conseguenze che, ad avviso di quella
difesa,  potrebbero  condurre  a  soluzioni  organizzative, anche con
riferimento  al  regime  dei controlli, analoghe a quelle vigenti per
gli   apparati   amministrativi   di   servizio  degli  altri  organi
costituzionali  dello  Stato.  Tali soluzioni organizzative, infatti,
potrebbero  in  ipotesi  legittimamente  configurarsi - oltre che nel
rispetto  della  riserva  di  legge prevista in materia dall'art. 95,
ultimo  comma,  della  Costituzione  -  nel rispetto del principio di
legalita'  e  quindi,  nella specie, del procedimento di legislazione
delegata previsto dall'art. 76 della Costituzione. E altrettanto puo'
dirsi  circa la pretesa natura interna dei decreti del Presidente del
Consiglio in questione.
    5.  -  Per  queste  ragioni,  si deve escludere che, delegando il
Governo   a   "razionalizzare"  l'ordinamento  della  Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri,  senza  alcun  altro  intento che quello di
assicurarne  l'autonomia  organizzativa, regolamentare e finanziaria,
il  legislatore  delegante  abbia  inteso  coinvolgere la materia dei
controlli  incisi  dall'art. 9,  comma  7,  del  decreto  legislativo
n. 303,   il   quale   risulta   pertanto   lesivo   della  posizione
costituzionale  della  Corte  dei  conti  ricorrente  a  causa  della
violazione  dell'art. 76  della  Costituzione  che la sua adozione ha
comportato  e deve essere di conseguenza - limitatamente al suo primo
periodo - annullato.
    L'accoglimento  del  ricorso  sotto  il  profilo della violazione
dell'art. 76  della  Costituzione rende superfluo l'esame del ricorso
medesimo,  sotto  il  profilo della violazione dell'art. 100, secondo
comma, della Costituzione.
    6.  - Quanto ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri
emanati  e  pubblicati  sulla  base dell'art. 9, comma 7, del decreto
legislativo n. 303, la ricorrente chiede che questa Corte ne dichiari
l'inefficacia,  in  conseguenza  della mancata loro sottoposizione al
controllo  preventivo di legittimita', sottoposizione che risulta ora
necessaria  in  conseguenza dell'annullamento della norma legislativa
che  la  escludeva.  Ma una tale richiesta risulta inammissibile, nel
giudizio  su  conflitto costituzionale di attribuzioni, in cui non si
discute meramente di regime degli atti giuridici cioe', nella specie,
delle  conseguenze  che dalla violazione della legge possono derivare
sulla   (legittimita'   o  sulla)  efficacia  degli  atti  giuridici.
Pertanto,   le   conseguenze   che  dall'accoglimento  del  conflitto
costituzionale  insorto  tra  la  Corte  dei conti e il Governo circa
l'art. 9,  comma  7, del decreto legislativo n. 303 del 1999 derivano
con  riguardo  ai  decreti  del Presidente del Consiglio dei ministri
emanati  sulla  sua base devono essere tratte nell'esercizio di altre
competenze,   non   rientranti   tra   quelle  spettanti  alla  Corte
costituzionale.
    Per questa parte, dunque, i ricorsi per conflitto di attribuzione
devono essere dichiarati inammissibili.