IL TRIBUNALE DI TORINO

    Riunito  in  camera  di  consiglio  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza sulle questioni di legittimita' costituzionale:
        a)  dell'art. 166  del  d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nella
parte  in  cui dispone l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della
legge   20   novembre   1971,   n. 1062,   anche  relativamente  alla
contraffazione,  alterazione  o riproduzione di "un'opera di pittura,
scultura o grafica" di autori viventi o la cui esecuzione non risalga
ad oltre cinquanta anni, in relazione all'art. 76 Cost.;
        b)  dell'art. 127  del  d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nella
parte   in   cui  sottopone  a  sanzione  penale  la  contraffazione,
alterazione  o riproduzione di un'opera la cui esecuzione non risalga
ad oltre cinquanta anni, in relazione all'art. 76 Cost.;
    Sollevate  -  rispettivamente  -  dal  p.m.  e dagli avv. Antonio
Forchino  e  Oreste  Verazzo,  nella  loro  qualita'  di difensori di
Alessandrini  Pietro,  persona  indagata  per  i  reati  di  cui agli
artt. 110,  648 e 416 c.p., in relazione all'art. 3 legge 20 novembre
1971,  n. 1062, come modificato dall'art. 127 d.lgs. 29 ottobre 1999,
n. 490,  nel  procedimento di appello proposto dai suddetti difensori
avverso  il decreto del 5 gennaio 2002 con cui il p.m. ha respinto la
richiesta  di  restituzione  dei  dipinti  contraffatti,  a firma del
pittore  Mario  Schifano,  deceduto  nel 1998, sequestrati il 9 ed il
12 maggio 2000.

                       Considerazioni in fatto

    1.  -  Nell'ambito di una vasta indagine diretta alla repressione
di  una  associazione  criminale  estesa in tutta Italia, finalizzata
alla   contraffazione,   alla   falsa   autenticazione  e  successiva
commercializzazione  di  dipinti  a  falsa  firma  del  pittore Mario
Schifano,  deceduto nel 1998, il p.m. presso il Tribunale di Torino -
dopo   avere   identificato  le  persone  che  (a  Roma  e  a  Lecce)
realizzavano  i falsi dipinti, quelle che (a Roma) li autenticavano e
quelle  che  li  vendevano  -  il 3 maggio 2000 disponeva, assieme ad
altre,  la  perquisizione  dei luoghi nella disponibilita' di un noto
gallerista   torinese:  l'attuale  appellante,  Alessandrini  Pietro.
All'esito  delle  perquisizioni i C.C. il 9 maggio 2000 sequestravano
n. 41   quadri,   a   firma   Schifano,   rinvenuti   nell'abitazione
dell'Alessandrini,  ed il successivo 12 maggio altri due quadri dello
stesso  autore,  esposti  per la vendita presso l'Hotel "Atlantic" di
Borgaro Torinese, di proprieta' del medesimo Alessandrini.
    Dalla  consulenza  disposta  dal  p.m.  e'  emerso  che  tutte le
suddette opere "sono false".
    2. - Con  istanza  del  24  dicembre 2001 la difesa ha chiesto al
p.m.  la  restituzione delle opere sequestrate, sostenendo che, anche
ad  ammettere  la  loro  contraffazione,  "vi e' oggi inesistenza del
reato".  Cio'  in  considerazione  che gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della
legge  20  novembre  1971,  n. 1062, che prevedevano tale reato, sono
stati  espressamente  abrogati  dall'art. 166  del  d.lgs. 29 ottobre
1999, n. 490, e che l'art. 127 di detto decreto legislativo, anche se
ha  una  formulazione  letterale  identica  a  quella  delle abrogate
disposizioni  della  legge  del  1971  - ai sensi dell'art. 2 comma 6
dello  stesso  decreto  -  non  e'  applicabile alle "opere di autori
viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni".
    Il  p.m.  con decreto del 5 gennaio 2002 ha respinto l'istanza di
restituzione, argomentando che il cit. art. 127 punisce, nella stessa
maniera  dell'abrogato art. 3 della legge del 1971, la contraffazione
di  tutte  le opere d'arte, anche se non risalenti ad oltre cinquanta
anni.  Rileva,  inoltre,  il  p.m.  che,  se fosse corretta l'opposta
interpretazione sostenuta dalla difesa, il d.lgs. n. 490/1999 sarebbe
viziato  da  illegittimita'  costituzionale,  in  quanto  emanato  in
violazione  della  legge  delega  che  non  attribuiva al legislatore
delegato  alcun  potere  di depenalizzare le figure di reato previste
dalle leggi vigenti.
    3. - Nell'odierna  udienza  in  camera di consiglio sia il p.m. e
sia   la   difesa,   dopo   avere  sostenuto  le  rispettive  opposte
interpretazioni   dell'art. 127,  hanno  sollevato  le  questioni  di
legittimita' costituzionale in epigrafe specificate.

                      Considerazioni in diritto

    4. - Esame della legislazione vigente.
    Con  legge  8  ottobre 1997, n. 352, il Parlamento ha delegato il
Governo "ad emanare ... un decreto legislativo recante un testo unico
nel   quale   siano   riunite  e  coordinate  tutte  le  disposizioni
legislative  vigenti  in  materia  di  beni culturali ed ambientali",
fissando  il  criterio direttivo che "alle disposizioni devono essere
apportate  le  modificazioni  necessarie  per  il  loro coordinamento
formale  e  sostanziale,  nonche'  per  assicurare  il  riordino e la
semplificazione dei procedimenti" (art. 1, comma 2, lett. b).
    Il  Governo,  nell'ambito  di  tale delega, ha emanato il decreto
legislativo  29  ottobre  1999, n. 490, intitolato "testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali".
    Il  testo  unico e' suddiviso in due titoli: il primo e' dedicato
ai "Beni culturali"; il secondo ai "Beni paesaggistici e ambientali".
    Il  titolo  primo,  dopo  avere nell'art. 2 indicato quali sono i
"Beni  culturali  che  compongono  il  patrimonio storico e artistico
nazionale"  (elencando  le  medesime  categorie di beni gia' tutelate
dalle  precedenti  disposizioni legislative ed inserendo, nel comma 6
dell'art. 2,  la  medesima  disposizione  contenuta nell'ultimo comma
dell'art. 1  della  legge  1 giugno 1939, n. 1089: "Non sono soggette
alla  disciplina di questo titolo ... le opere di autori viventi o la
cui  esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni"), negli articoli
successivi  riproduce,  coordinandole  opportunamente  tra  loro,  le
disposizioni  contenute  nelle  varie  leggi di tutela del patrimonio
storico e artistico nazionale.
    Nell'art. 127,  intitolato  "Contraffazione di opere d'arte" (che
dispone  la  punizione  di  "chiunque,  al  fine  di trarne profitto,
contraffa,  altera  o  riproduce  un'opera  di  pittura,  scultura  o
grafica,  ovvero  un  oggetto  di antichita' o di interesse storico o
archeologico",  ovvero  "pone  in  commercio,  o  detiene  per  farne
commercio...  come  autentici,  esemplari contraffatti... di opere di
pittura,  scultura,  grafica o di oggetti di antichita', o di oggetti
di  interesse  storico  o  archeologico"), riproduce, con la medesima
formulazione  letterale,  gli  artt. 3,  4,  5,  6  e  7  della legge
20 novembre   1971,   n. 1062,   intitolata   "Norme   penali   sulla
contraffazione od alterazione di opere d'arte".
    Per  ultimo  nell'art. 166, nell'elenco delle "norme abrogate" in
quanto  inserite  nel  testo  unico, comprende anche la summenzionata
legge  n. 1062/1971, "ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e
9".
    5. - La  tesi della difesa sulla attuale irrilevanza penale della
contraffazione  (e  detenzione  per  il  commercio)  di opere di arte
aventi meno di cinquanta anni.
    La difesa dal rilievo:
        a)  che  l'art. 3  della  legge  n. 1062/1971,  che puniva la
contraffazione  delle  opere  contemporanee  di  pittura,  scultura o
grafica   e  la  loro  detenzione  a  fine  di  commercio,  e'  stato
espressamente abrogato dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999;
        b)  che  l'art. 127  di detto decreto, pur avendo la medesima
formulazione  letterale dell'abrogato art. 3, non e' applicabile alle
opere  d'arte  contemporanee  in quanto l'art. 2, comma 6 del decreto
legislativo  limita  la  disciplina  del  titolo primo alle opere che
hanno  oltre  cinquanta anni, deduce che non esistono piu' nel nostro
ordinamento  giuridico  i reati di contraffazione di opere artistiche
contemporanee,  ne'  quelli  di  commercio  e di detenzione a fine di
commercio di siffatte opere.
    Secondo  la difesa, siccome la contraffazione - anche se eseguita
al  fine  di  trarne profitto - di opere di pittura la cui esecuzione
non  risalga  ad  oltre cinquanta anni e la loro detenzione a fine di
commercio  sono  fatti penalmente leciti, le opere poste in commercio
dall'Alessandrini, anche se contraffatte, devono essere restituite.
    6. - La   tesi   che  ritiene  ancora  oggi  illecito  penale  la
contraffazione delle opere d'arte contemporanee.
    Questo  Tribunale,  in  diversa  composizione collegiale, gia' in
sede  di  riesame  e  di  successivo  appello,  proposti dai medesimi
difensori  avverso  una  ordinanza  applicativa  di  misura cautelare
personale,  aveva  valutato infondata la tesi secondo cui per effetto
dell'emanazione del decreto legislativo n. 490/1999 la contraffazione
di  opere d'arte contemporanee ed il loro commercio non costituiscono
piu' reato.
    Nelle  suindicate  ordinanze  il  Tribunale  -  sulla base di una
molteplicita'  di  argomenti  non  solo  logici, ma anche letterali -
aveva ritenuto:
        a)  che in tanto il legislatore delegato del 1999 ha abrogato
la  legge  n. 1062  del  1971,  in  quanto  ha  trasfuso  la relativa
disciplina nell'art. 127;
        b)  che, conseguenzialmente, la contraffazione delle opere di
pittura,  scultura  e grafica contemporanee e la detenzione a fine di
commercio   delle   opere   contraffatte   sono   attualmente  punite
dall'art. 127 del decreto legislativo n. 490/1999.
    6.1. - Del tutto pacifico in dottrina ed in giurisprudenza e' che
l'art. 3  della  legge 1962/1971 puniva la contraffazione di tutte le
opere  d'arte,  sia  se  contemporanee,  sia  se  antiche.  La norma,
infatti,  parlando  di  "opera di pittura, scultura e grafica", senza
alcuna  specificazione,  chiaramente  si riferiva a tutte le opere di
pittura, scultura e grafica, senza tenere conto della data della loro
esecuzione.
    Accanto  alle  opere  di  pittura,  scultura  e  grafica l'art. 3
menzionava  anche gli "oggetti di antichita' o di interesse storico o
archeologico".  Tenuto conto che questi ultimi oggetti - a differenza
delle  opere  d'arte contemporanee - fanno parte dei beni che gia' la
dottrina  e  le  convenzioni  internazionali dell'epoca qualificavano
"beni culturali", cio' che e' rilevante notare e' che l'art. 3 puniva
la  contraffazione  sia  di  cose  (gli  oggetti  di  antichita' o di
interesse  storico  o  archeologico)  appartenenti alla categoria dei
"beni  culturali"  e  sia  di  cose  (le opere di pittura, scultura e
grafica  contemporanee)  non  appartenenti  alla  categoria dei "beni
culturali".
    6.2.  -  Ricevuta  la  delega di riunire e coordinare in un testo
unico  tutte  (e solo) le disposizioni legislative vigenti in materia
di   beni   culturali   (ed   ambientali),  il  legislatore  delegato
nell'art. 127  ha  riprodotto  l'identico testo letterale dell'art. 3
(ed  anche quello degli artt. 4, 5, 6 e 7) della legge n. 1062/1971 e
nell'art. 166  ha  abrogato  l'intera  legge n. 1062/1971 (tranne gli
artt. 8, secondo comma, e 9).
    Siccome,  come gia' detto, l'art. 3 aveva per oggetto non solo le
res  appartenenti  ai  beni  culturali,  ma  anche  tutte le opere di
pittura,  scultura  e  grafica  -  le  quali,  se  non  presentano un
particolare  interesse  artistico  o  storico,  certamente  non  sono
comprese  nella  categoria  dei  beni culturali - tenuto conto che la
delega,  invece,  aveva per oggetto solo i beni culturali, le ipotesi
interpretative astrattamente possibili sono soltanto due:
        1)  -  o si ritiene che il legislatore delegato, quando parla
di  "opere  di  pittura,  scultura e grafica" - anche se non aggiunge
alcuna  specificazione  - intendeva riferirsi solamente alle opere di
pittura,  scultura  e  grafica che per il loro particolare "interesse
artistico  o  storico"  fanno  parte  dei  beni  culturali menzionati
nell'art. 2 del decreto legislativo;
        2)  -  o  si ritiene che il legislatore delegato, in tanto ha
riprodotto   l'intero   art. 3   senza  mutare  la  sua  formulazione
letterale,  in quanto intendeva riferirsi - similmente all'art. 3 - a
tutte le opere di pittura, scultura e grafica.
    La  scelta  tra  le  due  diverse  interpretazioni  astrattamente
possibili   ha   rilievo   anche   sul   piano   della   legittimita'
costituzionale del decreto legislativo.
    Se  fosse  esatta  la  prima ipotesi, l'art. 166, che ha abrogato
l'intera   legge   del   1971,   sarebbe   di   dubbia   legittimita'
costituzionale per avere, eccedendo la delega (limitata al riordino e
coordinamento   soltanto   delle  disposizioni  in  materia  di  beni
culturali),  e, quindi, in violazione dell'art. 76 Cost., abrogato le
disposizioni  penali  che  punivano  la contraffazione delle opere di
pittura, scultura e grafica contemporanee.
    Nel  secondo caso, invece, l'abrogazione della legge del 1971 non
sarebbe viziata da alcuna illegittimita' costituzionale, in quanto la
disciplina  penale  contenuta  nella  legge  del 1971, "essendo stata
riprodotta interamente nell'art. 127, e' restata immutata.
    6.3.  -  Nell'analisi  diretta  ad  individuare  quale  delle due
opposte  interpretazioni  sia corretta, si puo' cominciare col notare
che dall'esame dei lavori preparatori non si evince alcun elemento da
cui  desumere  che  il legislatore delegato abbia avuto l'intenzione,
eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi fissati dalla legge delega,
di  abrogare  totalmente la tutela penale prevista dalla legislazione
previgente per le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee.
    La  legge  del  1971,  notasi,  era  l'unica legge che nel nostro
ordinamento  giuridico  proteggeva  in  maniera specifica le opere di
pittura,  scultura e grafica. Essa puniva non solo la contraffazione,
l'alterazione   e  la  riproduzione  di  dette  opere,  ma  anche  il
commercio,  la  detenzione  a  fine  di commercio, l'introduzione nel
territorio  dello Stato, la circolazione, la falsa autenticazione ...
etc.,  delle  opere  contraffatte.  Prevedeva  anche particolari pene
accessorie:  l'interdizione  ex  art. 30 c.p.; la pubblicazione della
sentenza  di  condanna  su tre quotidiani a diffusione nazionale e la
confisca, anche in assenza di condanna, degli esemplari contraffatti.
    Non  puo',  dunque,  non destare perplessita' la tesi che ritiene
che  il legislatore delegato, pur senza manifestare espressamente una
tale  intenzione ed in violazione della legge delega, abbia soppresso
la  speciale  protezione  penale prevista dalla legge del 1971 per le
opere  di pittura, scultura e grafica, lasciandole prive di qualsiasi
tutela contro la loro contraffazione.
    6.4.  -  Vi  sono  molteplici argomenti non solo logici, ma anche
letterali  da  cui  si  deduce  che  il  legislatore  delegato, lungi
dall'avere l'intenzione di abrogare il complesso precettivo contenuto
nella  legge  del  1971,  aveva  l'intenzione di lasciare immutata la
protezione  penale  da  dette  disposizioni  prevista per le opere di
pittura, scultura e grafica contemporanee.
    Innanzitutto   non   e'  senza  significato  che  il  legislatore
delegato,  nel  riprodurre  nell'art. 127 del decreto legislativo gli
artt. 3,  4,  5, 6 e 7 della legge del 1971, abbia lasciato del tutto
immutata la loro formulazione letterale.
    Se si tiene presente che al legislatore delegato era ben noto che
le  disposizioni  della  legge  del  1971,  data  la  formulazione  e
letterale  del loro testo, chiaramente si riferivano a tutte le opere
di   pittura,  scultura  e  grafica  e  che  in  tale  maniera  erano
pacificamente  interpretate  da  consolidata  giurisprudenza  e dalla
dottrina,  appare  privo di adeguata logica ritenere che, se vi fosse
stata veramente l'intenzione di limitare la loro applicazione ai beni
culturali  -  come  sostenuto  dalla difesa - non sia stata apportata
alcuna modifica al loro testo, per l'ovvia ragione che il legislatore
delegato  non  poteva  non  comprendere  che, riproducendo l'identico
testo  della  legge  del  1971,  l'interpretazione  dell'art. 127 non
poteva che essere identica.
    6.5.   -   L'interpretazione   letterale  e,  ancor  piu'  quella
logico-sistematica,    dell'art. 127    confermano   che   a   questa
disposizione  non  puo'  essere  attribuito un significato diverso da
quello che la giurisprudenza e la dottrina pacificamente attribuivano
all'art. 3 della legge del 1971.
    Si  puo'  cominciare  col  notare  che  in  tutte  le fattispecie
incriminatici  contenute  nel capo VII, intitolato "Sanzioni penali",
del  titolo  primo  del  d.lgs. 490/1999 (da art. 118 ad art. 129) il
legislatore   delegato,  per  indicare  l'oggetto  tutelato,  usa  le
espressioni:  "Beni culturali indicati nell'art. 2" (artt. 118, 119 e
125),  "beni  culturali  dichiarati  a norma dell'art. 6" (art. 120),
"beni culturali indicati nell'art. 55" (art. 122), "cose di interesse
artistico,     storico,     archeologico,    demo-etno-antropologico,
bibliografico,  documentale  o  archivistico, nonche' quelle indicate
nell'art. 3" (art. 123).
    Solo   nell'art. 127   il   legislatore  delegato,  per  indicare
l'oggetto  tutelato, non solo non usa l'espressione "bene culturale",
ne'  menziona  alcun  collegamento  tra  l'oggetto  tutelato e i beni
culturali  disciplinati  nei capi precedenti, ma si limita a parlare,
cosi'  come  l'art. 3  della  legge  del  1971, genericamente e senza
alcuna specificazione, di "opera di pittura, scultura o grafica".
    Applicando i tradizionali canoni ermeneutici (attribuendo, cioe',
alla  legge  - come prescrive l'art. 12 preleg. - il "senso ... fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse"),  nessun  dubbio  puo'  esservi  che  l'espressione  "opera di
pittura,  scultura  o grafica", senza alcuna altra specificazione, si
riferisca  a  tutte le opere di pittura, scultura o grafica, anche se
contemporanee,  nella  stessa  maniera  che  a  tutte  dette opere si
riferiva,  secondo la pacifica interpretazione della dottrina e della
giurisprudenza,  l'identica  espressione  contenuta nell'art. 3 della
legge del 1971.
    L'essersi il legislatore delegato riferito all'ampio genus "opera
di  pittura,  scultura  o grafica", invece che alla species "opera di
pittura,  scultura  o grafica indicate nell'art. 2" (ovvero "opera di
pittura,  scultura  o  grafica di interesse artistico o storico") non
consente   di   ritenere   che  l'art. 127  si  riferisca  solo  alla
contraffazione  delle  opere  che  per il loro "interesse artistico o
storico" sono da qualificarsi "beni culturali".
    Ne'  puo'  ritenersi  che  il  legislatore delegato nell'art. 127
abbia  usato  l'espressione "opera di pittura, scultura o grafica" in
maniera  impropria, in considerazione che lo stesso legislatore negli
articoli   immediatamente   precedenti   utilizza   correttamente  le
espressioni  "beni  culturali  indicati  nell'art....."  e  le  altre
similari gia' esaminate. Il fatto che solo nell'art. 127, modificando
la  terminologia  adottata nelle precedenti disposizioni, ne utilizzi
una  che  in  nessun modo puo' essere ritenuta limitata soltanto alla
categoria  dei  "beni  culturali"  (e  identica  -  notasi - a quella
contenuta  nel  previgente art. 3), e' sicuro indice da cui si desume
che  non  intendeva riferirsi solo alla contraffazione delle opere di
pittura,  scultura  o  grafica  che per il loro particolare interesse
storico  o  artistico  sono  da  qualificarsi  "beni culturali", ma -
similmente  al  previgente  art. 3  -  alla  contraffazione di tutte,
nessuna esclusa, opere di pittura, scultura o grafica.
    6.6. - Ma v'e' di piu'.
    L'art. 166 del decreto legislativo abroga l'intera legge del 1971
"ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e 9".
    L'art. 9  della  legge  del  1971,  dopo avere disposto nel primo
comma:  "Nei  procedimenti  penali  per  i reati di cui ai precedenti
articoli  ...  il  giudice  deve" (rectius: "puo'", v. Corte cost. 24
marzo  -  14  aprile  1988, n. 440) "avvalersi di periti indicati dal
Ministro  della  pubblica  istruzione  ", nel secondo comma aggiunge:
"Nei  casi  di  opere  d'arte  moderna  e contemporanea il giudice e'
tenuto  altresi'  ad  assumere  come testimone l'autore a cui l'opera
d'arte sia attribuita o di cui l'opera stessa rechi la firma".
    L'avere  il  decreto  legislativo espressamente mantenuto in vita
l'art. 9  della legge del 1971 - che statuisce che nei processi per i
reati  di  cui  agli artt. 3, 4. 5, 6 e 7 che hanno ad oggetto "opere
d'arte  moderna  e  contemporanea"  il  giudice  deve  assumere  come
testimone l'autore cui l'opera e' attribuita - indica che, secondo il
legislatore  delegato, pure dopo l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6
e  7, i reati da essi previsti (vale a dire quelli di contraffazione,
alterazione  e  riproduzione  di  un'opera  di  pittura,  scultura  o
grafica,  sia  antica  e  sia  moderna,  nonche' quelli di commercio,
detenzione  per  farne  commercio,  introduzione nel territorio dello
Stato,  circolazione,  falsa  autenticazione ... ... etc. di siffatte
opere   contraffatte)   ancora   sussistono  nel  nostro  ordinamento
giuridico.  Se  cosi'  non  fosse,  infatti,  inutile  sarebbe  stato
escludere   espressamente   l'art. 9   dalla   disposta   abrogazione
dell'intera   legge,  per  l'ovvia  ragione  che  -  se  i  reati  di
contraffazione,  e  gli  altri  reati  summenzionati, di opere d'arte
moderna  e  contemporanea  non  sussistessero piu' - l'art. 9, che si
riferisce  soltanto  a questi reati, non sarebbe applicabile in alcun
caso.
    6.7.  - Contro le conclusioni cui si e' giunti dall'analisi sulla
omessa  abrogazione dell'art. 9, la Sezione III penale della Corte di
cassazione  -  in  una  sentenza  in  cui  accoglie l'interpretazione
restrittiva  dell'art. 127  (quella  secondo  cui questa disposizione
punisce  esclusivamente  la contraffazione delle opere pittoriche che
siano  anche beni culturali), osserva che e' "inconferente ai fini di
una  diversa  interpretazione  dell'ambito di applicazione del citato
art. 127  la  rilevata  omessa  abrogazione  dell'art. 9  della legge
n. 1062/1971,  stante  la  natura  esclusivamente  processuale  della
disposizione   citata"  e  stante  l'applicabilita'  dell'art. 9  nei
giudizi   concernenti   la  contraffazione  di  opere  moderne,  "per
l'accertamento  di  reati diversi da quelli previsti dal testo unico,
quale  ad  esempio  il  delitto di truffa" (Cass. Sez. III, 18.9 - 20
ottobre 2001, ric. Patara Augusto).
    Nonostante  l'autorevolezza  dell'organo  che  l'ha  espressa, la
suddetta tesi non appare condivisibile.
    Che l'art. 9 sia una norma processuale e che le norme processuali
-  almeno  di  regola  - siano ininfluenti sull'interpretazione delle
norme sostanziali e' indubbio.
    Ma, la questione, nel caso che si esamina, e' diversa.
    Il  problema  da risolvere nell'attuale procedimento penale e' se
la  contraffazione  di  un'opera  d'arte  moderna e la detenzione per
farne  commercio  di  siffatte opere contraffatte, gia' previste come
reato  dall'art. 3  della  legge del 1971 (abrogato dall'art. 166 del
d.lgs.   n. 490/1999),   siano   ancora   oggi  previste  come  reato
dall'art. 127 del decreto legislativo (che riproduce integralmente il
testo letterale dell'art. 3).
    Siccome  l'abrogazione  della  legge  del  1971,  la riproduzione
nell'art. 127  dell'identico  testo  letterale dell'art. 3 e l'omessa
abrogazione  dell'art. 9 della legge del 1971 sono state disposte con
un  unico atto normativo (il decreto legislativo n. 490/1999), appare
logico  ritenere  che  le  tre  suindicate  disposizioni  abbiano una
identica  ratio.  Ne  consegue  che,  dopo  avere esaminato quale sia
l'interpretazione  letterale  e  logico-sistematica dell'art. 127, al
limitato  fine  di accertare se l'intenzione del legislatore delegato
sia conforme a detta interpretazione, non puo' ritenersi inconferente
l'analisi  sulla  intenzione  del  legislatore  sottesa  alla  omessa
abrogazione dell'art. 9.
    In  questo  ambito,  dal  fatto che il legislatore delegato abbia
mantenuto  in  vita l'art. 9 (il quale - notasi - detta la disciplina
processuale  da applicare ai reati previsti dall'art. 127 nel caso in
cui  abbiano  ad oggetto la contraffazione di "opere d'arte moderna e
contemporanea"),  non  puo'  non  dedursi che, secondo il legislatore
delegato, l'art. 127 punisce anche la contraffazione di "opere d'arte
moderna  e  contemporanea".  Se cosi' non fosse, infatti, si dovrebbe
ritenere  che  l'art. 9  (che  si  riferisce  esclusivamente ai reati
previsti dall'art. 127) sia una norma inutile e pleonastica in quanto
non applicabile ad alcun caso.
    6.8.   -  La  Sezione  terza  della  Corte  di  cassazione  nella
summenzionata   sentenza,  allo  scopo  di  giustificare  la  mancata
abrogazione  dell'art. 9  ed  individuare  i  casi  cui si riferisce,
assume che - relativamente alle opere d'arte contemporanea - l'art. 9
e' applicabile per l'accertamento di reati diversi da quelli previsti
dal testo unico, quale ad esempio il delitto di truffa".
    L'assunto non appare condivisibile.
    L'art. 9   non   parla   genericamente  di  reati  relativi  alla
contraffazione  di  opere d'arte moderna, ma il suo incipit specifica
"Nei  procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli",
e  continua  "nei  casi  di  opere  d'arte moderna e contemporanea il
giudice  e'  tenuto  ...",  dal che si desume che la disposizione non
abrogata  si  riferisce  espressamente  ed  esclusivamente  ai  reati
previsti dai "precedenti articoli".
    Siccome  i reati previsti nei precedenti articoli della legge del
1971  sono:  la  contraffazione,  l'alterazione  e la riproduzione di
un'opera  di  pittura,  scultura o grafica, anche se moderna (art. 3,
comma  1); il commercio, la detenzione per farne commercio e la messa
in  commercio  di  siffatte  opere contraffatte (art. 3, comma 2); la
falsa  autenticazione  delle  opere  contraffatte  (art. 4, n. 1); le
dichiarazioni,  le perizie, le pubblicazioni, l'apposizione di timbri
ed  etichette  e  l'uso  di  qualsiasi altro mezzo che accrediti come
autentiche  le  opere contraffatte (art. 4, n. 2), significa che e' a
questi  specifici  reati (e non a quelli generali previsti dal codice
penale) che il legislatore delegato, nel momento in cui nell'art. 166
del   decreto  legislativo  ha  espressamente  escluso  l'abrogazione
dell'art. 9 della legge del 1971, intendeva riferirsi.
    Ora, tenuto conto che tutti questi delitti attualmente nel nostro
ordinamento  giuridico  sono  previsti solo dall'art. 127 (notasi che
non  esiste  nel  nostro  ordinamento  alcuna  altra disposizione che
punisca  tutte le suindicate figure criminose), appare logico dedurre
che  il  legislatore  delegato  in  tanto ha riprodotto nell'art. 127
l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del
1971  ed  ha  omesso  di  abrogare  l'art. 9 della medesima legge, in
quanto   voleva   lasciare   immutate   le   previgenti   fattispecie
incriminatici a tutela delle opere d'arte moderna.
    Se  cosi'  non  fosse,  si  dovrebbe  ritenere che il legislatore
delegato,  pur  riproducendo nell'art. 127 l'identico testo letterale
degli  artt. 3,  4,  5, 6 e 7 della legge del 1971 e pur omettendo di
abrogare  l'art. 9  della  medesima legge, abbia voluto modificare il
contenuto   precettivo  delle  disposizioni  che  riproduceva  e  non
abrogava, escludendo dalle figure criminose da esse previste le opere
d'arte  moderna.  Il  che - data la singolare tecnica legislativa con
cui  sarebbe  stata  attuata siffatta rilevante modifica (dalla quale
consegue  la depenalizzazione di parte delle attivita' finalizzate al
fraudolento  commercio  di opere d'arte moderna contraffatte) - rende
questa tesi scarsamente sostenibile.
    7. - Il comma 6 dell'art. 2 del decreto legislativo n. 490/1999.
    A  sostegno della tesi che esclude l'applicabilita' dell'art. 127
alle  opere  d'arte  moderna  e  contemporanea la Sezione terza della
Corte   di   cassazione  e  la  difesa  -  pur  non  contestando  che
l'interpretazione  letterale  appare  favorevole all'opposta tesi che
ritiene  che questa disposizione si riferisca anche alle opere d'arte
moderna  e  contemporanea - adducono, in realta', un unico argomento:
la  presenza  nel  dereto  legislativo  del  comma  6 dell'art. 2 che
dispone: "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo, a norma
del  comma  1,  lettera  a),  le  opere  di  autori  viventi o la cui
esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni".
    Si  assume  che  siccome l'art. 127 e' contenuto nel capo VII del
titolo primo, la sanzione penale da esso prevista, per precisa scelta
del  legislatore  delegato,  non  puo'  essere  applicata  alle opere
pittoriche di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre
cinquanta anni.
    7.1.  -  Per  valutare  la  suddetta  tesi si puo' cominciare col
notare   che   in  essa  sono  individuabili  due  diversi  indirizzi
interpretativi  che  giungono  a  sostenere  due  diversi  ambiti  di
applicazione del comma 6 dell'art. 2.
    Il  primo  indirizzo,  dando  rilievo  al  solo  dato  letterale,
sostiene  che  dal  comma  6  consegue  che l'art. 127 e' applicabile
soltanto  alle  opere  d'arte  la  cui  esecuzione  risalga  ad oltre
cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi.
    Il  secondo  indirizzo (sostenuto anche dalla Sezione terza della
Corte  di  cassazione nella sentenza gia' citata) - dal rilievo che i
precedenti  cinque commi dell'art. 2 hanno la funzione di individuare
le  cose  cui  per  l'interesse  artistico,  storico,  archeologico o
demo-etnoantropologico  che  presentano  deve  essere  attribuita  la
qualifica  di  "beni  culturali" e sono assoggettate alla particolare
disciplina  vincolistica prevista dal titolo primo - deduce che anche
il  sesto  comma  si  riferisce  ai  beni  culturali.  Il  comma 6 ha
unicamente  la  funzione  di  limitare l'ambito di operativita' della
classificazione contenuta nei commi precedenti, statuendo che le cose
immobili  e  mobili elencate nei primi cinque commi non sono soggette
alla  disciplina del titolo primo se i loro autori siano viventi o la
loro esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
    Da  questo  secondo  indirizzo  consegue  che  l'art. 127  non e'
applicabile  a  tutte  le  opere  d'arte la cui esecuzione risalga ad
oltre  cinquanta  anni  e  i  cui  autori non siano piu' viventi come
sostiene   l'indirizzo  precedentemente  esaminato),  ma  solo  -  ed
esclusivamente  -  alle  opere  d'arte  cui  il  comma  1 dell'art. 2
attribuisce  la  qualifica  di  bene  culturale  (e la cui esecuzione
risalga  ad  oltre  cinquanta  anni  e  i  cui  autori non siano piu'
viventi).
    7.2.  -  Osserva  il  collegio  che la tesi sostenuta dal secondo
indirizzo  interpretativo esaminato, nella parte in cui assume che il
sesto   comma  dell'art. 2  si  riferisce  alle  res  menzionate  nei
precedenti cinque commi, e' condivisibile.
    E'  indubbio  che  l'intero  art. 2 ha la funzione di individuare
quali   sono   le  cose  che  per  l'"interesse  artistico,  storico,
archeologico   o   demo-etno-antropologico   che   presentano"   sono
qualificati  "beni  culturali  che compongono il patrimonio storico e
artistico  nazionale  (e)  sono  tutelati  secondo le disposizioni di
questo titolo, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione".
    L'art. 2,     intitolato    "Patrimonio    storico,    artistico,
demo-etno-antropologico,  archeologico, archivistico, librario", dopo
avere  nel  primo  comma disposto "Sono beni culturali disciplinati a
norma  di  questo  titolo:"  e (dopo i due punti), elencato nei commi
successivi  le  varie  categorie  di  beni  culturali,  nel sesto (ed
ultimo)  comma  aggiunge "Non sono soggette alla disciplina di questo
titolo ... le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga
ad oltre cinquanta anni".
    Chiaro  e',  dunque, che il comma 6, come i cinque precedenti, si
riferisce  ai  beni culturali. Esso si limita a statuire che alle res
menzionate  nei  commi  precedenti  la disciplina prevista nel titolo
primo per tutti i beni culturali non e' applicabile nel caso in cui i
loro  autori siano ancora viventi o la loro esecuzione non risalga ad
oltre cinquanta anni.
    Che  il comma sesto si riferisca solo ed esclusivamente alle cose
menzionate  nei  precedenti  cinque  commi  (vale  a dire: alle "cose
immobili  e  mobili  che  per  l'interesse  storico  e  artistico che
presentano ... sono beni culturali" deriva oltre che dal locus in cui
la  disposizione  e'  inserita  (nell'art. 2  che  ha  la funzione di
individuare  le res che, presentando detto interesse, sono sottoposte
alla   disciplina   prevista  dal  titolo  primo)  e  dai  precedenti
legislativi  (nel  comma 6 il legislatore delegato riproduce l'ultimo
comma  dell'art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, che ugualmente
si riferiva solo alle "cose d'interesse artistico o storico" elencate
nei commi precedenti), anche da argomenti logici.
    Ad  accogliere  l'opposta  tesi,  che  assume  che  il comma 6 si
riferisce a tutte le cose immobili e mobili la cui esecuzione risalga
ad  oltre  cinquanta anni, si giungerebbe all'assurda conseguenza che
qualsiasi  cosa,  dopo la morte dell'Autore, trascorsi cinquanta anni
dalla  sua  esecuzione,  sarebbe  sottoposta  alla  rigida disciplina
vincolistica  prevista dal titolo primo del decreto legislativo. Ora,
se  si  tiene presente che detta disciplina fortemente limitativa del
diritto  di  proprieta'  sul  piano  costituzionale  e'  giustificata
dall'essere   i  beni  culturali  considerati  parte  integrante  del
"patrimonio  storico  e  artistico  della  Nazione" (art. 9 Cost. e 1
d.lgs. n. 490/1999), ben si comprende che non tutte le cose mobili ed
immobili,  ne'  tutte  le  opere di pittura, scultura o grafica, dopo
cinquanta  anni  dalla  loro  esecuzione  possono  essere considerate
appartenere  al  "patrimonio  storico e artistico della Nazione" - e,
quindi,  essere sottoposte alla disciplina prevista per le cose che a
tale  patrimonio  appartengono  - ma solo quelle cose e quelle opere,
elencate  nei  primi cinque commi dell'art. 2, che per il particolare
"interesse storico e artistico che presentano" sono qualificate "beni
culturali".
    7.3. - Stabilito che il sesto comma dell'art. 2 si riferisce solo
alle cose cui i precedenti cinque commi attribuiscono la qualifica di
"bene culturale", consegue che esso sul problema oggetto dell'attuale
procedimento  (vale  a  dire:  se  la  contraffazione  di un'opera di
pittura  moderna  -  non  qualificabile,  ai  sensi dell'art. 2, bene
culturale  - sia o non sia assoggettata alle sanzioni penali previste
dall'art. 127) e' del tutto ininfluente.
    Gia'  si  e'  detto  che  due  sono  i  possibili  significati da
attribuire  alla  espressione  "opere di pittura, scultura o grafica"
contenuta  nell'art. 127:  o  si  ritiene,  secondo l'interpretazione
accolta  dalla  Sezione  terza della Corte di cassazione, che essa si
riferisca  esclusivamente  alle  opere di pittura, scultura e grafica
qualificabili,  ai  sensi dell'art. 2, "beni culturali"; o si ritiene
che  essa, non contenendo alcuna specificazione, si riferisca a tutte
le  opere  di  pittura,  scultura  e  grafica, comprese quelle d'arte
moderna e contemporanea.
    Ebbene,  nel  primo caso l'art. 127 non e' applicabile alle opere
di  pittura moderna, non per la presenza del comma 6, ma in quanto le
opere di pittura moderna e contemporanea non sono beni culturali; nel
secondo   caso   il   comma   6  e'  irrilevante  sull'applicabilita'
dell'art. 127  alle  opere  di  pittura  moderna  e  contemporanea in
considerazione   che  esso  si  riferisce  solo  alle  opere  cui  e'
attribuita dall'art. 2 la qualifica di bene culturale.
    Nell'uno  e  nell'altro  caso  la  soluzione  del  problema se la
contraffazione  di  un'opera d'arte moderna o contemporanea sia o non
sia  punibile  ai  sensi  dell'art. 127  non dipende, come ritiene la
Sezione terza della Corte di cassazione, dal sesto comma dell'art. 2,
ma - esclusivamente - dall'interpretazione del medesimo art. 127.
    Nessun   dubbio,   infatti,   puo'   esservi   che,   accogliendo
l'interpretazione   secondo  cui  l'espressione  "opera  di  pittura,
scultura  o  grafica" si riferisce alle opere d'arte qualificate beni
culturali,    la   contraffazione   di   un'opera   d'arte   moderna,
indipendentemente   dal  comma  6,  non  sarebbe  punibile  ai  sensi
dell'art. 127;  se - invece - si accogliesse l'altra interpretazione,
secondo  cui  la  suddetta espressione si riferisce alle opere d'arte
moderna,  la  contraffazione  di  un'opera  moderna  o  contemporanea
sarebbe  certamente  punibile, nonostante la presenza del comma 6, ai
sensi  dell'art. 127. Su detta punibilita', notasi, nessuna influenza
puo'  essere attribuita al sesto comma dell'art. 2, in considerazione
che  esso  si  riferisce  ai  beni  culturali e non alle opere d'arte
moderna e contemporanea che non sono beni culturali.
    Siccome   gia'   si   e'   detto  nei  paragrafi  precedenti  che
dall'interpretazione  letterale, logico-sistematica e dall'intenzione
del  legislatore  delegato  si  evince  che  l'espressione  contenuta
nell'art. 127  "opera  di  pittura, scultura o grafica", senza alcuna
aggettivazione, si riferisce a tutte le opere d'arte, comprese quelle
d'arte   moderna   o  contemporanea,  il  Tribunale  ritiene  che  la
contraffazione   di   un'opera   di   pittura   moderna,   che  prima
dell'emanazione  del  d.lgs. n. 490/1999 era punita dall'art. 3 della
legge n. 1962/1971, attualmente sia punita dall'art. 127 del suddetto
decreto  che  riproduce  integralmente l'identico testo letterale del
previgente art. 3.
    8. - La  questione  di  legittimita' costituzionale sollevata dal
p.m.
    Il  p.m.  ha  chiesto,  del  caso  in  cui il tribunale ritenesse
fondata  l'interpretazione  dell'art. 127  proposta  dalla difesa, la
rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Secondo  il  p.m.,  siccome la legge delega attribuiva al Governo
esclusivamente il potere di riunire e coordinare in un testo unico le
disposizioni  legislative  vigenti  in  materia di beni culturali, il
decreto  legislativo  emanato in attuazione della delega, nella parte
in  cui  ha abrogato le fattispecie criminose previste dagli artt. 3,
4,   5,   6  e  7  della  legge  n. 1062/1971,  relative  anche  alla
contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, e' viziato
- in relazione agli artt. 76 e 77, comma 1, Cost. - da illegittimita'
costituzionale per un duplice ordine di ragioni:
        a) in quanto la delega aveva ad oggetto solo i beni culturali
e  non  le  opere d'arte moderna e contemporanea, le quali certamente
non possono essere qualificate "beni culturali";
        b)  in quanto la delega autorizzava il Governo solo a riunire
e  coordinare  le  disposizioni  legislative  vigenti,  e non gia' ad
abrogare  interamente  la  protezione  penale da esse prevista per le
opere d'arte moderna e contemporanea.
    8.1.  -  La questione sollevata dal p.m., a parere del tribunale,
e' fondata.
    La  locuzione  "beni culturali", adoperata dalla legge delega, ha
nel nostro ordinamento giuridico un preciso, pacifico, consolidato ed
univoco significato.
    Gia'   la   "Commissione   di   indagine   per  la  tutela  e  la
valorizzazione   delle   cose   d'interesse   storico,  archeologico,
artistico  e  del  paesaggio", istituita con la legge 26 aprile 1964,
n. 310   (nota,  dal  nome  del  suo  presidente,  come  "Commissione
Franceschini"),  da'  una  definizione  giuridica  unitaria  dei beni
culturali,  cosi'  articolata:  "Appartengono  a patrimonio culturale
della  Nazione  tutti  i  beni  aventi  riferimento alla storia della
civilta'.   Sono   assoggettati   alla  legge  i  beni  di  interesse
archeologico,    storico,   artistico,   ambientali   e   paesistico,
archivistico   e   librario,  ed  ogni  altro  bene  che  costituisca
testimonianza  materiale  avente valore di civilta'". La legislazione
successiva  recepisce  i  capisaldi  di  questa definizione ed usa la
locuzione  "beni  culturali"  sempre  in relazione ai beni che per il
loro particolare interesse storico, artistico, etc. costituiscono una
testimonianza  della  storia  della  civilta'  e,  proprio per questa
ragione, si ritengono appartenere al patrimonio della Nazione (v., ad
es., il d.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, "Organizzazione del Ministero
per  i  beni culturali e ambientali" e l'art. 48 del d.P.R. 24 luglio
1977, n. 616).
    Sono  certamente  questi  i  beni  cui  la  legge 8 ottobre 1997,
n. 352, si riferisce quando, nell'individuare - ai sensi dell'art. 76
Cost.  - l'oggetto della delega, autorizza il Governo "ad emanare ...
un decreto legislativo ... nel quale siano riunite e coordinate tutte
le  disposizioni  legislative in materia di beni culturali". E che il
legislatore  delegato  abbia  inteso  bene l'oggetto e i limiti della
delega  e'  provato  dalla considerazione che il decreto legislativo,
dopo  avere nell'art. 1 indicato l'oggetto della materia disciplinata
("I  beni  culturali che compongono il patrimonio storico e artistico
nazionale  sono tutelati secondo le disposizioni di questo titolo, in
attuazione   dell'art.   9   della   Costituzione")   e   nell'art. 2
(intitolato: "Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico,
archeologico, archivistico, librario") elencato le varie categorie di
beni  culturali  che,  per  essere  testimonianza  della storia della
civilta',  "sono  disciplinati  a norma di questo titolo", in tutti i
successivi  articoli  del  titolo  primo  riproduce esclusivamente le
disposizioni  contenute nella previgente legislazione in tema di cose
di interesse storico, artistico, archeologico, etc.
    8.2. - Stabilito:
        a)  che  la  legge  delega  aveva  per  oggetto  solo  i beni
culturali;
        b) che gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 punivano
(anche) la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea;
    ad  accogliere  l'interpretazione sostenuta dalla difesa, seguita
anche  dalla  Sezione  terza  della Corte di cassazione - secondo cui
l'art. 127 del decreto legislativo, pur riproducendo l'identico testo
letterale  degli  artt. 3,  4,  5,  6  e  7  della legge del 1971, si
riferisce  esclusivamente alle opere d'arte che l'art. 2 del medesimo
decreto  qualifica  beni  culturali  -  ne consegue che l'art. 166 di
detto  decreto,  nella parte in cui abroga totalmente gli artt. 3, 4,
5,  6  e  7  della  citata  legge del 1971, e' di dubbia legittimita'
costituzionale  per avere - eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi
fissati  nella delega, abrogato le fattispecie incriminatici previste
in tema di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea,
materia per la quale il Governo non aveva ricevuto alcuna delega.
    9. - La     manifesta    infondatezza    della    questione    di
costituzionalita' sollevata dalla difesa.
    La difesa, muovendosi dai medesimi presupposti della questione di
costituzionalita'  sollevata dal p.m. - a) che la legge delega ha per
oggetto  solo  i  beni  culturali; b) che le opere d'arte moderna non
sono    beni    culturali -,    assume   che,   se   si   accogliesse
l'interpretazione   dell'art. 127   proposta  dal  p.m  (secondo  cui
l'art. 127 punisce anche la contraffazione delle opere d'arte moderna
e   contemporanea),   il   decreto  legislativo  sarebbe  viziato  da
illegittimita'  costituzionale  per  avere,  oltrepassando  i  limiti
fissati  dalla  legge delega, legiferato in tema di contraffazione di
opere d'arte moderna e contemporanea, materia per la quale il Governo
non aveva ricevuto alcuna delega.
    9.1.  -  L'eccezione,  cosi'  come prospettata, e' manifestamente
infondata.
    Dal  rilievo  che,  siccome  la  delega  riguardava  solo  i beni
culturali,  il legislatore delegato non poteva disporre nell'art. 127
la  punizione  della  contraffazione  delle  opere  d'arte  moderna e
contemporanea, deriva - quale logica conseguenza - che il legislatore
delegato   non   avrebbe   potuto   nemmeno   nell'art. 166  disporre
l'abrogazione  degli  artt. 3,  4,  5, 6 e 7 della legge del 1971 che
punivano   la   contraffazione   delle   opere   d'arte   moderna   e
contemporanea.
    Se,   dunque,   per  eccesso  di  delega  si  dovesse  dichiarare
l'incostituzionalita'  dell'art. 127 nella parte in cui, riproducendo
l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del
1971,   punisce  la  contraffazione  delle  opere  d'arte  moderna  e
contemporanea,  si dovrebbe necessariamente - per la medesima ragione
-   dichiarare   l'incostituzionalita'   dell'art. 166   del  decreto
legislativo, nella parte in cui abroga gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della
legge  del  1971 che punivano nell'identica maniera la contraffazione
delle opere d'arte moderna e contemporanea.
    Per  effetto della duplice dichiarazione d'incostituzionalita' la
situazione   resterebbe   sostanzialmente   immutata,  in  quanto  la
contraffazione  delle opere d'arte moderna e contemporanea resterebbe
assoggettata  alla medesima disciplina penalistica (in considerazione
che  la  fattispecie incriminatrice contenuta nell'art. 127 riproduce
le  fattispecie  incriminatici  contenute  negli artt. 3, 4, 5, 6 e 7
della  legge  del  1971),  il  che rende priva di qualsiasi rilevanza
l'eccezione d'incostituzionalita' proposta dalla difesa.
    10. - La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
sollevata dal p.m.
    Da   quanto  gia'  detto  risulta  evidente  la  rilevanza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 166 del d.lgs.
n. 490/1999.
    A  fondamento  dell'appello con cui si chiede la restituzione dei
quadri  sequestrati  a  firma  del  pittore  Mario Schifano la difesa
assume  che  a  seguito  dell'abrogazione  degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7
della  legge del 1971 disposta dall'art. 166, anche se i dipinti sono
contraffatti, "vi e' oggi inesistenza del reato".
    Ne  consegue che, per decidere l'attuale appello, e' rilevante la
questione sulla eventuale incostituzionalita' dell'art. 166.
    11. - Sull'ammissibilita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale in materia penale.
    La  Sezione  terza  della  Corte  di  cassazione, cui la medesima
questione  era stata sollevata, pure ammettendo non potersi escludere
"un   eventuale   sospetto   di   eccesso  del  legislatore  delegato
nell'ambito  della  delega conferitagli", non ha proposto il giudizio
di   legittimita'   costituzionale   sul   rilievo   che   "la  Corte
costituzionale  con  innumerevoli pronunce ha reiteramente dichiarato
manifestamente    inammissibili    le   questioni   di   legittimita'
costituzionale  tese ad ampliare o introdurre nuove ipotesi di reato,
avendo  in  proposito  sempre ribadito che, avuto riguardo al secondo
comma dell'art. 25 della Costituzione - il quale afferma il principio
che  nessuno  puo' essere punito se non in forza di una legge entrata
in  vigore  prima  del  fatto  commesso - rimane esclusa per la Corte
costituzionale  la possibilita' di introdurre nell'ordinamento penale
in  via  additiva  nuovi  reati  ed  altresi' di ampliare o aggravare
figure  di  reato gia' esistenti". (Cass. Sez. III, 18.9 - 20 ottobre
2001, cit.).
    L'indirizzo  interpretativo  adottato  dalla Corte costituzionale
e', sul piano generale, indubbiamente condivisibile.
    Due sono le ragioni per cui il principio di legalita', codificato
nell'art. 25,  comma  2,  della  Costituzione  ( "Nessuno puo' essere
punito  se  non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima
del   fatto   commesso".),   impedisce   alla   Corte  costituzionale
d'introdurre  nell'ordinamento  penale  in via additiva nuovi reati o
ampliare o aggravare le figure di reato gia' esistenti.
    In  primo  luogo  in  quanto,  se la Corte introducesse una nuova
figura di reato, non si sarebbe puniti "in forza di una legge", ma in
forza di una decisione della Corte costituzionale.
    In  secondo  luogo,  tenuto  conto  che  le decisioni della Corte
esplicano  i  loro  effetti  dal giorno successivo alla pubblicazione
(v.,  art. 136  Cost.),  una  norma penale introdotta a seguito della
pronuncia  d'incostituzionalita'  non  potrebbe  essere applicata nel
procedimento  penale in cui la questione e' stata sollevata perche' -
se  cosi'  fosse  -  si sarebbe puniti da una norma che e' entrata in
vigore dopo la commissione del fatto.
    Il  tribunale,  pur condividendo questi principi, ritiene che nel
caso   che   si   esamina   la  questione  di  costituzionalita'  sia
ammissibile.
    11.1.  Innanzitutto  si  deve rilevare che il caso che si esamina
riguarda  un  decreto  legislativo che, disponendo in una materia del
tutto  estranea a quella indicata dalla legge delega, ha abrogato una
legge.
    In  questa  ipotesi  il tribunale ritiene che nessuna preclusione
derivi   dal   secondo   comma   dell'art. 25  Cost.  alla  eventuale
dichiarazione  d'incostituzionalita'  del  decreto  legislativo,  per
l'ovvia   ragione   che   anche   dopo   l'intervento   della   Corte
costituzionale  si  continuerebbe  ad  essere puniti "in forza di una
legge" (in forza della legge illegittimamente abrogata).
    Il    secondo    comma   dell'art. 25,   nel   momento   in   cui
costituzionalizza  il principio che nessuno puo' essere punito se non
in  forza  di  una  legge",  attribuisce  al  Parlamento  in  maniera
esclusiva  il  potere  di emanare norme in materia penale, escludendo
che  si  possa  essere  puniti  in  forza  di  un  atto normativo non
riconducibile alla volonta' del Parlamento.
    Mentre,  dunque,  nel  caso  in  cui  una  norma  sia  introdotta
nell'ordinamento  penale  dalla Corte costituzionale, ricavandola dai
principi  generali fissati dalla Costituzione (p.es. dall'art. 3), vi
e' una lesione dell'art. 25, comma 2, in quanto la suddetta norma non
e'  riconducibile  alla  volonta'  del Parlamento, nel caso in cui la
Corte  Costituzionale si limiti a dichiarare l'incostituzionalita' di
un atto del Governo (il decreto legislativo) che, senza alcuna delega
del  Parlamento,  in  violazione  degli artt. 76 e 77, comma 1, Cost.
abbia abrogato una legge, non v'e' alcuna lesione dell'art. 25, comma
2,   perche'   la   norma   che   per   effetto  della  dichiarazione
d'incostituzionalita'   rivive   e'   proprio  la  norma  voluta  dal
Parlamento, illegittimamente abrogata dal Governo.
    Per  comprendere  la  rilevanza  di quanto sostenuto, facciamo un
esempio.   Ammettiamo  che  il  Governo,  senza  avere  ricevuto  dal
Parlamento  alcuna  delega,  con  un  decreto  legislativo abroghi un
intero  libro  o  un  intero titolo del codice penale. In questo caso
nessun  dubbio  puo'  sussistere  che  l'art. 25,  comma secondo, non
costituisce  un  ostacolo  a  che  la  Corte  costituzionale dichiari
l'illegittimita'  costituzionale della suddetta abrogazione, compiuta
in  violazione  degli  artt. 76  e  77,  comma  l.  Se  cosi'  non si
ritenesse,  gli  artt. 76 e 77 in materia penale sarebbero pressoche'
svuotati  di contenuto perche' il Governo potrebbe, in violazione dei
principi  cardini  del  nostro ordinamento costituzionale, abrogare -
senza  avere ricevuto alcuna delega dal Parlamento - qualsiasi figura
criminosa.
    11.2. In secondo luogo deve rilevarsi che questo Tribunale non e'
chiamato  a  pronunciarsi  sulla penale responsabilita' dell'indagato
(nel  qual  caso sulla ammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale  potrebbe  avere  rilevanza  l'art. 25, comma 2, Cost.
nella parte in cui dispone che si puo' essere puniti solo in forza di
una  legge  "che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"), ma
deve  solo  decidere  se  all'indagato  debbano  essere  restituiti i
dipinti a firma contraffatta del pittore Mario Schifano.
    L'art. 7  della  legge  del  1971  (il  cui  testo  letterale  e'
integralmente   riprodotto   nell'art. 127,   comma  4,  del  decreto
legislativo), abrogato dall'art. 166, dispone: "E' sempre ordinata la
confisca  degli  esemplari  contraffatti, alterati o riprodotti delle
opere  o degli oggetti indicati nei precedenti articoli, salvo che si
tratti   di   cose   appartenenti   a  persona  estranea  al  reato".
L'interpretazione  di  questa  disposizione  (che  riecheggia  quella
prevista  dall'art. 240  c.p.v.  n. 2 c.p., relativa alle cose la cui
fabbricazione,   l'uso,  il  porto,  la  detenzione  o  l'alienazione
costituiscono  reato)  e'  pacifica:  le opere contraffatte, anche in
assenza  della sentenza di condanna, vanno confiscate, per la ragione
che   la   loro   restituzione   costituirebbe  la  premessa  per  la
realizzazione di un nuovo reato.
    Ne  consegue  che  -  qualora  fosse  dichiarata l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 166 del decreto legislativo, nella parte in
cui  ha  abrogato  gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 - la
reviviscenza   di   tali  disposizioni  dal  giorno  successivo  alla
pubblicazione  della  decisione,  anche  se  e' vero che non potrebbe
comportare  la  condanna  dell'indagato,  sarebbe rilevante in questo
procedimento incidentale in cui si deve soltanto decidere se le opere
di  pittura  moderna  sequestrate,  di  cui  e'  stata  accertata  la
contraffazione  al  fine  di  trarne  profitto, debbano o non debbano
essere  restituite  a persona non estranea alla illecita attivita' di
contraffazione.
    12. - Considerazioni finali.
    Si e' gia' detto che questo Tribunale in due precedenti ordinanze
-  pronunciate il 24 gennaio ed il 3 maggio 2001 in sede di riesame e
di  appello  proposti  da  tutti  gli indagati di questo procedimento
penale  avverso ordinanze applicative di misure cautelari personali -
non  ha  ritenuto  rilevante  l'identica  questione  di  legittimita'
costituzionale  in  quanto  ha  accolto  interpretazione  secondo cui
l'art. 127 del decreto legislativo, in cui il legislatore delegato ha
riprodotto  l'identico  testo  letterale  degli  artt. 3, 4, 5, 6 e 7
della  legge  1971,  e' applicabile anche alle opere d'arte moderna e
contemporanea.  Da  questa  interpretazione  consegue  che poiche' il
decreto  legislativo  non  ha  in alcun modo modificato la disciplina
penale  prevista  dagli  artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 in
materia di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea,
la   questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 166  non
sussiste.
    E'  da  notare  che  l'interpretazione  dell'art. 127, accolta da
questo  tribunale  nelle  due  suindicate  ordinanze,  era  all'epoca
condivisa  sia  dai giudici di merito e sia dalla Corte di cassazione
(per  quest'ultima, v., tra le altre, Sez. III 20 febbraio - 31 marzo
2000, n. 4084, imp. Ginori, in Cass. pen., 2001, 318).
    Successivamente   la   medesima  Sezione  terza  della  Corte  di
cassazione  ha mutato indirizzo. Nella sentenza piu' volte citata del
18  settembre 2001 (pronunciata in una fattispecie del tutto identica
a  quella  oggetto dell'attuale appello: ricorso avverso un'ordinanza
con  cui il Tribunale del riesame di Roma aveva respinto l'istanza di
restituzione  di  quadri  contraffatti del pittore Mario Schifano) la
Corte  -  ritenendo non piu' in vigore gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della
legge del 1971 perche' abrogati dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999,
e  non  applicabile  l'art. 127 del medesimo decreto legislativo alle
opere  d'arte  moderna e contemporanea perche' il comma 6 dell'art. 2
limita   la  disciplina  del  titolo  primo,  in  cui  l'art. 127  e'
contenuto,  alle  opere  i cui autori non siano piu' viventi o la cui
esecuzione   risalga  ad  oltre  cinquanta  anni  -  ha  ordinato  la
restituzione dei quadri sequestrati.
    Dopo  la  pubblicazione  della  suddetta  sentenza  anche  alcuni
giudici   di  merito  hanno  recepito  l'interpretazione  restrittiva
dell'art. 127  (v.,  in  questo senso, Tribunale del riesame di Roma,
ordinanza  n. 625/2001  del  13  dicembre  2001,  che ha annullato il
decreto   di   sequestro   di  un  catalogo  contenente  riproduzioni
fotografiche  di  opere  pittoriche attribuite alla mano dell'artista
Mario Schifano, ma in realta' false, nonche' delle opere contraffatte
indicate  nel  catalogo),  per cui oggi si assiste al consolidarsi di
una  linea  interpretativa  tesa  a sostenere che la contraffazione a
scopo  di lucro di opere d'arte moderna e contemporanea, il commercio
degli  esemplari contraffatti, le false autentiche e la pubblicazione
di   cataloghi   contenenti   riproduzioni   fotografiche   di  opere
contraffatte non integrano estremi di reato.
    Il consolidamento di questo nuovo indirizzo interpretativo impone
a questo tribunale di riesaminare la questione.
    12.1.  -  Il  tribunale,  anche  dopo  avere  valutato le ragioni
addotte  a favore del nuovo indirizzo interpretativo - a sostegno del
quale  si  adduce  esclusivamente  il comma 6 dell'art. 2 (v., retro,
parag. 7) - ritiene, come gia' detto, che il legislatore delegato con
l'art. 127  abbia  inteso  punire anche la contraffazione delle opere
d'arte moderna e contemporanea.
    Ricevuta  la  delega  di  riunire  e coordinare in un testo unico
tutte  le disposizioni legislative in materia di beni culturali e di,
conseguenzialmente,  abrogare  le previgenti disposizioni legislative
inserite  nel  decreto, il legislatore delegato, attenendosi a quanto
prescritto  dalla  legge  delega, ha inserito nel decreto legislativo
tutte  le  disposizioni  legislative  relative  ai  beni  culturali e
nell'art. 166 ha elencato le leggi che, per essere state inserite nel
decreto, erano abrogate. Una unica legge, la n. 1062 del 1971 ("Norme
penali   sulla   contraffazione  od  alterazioni  di  opere  d'arte")
riguardava  sia  le  opere  d'arte  moderna  e  sia  i beni culturali
(l'art. 3  recita,  infatti, "Chiunque ... contraffa' ... un'opera di
pittura,  scultura,  o  grafica  o  un  oggetto  di  antichita'  o di
interesse  storico  o  archeologico". Per questa legge al legislatore
delegato   si   presentavano   due   vie:  o  inserirla  nel  decreto
legislativo,  escludendo  le  parole "un'opera di pittura, scultura o
grafica"  e,  quindi,  nell'art. 166  abrogare  solo  le parole "o un
oggetto  di  antichita'  o  di  interesse  storico o archeologico", o
inserirla  totalmente, anche nella parte relativa alla contraffazione
delle  opere d'arte moderna. Il legislatore delegato ha scelto questa
seconda  via,  ritenendo  non  opportuno  mantenere  nell'ordinamento
penale due disposizioni - l'art. 127 e gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 - del
tutto  identiche,  a  seconda  se la contraffazione avesse ad oggetto
un'opera  d'arte  moderna  o  un bene culturale. E che il legislatore
delegato,  scegliendo  questa  via,  non  avesse alcuna intenzione di
violare la legge delega, depenalizzando la contraffazione delle opere
d'arte  moderna  e contemporanea, e' provato dalla considerazione che
ha  mantenuto in vita l'art. 9 della legge del 1971 che espressamente
parla  di  "opere  d'arte moderna e contemporanea" (v., retro, parag.
6.6).
    Si e' gia' detto che, secondo questo tribunale, l'interpretazione
letterale, logico-sistematica e l'intenzione del legislatore delegato
indicano  in  maniera concorde che l'art. 127 si riferisce anche alle
opere  d'arte moderna e contemporanea. Si deve ora aggiungere che tra
due  interpretazioni  ugualmente  possibili,  di  cui una conforme al
dettato   costituzionale   e   l'altra   che  comporta  un  vizio  di
legittimita'  costituzionale,  il  magistrato  ordinario  e' tenuto a
scegliere la prima.
    12.2. - Nonostante quanto detto, il tribunale non puo' non tenere
conto  che  tra  i giudici di merito e quelli di legittimita' v'e' la
tendenza   ad   accogliere,   pur   nella  consapevolezza  della  sua
illegittimita'   costituzionale,  l'interpretazione  secondo  cui  la
contraffazione  delle  opere  d'arte  moderna  e  contemporanea ed il
commercio degli esemplari contraffatti non sono piu' punibili.
    Poiche' nell'esercizio della giurisdizione il magistrato non puo'
non  tener  conto  del  c.d.  "diritto  vivente, il Tribunale ritiene
doveroso  rimettere  gli  atti  alla  Corte costituzionale, affinche'
l'organo  cui e' affidato il controllo di legittimita' costituzionale
sugli atti aventi forza di legge, dica se la suddetta interpretazione
sia costituzionalmente corretta.