IL TRIBUNALE All'esito dell'udienza preliminare nel procedimento n. 115/01 g.u.p. pronunciando nei confronti di P. L. nato a Trento il 20 aprile 1983, libero presente, ha pronunciato la seguente ordinanza. Motivazione A seguito di richiesta di rinvio a giudizio del p.m. sede del 14 dicembre 2001, P. L. e' stato citato a comparire dinanzi a questo g.u.p. per rispondere del reato di cessione di sostanza stupefacente tipo hashish, in tre occasioni, allo stesso acquirente, tal P. G., per importi di L. 50.000, 100.000 e 200.000. All'odierna udienza, svoltasi alla presenza dell'imputato e degli altri sette coimputati, ai quali sono contestate distinte attivita' di cessione di sostanze stupefacenti, all'esito della discussione, il collegio ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32 comma 1 del d.P.R. n. 448/1988. La predetta norma sancisce testualmente: "Nell'udienza preliminare, prima dell'inizio della discussione, il giudice chiede all'imputato se consente alla definizione del processo in quella stessa fase, salvo che il consenso sia prestato validamente in precedenza. Se il consenso e' prestato, il giudice, al termine della discussione pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti dall'art. 425 c.p.p. o per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto". Nella specie, l'imputato ha negato il suo consenso alla definizione del procedimento allo stato degli atti, pur avendo concluso il difensore con richiesta di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. Osserva questo giudice che la questione della costituzionalita' della norma citata appare rilevante atteso che gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari, potrebbero consentire un proscioglimento dell'imputato ex art. 425, comma 3 c.p.p., non essendo gli stessi idonei a sostenere un'accusa in giudizio (si rileva che la responsabilita' del P. deriverebbe da una dichiarazione resa da P. G. nel corso delle indagini dinanzi alla polizia giudiziaria, quando ancora non aveva assunto la qualifica di indagato; successivamente, una volta indagato anche il P. per reati connessi a quello contestato all'odierno imputato, in sede di interrogatorio dinanzi al p.m. l'indagato (successivamente coimputato), non ha ribadito le accuse nei confronti del P.) o, quanto meno, potrebbero consentire la dichiarazione di non luogo a procedere nei confronti del minore per concessione di perdono giudiziale, non essendo la condotta tale da superare i limiti di pena per la concessione del beneficio e non risultando precedenti ostativi al riconoscimento dello stesso. Viceversa, in assenza del citato consenso, questo collegio sarebbe tenuto, secondo quanto richiesto dal p.m., al rinvio a giudizio del ragazzo. La soluzione che in concreto scaturisce dalla nuova formulazione dell'art. 32 comma 1 del d.P.R. n. 448/88 risulta in evidente contrasto con diversi parametri costituzionali, in particolare con gli artt. 3, 10, 24 secondo comma, 31 secondo comma, 101 secondo comma, 111 Costituzione. La norma denunciata, infatti, sebbene sia scaturita dall'indubbia esigenza di adeguamento del processo penale minorile ai nuovi principi costituzionali scaturiti dall'introduzione dell'art. 11 della Costituzione, pare aver tradito lo stesso spirito garantistico che l'aveva ispirata. Invero, a prescindere dal rilievo che le esigenze difensive dell'imputato minorenne sono salvaguardate, riguardo alle sentenze di proscioglimento che presuppongono la responsabilita' dell'imputato, dalla possibilita' di proporre opposizione dinanzi al tribunale per i minorenni, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 77/1993 che ha esteso tale facolta', prima limitato alle sole sentenze di condanna dall'art. 46 decreto legislativo n. 12/1991, nel caso di mancato consenso del minore alla definizione del procedimento allo stato degli atti, si verifica la paradossale conseguenza che il g.u.p. non possa pervenire non solo alla concessione del perdono giudiziale o alla dichiarazione di irrilevanza del fatto (formule che presuppongono un accertamento di responsabilita), ma neppure a un proscioglimento pieno dell'imputato ex art. 425 c.p.p. Ancor piu' paradossale e punitivo per l'imputato sembra il corollario che lo stesso debba essere rinviato a giudizio a fronte di assenza di elementi di responsabilita' a suo carico o di elementi dubbi, insufficienti o inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, subendo le dannose conseguenze in termini psicologici di un dibattimento dinanzi al tribunale ed i relativi costi (economici, educativi, familiari, sociali). Conseguendo dalla norma censurata la necessita' di una fase di giudizio ulteriore (quella dibattimentale) scaturisce un aggravamento dell'esercizio del diritto della difesa ex art. 24, comma 2, della Costituzione che appare ancor piu' evidente se si pensa che si tratta di un imputato minorenne. Si ravvisa, inoltre, un profilo di incostituzionalita' della norma con riferimento all'art. 3 della Costituzione attesa l'illogica disparita' di trattamento con gli imputati maggiorenni per i quali il g.u.p. presso il tribunale ordinario ben puo' emettere sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. senza necessita' di alcun consenso. L'art. 32 del d.P.R. n. 448/1998 appare in ogni caso costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede la necessita' del consenso anche nel caso di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. (come nel caso di specie in cui l'imputato potrebbe essere prosciolto per non aver commesso il fatto). Ulteriore profilo di incostituzionalita' deriva dalla violazione dell'art. 10 della Costituzione che sancisce al primo comma che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. La nuova formulazione della norma, con l'introduzione di un meccanismo di consenso alla definizione del procedimento penale la cui mancanza possa ritardare la rapida definizione dello stesso, pare contraddire tutto lo spirito della legislazione minorile, improntata ai principi di residualita' dell'intervento penale, di minore offensivita' dello stesso, di incentivazione di meccanismi di diversion e conseguente rapida uscita del minore dal "circuito penale", come sanciti dagli impegni internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione di fondamentali documenti quali le c.d. Regole Minime di Pechino, stabilite dalla Convenzione di New York del 1985 (v. in particolare l'art. 20 che prevede: "Ogni caso, fin dall'inizio, deve essere trattato rapidamente, evitando ritardi"); dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, emanata a New York nel 1989 (v. in particolare gli artt. 3 e 40, che prevedono che nelle procedure giudiziarie deve essere salvaguardato l'interesse del minore e che il percorso giudiziario venga definito senza indugio, per mezzo di un procedimento equo ai sensi di legge); nonche' dalla raccomandazione sulle risposte sociali alla delinquenza minorile, emanata dal Consiglio d'Europa il 17 settembre 1987 (v. in particolare l'art. 4, che prevede "di assicurare una giustizia dei minori piu' rapida, che eviti dei ritardi eccessivi, affinche' essa possa avere un'azione educativa efficace"). Palese appare il contrasto dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448/1988 anche con l'art. 31, comma 2, della Costituzione in relazione alla circostanza che la protezione dell'infanzia e della gioventu' sancita dalla Carta costituzionale viene a subire un duro colpo con la previsione della possibilita' di trattenere il minore nel circuito processuale, facendogli subire conseguenze perverse di un meccanismo che dovrebbe tendere al rispetto della sua personalita' e propendere alla sua educazione. Tali diritti verrebbero ad essere sacrificati proprio nei casi di una sua evidente assenza di responsabilita' o a fronte di possibili soluzioni diverse dal giudizio dibattimentale (perdono giudiziale e irrilevanza del fatto), considerato secondo il comune sentire e tra gli stessi operatori minorili esperienza "forte" dal punto di vista psicologico ed educativo, con conseguente prolungamento della situazione di incertezza processuale. Parimenti deve essere evidenziato come la norma censurata appare essere in contrasto con l'autonomia della funzione giurisdizionale per violazione dell'art. 101 della Costituzione, atteso che e' escluso che il giudice possa emettere sentenza di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. ovvero di proscioglimento per concessione del perdono giudiziale o per irrivelanza del fatto, anche in mancanza di consenso nei casi previsti dallo stesso art. 32 citato. Cio' appare illogico se si considera che mentre la dichiarazione di irrilevanza del fatto puo' essere effettuata anche da parte del g.i.p. nel corso delle indagini preliminari "... sentiti il minorenne e l'esercente la potesta' dei genitori ..." (art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 448/1988), senza che sia richiesta alcuna espressione di assenso da parte dell'indagato, nel corso dell'udienza preliminare non si puo' pervenire alla stessa conclusione senza il consenso dell'imputato. Ulteriore profilo di illogicita' della previsione censurata e' evidenziato nelle condivisibili motivazioni contenute nelle ordinanze di rimessione degli atti alla Corte costituzionale da parte del g.u.p. presso il Tribunale per i minorenni di Palermo nn. 556 e 756 del 2001, secondo cui "... se e' vero che l'art. 129 c.p.p., non abrogato dalla novella del 2001 n. 63 al primo comma consente al giudice di emettere sentenza di proscioglimento in ogni grado e stato del processo nelle stesse ipotesi previste dall'art. 425 c.p.p. mentre al secondo comma prevede la possibilita' della emissione di una sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere quando dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non e' previsto dalla legge come reato anche quando ricorre una causa di estinzione del reato, e' anche vero che tale norma diventa sostanzialmente inapplicabile dinanzi al g.u.p. minorile con conseguente ulteriore illogica disparita' di trattamento con gli imputati maggiorenni ed illogico protrarsi del giudizio". Va da ultimo evidenziato il contrasto della norma denunciata con il principio costituzionale del "giusto processo" da cui la stessa ha preso le mosse. Infatti, se e' vero che l'art. 111 comma 5 della Costituzione prevede che "la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato ...", la soluzione scelta dal legislatore per adattare ai nuovi principi costituzionali il processo minorile, con l'introduzione della previsione di cui all'art. 22 della legge n. 63/2001, non ha tenuto conto che - richiedendo il consenso dell'imputato anche per il proscioglimento del minore imputato - la norma ha contraddetto lo stesso spirito del giusto processo in campo minorile, aggravando illogicamente la posizione dell'imputato nell'udienza preliminare dinanzi al tribunale per i minorenni. La norma non si e' limitata a fornire all'imputato la facolta' di rinunciare alla formazione della prova in contraddittorio - scegliendo la definizione allo stato degli atti - ma, contestualmente, lo ha privato di un diritto fondamentale del sistema processuale penale generale, quale e' quello di vedere riconosciuta immediatamente la propria innocenza in qualsiasi stato e grado del procedimento, in caso di mancata espressione del citato consenso. Per quanto fin qui esposto, appare necessario rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinche' esamini la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448/1988, cosi' come modificato dall'art. 22 della legge 1 marzo 2001, n. 63, in relazione agli art. 3, 10, 24 secondo comma, 31 secondo comma, 101 secondo comma, 111 della Costituzione, nella parte in cui, richiedendo il consenso dell'imputato minorenne per la definizione del procedimento nella fase di udienza preliminare, il giudice non possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei casi previsti dall'art. 425 del codice di procedura penale in assenza di tale consenso.