IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 253/00 R.G. Trib. nei confronti di Aghina Marco piu' altri, imputati dei reati di cui alle imputazioni allegate; Sulla richiesta del p.m. di acquisizione dei verbali di dichiarazioni rese al suo ufficio da Rigoni Gemma nella fase delle indagini preliminari; Sentiti i difensori che si sono opposti, non ricorrendo le condizioni previste dall'art. 500, quarto comma, c.p.p.; Ritiene il tribunale di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 500, quarto comma, e 210, quinto comma c.p.p., nella parte in cui non prevedono l'acquisizione e l'utilizzabilita' dei verbali delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nei casi in cui risulti provato che il testimone ha reso in dibattimento dichiarazioni false o reticenti, per violazione degli artt. 111, quinto comma, e 3, primo comma della Costituzione; Premesso in fatto che Rigoni Gemma e' stata sentita all'udienza del 28 giugno 2001 quale "testimone assistita" ai sensi dell'art. 197-bis, c.p.p., in quanto la stessa, gia' imputata dei delitti ascritti agli attuali imputati in qualita' di intermediaria tra le persone che secondo l'accusa avrebbero versato denaro per ottenere l'esonero o il congedo anticipato dal servizio militare e i pubblici ufficiali destinatari di tali illeciti compensi, ha definito la propria posizione con sentenza irrevocabile di applicazione di pena ex art. 444, c.p.p.; che nel corso della sua deposizione la Rigoni ha reso dichiarazioni che sono apparse chiaramente reticenti, asserendo essenzialmente di non ricordare piu' nulla, tanto da indurre il Tribunale a trasmettere immediatamente gli atti al p.m. per procedere nei confronti della Rigoni per il reato di cui all'art. 372 c.p.; che il collegio peraltro ha dichiarato, in quella occasione, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. richiamando i principi affermati dalla Corte costituzionale con sent. n. 255 del 1992, in quanto nella specie la Rigoni si era sostanzialmente sottratta all'esame, con violazione del principio del contraddittorio inserito nella Costituzione con il nuovo testo dell'art. 111; che nel corso della discussione, in seguito a segnalazione del p.m. in merito a notizie pervenute circa affermazioni fatte dalla stessa Rigoni in ordine alle ragioni della propria reticenza, il Tribunale ha interrotto la discussione ai sensi dell'art. 523, u.c., c.p.p., per disporre l'audizione in qualita' di testimoni del brig. Lino Francesco, del m.llo Sanna Graziano e della signora Beltrami Pierina nonche' della stessa Rigoni, questa volta ai sensi dell'art. 210, c.p.p., essendo tuttora in corso il procedimento instaurato nei suoi confronti per il reato di cui all'art. 372 c.p., probatoriamente collegato ai reati per i quali si procede; che dalle nuove prove assunte, in particolare dalla testimonianza del brig. Lino, e' emerso che la Rigoni, mentre veniva accompagnata in Tribunale per deporre all'udienza del 28 giugno 2001 affermo' che non avrebbe detto nulla anche perche' era stata contattata da alcuni avvocati che le avevano chiesto di non parlare in dibattimento, senza peraltro porre in essere minacce e fare offerte o promesse di denaro o di altre utilita'; che la Rigoni, all'odierna udienza, ha negato le circostanze riferite dal brig. Lino ribadendo di non ricordare nulla dei fatti; Osservato, quanto alla rilevanza della questione: che a giudizio del Tribunale risulta ora provato, sulla base delle dichiarazioni del brig. Lino, cio' che all'udienza del 28 giugno 2001 rivestiva solo il carattere di notitia criminis, e cioe' che la Rigoni ha posto in essere una testimonianza reticente; che peraltro non risulta integrata alcuna delle ipotesi che l'art. 500, quarto comma c.p.p., richiamato dagli artt. 513 e 210, quinto comma c.p.p., enuncia come presupposti per l'acquisizione e la utilizzabilita' dei verbali utilizzati per le contestazioni, e cioe' che risulti "che il testimone e' stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilita' affinche' non deponga o deponga il falso", in quanto la Rigoni appare essersi determinata alla propria condotta illecita per effetto di una libera scelta non indotta da condotte altrui quali quelle indicate nella citata disposizione; che pertanto, sulla base della vigente normativa le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari dalla Rigoni non possono essere acquisite; che invece, recependo i dubbi di costituzionalita' che saranno tra poco esposti, le stesse potrebbero essere acquisite ed utilizzate ai fini della decisione, e dunque valutate ai fini del giudizio nei confronti degli imputati che la teste risulta aver accusato come partecipi della corruzione; che di conseguenza la questione appare rilevante per gli imputati Aghina Marco, Boniperti Paolo, Carlone Mario, Castagna Giuseppe, Cavallini Donato, Donetti Andrea, Francia Omar, Gallotti Aquilino, Gallotti Francesco, Gilardetti Claudio, Grassi Paolo, Imperiali Massimo, Licht Roberto, Murgia Federico, Nava Andrea, Paglini Mirco, Pomodoro Bernardo, Rizzollo Giovanni, mentre per gli altri imputati andra' disposta, con separata ordinanza, separazione del procedimento ai sensi dell'art. 18, lett. b) c.p.p.; Ritenuto in ordine alla fondatezza della questione: che l'art. 111, quinto comma della Costituzione, prevede che "la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio [omissis] per effetto di provata condotta illecita"; che l'art. 500, quarto comma c.p.p. si limita a prevedere l'acquisizione e la utilizzabilita' dei verbali utilizzati per le contestazioni solo quando risulta "che il testimone e' stato sottoposto a violenza, minaccia offerta o promessa di denaro o di altra utilita' affinche' non deponga o deponga il falso"; che da tali ipotesi rimane dunque esclusa quella che vede il testimone rilasciare deposizione falsa o reticente non per effetto di condotte da altri poste in essere nei suoi confronti, ma semplicemente per propria libera scelta, che puo' essere variamente motivata (timore di ritorsioni, sopravvenuta benevolenza verso gli imputati, speranza di future riconoscenze), senza che ricorrano le condizioni richieste dalla disposizione in esame; che peraltro, anche la testimonianza falsa o reticente non determinata da comportamenti altrui costituisce condotta illecita e come tale rientra nella previsione dell'art. 111, quinto comma della Costituzione, apparendo del tutto arbitrario limitare il riferimento alla condotta illecita contenuto nella norma costituzionale alla sola fase che influisce sulla libera scelta del testimone e non anche al comportamento tenuto da quest'ultimo in dibattimento, posto che la condotta illecita e' presa in considerazione quale causa non della testimonianza falsa o reticente, bensi' della deroga alla formazione della prova in contraddittorio; che infatti il testo del previgente art. 500, quinto comma, prevedeva che fossero valutate come prova dei fatti in essi affermate le dichiarazioni acquisite a norma del quarto comma anche qualora risultassero "altre situazioni che hanno compromesso la genuinita' dell'esame"; che del resto l'attuale testo dell'art. 111 della Costituzione e' stato definito nel corso della seduta del Senato n. 550 del 18 febbraio 1999 e in quella occasione il relatore sen. Pera affermo' che si riteneva di riservare alla legge ordinaria il compito di regolare gli effetti della minaccia, della corruzione o di altri tipi di condotta illecita, con cio' chiarendo l'ampiezza di previsione contenuta nell'art. 111 della Costituzione; che il dettato di tale disposizione non lascia al legislatore ordinario la possibilita' di "stabilire" - come previsto in altre norme costituzionali -, ma soltanto di "regolare" i casi in cui la formazione del contraddittorio non ha luogo per effetto di provata condotta illecita, e cio' trova nuovamente conferma nell'intervento del relatore sen. Pera alla predetta seduta del 18 febbraio 1999, allorche' ha evidenziato che "la deroga, tramite una riserva di legge, e' vincolata a tre casi specifici e sara' compito del legislatore ordinario, in sede di revisione delle norme del codice di procedura penale, indicare analiticamente e precisamente che cosa avviene in ciascuno di questi tre casi"; che pertanto, qualora sussista il presupposto della provata condotta illecita, al legislatore ordinario spettava soltanto di determinare le modalita' con le quali la formazione della prova avviene senza contraddittorio, non gia' di escludere dalla stessa casi in cui la mancanza di contraddittorio e' dovuta a condotta illecita; che, d'altra parte, differenziare le ipotesi in cui la falsa testimonianza consegua a violenza o minaccia sul teste o corruzione del medesimo da quelle in cui la falsa testimonianza sia dovuta ad una scelta del teste stesso non indotta da tali presupposti appare del tutto irragionevole, in quanto sulla formazione della prova in dibattimento non incidono in alcun modo la genesi della testimonianza falsa o reticente e la motivazione che ha indotto il teste a mentire o tacere, posto che l'inquinamento probatorio viene realizzato mediante la testimonianza falsa o reticente vuoi che essa dipenda da violenza o minaccia, vuoi da offerta di denaro, vuoi da volonta' del teste finalizzata a compiacere l'imputato o ad altri scopi personali; che pertanto, trattare in modo diverso i casi indicati appare altresi' in contrasto col principio enunciato dall'art. 3, primo comma della Costituzione;