IL TRIBUNALE

    Sciogliendo   la   riserva   sull'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale  dell'art. 414  comma  I  c.p.p. proposta dal p.m. per
violazione  dei  parametri  costituzionali di cui agli artt. 3 I e II
comma,  112  e  24  primo comma della Costituzione nella parte in cui
prevede  una condizione di procedibilita', cosi' intesa e recepita da
plurime  pronunce  giurisprudenziali anche della suprema Corte, senza
alcun  ancoraggio  ad un termine finale per la rimozione della stessa
ai fini della promuovibilita' dell'azione penale;
    Sentita  la  difesa;  ritenuto  in fatto e considerato in diritto
quanto segue.

                              F a t t o

    In  data  14 maggio  1992 la Tenenza G. di F. di Castellammare di
Stabia  procedeva  all'arresto  su  iniziativa  di  p.g. di Verdoliva
Pietro,   Izzo  Michele,  Tregrossi  Luigi,  Donnarumma  Salvatore  e
Chierchia Giuseppe nella ritenuta flagranza del reato di associazione
a  delinquere  per  essersi  associati tra loro al fine di realizzare
piu' reati contro il patrimonio ed in particolare i delitti di truffa
e di usura.
    Al procedimento in oggetto veniva assegnato il n. 7079/R/92.
    Nel   corso  dei  suddetti  arresti  venivano  eseguite  numerose
perquisizioni,  a  seguito  delle  quali  venivano sequestrati "circa
mille  fascicoli relativi ad altrettanti sinistri di auto, al fine di
rinvenire  la  prova  concreta dell'ipotizzato reato di truffa" (cfr.
informativa G. di F. del 12 luglio 1994).
    Dopo  oltre  due  anni  di  indagini  il  p.m.  avanzava  in data
17 gennaio 1994 una richiesta di archiviazione per i reati ipotizzati
e di contestuale restituzione della documentazione sequestrata presso
le abitazioni degli interessati.
    In   data   27 luglio   1994   il   g.i.p.  emetteva  decreto  di
archiviazione accogliendo pienamente le richieste del p.m.
    Successivamente  in  data  13 luglio  1994  perveniva  presso  la
procura  del  Tribunale di Torre Annunziata l'informativa giudiziaria
contrassegnata   dal   n. 7754   redatta   dalla  stessa  Tenenza  di
Castellammare   di   Stabia   che   nel   ricostruire   tutto  l'iter
procedimentale  e  la  conclusione  del  proc.  pen.  n. 7079/R/92 ad
integrazione  del  procedimento  archiviato  indicava  nuovi elementi
acquisiti  a  seguito dell'esame della documentazione originariamente
sequestrata.
    Il  p.m.,  pertanto,  disponeva  il  sequestro  preventivo in via
d'urgenza  di  immobili  di  proprieta'  di  Verdoliva Pietro e della
stessa  documentazione  oggetto del precedente sequestro trasmettendo
gli  atti  al  g.i.p.  per  la  relativa  convalida e l'emissione del
relativo decreto di sequestro preventivo.
    In data 12 agosto 1994 il g.i.p. rigettava le richieste del p.m.
    All'udienza  preliminare fissata a seguito di richiesta di rinvio
a   giudizio   del  p.m.  la  difesa  eccepiva  l'inosservanza  della
disposizione  di  cui  all'art. 414 comma 1 c.p.p., in relazione agli
artt. 191  comma 1  e  407 ultimo comma c.p.p. in quanto il p.m., pur
consapevole  della  precedente  archiviazione  disposta dal g.i.p. di
Napoli,  iniziava  un  nuovo  procedimento per i medesimi fatti senza
aver  preventivamente  richiesto  al  g.i.p. competente la prescritta
autorizzazione alla riapertura delle indagini.
    Il   p.m.   sollevava,  quindi,  una  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 141  comma 1 c.p.p. siccome recentemente ma
costantemente   collocata   dalla  suprema  Corte  tra  le  cause  di
improcedibilita'  anomale  previste  dall'art. 345 c.p.p. nei termini
sopra compendiosamente indicati.

                            D i r i t t o

    E'  opportunuo  rilevare che la Corte costituzionale con sentenza
interpretativa di rigetto n. 27 del 19 gennaio 1995 aveva chiaramente
assegnato un'efficacia (limitatamente) preclusiva al provvedimento di
archiviazione  emesso  al  termine  di  un'indagine  preliminare:  il
suddetto  effetto  limitatamente  preclusivo in capo al provvedimento
terminale dell'indagine favorevole all'indagato scaturisce, ad avviso
del  giudice  costituzionale,  dal disposto dell'art. 414 c.p.p. vera
valvola  di  sicurezza  in  tema di ne bis in idem connesse alla fase
procedimentale.
    Recentemente com'e' noto la suprema Corte di cassazione (Cass. IV
Sent. 4195  del 9 maggio 1997), superando un iniziale orientamento in
virtu'  del quale attraverso una combinata lettura dell'art. 414, 407
ultimo comma  e 191 c.p.p. all'inosservanza della disposizione di cui
all'art. 414,  comma  1,  c.p.p. conseguiva l'inutilizzabilita' degli
atti  compiuti  in  mancanza del provvedimento di autorizzazione alla
riapertura  delle  indagini preliminari da partedel g.i.p., approdava
inequivocabilmente  ad interpretare e qualificare il provvedimento di
riapertura   delle   indagini  preliminari  come  una  condizione  di
procedibilita'  atipica  ancorandola normativamente all'art. 345 cpv.
c.p.p.
    Orbene  l'art. 345 c.p.p., al primo comma, riproponendo lo schema
normativo  del  codice  previgente,  disciplina  i casi pacificamente
tipizzati  di  condizioni  di  procedibilita',  perche' innanzi ad un
sistema  che  ha come regola la obbligatorieta', col corollario della
pubblicita'  e  della  doverosita'  dell'azione penale, le ipotesi di
condizioni di procedibilita', cioe' di ostacoli di natura processuale
per  i piu' e per alcuni anche di natura sostanziale, non possono che
essere tipizzati e codificati.
    All'atto  della  stesura  del  nuvo codice di procedura penale il
panorama  che  il  legislatore aveva davanti, sotto il versante della
legislazione  speciale,  era  identico a quello del codice precedente
sicche' anche il capoverso dell'art. 345 c.p.p. non poteva che essere
ripropositivo  del capoverso dell'omologa disposizione del codice del
1931:  "La  stessa  disposizione  (sul  difetto  di una condizione di
procedibilita'  e conseguenza riproponibilita' dell'azione penale) si
applica  quando  il  giudice accerta la mancanza di una condizione di
procedibilita' diversa da quelle indicate nel comma 1".
    Dalla  relazione  ministeriale  e  dai  lavori  preparatori  alla
stesura  del  codice  di rito, del resto, risulta inequivocamente che
non   si  e'  ritenuto  di  innovare  in  materia  di  condizione  di
procedibilita' giacche' la disciplina e' trattata prevalentemente nel
sistema  sostanziale  per  evitare, pertanto, di esporsi ad un sicuro
eccesso di delega ex art. 76 della Costituzione.
    Alla  luce  delle precedenti premesse e' davvero arduo contestare
che con il capoverso dell'art. 345 c.p.p. il legislatore abbia inteso
riferirsi  alle  condizioni di procedibilita' tassativamente previste
dalla   legislazione   speciale   dell'epoca  (ad  es.  conciliazione
amministrativa  prevista nelle legislazioni fiscali ed in particolare
nel  d.P.R.  n. 43/1973  in  materia  di contrabbando; c.d. oblazione
atecnica  prevista dal codice della strada del 1959;) oggi, peraltro,
venute meno.
    L'art. 345  comma  1 c.p.p., quindi, nel riproporre il precedente
sistema  delle condizioni di procedibilita', fa univoco riferimento a
tutte  quelle  condizioni  tipizzate  che  hanno  nel  codice  penale
sostanziale  un  regime  comune  che e' quello afferente al principio
della  indivisibilita',  della  non  separatezza della soggettivita';
tutte    hanno   la   connotazione   tipica   della   condizione   di
procedibilita',  che e' quella dell'ancoraggio ad un dies ad quem, ad
un   termine  che  la  situazione  giuridica  soggettiva  edotta  nel
procedimento   deve  necessariamente  avere  per  il  rispetto  delle
garanzie  procedimentali:  cio'  vale  per  la  querela, l'istanza di
autorizzazione, la richiesta di autorizzazione a procedere. Non solo.
    Anche  quelle  che  il  codice non chiama condizioni obiettive di
punibilita'  mutuando l'espressione dall'art. 44 c.p. che afferiscono
ad  esempio  alla  presenza  del  reo  nel territorio dello Stato per
determinate  punibilita' o situazioni similari, hanno come e' ovvio e
confacente  al  sistema,  la  conformazione  del termine come momento
fondamentale  di ancoraggio e di certezza delle situazioni giuridiche
pubbliche dedotte nel processo.
    Tutte,  ma proprio tutte, inoltre, hanno la caratteristica comune
che  nel  sistema  procedurale,  nelle  more del verificarsi del loro
accadimento,   c'e'  un  lasso  di  tempo  tipicizzato,  fissato  dal
legislatore  perche'  possano  essere  acquisiti elementi probatori a
fini investigativi, quelli che il codice, con espressione di sintesi,
chiama  atti  urgenti in mancanza di condizioni di pocedibilita', che
trovano  una  puntuale  codificazione  nei  disposti  degli artt. 345
c.p.p.  ed  in  particolare  346  c.p.p.  in  virtu'  deu  quali ogni
qualvolta si verifica un fatto reato, in assenza di una condizione di
procedibilita'  che  puo'  ancora  sopravvenire e che necessariamente
porta  l'ancoraggio  al  tempo  che  ha  da  verificarsi,  si possono
compiere  atti  urgenti  della  cui  utilizzabilita'  non  e'  lecito
assolutamente disputare.
    E'  indubbio pertanto che ancorando l'art. 414 c.p.p. primo comma
c.p.p. al capoverso dell'art. 345 cpv. c.p.p. la Corte di cassazione,
ha  creato,  attraverso  un procedimento di maieutica interpretativa,
una  nuova condizione di procedibilita' non tipicizzata nel sistema e
che  difetta  delle  connotazioni  comuni  alle  altre  condizioni di
procedibilita' conosciute.
    Ne'  vale  -  ad  avviso  dello  scrivente  -  ribattere a questo
argomentare  puramente  e  semplicemente che nel caso di specie siamo
sicuramente di fronte ad una condizione di procedibilita' atipica che
non  ha  termine  perche'  il legislatore non puo' tipicizzare quando
interverra'  il  fatto  nuovo che evidentemente viene per accadimenti
improcrastinabili.
    Cio'  che  evidentemente, a fronte dell'ermenuetica della suprema
Corte  consolidatasi,  si  chiede  alla  Corte  costituzionale e' una
indicazione precisa di un termine da quando si e' verificato il fatto
nuovo  - termine che potra' essere omologato alle altre condizioni di
procedibilita'  -  entro il quale il p.m. puo' chiedere la riapertura
delle   indagini   preliminari  pena  l'improcedibilita'  dell'azione
penale,  un  ancoraggio terminale scaduto il quale, cioe', il sistema
sa se quell'azione penale fluttua o non fluttua; ancoraggio terminale
che  inferisce  anche sulla utilizzabilita' o inutilizzabilita' degli
atti  di  indagine  preliminare  necessari  ad assicurare le fonti di
prova  "medio  tempore"  compiuti:  potra'  il p.m. utilizzare quelli
fatti  nelle prime quarantotto ore, quelli fatti nei primi 30 giorni,
nei  quaranta giorni come le altre condizioni di procedibilita' o nei
quarantacinque  giorni  mutuando  tale termine dalla disciplina delle
condizioni obiettive di punibilita'?
    Questo  e'  il profilo di irragionevolezza rilevato che contrasta
in primo luogo e soprattutto col principio dell'esercizio dell'azione
penale   doverosamente   obbligatorio   di   cui  all'art. 112  Cost.
altrimenti   fortemente   imbrigliata  da  un'insicurezza  e  da  una
posticcia  non  indicazione  di un termine; contrasta manifestamente,
inoltre,  con  la  ratio  evolutiva della Consulta sull'art. 3, comma
primo,   della  Costituzione  per  la  sperequazione  di  trattamento
rispetto  ad  istituti  da  sempre conformati dal sistema, quali sono
quelli delle condizioni di procedibilita', che altrimenti sembrerebbe
legittimare;  contrasta  ancora  con il principio dell'eguaglianza di
fatto sottesa al capoverso dell'art. 3 della Costituzione.
    Si  chiede, in sostanza, un intervento chiarificatore della Corte
costituzionale  che  con  i suoi poteri di pronuncia di ampio spettro
sancisca     in    modo    risolutivo    la    natura    dell'assenza
dell'autorizzazione  alla  riapertura  delle indagini preliminari, la
natura giuridica dell'art. 414 comma 1 c.p.p. e la sua compatibilita'
con il sistema processuale.
    Muovendo  dall'opzione interpretativa della suprema Corte secondo
la   quale   l'art. 414,   comma  1,  c.p.p.  e'  una  condizione  di
procedibilita'  disciplinata  dall'art.  345 cpv. c.p.p. la questione
come sopra prospettata non e' manifestamente infondata.
    Essa,  peraltro,  e'  rilevante  nel  procedimento  in oggetto in
quanto  la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio di cui e' investito lo
scrivente  afferisce  incontestabilmente, come del resto riconosce la
stessa  G.  di  F. nell'informativa del 12 luglio 1994, alla medesima
vicenda  giudiziaria  -  sia pure con estensione soggettiva diversa -
fondata   sugli   stessi   atti  di  indagine,  gia'  oggetto  di  un
provvedimento  di  archiviazione  da parte di altro g.i.p. e al quale
non   ha  mai  fatto  seguito  alcuna  pronuncia  giurisdizionale  di
autorizzazione   alla   riapertura  delle  indagini  preliminari;  e'
necessario  tra l'altro, sapere se il p.m. a fronte di un intervenuto
approfondimento  investigativo  (fatto  nuovo),  che la stessa difesa
sembra  non  contestare,  possa  ancora  richiedere, a distanza di un
cosi'  notevole  lasso di tempo, la prescritta autorizzazione e quali
atti gia' compiuti siano comunque utilizzabili quali atti di indagine
preliminare   necessari   ad  assicurare  le  fonti  di  prova  nella
prospettiva della rimozione della condizione di improcedibilita'.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87