ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
5 novembre   1998   relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal  deputato  Vittorio  Sgarbi  nei  confronti  del  dott.
Gianfranco  Amendola,  promosso  dal Tribunale di Roma, notificato il
21 giugno  2001,  depositato  in  cancelleria  il  5 luglio  2001  ed
iscritto al n. 21 del registro conflitti 2001.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  23 aprile  2002  il  giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nell'ambito  di  un  giudizio  civile per risarcimento danni
promosso  dal  dott.  Gianfranco  Amendola nei confronti del deputato
Vittorio  Sgarbi  per  il  contenuto  di  alcune espressioni ritenute
offensive  e  diffamatorie,  il  Tribunale  di Roma ha sollevato, con
ricorso  in  data  22 novembre  2000,  conflitto  di attribuzione tra
poteri  dello  Stato  nei  confronti  della  Camera  dei  deputati in
relazione  alla  delibera  con la quale l'Assemblea, nella seduta del
5 novembre  1998,  ha dichiarato che i fatti per i quali era in corso
il  procedimento  civile  concernevano opinioni espresse da un membro
del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue funzioni, insindacabili a
norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Il  giudice  ricorrente  -  premesso  che  durante  un  dibattito
televisivo  andato  in  onda  l'8 aprile  1993 il deputato Sgarbi, in
risposta  a  un rilievo sollevato dal dott. Amendola, allora deputato
al  Parlamento europeo, aveva replicato "[...] Quale classe politica?
A  te, tu classe politica, io che cazzo c'entro? Maiale, corrotto, tu
sei, io non c'entro nulla con la classe politica, io ho sempre votato
contro  il  governo.  Quale classe politica? Parla di quello che sai,
ignorante,  incapace  e bugiardo" - ritiene che nel caso di specie le
opinioni   espresse   dal  parlamentare  non  siano  assistite  dalla
prerogativa  di  cui  all'art. 68  della  Costituzione, in quanto non
risultano "legate da "nesso funzionale con le attivita' svolte "nella
qualita'  di membro delle Camere", ne' costituiscono "estrinsecazione
delle   facolta'   proprie   del   parlamentare   in   quanto  membro
dell'Assemblea".
    Ad   avviso   del  ricorrente  non  e'  infatti  accettabile  una
dilatazione  del  significato  di  "funzione"  fino  a ricomprendervi
l'attivita'  politica  che  il parlamentare svolge in qualsiasi sede,
ne'  tanto  meno  e' sufficiente che le dichiarazioni possano trovare
collocazione  in  un  contesto  genericamente  politico, in quanto il
"nesso  funzionale"  deve essere inteso "come identificabilita' della
dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare".
    Alla  luce  di  tali  premesse,  il  ricorrente  ritiene  che  la
deliberazione   di   insindacabilita'   adottata   dall'Assemblea  il
5 novembre  1998  "non  sia  conforme  all'ordinamento costituzionale
(art. 68  Cost.)  e debba essere annullata", in quanto le espressioni
usate   dal   deputato   Sgarbi  "non  possono  assolutamente  essere
ricomprese  nella  sfera  di  immunita'  prevista dall'art. 68, primo
comma  Cost.",  essendo  state  pronunciate  da  persona  che, pur se
rivestita  di  incarichi  di  rappresentanza  popolare,  non svolgeva
alcuna funzione politico-parlamentare.
    Infine,  il  ricorrente  rileva  che  la  stessa  Giunta  per  le
autorizzazioni  a  procedere,  nell'esprimere  parere  contrario alla
insindacabilita'  di  tali  espressioni,  aveva  affermato che "[...]
proprio  la  dignita'  delle  prerogative  parlamentari impone di non
"coprire attraverso queste l'ingiuria e l'offesa personale, in quanto
la   salvaguardia   della  liberta'  di  pensiero  deve  tener  conto
dell'esigenza  di  rispettare l'altrui diritto all'onore e al decoro.
Espressioni  che sono insulto gratuito e personale, nulla hanno a che
vedere    con    la    funzione   parlamentare.   Se   cosi'   fosse,
"l'insindacabilita'    significherebbe   permettere   di   insultare,
diffamare e offendere chiunque".
    2. - Il  conflitto  e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 196   del   2001.   Il   ricorso,   unitamente   all'ordinanza  di
ammissibilita',  e'  stato  notificato  alla  Camera  dei deputati il
21 giugno  2001  ed  e'  stato depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 5 luglio 2001.
    3. - Con  atto  depositato  l'11 luglio  2001 si e' costituita la
Camera  dei  deputati,  in  persona  del  suo Presidente, assistito e
difeso  dall'avv.  Roberto  Nania, chiedendo alla Corte di dichiarare
che  spetta  alla Camera il potere di affermare l'insindacabilita', a
norma  dell'art. 68,  primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal
deputato Sgarbi.
    La  Camera  preliminarmente  rileva che secondo la giurisprudenza
della  Corte  costituzionale la garanzia della insindacabilita' opera
anche  per  le  opinioni  espresse  dai parlamentari fuori della sede
istituzionale,  purche'  siano  inerenti all'esercizio delle funzioni
parlamentari.
    La  particolare sede in cui sono state pronunciate le espressioni
in  questione "depone di per se' a favore della sussistenza del nesso
tra  le  opinioni  stesse  e la dimensione politico-parlamentare": si
trattava  infatti  di un ""faccia a faccia televisivo tra l'esponente
del  movimento  La  Rete on. Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo e il
pubblico",  cui e' seguito un "dibattito al quale avevano partecipato
parecchi  uomini politici su un argomento di grande attualita', quale
il rapporto tra politica e magistratura".
    Il  giudice  avrebbe  invece  "scorporato" alcuni frammenti delle
frasi  pronunciate  dal  deputato  Sgarbi  nel  corso  del  dibattito
televisivo,   per   poi  negarne  la  riconducibilita'  all'attivita'
parlamentare,  senza  tenere  conto  che  la  trasmissione riguardava
proprio  i  rapporti  tra  magistratura e politica, che nel corso del
programma si era anche vivacemente dibattuto in ordine alle inchieste
giudiziarie avviate nei confronti di vari esponenti politici e che il
deputato  Sgarbi  aveva  riproposto "la sua lettura delle finalita' e
delle  implicazioni  politico-istituzionali  della attivita' posta in
essere dagli organi inquirenti".
    La Camera ritiene pertanto che, una volta ricollocati i frammenti
linguistici   all'interno   del   contesto   nel   quale  sono  stati
pronunciati,  "l'appartenenza delle opinioni manifestate dal deputato
all'area  della  insindacabilita'  risulti  comprovata dall'attivita'
parlamentare  da  questi  posta  in  essere  e  nella  quale  risulta
assolutamente preponderante l'impegno sul tema dei rapporti tra sfera
giurisdizionale e sfera politico-rappresentativa".
    A  dimostrazione  dell'impegno  del  parlamentare sullo specifico
argomento,  la  Camera  resistente  allega  all'atto  di costituzione
alcune  interrogazioni,  precedenti e successive all'aprile del 1993,
nelle  quali  il  deputato  Sgarbi  figura come co-firmatario, ove si
manifesta  la  preoccupazione  che  l'atteggiamento dei giudici possa
vulnerare  gravemente  il  "principio  costituzionale  di neutralita'
della  magistratura e del suo operato" e si ipotizza "una ispirazione
eversiva dell'azione giudiziaria tesa a provocare la delegittimazione
dell'intera  Assemblea  legislativa  e  diretta  al fine di impedire,
anche    temporaneamente,    l'esercizio    della    sua    funzione"
(interrogazione   n. 3/00480   del   18 novembre   1992);  si  mostra
preoccupazione  in merito alle conseguenze degli "avvisi di garanzia"
(interrogazione  n. 1/00200 del 24 giugno 1993); e, ancora, si chiede
di conoscere perche' si sia consolidata in molti uffici giudiziari la
sistematica   violazione   del  segreto  istruttorio  (interrogazione
n. 2/00642 del 25 marzo 1993).
    Ad  avviso  della  Camera,  le  dichiarazioni  del  deputato  non
consistono,  quindi,  in  "insulti  gratuiti  e personali", come sono
stati  definiti dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere, ma si
inscrivono  all'interno del dibattito politico-parlamentare allora in
corso.
    In  ogni  caso,  la giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai
ritenuto  sindacabili  le  opinioni  espresse  da  un parlamentare in
ragione  delle  sole  modalita' formali di esternazione, in quanto la
correlazione     delle    dichiarazioni    rese    con    l'attivita'
politico-parlamentare e' sempre stata valutata "indipendentemente dal
carattere  offensivo  [...]  ravvisato  in via anticipata dal giudice
ricorrente".  Lo  scrutinio  della  Corte deve infatti consistere non
gia'  nell'eventuale  riscontro  circa  la  "sussistenza di identita'
testuali  magari  rispetto  a  frammenti di frasi", ma nella verifica
"della  "sostanziale  corrispondenza  di significati tra le posizioni
politiche espresse nelle diverse sedi".
    La  difesa  della  Camera  ha  depositato  in data 10 aprile 2002
memoria  nella  quale  eccepisce  l'inammissibilita'  del ricorso, in
quanto l'atto con cui e' stato sollevato il conflitto non conterrebbe
la  richiesta  di  annullamento  della  deliberazione della Camera, e
pertanto incorrerebbe nel medesimo vizio di inammissibilita' rilevato
dalla  Corte  quando il ricorso si presenta "carente nell'indicazione
del  petitum";  nel  merito  la  memoria  richiama  e  sintetizza  le
considerazioni svolte nell'atto di costituzione.

                       Considerato in diritto

    1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Roma
nei  confronti della Camera dei deputati investe la deliberazione con
cui  l'Assemblea,  nella  seduta  del  5 novembre  1998,  su proposta
difforme della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha affermato
-   a   norma   dell'art. 68,   primo   comma,   della   Costituzione
l'insindacabilita'  delle  opinioni  espresse  dal  deputato Vittorio
Sgarbi,  per  le  quali  pende giudizio civile per risarcimento danni
promosso dal dott. Gianfranco Amendola.
    Le  espressioni  ritenute  offensive  erano  state indirizzate al
magistrato   Gianfranco   Amendola,  allora  deputato  al  Parlamento
europeo,  nel  corso  di  un  dibattito  televisivo andato in onda il
giorno  8 aprile  1993  ed avente come tema i rapporti tra politica e
magistratura.  Rispondendo  ad  un  rilievo  del  dott.  Amendola, il
deputato  Sgarbi aveva reagito apostrofandolo con i termini riportati
nella esposizione in fatto.
    2. - Nella  memoria depositata il 10 aprile 2002, la difesa della
Camera  resistente  ha eccepito in via preliminare l'inammissibilita'
del  ricorso, in quanto privo della rituale richiesta di annullamento
della deliberazione parlamentare oggetto dell'impugnativa.
    L'eccezione  e'  priva  di  fondamento, in quanto la richiesta di
annullamento,  pur non essendo contenuta nel dispositivo del ricorso,
e'   espressamente  formulata  nelle  considerazioni  conclusive  che
immediatamente lo precedono.
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    4. - Questa  Corte  e'  chiamata  ad accertare, in relazione alla
prerogativa sancita dall'art. 68, primo comma, Cost., se risulti lesa
o  menomata una competenza costituzionale spettante ad uno dei poteri
confliggenti;  in  particolare,  se  la  delibera di insindacabilita'
adottata  dalla Camera dei deputati abbia determinato una illegittima
interferenza    nelle    attribuzioni    dell'autorita'   giudiziaria
ricorrente.
    Trattandosi   di   valutare   la  sussistenza  della  prerogativa
dell'immunita' in relazione a dichiarazioni rese dal parlamentare nel
corso di un dibattito televisivo, nell'ambito, cioe', di un'attivita'
sottratta   alle   forme   di  controllo  e  di  intervento  previste
dall'ordinamento  parlamentare, occorre accertare se le dichiarazioni
stesse  rappresentino la divulgazione all'esterno di un'opinione gia'
espressa nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche (v. sentenza
n. 289  del  2001).  Al riguardo, questa Corte ha avuto ripetutamente
occasione di affermare che ai fini della sussistenza del nesso con le
funzioni  parlamentari  e'  necessario  che  vi  sia  quantomeno "una
sostanziale  corrispondenza  di significati tra le dichiarazioni rese
al  di  fuori  dell'esercizio  delle  attivita'  parlamentari tipiche
svolte  in  Parlamento  e  le  opinioni  gia' espresse nell'ambito di
queste   ultime"   (sentenza   n. 321   del   2000   e,   in  termini
sostanzialmente  analoghi,  sentenze n. 79 del 2002, n. 289, n. 137 e
n. 76 del 2001, n. 320, n. 58, n. 56, n. 11 e n. 10 del 2000).
    5. - Contrariamente a quanto sostenuto negli atti difensivi della
Camera,  nelle  espressioni  rivolte  dal  deputato  Sgarbi  al dott.
Amendola   non   e'   dato   ravvisare   alcuna   "corrispondenza  di
significati",  ne'  formale ne' sostanziale, con il contenuto di atti
parlamentari tipici.
    Gli  atti  di sindacato ispettivo evocati e prodotti dalla difesa
della  Camera,  in cui il deputato Sgarbi compare come co-firmatario,
precedenti  o  di  poco successivi al dibattito televisivo, non hanno
alcuna  connessione  con  l'attivita' giudiziaria posta in essere dal
dott. Amendola o, comunque, con comportamenti tenuti dallo stesso, ma
contengono  rilievi  critici  di  ordine  generale  sui  rapporti tra
magistratura   e   potere   politico,   sui   supposti  obiettivi  di
delegittimazione     delle     assemblee    legislative    perseguiti
dall'autorita'  giudiziaria,  ovvero  su  disfunzioni  dell'attivita'
processuale  strumentali  al  raggiungimento  di finalita' politiche,
talvolta  specificate  in  relazione  ad  altri magistrati o a uffici
giudiziari  diversi  da  quelli in cui il dott. Amendola ha svolto le
sue funzioni.
    A  prescindere  dal rilievo che alcune delle espressioni usate si
sostanziano  in  meri  insulti  personali,  si deve concludere che le
parole   pronunciate   dal   deputato   Sgarbi   non   sono   coperte
dall'immunita'  ai  sensi  dell'art. 68,  primo comma, Cost. e che la
Camera  dei  deputati ha pertanto interferito illegittimamente con le
attribuzioni  dell'autorita' giudiziaria. Ne consegue che deve essere
disposto l'annullamento della deliberazione oggetto dell'impugnativa.