ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  del  Senato  della Repubblica del
29 luglio 1999 relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse
dal  senatore  Angelo  Giorgianni, promosso con ricorso della Sezione
disciplinare  del  Consiglio superiore della magistratura, notificato
il  27 novembre 2000, depositato in cancelleria il 1 dicembre 2000 ed
iscritto al n. 55 del registro conflitti 2000.
    Visto l'atto di costituzione del Senato della Repubblica;
    Udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 2002 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi  l'avvocato Alessandro Pace per la Sezione disciplinare del
Consiglio  superiore  della  magistratura e l'avvocato Stefano Grassi
per il Senato della Repubblica.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza-ricorso del 20 maggio 2000, depositata presso
la  cancelleria  della  Corte  costituzionale  il  25 maggio 2000, la
Sezione  disciplinare  del  Consiglio superiore della magistratura ha
sollevato conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, chiedendo
che   la   Corte,   previo   riconoscimento  dell'ammissibilita'  del
conflitto,  dichiari  che  non  spetta  al  Senato  della  Repubblica
ritenere  insindacabili  ai  sensi  dell'art. 68,  primo comma, della
Costituzione,  i  fatti  di  cui  ai  punti  2,  lettere  a) e b) e 4
dell'incolpazione  disciplinare  (proc.  n. 33/2000 R.G, stralcio dal
proc.  n. 71/1999 R.G.) nei confronti del senatore Angelo Giorgianni,
al  momento  della  sollevazione  del  conflitto magistrato collocato
fuori  dal  ruolo  organico  della  magistratura,  in aspettativa per
mandato  parlamentare,  e  di  conseguenza  annulli  in  parte qua la
deliberazione del Senato del 29 luglio 1999.
    L'ordinanza-ricorso da' conto dei sei punti dell'incolpazione per
cui   la   Sezione  disciplinare  procede  nei  confronti  di  Angelo
Giorgianni,  su  azione  del  Ministro della giustizia, dei quali qui
interessano,  in  particolare:  il  punto  2,  con il quale gli viene
contestata  "la violazione del dovere di diligenza di cui all'art. 18
del  r.d.lgs.  31 maggio 1946, n. 511, in relazione alla gestione del
procedimento   n. 1238/93/21  (cd.  "procedimento  contenitore")  per
avere:  a) omesso di informare i colleghi che lo avrebbero sostituito
sullo stato del procedimento, particolarmente complesso e con proprie
caratteristiche  strutturali,  con indagini informatizzate in corso e
con   un   inizio  di  informatizzazione  del  procedimento,  con  la
predisposizione  di  collegamenti  fra  vari  documenti  e  dati, con
possibilita'  di piu' chiavi di lettura; b) disposto la cancellazione
da  tutti  i  computers, utilizzati personalmente e da parte dei suoi
collaboratori,  del  programma  fornito  dal  consulente  Genchi e di
quello  predisposto  dal  M.llo  Pavone,  nonche'  di  tutti  i  dati
immagazzinati,  restituendo solo (dopo varie richieste) singoli files
di documenti istruttori, cosi' creando un oggettivo danno alla futura
gestione  del procedimento"; il punto 4, con cui si contesta al dott.
Giorgianni  l'incolpazione  di  cui  allo stesso art. 18 del r.d.lgs.
n. 511  del  1946, "per avere il medesimo, gia' Sostituto Procuratore
della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di Messina, frequentato con
carattere  di  continuita'  o  comunque di non occasionalita' Mollica
Antonio,  personaggio  che,  in  considerazione  dei  suoi precedenti
penali  e  giudiziari  (in  passato  anche  al  vaglio  dello  stesso
Giorgianni)  e'  da  ritenersi  di dubbia fama, con conseguente grave
compromissione   del   proprio  prestigio  e  di  quello  dell'Ordine
Giudiziario,  anche  per  eventuali  possibili sospetti di precedente
parzialita'  nell'espletamento  dell'attivita' giudiziaria"; il punto
5, con cui gli si contesta l'incolpazione di cui al medesimo art. 18,
"per  avere  violato  il  principio  del  dovere  di  piena  e  leale
collaborazione  del  Magistrato,  con riferimento alle prospettazioni
dal  medesimo  rappresentate alla Commissione parlamentare antimafia,
in  sede di inchiesta relativa ai rapporti intercorsi con il Mollica.
Segnatamente,   per   avere,  nel  corso  dell'audizione  nei  giorni
23/24 febbraio  1998  dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia
riunitasi  presso  la Prefettura di Messina fornito dichiarazioni non
corrispondenti       alla      effettiva      realta'"      (seguono,
nell'ordinanza-ricorso, le dichiarazioni del dott. Giorgianni).
    La  Sezione  disciplinare  ricorda  poi  che  il 2 agosto 1999, a
seguito della fissazione e dello svolgimento della discussione orale,
tenutasi  nelle  date  del  10 giugno e 1 luglio 1999, il Procuratore
generale della Corte di cassazione ha rimesso alla stessa Sezione una
nota,  con  allegati,  del Presidente del Senato della Repubblica, la
quale  informa  che  il  Senato,  nella seduta del 29 luglio 1999, ha
deliberato  di  approvare  la  proposta della Giunta delle elezioni e
delle  immunita'  parlamentari,  con  cui  si  riteneva  che  i fatti
attinenti  al  punto  2,  lett.  a)  e  b)  al  punto  4 e al punto 5
dell'incolpazione  concernessero  opinioni  espresse da un membro del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricadessero, pertanto,
nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    La  Sezione  disciplinare  ricorrente  considera  che  le si deve
riconoscere  la  legittimazione  a sollevare conflitto fra poteri, in
quanto   organo   giurisdizionale   in   posizione   di  indipendenza
costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente
la  volonta'  del  potere  a  cui  appartiene;  e che al Senato della
Repubblica  deve  parimenti  essere riconosciuta la legittimazione ad
essere parte del conflitto in ordine all'applicabilita' dell'art. 68,
primo  comma,  della Costituzione; e lamenta la lesione della propria
sfera   di   attribuzione,   costituzionalmente   garantita  a  norma
dell'art. 105  della  Costituzione,  in  conseguenza dell'illegittimo
esercizio   da   parte   del   Senato   del   potere   di  dichiarare
l'insindacabilita' ai sensi dell'art. 68 stesso.
    Dopo   avere   escluso   l'addebito   relativamente   al  capo  1
dell'incolpazione,  per esercizio tardivo dell'azione disciplinare, e
osservato  che il dott. Giorgianni, anche a seguito della delibera di
insindacabilita'   relativa  ai  punti  2,  lett.  a)  e  b)  4  e  5
dell'incolpazione  stessa, va comunque sottoposto a giudizio per cio'
che  riguarda  i  capi  3  e  6, seconda parte, dell'incolpazione, la
Sezione,    ricordando   il   costante   insegnamento   della   Corte
costituzionale,  ritiene  di  dover verificare l'esistenza del "nesso
funzionale"  fra l'attivita', su cui deve svolgersi il giudizio della
Sezione  medesima,  e  l'esercizio  del  mandato  del parlamentare, e
conclude  che questo nesso sussiste soltanto relativamente al punto 5
dell'incolpazione,  in  relazione  al  quale  si pronuncia quindi con
decisione di non doversi procedere.
    Il  nesso funzionale non sussisterebbe, invece, con riguardo agli
altri  capi  di  incolpazione,  e cioe' ai punti 2, lett. a) e b) e 4
dell'incolpazione medesima.
    In punto di fatto, si considera che in sede disciplinare al dott.
Giorgianni    e'   contestata   una   condotta   non   collaborativa,
concretantesi  in un ostacolo alla normale conduzione delle indagini,
mentre  la deliberazione del Senato prenderebbe in considerazione una
mera  mancata  consegna (dei files con i documenti istruttori); e che
le  frequentazioni  con  il Mollica risalirebbero, secondo il capo di
incolpazione,  ad  epoca  anteriore  alla elezione del medesimo dott.
Giorgianni.
    In  punto  di  diritto,  si  afferma che spetterebbe alla Sezione
disciplinare  del  Consiglio  superiore  della  magistratura, a norma
dell'art. 105  Cost.,  stabilire  se il dott. Giorgianni, prima della
sua  elezione  a senatore, non avesse alcun obbligo di collaborazione
con i colleghi dell'ufficio e se abbia ostacolato di fatto il normale
svolgimento  delle  indagini,  e  accertare  se  sia  censurabile  la
ipotizzata  frequentazione  con  un  personaggio,  che  nel  capo  di
incolpazione  e'  definito  "di  dubbia  fama",  risalente  all'epoca
anteriore alla elezione al Senato dello stesso magistrato. La Sezione
aggiunge,  relativamente  al  punto  2, che la motivazione del Senato
apparirebbe contraddittoria, ed evidenzierebbe la confusione, operata
dal  Senato  stesso,  fra  il  dovere  di collaborare con i colleghi,
mettendo  a  disposizione  il  proprio patrimonio di conoscenze, e il
dovere   di  non  interferire,  astenendosi  dal  compiere  ulteriore
attivita'  positiva  di indagine: il Senato avrebbe infatti affermato
che fin quando il dott. Giorgianni era magistrato in attesa di essere
eletto  non avrebbe avuto alcun obbligo di collaborare con l'ufficio,
e  che  dopo  l'elezione  avrebbe  avuto addirittura l'obbligo di non
collaborare,  per  non interferire in attivita' giudiziarie a cui era
divenuto estraneo.
    2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza
n. 530   del  2000.  L'ordinanza-ricorso  introduttiva  del  presente
giudizio  e'  stata notificata al Senato della Repubblica, unitamente
all'ordinanza  di  ammissibilita',  il  27 novembre 2000 e depositata
presso la cancelleria della Corte costituzionale il 1 dicembre 2000.
    3. - Si  e'  costituito nel giudizio davanti alla Corte il Senato
della   Repubblica,   chiedendo   che  il  conflitto  sia  dichiarato
inammissibile o comunque infondato, e depositando numerosi documenti.
    Sulla  notifica  dell'ordinanza-ricorso,  il Senato nota che essa
risulta  "richiesta  come  in  atti", senza che si possa ricavare con
certezza   quale   organo   abbia   formalizzato   la   richiesta  di
notificazione,  la  quale - ai sensi della lettera b) del dispositivo
dell'ordinanza  n. 530  del  2000  -  doveva essere effettuata a cura
della  ricorrente:  sicche'  si  potrebbe dubitare che il ricorso sia
stato formalmente instaurato dalla Sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura.
    Quanto  alla  ammissibilita'  del  conflitto,  il Senato sostiene
l'assenza  della  legittimazione  soggettiva dell'organo ricorrente a
essere  parte  nel  conflitto  di attribuzione tra poteri. La Sezione
disciplinare,  infatti, sul piano oggettivo, contesta la menomazione,
da   parte   della  delibera  del  Senato,  del  potere  di  adottare
provvedimenti  disciplinari  nei  confronti  dei  magistrati. Ma tale
potere   sarebbe   attribuito  dall'art. 105  della  Costituzione  al
Consiglio  superiore della magistratura nel suo complesso, e non alla
Sezione disciplinare.
    Il  riconoscimento dei caratteri giurisdizionali del procedimento
disciplinare,  effettuato  dal  legislatore  e  dalla  giurisprudenza
costituzionale,  non  implicherebbe  la  spettanza  alla sola Sezione
disciplinare   della   formale   titolarita'  del  potere  ne'  della
legittimazione  processuale a far valere la titolarita' del potere in
sede   di   conflitto   di  attribuzione  davanti  alla  Corte:  tale
riconoscimento,  infatti, sarebbe stato effettuato ai soli fini della
garanzia  dell'interesse  pubblico al corretto e regolare svolgimento
delle funzioni giurisdizionali, del prestigio dell'ordine giudiziario
nonche'  della  tutela del diritto di difesa della persona incolpata.
L'assimilazione  del  procedimento disciplinare ad un procedimento di
tipo   giurisdizionale  sarebbe  stata  effettuata  dalla  Corte  "ai
limitati  fini"  della  legittimazione a sollevare il giudizio in via
incidentale  sulla  legittimita'  costituzionale  delle  norme che la
Sezione   disciplinare   e'   tenuta   ad  applicare  nel  corso  del
procedimento. Le norme che attribuiscono carattere giurisdizionale al
procedimento  disciplinare  non configurerebbero una violazione delle
norme  costituzionali  relative  al divieto di istituzione di giudici
speciali,  proprio perche' non introdurrebbero con legge ordinaria un
organo  ad  hoc,  ma  si  limiterebbero  a  trasferire  al  Consiglio
superiore  della  magistratura  lo  svolgimento  di un'attivita' gia'
prevista  con  dettagliata  disciplina  dall'ordinamento  giudiziario
previgente alla norma costituzionale.
    In  definitiva, il riconoscimento della legittimazione a proporre
conflitto  di  attribuzione  alla  Sezione disciplinare implicherebbe
l'individuazione,  accanto  al  plenum  del Consiglio superiore della
magistratura,   di   un  ulteriore  organo  autonomo,  che  invece  i
Costituenti  non hanno introdotto ed al quale non hanno espressamente
attribuito la competenza.
    Il   difetto   di   legittimazione   soggettiva   della   Sezione
disciplinare  si manifesterebbe in particolare sul piano processuale:
nel  caso,  la decisione di proporre il conflitto sarebbe spettata al
collegio,  e questo avrebbe dovuto essere rappresentato, nel processo
costituzionale,  dal  suo  Presidente che quale espressione di unita'
dell'organo   avrebbe   dovuto   presentare,  in  tale  veste,  anche
formalmente, il ricorso.
    Quanto   al   merito   del  conflitto,  il  Senato  nota  che  la
deliberazione  dell'Assemblea  ha  recepito  in modo completo e senza
alcuna  voce  di  dissenso  la proposta della Giunta delle elezioni e
delle immunita' parlamentari. La dichiarazione di insindacabilita' si
collegherebbe  in  modo  implicito,  ma  chiaramente ricavabile dalla
relazione  della  Giunta, alla tutela della posizione di indipendenza
che  il parlamentare deve acquisire rispetto agli organi con i quali,
prima  dell'assunzione delle funzioni di parlamentare, ha stabilito e
mantenuto   un   rapporto   di   servizio.  Nel  caso  di  specie  la
dichiarazione  di insindacabilita' implicherebbe il riconoscimento di
un  diritto del parlamentare, strettamente connesso con il suo status
e   cioe'   quello  di  interpretare  liberamente  il  suo  ruolo  di
rappresentante  del corpo elettorale, scindendo in modo totale questa
sua attivita' - in applicazione del principio di liberta' del mandato
di cui all'art. 67 della Costituzione ed in attuazione del diritto di
cui  all'art. 51,  terzo  comma,  della  Costituzione - dal permanere
formale   dell'appartenenza  all'ordine  giudiziario  ed  all'ufficio
rispetto  al  quale  si  e'  verificata la situazione di aspettativa.
L'interpretazione   della   irresponsabilita'  parlamentare  dovrebbe
essere  in  altri  termini  estesa - nel caso di specie - alla tutela
della  posizione  del  parlamentare  e  dei  suoi comportamenti, come
espressione  dell'autonomia  delle  Camere nei confronti dei poteri o
degli organi dai quali eventualmente il parlamentare possa dipendere.
    4. - Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica del 9 aprile 2002, la
ricorrente   Sezione   disciplinare   ha   presentato   una   memoria
illustrativa,   depositando   alcuni   documenti   e  insistendo  per
l'accoglimento  delle  conclusioni  formulate  nell'ordinanza-ricorso
introduttiva del conflitto.
    In rito, la memoria sottolinea, da una parte, la configurabilita'
della  Sezione  disciplinare  come organo giurisdizionale a tutti gli
effetti  (preesistendo tale organo alla Costituzione ed essendo stato
sottoposto a revisione dalla legge n. 195 del 1958), e la conseguente
spettanza  ad esso del potere di difendere le proprie attribuzioni in
sede   di   conflitto   tra   poteri   dello  Stato;  dall'altra,  la
legittimazione  processuale  della  stessa Sezione a proporre ricorso
per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
    Nel   merito,  la  memoria  afferma  la  sindacabilita'  in  sede
disciplinare  dei comportamenti del senatore Giorgianni oggetto della
delibera  di  insindacabilita',  in  quanto  non  sarebbero  opinioni
espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari quelli che, in fatto
e  in diritto, sono soltanto inadempimenti di elementari doveri di un
magistrato  che  il collocamento in aspettativa (prima, ma anche dopo
l'elezione) non fa venire meno.
    Infatti,  tali  comportamenti  commissivi  ed  omissivi sarebbero
stati posti in essere dal dott. Giorgianni prima della sua elezione a
senatore  della  Repubblica;  ed  anche quando fossero stati posti in
essere  in  epoca  posteriore,  ad essi non si applicherebbe comunque
l'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, poiche' il collocamento
in   aspettativa   del   magistrato   non   recide   il   legame  con
l'amministrazione  di  appartenenza,  ne' fa venire meno l'obbligo di
informare  i  colleghi  succeduti  nell'incarico e di consegnare loro
tutti  i  files  contenenti documenti istruttori. Inoltre, secondo la
recente  giurisprudenza  costituzionale,  ai  fini  dell'affermazione
dell'insindacabilita'  parlamentare  non  sarebbe  sufficiente  che i
fatti  contestati costituiscano genericamente "attivita' politica", e
quindi  cadrebbero,  anche  sotto  questo  profilo, gli argomenti del
Senato.
    5. - Ha  depositato  memoria  anche  il  Senato della Repubblica,
insistendo  affinche'  la  Corte  dichiari inammissibile il ricorso e
comunque  accerti  che  spetta  al  Senato dichiarare che le opinioni
espresse   dal   senatore   Giorgianni,   oggetto   del  procedimento
disciplinare, sono assistite dalla garanzia dell'insindacabilita'.
    In  punto  di ammissibilita' del conflitto, secondo il resistente
non si puo' ritenere ne' che la Sezione disciplinare sia assimilabile
ad  un  organo  giurisdizionale,  anche  alla  luce  della  pregressa
giurisprudenza  costituzionale;  ne'  che la stessa sia configurabile
come  articolazione  funzionalmente  autonoma del Consiglio superiore
della   magistratura,   titolare   dell'attribuzione   costituzionale
relativa  all'adozione  dei  provvedimenti  disciplinari, a causa del
profilo  unitario  e complessivo dell'organo, che solo in quanto tale
potrebbe  porsi  in diretta relazione con gli altri organi previsti o
presupposti  dalla  Costituzione;  ne', infine, che la Sezione sia in
grado   di   rappresentare   il   Consiglio  superiore  nel  giudizio
costituzionale.
    Nel  merito,  il Senato nota che la teoria del "nesso funzionale"
non escluderebbe aprioristicamente ne' che si possa prescindere dalla
"sede"  parlamentare,  ne'  che  le funzioni del parlamentare possano
essere       valutate       nel       complesso      del      sistema
democratico-rappresentativo. I comportamenti del senatore Giorgianni,
di  chiaro significato politico, in definitiva, sarebbero espressione
di  una  puntuale  e legittima opinione sul rapporto che sussiste tra
mandato  parlamentare,  da  un  lato,  e  aspettativa dal servizio di
magistrato, dall'altro.

                       Considerato in diritto

    1. - La   Sezione  disciplinare  del  Consiglio  superiore  della
magistratura, investita di un procedimento disciplinare nei confronti
di un magistrato della Procura della Repubblica di Messina, all'epoca
in  aspettativa  perche'  candidato  e  poi  eletto al Parlamento, ha
sollevato  conflitto  di  attribuzioni nei confronti del Senato della
Repubblica chiedendo l'annullamento della deliberazione del 29 luglio
1999  con  la quale l'assemblea ha dichiarato che i fatti, oggetto di
alcuni  dei  capi  di  incolpazione  a  carico  di  detto magistrato,
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni, e ricadono pertanto nell'ambito
della  insindacabilita'  di  cui  all'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione.
    La  deliberazione  del  Senato  si  riferisce  a  tre dei capi di
incolpazione  a  carico del magistrato, concernenti, rispettivamente,
l'addebito  di  avere omesso di informare i colleghi che lo avrebbero
sostituito   nella   conduzione   di  un  processo  sullo  stato  del
procedimento  medesimo  e  di  avere  disposto  la  cancellazione dai
computer  di  dati  relativi  a  detto  processo; l'addebito di avere
frequentato  con carattere di continuita' una persona da ritenersi di
dubbia   fama   in   considerazione  dei  suoi  precedenti  penali  e
giudiziari;  e  quello  di  avere  reso alla Commissione parlamentare
antimafia,  in  sede  di  inchiesta  relativa  ai  predetti rapporti,
dichiarazioni non corrispondenti alla effettiva realta'.
    La  Sezione  ritiene  che  il  nesso  funzionale  fra l'attivita'
oggetto   del   giudizio   disciplinare  e  l'esercizio  del  mandato
parlamentare  sussista  solo  per  il  terzo  dei  ricordati addebiti
(dichiarazioni  alla  Commissione  antimafia)  e  non sussista invece
riguardo  ai  fatti  oggetto degli altri due addebiti, affermando che
spetta  all'organo  disciplinare stabilire se il magistrato incolpato
non   avesse   alcun   obbligo   di  collaborazione  con  i  colleghi
dell'ufficio  prima  della  sua  elezione a senatore, e se egli abbia
ostacolato  di fatto il normale svolgimento delle indagini, come pure
accertare  se sia censurabile la ipotizzata frequentazione, risalente
ad  epoca  anteriore  all'elezione  in  Parlamento, di un personaggio
definito   "di   dubbia  fama".  Essa  dunque  solleva  conflitto  di
attribuzioni  impugnando la deliberazione del Senato limitatamente ai
due capi concernenti tali addebiti.
    2. - Deve   essere   in  primo  luogo  esaminata  l'eccezione  di
inammissibilita'  del  ricorso  sollevata dalla difesa del Senato per
carenza  di legittimazione attiva della Sezione ricorrente: eccezione
basata   sull'assunto  che,  spettando  il  potere  disciplinare  sui
magistrati  al Consiglio superiore della magistratura, il ricorso per
conflitto   avrebbe   dovuto  essere  deliberato  non  dalla  Sezione
disciplinare,  ma  dal  plenum del Consiglio, e avrebbe dovuto essere
sottoscritto  dal Presidente, o per sua delega dal vice presidente di
questo, anziche' dal presidente della Sezione.
    L'eccezione non merita accoglimento.
    L'art.   105   della  Costituzione  attribuisce  i  provvedimenti
disciplinari   nei   riguardi  dei  magistrati  alla  competenza  del
Consiglio  superiore  della magistratura, ed e' quindi effettivamente
in   capo   a   questo   organo  che  si  colloca  l'attribuzione  in
contestazione.
    Questa  Corte  ha  pero'  da tempo affermato che la Costituzione,
regolando  solo  parzialmente la composizione del Consiglio superiore
della magistratura (di cui indica i tre membri di diritto, mentre per
i membri elettivi si limita a stabilire la proporzione fra componenti
"togati"  e  "laici":  art. 104, secondo, terzo e quarto comma) ed il
suo  funzionamento  (a  cui  riguardo  prevede  solo l'elezione di un
vicepresidente  fra  i  componenti  eletti  dal Parlamento: art. 104,
quinto   comma),  lascia  al  legislatore  ordinario  ampi  spazi  di
discrezionalita'  nella  disciplina  dell'organizzazione  interna del
Consiglio, e non esclude che esso possa operare, nell'esercizio delle
attribuzioni  disciplinari,  anziche'  in  assemblea plenaria, in una
composizione  piu'  ristretta,  pur  sempre  rispettosa dei criteri e
degli  equilibri  sanciti  dall'art.  104 (sentenza n. 12 del 1971; e
cfr. anche sentenza n. 52 del 1998).
    La  legge  dunque,  nel  prevedere  la Sezione disciplinare e nel
regolarne  la  composizione ed il funzionamento (artt. 4, 5 e 6 della
legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni), non ha dato
vita   ad   un   organo   autonomo   dal  Consiglio  superiore  della
magistratura,  ne'  ha  frazionato il "potere" di cui il Consiglio e'
titolare   ed   espressione,   ma  si  e'  limitata  a  disciplinarne
l'organizzazione   interna,  ferma  restando  l'unicita'  del  potere
medesimo.
    L'esercizio  della  potesta' disciplinare attribuita al Consiglio
superiore e' stato poi configurato per le ragioni piu' volte messe in
luce  da  questa  stessa Corte (cfr. sentenze n. 145 del 1976, n. 289
del 1992, n. 71 del 1995 e n. 497 del 2000) con caratteri formalmente
giurisdizionali,  il che si riflette, fra l'altro, sulle modalita' di
funzionamento  della  Sezione  disciplinare  (composizione fissa, con
sostituzione   dei   componenti  assenti  o  impediti  ad  opera  dei
supplenti:  articolo  6,  primo, secondo, terzo e quarto comma, della
legge  n. 195  del 1958 e succ. modif.), e sui caratteri ed il regime
delle  relative  decisioni  (qualificate  come  sentenze, impugnabili
davanti  alle  sezioni  unite  della Corte di cassazione: art. 37 del
r.d.lgs.  n. 511  del 1946 e art. 17, terzo comma, della legge n. 195
del 1958).
    Per  ritenere  sussistente la legittimazione a proporre conflitto
di  attribuzione,  e'  dunque sufficiente constatare, da un lato, che
l'attribuzione  che  si suppone lesa dalla delibera del Senato e' una
di quelle spettanti al Consiglio superiore della magistratura in base
all'art.  105  della Costituzione; e, dall'altro lato, che la Sezione
disciplinare e' competente a "dichiarare definitivamente la volonta'"
del  potere cui appartiene - vale a dire del Consiglio superiore - in
quanto   le   sue   determinazioni   in   materia  disciplinare  sono
insuscettibili  di  qualsiasi  revisione  o  avocazione  da parte del
plenum  e costituiscono piena e definitiva espressione della potesta'
disciplinare attribuita dalla Costituzione.
    Ne'  puo'  porsi un problema di legittimazione a sottoscrivere il
ricorso,  posto  che,  nella  specie,  questo e' sottoscritto da chi,
nello  stesso tempo, era vicepresidente del Consiglio superiore della
magistratura  e  presidente del collegio giudicante che ha deliberato
di sollevare il conflitto.
    3. - Nel merito, il ricorso e' fondato.
    I comportamenti addebitati al magistrato incolpato, e oggetto del
conflitto,  non  sono  qualificabili  come "opinioni" (ne' tanto meno
come  "voti")  espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e
non  possono  dunque essere ricondotti in alcun modo alla sfera della
insindacabilita'   garantita   dall'art.   68,   primo  comma,  della
Costituzione.
    Cio'  vale,  anzitutto,  per  le  condotte  omissive e commissive
descritte  nel  capo  2, lett. a) e b) dell'incolpazione, consistenti
rispettivamente nell'avere omesso di informare i colleghi, chiamati a
sostituire   il   magistrato   incolpato   nella   conduzione  di  un
procedimento,  sullo  stato  del  procedimento medesimo, e nell'avere
disposto   la  cancellazione  di  dati  da  computer  utilizzati  dal
magistrato e dai suoi collaboratori, creando cosi' un oggettivo danno
alla futura conduzione di detto procedimento.
    Stabilire  se  e  in  che  limiti  la  cessazione dell'attivita',
conseguente  al  collocamento del magistrato in aspettativa, prima in
vista  della  presentazione  della  candidatura  al Parlamento, poi a
seguito  dell'elezione, e il conseguente dovere di astensione da ogni
interferenza  del candidato e dell'eletto nelle attivita' giudiziarie
dell'ufficio   di  provenienza,  possano  condurre  ad  escludere  in
concreto la violazione di un dovere di diligenza e di collaborazione,
e'  questione  di  merito  da risolversi nell'ambito del procedimento
disciplinare.
    Quale  che fosse l'eventuale convinzione del magistrato eletto in
Parlamento  circa  la  sussistenza  o  i  limiti  di  tale  dovere di
collaborazione,  e  quindi  quali  che  fossero  le ragioni che hanno
determinato le condotte a lui addebitate in sede disciplinare, queste
ultime  sono,  in  ipotesi,  contrarie ad un dovere di collaborazione
collegato  esclusivamente  allo  status  di  magistrato,  sia pure in
aspettativa,  e  non potrebbero certo qualificarsi come esercizio, in
forma  di espressione di opinione, della funzione parlamentare. Tanto
meno  cio'  potrebbe dirsi per condotte tenute dal magistrato - come,
almeno  in parte, si ipotizza nella specie - prima dell'elezione, sia
pure  nel  periodo  in  cui  egli era collocato in aspettativa per la
candidatura  all'elezione parlamentare, e quindi quando non rivestiva
ancora lo status di parlamentare.
    4. - Alla  medesima conclusione deve giungersi anche con riguardo
all'altro addebito in contestazione, relativo alla frequentazione non
occasionale  -  risalente, secondo la Sezione ricorrente e secondo il
capo di incolpazione, ad epoca anteriore alla elezione del magistrato
al  Senato  della Repubblica - di persona da ritenersi di dubbia fama
in considerazione dei suoi precedenti penali e giudiziari. Si tratta,
ancora  una  volta,  di  condotta  - gia'  di per se' non agevolmente
qualificabile   come   espressione  di  un'opinione  -  addebitata  e
addebitabile  esclusivamente in relazione allo status di magistrato e
ai  connessi  doveri,  e  in  nessun modo riconducibile, invece, alle
funzioni   di  membro  del  Parlamento  successivamente  assunte  dal
magistrato medesimo.
    Non viene nemmeno qui in considerazione il quesito, se in capo al
magistrato  eletto  in  Parlamento possa ipotizzarsi la permanenza di
qualcuno  dei  doveri  collegati  allo  status  di magistrato tuttora
rivestito: nella specie, infatti, cio' di cui si discute e' l'ipotesi
di una violazione di tali doveri nel periodo in cui l'interessato non
aveva ancora assunto la qualita' di membro del Parlamento.
    In  ogni  caso,  dunque,  sia  per  i  caratteri  materiali della
condotta  addebitata, sia - decisivamente - per la sua inerenza ad un
periodo  anteriore  all'assunzione dello status di parlamentare, essa
non  puo'  ricondursi  all'ambito  della  insindacabilita'  garantita
dall'art. 68, primo comma, della Costituzione.