Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore, autorizzato con deliberazione
della   giunta   regionale  n. 807  del  20  maggio  2002  (all.  1),
rappresentata  e  difesa - come mandato a margine del presente atto -
dagli  avvocati  Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma,
con  domicilio  eletto  in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri n. 5.
    Contro   il   presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  che  non  spetta  allo  Stato, di nominare, in assenza
della  prescritta  intesa con le Regioni Emilia-Romanga e Toscana, il
presidente  dell'Ente  Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano,
nonche'  per  il  conseguente  annullamento  del decreto del ministro
dell'ambiente  e  della tutela del territorio 22 aprile 2002 (DEC/DCN
286),  con  il  quale,  nonostante  l'eplicito diniego dell'intesa da
parte  delle  predette  Regioni,  viene  nominato quale presidente il
dott. Tarcisio Zobbi (doc. 2), per violazione:
        degli artt. 117 e 118 della Costituzione;
        dell'art. 9, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394;
        nonche' dell'art. 2 del d.P.R. 21 maggio 2001;
        del principio di leale cooperazione tra Stato e Regioni,
per i profili e nei modi di seguito illustrati.
    L'istituzione  del  Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano
e'  prevista  dall'art. 4, comma 2, della legge n. 344 del 1997. Tale
legge, la cui iniziativa e' stata fortemente voluta e sostenuta dalla
Regione  Emilia-Romagna,  porta  a compimento le iniziative di tutela
naturalistica  gia'  intraprese  dalla  Regione con l'istituzione dei
Parchi regionali dell'Alto Appennino Reggiano (Parco del gigante), di
cui  alla  legge regionale n. 11 del 1998, e dell'Alta Val di Parma e
Cedra  (Parco dei cento laghi), di cui alla legge regionale n. 46 del
1995.
    La  specifica  storia  di questo parco trova un evidente riflesso
nelle procedure che la legge ora citata stabilisce per l'istituzione.
Si  dispone infatti che "nelle aree dell'Appennino di significativo o
rilevante   interesse   naturalistico   e  ambientale,  comprese  nei
territori  delle  province  di  Reggio Emilia, Parma e Massa Carrara,
previa verifica del consenso dei comuni e delle province interessati,
previa perimetrazione e individuazione della denominazione stabilite,
su  proposta  del  ministro  dell'ambiente,  di intesa con le Regioni
interessate,   e'  istituito  un  parco  nazionale".  Nel  1997  tale
disciplina  formava  un  diritto  speciale  rispetto  alle  procedure
ordinarie,  dato  che  la  disposizione generale secondo la quale "la
classificazione  e l'istituzione dei parchi nazionali e delle riserve
naturali  statali,  terrestri,  fluviali  e  lacuali, sono effettuate
d'intesa  con  le  Regioni" e' stata introdotta nell'art. 2, comma 7,
legge n. 394/1991 per effetto dell'art. 2, comma 23, legge 9 dicembre
1998, n. 426.
    In  attuazione  di tali disposizioni, ed in piena coerenza con il
principio  cooperativo  che  la  ispira,  si  e' proceduto, come bene
risulta  delle  ampie  premesse  del decreto istitutivo del 21 maggio
2001,   all'istituzione   del   Parco.   Con   decreto  del  ministro
dell'ambiente  n. 11399  del  1998  e' stato istituito un comitato di
coordinamento,  che  ha svolto l'istruttoria tecnica ed ha presentato
una  prima  proposta  di  perimetrazione, sulla cui base, dopo alcune
modifiche  concordate  con i comuni interessati, sono stati acquisiti
prima (ai sensi dell'art. 77, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998) il
parere  favorevole  della  Conferenza  unificata,  poi  le prescritte
intese  con  le Regioni, espresse per la Toscana con la deliberazione
del  consiglio  regionale  n. 96  del 2001, per la ricorrente Regione
Emilia-Romagna  con  deliberazione  della giunta regionale n. 337 del
2001.
    Come  l'istituzione  del  Parco  e'  stata  il frutto dell'azione
congiunta  e  concordata  delle  Regioni,  dello  Stato  e dei comuni
interessati,  prevista  dalla  speciale disciplina della legge n. 344
del  1997  e dall'art. 2 legge n. 394/1991, cosi' gli stessi principi
di  cooperazione  e  consenso tra Stato e Regioni dovevano operare in
relazione  alla  nomina  degli organi responsabili, ed in particolare
alla nomina del presidente.
    Infatti,   l'art. 9,   comma  3,  della  legge  n. 394  del  1991
chiaramente stabilisce che "il presidente e' nominato con decreto del
ministro  dell'ambiente,  d'intesa  con  i presidenti delle Regioni o
delle  province  autonome  di  Trento e di Bolzano nel cui territorio
ricada in tutto o in parte il parco nazionale".
    L'applicazione   di   tale   disposizione  e'  poi  espressamente
richiamata  dal  decreto  istitutivo del parco, il d.m. del 21 maggio
2001,  il  quale  ricorda  che  la  nomina degli organi del Parco "e'
effettuata   secondo   le   disposizioni   e  le  modalita'  previste
dall'art. 9,  commi  3,  4,  5,  6  e 10 della legge 6 dicembre 1991,
n. 394, come modificato dall'art. 2, comma 24, della legge 9 dicembre
1998,  n. 426".  Ma  e' chiaro che si tratta di un semplice richiamo,
sia  perche'  - in  assenza  di  normativa  speciale  - non si poteva
dubitare   dell'applicazione   delle   regole   generali  sui  parchi
nazionali,  sia  perche'  non risulta sul punto alcuna competenza del
decreto istitutivo del Parco.
    Il  ministro  dell'ambiente,  che  ovviamente  non era ignaro del
proprio   dovere  di  applicare  le  procedure  cooperative  previste
dall'art. 9,  comma  3, della legge n. 394 del 1991, ha espressamente
richiesto l'intesa in data 5 dicembre 2001: benche', anziche' avviare
una procedura rivolta a raggiungerla, esso si sia limitato a chiedere
direttamente  l'intesa sulla nomina quale presidente del Parco di uno
specifico candidato, gia' individuato nel dott. Tarcisio Zobbi.
    Gia' in data 4 gennaio 2002 la ricorrente Regione, congiuntamente
con la Regione Toscana, trasmetteva una nota (doc. 3) con la quale si
comunicava  l'avvenuto  insediamento  della  comunita'  del  Parco e,
quanto alla nomina del presidente, si chiedeva un incontro urgente al
fine di ricercare l'intesa. La richiesta veniva ribadita a voce il 15
febbraio  2002,  nell'occasione  di  un  colloquio  tra gli assessori
all'ambiente  delle  due Regioni e lo stesso ministro, ottenendone un
impegno  a convocare l'incontro entro brevissimo tempo. Tuttavia, non
solo nessun incontro veniva convocato, ma gia' il giorno 19 febbraio,
con  nota  GAB/2002/1982/B07  (doc.  4),  il  ministro  comunicava al
presidente  del  Senato  la  candidatura del dott. Zobbi a presidente
dell'ente  Parco.  Nella nota si affermava (paradossalmente, visto il
recentissimo  incontro  del  15 febbraio, che si aggiungeva alla nota
del  4  gennaio, e comunque in termini che si e' costretti a dire non
conformi  al  vero)  che  "la  Regione  Toscana  e la Regione Emilia-
Romagna non hanno provveduto a fornire alcun riscontro alla richiesta
d'intesa  inviata  in  data  rispettivamente  5  e  7 dicembre 2001".
Aggiungeva  poi  che in ragione di cio' "sembrerebbe potersi ritenere
maturato  il  silenzio  assenso  da parte delle Regioni interessate",
dato  che "l'articolo 35 comma 7 della ... legge n. 394/1991 fissa in
giorni  45  il  termine  per  l'espressione  di pareri da parte delle
Regioni":  traendo cosi' da un presupposto errato una conseguenza che
sarebbe stata arbitraria anche se la premessa fosse stata vera.
    Avuto  notizia  di cio', la Regione Emilia-Romagna con nota del 1
marzo  2002  (doc.  5)  formalmente  esprimeva il diniego dell'intesa
sulla  candidatura  proposta  e  reiterava  la richiesta di incontro.
Analogo comportamento teneva la Regione Toscana.
    Il  12  marzo  la  Regione  Emilia-Romagna  e  la Regione Toscana
congiuntamente  ulteriormente comunicavano la loro posizione negativa
ai presidenti delle commissioni della Camera e del Senato chiamate ad
esprimersi  sulla  proposta  del ministro, chiedendone l'intervento e
facendo comunque riserva di tutelare in ogni sede, ove necessario, le
prerogative costituzionali della Regione (doc. 6).
    Risulta dunque che la ricorrente Regione ha ricercato con spirito
collaborativo  e  diligenza  tutte  le  occasioni per raggiungere una
intesa - un'intesa che evidentemente non puo' essere assimilata ad un
dovere di acconsentire senza discussione al desiderio del ministro.
    Tuttavia,  neppure dopo l'esplicito diniego dell'intesa sul primo
e  solo  candidato proposto, nessun tentativo di raggiungere l'intesa
veniva  svolto  dal  Ministero dell'ambiente: ne' nel senso, conforme
alla  norma,  di  ricercare  un  candidato  su  cui potesse cadere il
consenso  di  tutti,  ne'  nel senso di spiegare per quale ragione il
ministro  ritenesse  indispensabile e senza alternative la nomina del
dott.  Zobbi.  Anzi,  la  ricorrente  Regione doveva apprendere dalla
stampa   che   il  ministro,  del  tutto  inopinatamente,  nonostante
l'esplicito  diniego  dell'intesa  da  parte delle Regioni, aveva nel
frattempo con atto del 22 aprile 2002 proceduto alla nomina del dott.
Tarcisio Zobbi quale presidente del Parco.
    Nelle  premesse  del  provvedimento  sono  del  tutto ignorate le
richieste   di   incontro   ai  fini  del  conseguimento  dell'intesa
reiteratamente  formulate  dalle  Regioni  e,  come  se  nulla  fosse
accaduto dal giorno in cui la richiesta di intesa era stata trasmessa
alla  Regione,  viene  "considerato" che "solamente con le note del 1
marzo  2002 ...  il  presidente della Regione Toscana e il presidente
della  Regione Emilia-Romagna hanno espresso diniego all'intesa sulla
nomina del dott. Tarcisio Zobbi, quale presidente del Parco nazionale
dell'Appennino   ToscoEmiliano".   Di   seguito,   senza  minimamente
accennare  a  vicende  o  fatti  che sia prima che dopo quel primo di
marzo  abbiano impedito di cercare un contatto per la discussione del
problema,  il  ministro,  "ritenuto necessario e non piu' differibile
procedere  alla  nomina  del  presidente  dell'Ente  Parco  nazionale
dell'Appennino  ToscoEmiliano,  individuato  nella  persona del dott.
Tarcisio Zobbi", procede senz'altro a tale nomina.
    Sennonche',  la  nomina cosi' effettuata e' assunta in violazione
delle   prerogative   costituzionali  della  ricorrente  Regione,  e'
illegittima  ed  arbitraria,  e deve essere pertanto annullata per le
seguenti ragioni di

                            D i r i t t o

    1. - Violazione  delle  prerogative  costituzionali della Regione
per  omessa  acquisizione  della  previa intesa prevista dall'art. 9,
comma 3, della legge n. 394 del 1991.
    Il   Parco   nazionale  dell'Appennino  Tosco-Emiliano  e'  opera
congiunta,  si  puo'  dire,  delle  Regioni interessate, che da tempo
hanno  promosso  iniziative  di  conservazione  anche nella forma del
Parco  regionale, e dello Stato, che ha raccolto tali iniziative e ha
dato ad esse la forma maggiore del Parco nazionale.
    Prova e sigillo di questa peculiare natura del parco e' la stessa
legge  istitutiva  che,  come  esposto  in  narrativa,  con normativa
speciale dispone che alla stessa istituzione del Parco si pervenga su
intesa  tra  lo Stato e le Regioni, previo consenso degli enti locali
interessati.
    Per   la  nomina  del  presidente  bastava  invece  la  normativa
generale, espressa dall'art. 9, comma 3, della legge n. 394 del 1991,
che  gia'  prevede  lo  strumento  dell'intesa:  ad indicare che deve
essere  scelto  di comune accordo l'organo di vertice di un organismo
che  ha  in  custodia  interessi  importanti  sia nazionali che delle
Regioni,  legati  alle  loro  competenze costituzionali in materia di
governo  del  territorio,  di  agricoltura,  di  valorizzazione delle
risorse naturali paesistiche ed ambientali.
    Si tratta, come subito si dira', di una intesa "forte", ovvero di
un'intesa  che  deve  essere  raggiunta, ed in assenza della quale e'
precluso  il provvedere. Nell'affermare cio', tuttavia, la ricorrente
Regione  desidera  precisare che, come nei punti seguenti verra' pure
argomentato,   il  provvedimento  statale  qui  impugnato  rimarrebbe
lesivo,  arbitrario  ed  illegittimo  anche se in denegata ipotesi si
partisse  dall'opposta  opinione  che  si tratti invece di una intesa
cosiddetta  "debole",  cioe' di un'intesa in assenza della quale allo
Stato  e'  concesso  di  provvedere  unilateralmente, cosi' superando
l'opposizione dell'altra parte.
    Tuttavia,  nel  presente  caso  deve  ad  avviso della ricorrente
Regione   riconoscersi   che   si  tratta  di  una  intesa  che  deve
necessariamente  essere raggiunta, ed in assenza della quale lo Stato
non puo' addivenire alla nomina.
    Cio'  risulta intanto dalla stessa lettera della disposizione che
prevede  l'intesa, cioe' dall'art. 9, comma 3, della legge n. 394 del
1991,  la  quale  non  prevede  affatto meccanismi alternativi per la
nomina.  Si  noti  che  al  contrario quando il legislatore ha voluto
sancire   il  carattere  "debole"  dell'intesa  lo  ha  espressamente
stabilito:  come e' avvenuto per le intese da raggiungersi in sede di
Conferenza  Stato-Regioni,  per le quali e' previsto che, "quando una
intesa  espressamente  prevista  dalla  legge  non e' raggiunta entro
trenta  giorni  dalla  prima seduta della Conferenza Stato-Regioni in
cui  l'oggetto  e'  posto  all'ordine  del  giorno,  il Consiglio dei
ministri  provvede  con  deliberazione  motivata"  (art. 3,  comma 3,
d.lgs. n. 281 del 1997).
    Cosi' come non e' previsto un meccanismo sostitutivo dell'intesa,
ugualmente  non  e'  previsto  un termine preciso entro il quale essa
debba  essere  raggiunta.  Si  noti,  a  questo  proposito,  che  nel
tentativo   di   dare   un  qualsivoglia  fondamento  alla  omissione
dell'intesa  l'atto  di  nomina  qui impugnato richiama nelle proprie
premese  "l'articolo  35  comma 7 della legge 394 del 1991", il quale
"fissa  in giorni 45 il termine per l'espressione dei pareri da parte
delle Regioni". Ma tale richiamo, lungi dal sostenere la legittimita'
del  provvedimento ministeriale, ne sottolinea invece l'arbitrarieta'
e  l'illegittimita'.  E' palese, infatti, che la disposizione dettata
per  i  pareri,  cioe'  per  le  ipotesi  in  cui nel procedimento di
formazione  di  un  atto e' prevista la partecipazione delle Regioni,
non  puo'  essere  applicata  ad  una  fattispecie  in  cui e' invece
richiesta  l'intesa,  che  non  e' atto di mera partecipazione, ma di
consenso  e di condivisione della decisione. Cio' senza dire che, per
vero,  neppure per i pareri e' poi detto che decorsi i quarantacinque
giorni  senza  che  il  parere  sia  stato  reso  e' stabilito che il
provvedimento  possa essere ugualmente assunto (si noti che non trova
qui neppure applicazione la regola stabilita dall'art. 16 della legge
n. 241   del   1990   per  gli  "organi  consultivi  delle  pubbliche
amministrazioni",  tra  i  quali  non  possono  certo  annoverarsi le
Regioni, che partecipano al provvedimento in funzione di tutela degli
interessi  da  esse  portati,  e  non  in  funzione  di  mero ausilio
all'autorita' decidente).
    L'art. 9,  comma  3,  della legge n. 394 del 1991 richiede invece
incondizionatamente  l'intesa  delle due Regioni interessate: come e'
anche  logico,  dato  che, per struttura e funzione, essa corrisponde
pienamente  a cio' che nei rapporti tra organi statali - di norma tra
diversi  Ministri  -  e'  usualmente  chiamato concerto. Si tratta in
definitiva  di  una  nomina concertata, e l'uso del termine intesa e'
rivolto,  come  ben  noto,  a  sottolineare  che  in  questo  caso la
concertazione  avviene tra enti soggettivamente diversi, e non tra le
amministrazioni dello Stato.
    Non  vi e' in questi casi alcun interesse a priori giuridicamente
preminente,  ma  interessi  pari  ordinati,  che  devono  conciliarsi
nell'intesa.  Ne'  si puo' ipotizzare per casi di questo genere (come
invece  ipotizza l'art. 3 del d.lgs. 281 del 1997 sopra citato per le
diverse ipotesi che esso considera) che l'intesa risulti impossibile.
Qui  infatti  non  si  tratta di una specifica decisione da assumere,
come  ad  esempio la realizzazione di una determinata opera pubblica,
sulla  quale le valutazioni e le posizioni possono essere e permanere
inconciliabili:  quanto  alla  nomina,  invece, e' evidente che se le
parti  ispirano  il  proprio  comportamento  al  principio  di  leale
cooperazione,  esse dovranno necessariamente giungere a convenire sui
requisiti richiesti alla persona del nominando, e conseguentemente su
una candidatura che corrisponda a tali requisiti.
    In  questo  caso,  tuttavia,  il  percorso  di individuazione del
candidato  su cui si formi il consenso non e' neppure iniziato: tutto
cio'  che  e'  accaduto  e'  che  il  ministro  ha "proposto" un nome
intendendo  su  tale  proposta  riscuotere  il consenso delle Regioni
interessate  come se si trattasse di un atto dovuto. E di fronte alle
piu'  che ovvie perplessita', alle richieste di incontro ed infine al
diniego  dell'intesa  ha  provveduto  direttamente  alla  nomina,  in
spregio  e  violazione di ogni regola e principio, ed in particolare,
per  quanto  riguarda  il  presente  motivo,  della stessa necessita'
dell'intesa,    stabilita,    in    attuazione    delle   prerogative
costituzionali  delle ricorrenti Regioni, dall'art. 9, comma 3, della
legge n. 394 del 1991.
    L'avere  proceduto alla nomina in assenza dell'intesa rappresenta
dunque  una  evidente  trasgressione  della  legge,  esattamente allo
stesso  modo  che  se  il  ministro  avesse provveduto in assenza del
prescritto  concerto  con altri ministri. Si vorrebbe qui dire che la
violazione  e',  in  questo  caso,  addirittura piu' grave: perche' i
diversi ministri da "concertare" rappresentano distinte articolazioni
di   interessi,   ma   non   rappresentano  autonomie  costituzionali
singolarmente garantite.
    D'altronde,  codesta stessa Corte costituzionale ha precisato che
"lo   strumento  dell'intesa  ...,  si  sostanzia  in  una  paritaria
codeterminazione  del  contenuto  dell'atto  sottoposto ad intesa, da
realizzare   e   ricercare,  laddove  occorra,  attraverso  reiterate
trattative  [corsivo  nostro]  volte  a  superare  le  divergenze che
ostacolino il raggiungimento di un accordo", che neppure l'assenza di
espressi  termini  e meccanismi sostituivi dell'intesa (la' dove essi
siano  necessari)  "puo',  d'altro canto, giustificare, in assenza di
tali termini e di tali meccanismi, un declassamento dell'attivita' di
codeterminazione connessa all'intesa in una mera attivita' consultiva
non vincolante" (sent. n. 351/1991).
    Di  qui  la piena illegittimita' del provvedimento di nomina e la
palese violazione, come detto, delle prerogative costituzionali della
ricorrente Regione.
    2. - In  subordine.  Palese  violazione  del  principio  di leale
cooperazione  per  avere  omesso  qualunque  tentativo di raggiungere
l'intesa.
    Come  sopra  esposto,  non  vi  e' stato da parte del ministro il
benche'   minimo   tentativo   di   giungere  all'intesa.  La  stessa
successione  degli  eventi mostra che le Regioni hanno tentato, senza
riuscirvi,  di  trovare  una  sede  di  dialogo  al fine di pervenire
all'intesa,   mentre  il  ministro  al  contrario  ha  ignorato  tali
richieste  e  considerato  la  propria  proposta  quale  una sorta di
diktat,  da realizzare con o senza il consenso delle Regioni. Le note
con  cui  il  ministro  ha  proposto alle Regioni la nomina del dott.
Zobbi  e'  del 5 dicembre per l'Emilia-Romagna, del 7 dicembre per la
Toscana.  Meno  di  trenta  giorni (il 4 gennaio) dopo le due Regioni
hanno  richiesto  un  incontro  al  fine  di  ricercare l'intesa. Non
essendovi  stata  risposta, esse hanno ribadito la stessa richiesta a
voce  il  15 febbraio 2002. Incurante di tali richieste, il giorno 19
febbraio  il  ministro  comunicava  al  Parlamento la candidatura del
dott. Zobbi, affermando che sulla proposta si era formato un presunto
silenzio assenso delle Regioni interessate!
    Avuto  notizia  di cio', la Regione Emilia-Romagna con nota del 1
marzo  2002  (doc.  5)  formalmente  esprimeva il diniego dell'intesa
sulla  candidatura  proposta e al tempo stesso reiterava la richiesta
di   incontro,  finalizzato  al  conseguimento  dell'intesa.  Analogo
comportamento teneva la Regione Toscana.
    Dal  formale  diniego  dell'intesa  e  dalla  nuova  richiesta di
incontro  il  ministro  lasciava passare oltre cinquanta giorni senza
nulla  fare  e  senza  assumere alcuna iniziativa volta a superare la
situazione  di  stallo,  dallo stesso provocata: ma il 22 aprile esso
riteneva  necessario  e  non piu' differibile" procedere alla nomina,
come di seguito procedeva con l'atto impugnato.
    Non potrebbe risultare piu' evidente che, mentre le Regioni hanno
adempiuto  al  dovere costituzionale di cooperazione con atti rivolti
al risultato imposto dalla Costituzione e dalla legge, il ministro lo
ha sistematicamente violato, tenendo un comportamento ostruzionistico
esattamente  contrario  al  suo  dovere  di verificare insieme con le
Regioni  le  ragioni del dissenso sulla proposta e la possibilita' di
soluzioni  alternative  su cui potesse formarsi, come richiesto dalle
norme,   il   consenso   sia  del  ministro  che  delle  due  Regioni
interessate.
    Si  sono  sopra esposte le ragioni per le quali non e' fondata la
tesi  secondo  cui la Costituzione e la legge attuativa non impongono
in modo assoluto l'intesa, ma consentono al ministro la nomina quando
essa si rivelasse impossibile: ma se anche lo fosse, risulta evidente
nella   vicenda   che  il  ministro  ha  violato  il  suo  dovere  di
cooperazione,  intendendo  la  proposta  come  un atto imperativo cui
soltanto  prestare  ossequio e non procedendo neppure ad un congiunto
esame  della  questione.  Risulta  dunque palese che il provvedimento
sarebbe  in  ogni  caso  stato assunto in violazione del principio di
leale  cooperazione  tra  Stato  e  Regioni:  il  che  lo  vizierebbe
inesorabilmente.
    Di   qui,   in   ogni   modo,  l'illegittimita'  e  arbitrarieta'
costituzionale della nomina.
    3. - In  ulteriore  subordine. Inammissibilita' costituzionale ed
arbitrarieta'  di  un  atto semplicemente ministeriale di superamento
del contrasto.
    Come  sopra  esposto,  non  esiste  nell'ordinamento alcuna norma
attributiva del potere di nominare il presidente del Parco in assenza
dell'intesa con le Regioni interessate.
    Non  essendovi  tale  norme,  qualunque  atto  di esercizio di un
simile  potere  sarebbe  illegittimo  e  incostituzionale.  Tuttavia,
risulta  anche  evidente  che,  se  un  simile  potere potesse essere
previsto, esso non potrebbe essere previsto semplicemente come potere
ministeriale.
    In  ogni  caso,  cioe', il conflitto tra il ministro e le Regioni
interessate  sull'individuazione  del  presidente non puo' concepirsi
come  conflitto  risolvibile semplicemente con un atto imperativo con
il  quale  il  ministro  impone  la  propria  soluzione, perche' cio'
contraddirebbe in ogni caso con la pari dignita' costituzionale degli
interessi  portati  dalle  Regioni  interessate,  con il principio di
leale  cooperazione,  con  lo  stesso  principio  di  buon  andamento
dell'amministrazione  espresso  dall'art. 97  Cost.: essendo evidente
che  il  riconoscimento di un simile potere priverebbe il ministro di
ogni   reale   interesse   al   raggiungimento  dell'intesa.  Non  si
comprenderebbe   infatti  per  quale  ragione  il  ministro  dovrebbe
confrontare  la  propria  posizione con quella delle Regioni e per il
raggiungimento  dell'intesa  essere  disponibile a cedere qualcosa di
essa, in un atteggiamento di reciproca cooperazione istituzionale, se
potesse  semplicemente  con  un  gesto unilaterale imporre la propria
volonta'.
    Ma e' al tempo stesso evidente che una simile ipotetica posizione
di  autorita'  del  ministro  in  relazione  alle Regioni interessate
contraddice il concetto stesso di cooperazione e di intesa.
    Se  dunque  si potesse immaginare una procedura amministrativa di
superamento  della  mancata  intesa,  ed  un corrispondente potere di
nomina,  bisognerebbe  evidentemente immaginarlo in capo al Consiglio
dei  ministri,  sulla  base  di  una procedura contraddittoria, e non
certamente come potere di "autotutela" del ministro. Fermo dunque che
anche  di  tale  potere  del Consiglio dei ministri non vi e' traccia
nell'ordinamento  per  il  caso  qui  in  questione, risulta evidente
tuttavia  che  in  ogni  modo  risulterebbe arbitrario ed illegittimo
l'atto ministeriale qui impugnato.
    4. - In  ulteriore  subordine.  Assoluto  difetto  di motivazione
sulle ragioni per cui non e' stato possibile raggiungere l'intesa.
    Il  provvedimento  di  nomina  qui  contestato  omette  qualunque
motivazione rivolto a spiegare:
        le  ragioni  per  le  quali non sia stato possibile convocare
l'incontro  richiesto  dai  presidenti delle Regioni Emilia-Romagna e
Toscana;
        le  ragioni  per  le quali dopo il primo marzo 2002, venuto a
conoscenza del diniego dell'intesa, il ministro nulla abbia fatto per
superare la posizione di stallo;
        le  ragioni  per  le  quali  il  ministro ritiene che l'unico
possibile  candidato  alla  posizione di presidente del Parco potesse
essere  il  dott.  Zobbi,  ad esclusione di qualunque altra possibile
soluzione.
    Per  vero,  la  nomina  omette  persino  di  illustrare per quale
ragione  il  dott. Zobbi fosse un buon candidato in assoluto: ma cio'
che  qui conta e' l'assoluto difetto di motivazione sulle ragione che
hanno  indotto il ministro a non prendere in alcuna considerazione le
istanze delle Regioni.
    Risulta  evidente,  ad  avviso della Regione, che non costituisce
certo  motivazione  del provvedimento, sotto gli aspetti considerati,
l'avere  "ritenuto  necessario  e non piu' differibile procedere alla
nomina  del  presidente  dell'Ente  parco  nazionale ..., individuato
nella persona del dott. Tarcisio Zobbi".
    Infatti,  mentre  il  tempo  intercorso senza che si raggiungesse
l'intesa  puo'  essere  imputato  soltanto  all'inerzia  del ministro
nell'adempiere agli essenziali doveri costituzionali di cooperazione,
nessuna  ragione  e' allegata ne' di tale inerzia, ne' della presunta
necessita'  di individuare il titolare della funzione esattamente nel
dott. Zobbi, nonostante l'opposizione delle Regioni interessate.
    Tali  ragioni  non  vengono enunciate, ad avviso della ricorrente
Regione,  semplicemente  perche' non esistono, mentre cio' che esiste
e'  soltanto  la  singolare  pretesa  del  ministro  che il requisito
dell'intesa  si  traduca  in una mera acquiescenza o obbedienza delle
Regioni alle indicazioni e ai desideri del ministro stesso.
    E'  evidente,  pero',  che  tale non e' il senso costituzionale e
normativo  dell'intesa.  Si  e'  gia' sopra osservato come in realta'
l'intesa in questione sia corrispondente ad un concerto tra Ministri,
o  addirittura  piu'  forte  di  esso,  data  la  diversa titolarita'
costituzionale  degli  interessi;  e  come,  inoltre,  se  pure fosse
possibile  un  atto  "sostitutivo"  dell'intesa,  questo non potrebbe
certo  essere  compiuto  dallo  stesso  ministro,  ma dovrebbe essere
compiuto  quanto  meno  dal Consiglio dei ministri. Dunque se pure in
denegata  ipotesi si volesse ritenere che la mancanza di intesa possa
essere  supplita con un atto unilaterale, e che in aggiunta tale atto
unilaterale  possa  essere  compiuto  dal ministro responsabile della
mancata  intesa,  cio'  non  potrebbe  certo  accadere  senza  idonea
motivazione sulle ragioni della mancata intesa e sul merito.