ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

    nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  del  combinato
disposto  degli  articoli  139  e 143, terzo comma, del regio decreto
11 dicembre  1933,  n. 1775  (Testo unico delle disposizioni di legge
sulle  acque  e impianti elettrici), promosso con ordinanza emessa il
9 maggio  2001  dal  Tribunale  superiore  delle  acque pubbliche sul
ricorso proposto dal Consorzio per l'incremento della irrigazione nel
territorio  cremonese  contro  il  comune  di  Spino d'Adda ed altri,
iscritta  al  n. 803  del  registro  ordinanze  2001 e pubblica nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 41,  1a serie  speciale,
dell'anno 2001.
    Visto l'atto di costituzione del Consorzio per l'incremento della
irrigazione nel territorio cremonese;
    Udito nell'udienza pubblica del 26 marzo 2002 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti;
    Udito   l'avv.  Maria  Cristina  Zavatti  per  il  Consorzio  per
l'incremento della irrigazione nel territorio cremonese.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Il Tribunale superiore delle acque pubbliche, con ordinanza
del 9 maggio 2001, depositata il 22 maggio 2001, solleva questione di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli 139
e  143,  terzo  comma,  del  regio  decreto 11 dicembre 1933, n. 1775
(Testo  unico  delle  disposizioni  di  legge  sulle acque e impianti
elettrici),  "nella  parte in cui non prevede la nomina di uno o piu'
supplenti  destinati  a  sostituire  i membri effettivi del Tribunale
superiore  delle  acque  pubbliche nel caso in cui uno o piu' di tale
membri  effettivi siano obbligati ad astenersi in presenza di uno dei
motivi  stabiliti  dall'art. 51,  primo  comma,  cod. proc. civ.", in
riferimento  agli  artt. 24,  primo  comma,  102,  103,  111, primo e
secondo comma, e 113 della Costituzione.
    2.  - La questione e' stata sollevata nel corso di un giudizio di
rinvio - a seguito di annullamento da parte delle Sezioni unite della
Corte  di  cassazione  della  sentenza  n. 78  del  24 novembre  1997
pronunciata   dal   Tribunale   superiore  delle  acque  pubbliche  -
ritualmente riassunto dal Consorzio per l'incremento dell'irrigazione
nel   territorio   cremonese  ed  avente  ad  oggetto  l'annullamento
dell'ordinanza  n. 19  del  1 giugno 1993 con la quale il sindaco del
comune  di  Spino  d'Adda dispose la demolizione di opere edilizie di
contenimento dell'argine del canale "Vacchelli" perche' realizzate in
assenza di autorizzazione.
      2.1.  -  Il giudice a quo espone che, a norma dell'ultimo comma
del citato art.143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, nelle
materie  indicate  in tale articolo il Tribunale superiore decide con
sette votanti, cioe' con tre magistrati, con tre consiglieri di Stato
e  con  un  tecnico  e  che  l'art. 139  dello  stesso  regio decreto
disciplina  la  composizione  del  Tribunale  superiore  delle  acque
pubbliche  e  stabilisce  che  esso  e' composto di un presidente, di
quattro  consiglieri  di  Stato,  di  quattro magistrati scelti fra i
consiglieri  di  Cassazione  e  di  tre tecnici, membri effettivi del
Consiglio  superiore  dei  lavori  pubblici,  non  aventi funzioni di
amministrazione attiva.
    Il  collegio chiamato a pronunziare la sentenza in sede di rinvio
- rileva il rimettente - non potra' che essere composto da almeno uno
dei  giudici  che  hanno  gia'  conosciuto della causa nel precedente
giudizio,  in quanto il collegio che ha pronunciato la sentenza n. 78
del  1997, poi cassata con rinvio dalla Corte suprema, era costituito
da  sette  votanti,  tra  i  quali tre consiglieri di Stato, e due di
questi ultimi sono attualmente componenti del Tribunale superiore per
il quinquennio in corso.
    Il  giudice a quo - tenuto conto che, a norma dell'art. 51, comma
primo, n. 4 cod. proc. civ., "applicabile anche ai giudizi davanti al
Tribunale  superiore delle acque pubbliche, per effetto del rinvio di
cui  all'art. 208  del regio decreto n. 1775 del 1933", il magistrato
ha  l'obbligo  di  astenersi  quando  ha conosciuto della causa quale
giudicante  in  altro  grado  del  processo - ritiene che il costante
orientamento della giurisprudenza, secondo cui, in mancanza d'istanza
di  ricusazione,  la  violazione da parte del giudice dell'obbligo di
astenersi per avere conosciuto della causa in un precedente grado del
processo  non  determini  nullita' della sentenza e non e' deducibile
come  motivo  d'impugnazione,  dovrebbe essere riesaminato, in virtu'
della   nuova   formulazione   dell'art. 111,  secondo  comma,  della
Costituzione. Inoltre, non si potrebbe pretendere che un giudice, per
assicurare  la formazione del collegio, debba esporsi non soltanto ad
essere  ricusato,  ma debba coscientemente violare un obbligo che gli
e' imposto dalla legge.
    La  situazione, dunque, non sarebbe "allo stato superabile se non
imponendo  al  collegio  di emettere una decisione che, ancorche' non
viziata  sul  piano  processuale  -  non  configurandosi una nullita'
deducibile  in  sede  d'impugnazione  in  difetto  di  un'istanza  di
ricusazione  -  si  collocherebbe  in un quadro di non conformita' al
diritto" ed in contrasto con un fondamentale valore costituzionale.
    Il  giudice  a quo pone in risalto il fatto che la determinazione
per  legge  della pianta organica e l'assenza di membri supplenti non
consentono,  in virtu' anche della riserva di legge ex art. 108 della
Costituzione, interventi di natura amministrativa, quali applicazioni
e  supplenze.  Le parti, pero', hanno "diritto ad una decisione, come
espressione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti  e  interessi legittimi (artt. 24, primo comma, e 113 Cost.),
l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  deve essere assicurato
(artt. 102  e  103 Cost.), e tale esercizio deve attuarsi mediante un
giusto  processo regolato dalla legge (art. 111, primo comma, Cost.),
davanti  a  un  giudice  che  non  soltanto  sia ma si presenti anche
imparziale (art. 111, secondo comma, Cost.)".
    La   questione,  dunque,  non  sarebbe  manifestamente  infondata
perche'  l'impossibilita'  di  comporre  il  collegio  giudicante, in
conformita'  alla  disciplina processuale vigente, si tradurrebbe "in
un  vulnus  per il corretto esercizio della giurisdizione", incidendo
sia  sul  diritto di agire in giudizio, privato del contenuto proprio
di  realizzare  la  tutela  della  situazione  giuridica  vantata  in
giudizio,  sia  sull'attuazione  della  funzione  giurisdizionale nel
rispetto  delle  condizioni di cui all'art. 111, comma secondo, della
Costituzione.
    3.  - Nel giudizio si e' costituito il Consorzio per l'incremento
dell'irrigazione  nel  territorio cremonese, chiedendo l'accoglimento
della questione di legittimita' costituzionale.
    La  difesa del Consorzio pone l'accento sull'evidente pregiudizio
del  magistrato  che  abbia gia' conosciuto i fatti di causa ed abbia
pronunciato  decisioni in una fase o grado diverso del processo. Tale
situazione   sarebbe  in  contrasto  con  i  precetti  costituzionali
indicati  dal  Tribunale  superiore  nell'ordinanza  di  rimessione e
renderebbe  incostituzionali  le  norme  del  testo  unico in tema di
giurisdizione  sulle  "Acque  pubbliche",  nella  parte  in  cui  non
prevedono la sostituzione del giudice che versi in una delle previste
ipotesi di astensione e voglia adempiere al dovere di astenersi.
    4.  -  All'udienza  pubblica la parte costituita ha insistito per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
Tribunale superiore delle acque pubbliche con l'ordinanza indicata in
epigrafe  ha  ad oggetto il combinato disposto degli artt. 139 e 143,
terzo comma, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1175 (Testo unico
delle  disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), nella
parte  in cui non prevede la nomina di supplenti dei membri effettivi
del  Tribunale  superiore delle acque pubbliche in caso di astensione
in  presenza  di  uno dei motivi stabiliti dall'art. 51, primo comma,
del codice di procedura civile.
    Le  predette  norme contrasterebbero infatti, secondo l'ordinanza
di  rimessione, con gli artt. 24, primo comma, 102, 103, 111, primo e
secondo  comma,  e  113  della  Costituzione,  in quanto, nel caso di
astensione  obbligatoria  o in altre ipotesi di legittimo impedimento
di  uno  o  piu'  componenti  del Tribunale, la mancata previsione di
membri   supplenti   e  l'impraticabilita'  di  forme  di  temporanea
sostituzione,   determinerebbero   l'impossibilita'  di  comporre  il
collegio   giudicante  in  conformita'  alla  disciplina  processuale
vigente,  traducendosi essenzialmente in una lesione del diritto alla
tutela  giurisdizionale  e  in  un  vulnus  al  corretto  e  regolare
esercizio  della  giurisdizione,  sotto i diversi profili evocati dai
parametri costituzionali indicati.
    2. - La questione e' fondata.
    Va  premesso che il Tribunale superiore delle acque pubbliche - i
cui  componenti  durano  in  carica un quinquennio, ma possono essere
riconfermati  -  in  un  giudizio  del  1997  aveva  emesso, ai sensi
dell'ultimo  comma  dell'art. 143 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775,
una  sentenza  -  poi  annullata  dalle  Sezioni Unite della Corte di
cassazione  con  rinvio allo stesso Tribunale - con la partecipazione
di sette giudici, tra cui tre appartenenti al Consiglio di Stato, due
dei  quali  sono  componenti  del  Tribunale  superiore  anche per il
quinquennio  in  corso.  Ne  consegue  che  del  collegio, che ora e'
chiamato   in   sede   di  rinvio  a  decidere  su  quella  sentenza,
necessariamente  dovra'  far  parte, tra i tre membri appartenenti al
Consiglio di Stato, almeno uno che aveva gia' conosciuto la causa nel
precedente   giudizio.  Sussistono  quindi,  secondo  l'ordinanza  di
rimessione, tutti i presupposti perche' sorga l'obbligo di astensione
-  ai  sensi  dell'art. 51,  primo  comma,  numero  4,  del codice di
procedura  civile,  applicabile anche ai giudizi davanti al Tribunale
superiore,  in  forza del rinvio contenuto nell'art. 208 dello stesso
r.d.  n. 1775  del  1933  -  a carico appunto di quel giudice, che si
trova nella predetta condizione di incompatibilita'.
    La  dichiarazione  di  astensione,  pero',  nel  caso  di specie,
condurrebbe,  ad  avviso  del giudice rimettente, ad una insuperabile
situazione   di  "blocco"  della  funzione  giurisdizionale,  poiche'
sarebbe  impedita "perfino la costituzione del collegio", non essendo
possibile alcuna forma di sostituzione del componente che si astiene,
dato  che  la  legge  fissa  la  composizione  organica del Tribunale
superiore senza prevedere membri supplenti.
    Cosi'  impostata  la  questione,  il  dubbio di costituzionalita'
risulta  fondato  in  riferimento al vulnus recato alla correttezza e
alla regolarita' dell'esercizio della giurisdizione. Infatti le norme
denunziate,  nella  parte  in cui omettono di prevedere meccanismi di
sostituzione  di membri effettivi del Tribunale superiore nei casi di
astensione  obbligatoria, a norma dell'art. 51, primo comma, numero 4
del  codice  di  procedura  civile,  o  in  altri  casi  di legittimo
impedimento,   precludono   la   regolare   formazione  del  collegio
giudicante,  determinando cosi' la lesione, sotto vari profili, degli
artt. 24,  primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, che
in  particolare fissano il principio del diritto di agire in giudizio
per  la  tutela  dei  propri  diritti  davanti ad un giudice terzo ed
imparziale   nell'ambito  del  "giusto  processo".  Il  principio  di
imparzialita-terzieta'  della  giurisdizione  ha infatti pieno valore
costituzionale  in  relazione a qualunque tipo di processo, pur nella
diversita'  delle  rispettive  discipline  connessa alle peculiarita'
proprie  di  ciascun  tipo di procedimento (cfr., da ultimo, sentenza
n. 78  del  2002).  E proprio in riferimento all'ipotesi specifica di
astensione  obbligatoria prevista dall'art. 51, primo comma, numero 4
del  codice  di  procedura  civile,  questa Corte ha affermato che e'
ragionevole     la     scelta    legislativa    di    garantire    la
imparzialita-terzieta'    del   giudice   attraverso   gli   istituti
dell'astensione  e ricusazione, essendo imprescindibile l'esigenza di
evitare  la preesistenza di valutazioni da parte dello stesso giudice
sulla medesina res iudicanda (cfr. sentenza n. 387 del 1999).
    Inoltre,  la  omessa  previsione, da parte del combinato disposto
dei  citati  artt. 139 e 143, terzo comma, del r.d. n. 1775 del 1933,
di  meccanismi  di  sostituzione  dei  membri effettivi del Tribunale
superiore   delle   acque  pubbliche,  nelle  ipotesi  di  astensione
obbligatoria  specificate  dall'art. 51,  primo  comma,  numero 4 del
codice   di   procedura  civile  o  in  altre  ipotesi  di  legittimo
impedimento,   comporta   la   lesione   degli   invocati   parametri
costituzionali,   anche   perche'   pregiudica   e   compromette  "la
continuita'  e la prontezza della funzione giurisdizionale" (sentenza
n. 156  del 1963), non risultando assicurati congrui modi per colmare
i  vuoti  temporanei  nel  collegio giudicante, cosi' da garantire il
necessario  funzionamento  dell'ufficio  (cfr.  sentenza  n. 392  del
2000).
    Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.