ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 36 del decreto
legislativo  9 luglio  1997,  n. 241  (Norme di semplificazione degli
adempimenti  dei  contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e
dell'imposta  sul  valore  aggiunto,  nonche'  di modernizzazione del
sistema  di  gestione  delle  dichiarazioni),  nel  testo  risultante
dall'art. 1   del   decreto   legislativo  28 dicembre  1998,  n. 490
(Disposizioni  integrative  del  deceto  legislativo  9 luglio  1997,
n. 241,  concernenti  la  revisione  della  disciplina  dei centri di
assistenza  fiscale),  promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 2000
dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto
da  L.A.P.E.T.  (Libera  Associazione Periti ed Esperti Tributari) ed
altro  contro il Ministero delle finanze ed altro, iscritta al n. 800
del  registro  ordinanze  2000  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 52, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  l'atto  di costituzione della L.A.P.E.T. ed altro, nonche'
gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e
del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29 gennaio  2002  il  giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Uditi   gli   avvocati  Santina  Bernardi  per  L.A.P.E.T.  Paolo
Ricciardi  per  il  Consiglio  nazionale dei dottori commercialisti e
l'avvocato   dello  Stato  Luigi  Criscuoli  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  del  giudizio  promosso  innanzi  al Tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio  dalla  L.A.P.E.T.  -  Libera
associazione  periti  ed  esperti  tributari  - in persona del legale
rappresentante  e da questi in proprio per l'annullamento del decreto
del  Ministro  delle  finanze  31 maggio  1999,  n. 164  (Regolamento
recante  norme per l'assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza
fiscale  per le imprese e per i dipendenti, dai sostituti d'imposta e
dai  professionisti  ai  sensi  dell'art. 40  del decreto legislativo
9 luglio  1997,  n. 241)  nella  parte  in  cui detta disposizioni di
attuazione  della  "certificazione tributaria", prevista dall'art. 36
del   decreto   legislativo   9 luglio   1997,   n. 241   (Norme   di
semplificazione   degli  adempimenti  dei  contribuenti  in  sede  di
dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche'
di  modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel
testo  risultante  dall'art. 1  del  decreto  legislativo 28 dicembre
1998,   n. 490  (Disposizioni  integrative  del  decreto  legislativo
9 luglio  1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei
centri  di  assistenza  fiscale),  il  giudice  adito, accogliendo la
relativa   eccezione   della   parte  ricorrente,  ha  sollevato,  in
riferimento   anzitutto   agli  artt. 76  e  77  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale del citato art. 36.
    La  norma  e'  denunciata  nella  parte in cui ha previsto che il
potere  del  rilascio  della introdotta certificazione tributaria sia
attribuito,  in  via  esclusiva,  ai  revisori  contabili iscritti da
almeno  cinque  anni  negli  albi  dei  dottori  commercialisti,  dei
ragionieri  e  periti  commerciali  e  dei  consulenti  del lavoro, a
condizione  che  gli stessi abbiano tenuto le scritture contabili dei
contribuenti  nel  corso  del  periodo di imposta cui si riferisce la
certificazione.
    Il  Tar  del Lazio ha premesso di ritenere la questione rilevante
nel  giudizio  a  quo  poiche' la eventuale incostituzionalita' della
norma   suddetta   rifluirebbe  sulla  legittimita'  della  normativa
regolamentare  impugnata. Nel merito, ha rilevato che l'art. 3, comma
134,    della    legge    23 dicembre   1996,   n. 662   (Misure   di
razionalizzazione  della  finanza  pubblica)  delegava  il Governo ad
emanare  uno o piu' decreti legislativi contenenti disposizioni volte
a  semplificare  gli  adempimenti dei contribuenti, a modernizzare il
sistema  di  gestione delle dichiarazioni e a riorganizzare il lavoro
degli  uffici  finanziari, in modo da assicurare la gestione unitaria
delle  posizioni  dei singoli contribuenti secondo principi e criteri
direttivi in esso indicati. In particolare, il citato comma 134, alla
lettera d) fissava il criterio direttivo attinente alla utilizzazione
di   strutture   intermedie   tra   contribuente  ed  amministrazione
finanziaria   ed   alla  progressiva  utilizzazione  delle  procedure
telematiche  da  rendere  obbligatorie  per  i  centri  di assistenza
fiscale  e  per i professionisti. Tale delega, ad avviso del Collegio
rimettente,  non  consentirebbe  al legislatore delegato di prevedere
ne'  la  possibilita'  dell'affidamento  a  determinate  categorie di
professionisti,  iscritti  in albi, di controlli di natura diversa da
quelli  meramente  formali  ed  automatici relativi alle modalita' di
presentazione  delle  dichiarazioni,  ne'  quella  di  effettuare  la
certificazione tributaria in base a predefinite condizioni.
    Il   Tribunale   amministrativo  regionale  del  Lazio  ha,  poi,
denunciato  il vulnus agli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione, in
quanto  il riconoscimento ai detti soggetti, legittimati a rilasciare
la  certificazione  di  cui  si  tratta,  anche  della  tenuta  della
contabilita',  nonche'  della  effettuazione  della dichiarazione dei
redditi, opererebbe di fatto una sorta di riserva monopolizzatrice di
tali   attivita'   da   parte   dei  soggetti  certificatori,  mentre
l'attivita'   relativa   alla   tenuta  della  contabilita'  dovrebbe
ritenersi  del  tutto  libera  non  richiedendo  specifici  requisiti
professionali.  Pertanto,  la  norma  in  esame,  non giustificata da
ragioni  di  interesse  generale, determinerebbe una limitazione alla
scelta lavorativa ed al libero svolgimento di attivita' lavorative in
violazione degli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione.
    Il  Collegio  rimettente  ha  inoltre  attribuito  alla  norma in
questione  una  sottrazione  ai  consulenti tributari di un'attivita'
tradizionalmente  da  essi  svolta,  con  vulnus al diritto al lavoro
costituzionalmente  garantito.  Infine, sarebbe contrario ai precetti
costituzionali    di   logicita'   e   buon   andamento   dell'azione
amministrativa  sostituire  al  fisco, quale soggetto certificatore e
controllore, colui che ha tenuto la contabilita' dell'impresa.
    2.  -  Nel  giudizio  innanzi  alla  Corte  si sono costituiti la
L.A.P.E.T.  ed  il  suo  legale  rappresentante,  concludendo  per la
declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma impugnata.
    3.  -  E'  altresi'  intervenuto  nel  giudizio il Presidente del
Consiglio  dei  ministri  con  il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello  Stato,  che  ha  preliminarmente  eccepito la inammissibilita'
della  questione  sollevata  in  riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 97
della  Costituzione,  per  difetto  di  motivazione  sulla rilevanza,
valutata  nella  ordinanza,  secondo  l'Avvocatura, solo in relazione
alla  questione  di legittimita' costituzionale riferita ai parametri
di cui agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
    Nel   merito,   l'Autorita'   intervenuta   ha  concluso  per  la
infondatezza  della  questione,  sotto  tutti i profili sollevati. In
riferimento  al lamentato eccesso di delega, esso viene escluso sulla
base  del  rilievo che l'introduzione della certificazione tributaria
determinerebbe    proprio    quell'effetto    disciplinatorio   degli
adempimenti    e    delle   responsabilita'   delle   categorie   dei
professionisti  abilitati  perseguito dalla delega legislativa, oltre
che  quello di riorganizzazione del lavoro istituzionale degli uffici
periferici dell'amministrazione finanziaria.
    Quanto   al   presunto   vulnus  agli  artt. 3,  35  e  97  della
Costituzione,  l'Avvocatura ha osservato che la riforma della materia
concernente   l'assistenza   fiscale   del   contribuente  ha  inteso
attribuire  nuove  responsabilita'  ai  soggetti  che  prestano  tale
assistenza  alle  imprese,  ne  curano  la  redazione delle scritture
contabili,  ne predispongono ed elaborano le dichiarazioni in materia
tributaria.  La  delicatezza  della  operazione  di certificazione ha
costretto  il  legislatore  delegato,  si  rileva  nella  memoria, ad
individuare  ed  imporre  il  possesso  di  particolari  requisiti di
capacita' professionale agli appartenenti alle categorie abilitate al
rilascio  della  certificazione.  Detta certificazione, peraltro, non
costituendo  un  obbligo  per  il  certificatore,  ma  una sua scelta
discrezionale,  puo'  essere  rilasciata  solo quando i risultati dei
riscontri  effettuati evidenziano una corretta osservanza delle norme
tributarie   relative   a   tutte   le   componenti   oggetto   della
certificazione.   Del   pari,  la  condizione,  imposta  dalla  norma
impugnata,  che  il certificatore abbia tenuto le scritture contabili
del  contribuente nel periodo di imposta di riferimento costituirebbe
conseguenza  naturale  ed  inevitabile  della  responsabilita' cui il
certificatore stesso soggiace, che, d'altra parte, non determinerebbe
conflitti di sorta tra controllore e controllato, in quanto in ultima
analisi il controllo resterebbe di pertinenza dell'amministrazione.
    4.  -  Con  atto  del 9 gennaio 2002, il Presidente del Consiglio
nazionale  dei  dottori commercialisti, nella indicata qualita' ed in
proprio,  ha  spiegato  intervento nel giudizio di costituzionalita'.
Con  una  successiva  memoria  depositata nell'interesse del predetto
Consiglio,  e'  stata  preliminarmente  rilevata la legittimazione di
tale  organismo  all'intervento  in  quanto  portatore  di  interesse
qualificato  divenuto  attuale  al  momento  della proposizione della
questione di legittimita' costituzionale.
    Nella    memoria    si    prospettano   molteplici   profili   di
inammissibilita':  anzitutto,  si  lamenta  la mancanza del requisito
della rilevanza della questione, in considerazione della carenza, nel
giudizio  a  quo  di  interesse  concreto  ed  attuale dei ricorrenti
all'annullamento  delle  norme  regolamentari  impugnate,  rilevabile
dalla  circostanza  che  il decreto ministeriale di cui si tratta non
prevede,  agli  artt. 4,  21  e  25,  un  sistema  di  qualificazione
preventiva  abilitante all'esercizio dell'attivita' di certificatore,
bensi'  solo  un potere di vigilanza e verifica ex post (art. 26) del
corretto svolgimento dell'attivita' di assistenza fiscale.
    Una  ulteriore ragione di inammissibilita' andrebbe ravvisata nel
difetto  di  giurisdizione  del  giudice rimettente, come emergerebbe
dalla  considerazione  che  il rapporto che intercorre tra chi aspira
all'esercizio   di   determinate   attivita'   di  natura  tecnica  o
professionale - come quella di certificazione - e gli organi pubblici
a  cio'  preposti  sarebbe  quello  di diritto-obbligo, e non gia' di
interesse  legittimo-potere.  Al  riguardo, nella memoria si richiama
una decisione del Tribunale amministrativo regionale delle Marche, la
sentenza  27 ottobre  2000,  n. 1469, che ha dichiarato inammissibile
per  difetto  di  giurisdizione  il  ricorso  con  il quale era stato
impugnato  il  provvedimento  del  dirigente della Direzione generale
delle   entrate   di   Ancona  che  aveva  negato  al  ricorrente  la
possibilita' di avvalersi della certificazione tributaria.
    Infine,   la   questione   sarebbe  inammissibile  in  quanto  si
richiederebbe  alla  Corte  una sentenza additiva autoapplicativa che
estenda  a  tutti  i professionisti esercenti attivita' di consulenza
contabile,   fiscale   e   tributaria  la  possibilita'  di  svolgere
l'attivita'  certificatoria di cui si tratta, cioe' si chiederebbe un
intervento  che  presuppone  scelte  di  carattere  discrezionale che
appartengono solo alla potesta' legislativa.
    Nel   merito,   si   sostiene  la  manifesta  infondatezza  della
questione,  sottolineandosi, con riferimento alla presunta violazione
dell'art. 3  della  Costituzione,  la  diversita'  tra i soggetti che
svolgono  attivita'  di consulenti tributari senza essere in possesso
di  titoli  abilitativi  alle professioni da una parte, ed i revisori
contabili   iscritti  negli  albi  dei  dottori  commercialisti,  dei
ragionieri  e  periti  commerciali  e  dei  consulenti del lavoro che
abbiano  esercitato  la professione da almeno cinque anni. Dall'altro
canto,  in  ordine al lamentato vulnus all'art. 4 della Costituzione,
si afferma che non puo' configurare una lesione del diritto al lavoro
ogni  norma  che  subordini  l'esercizio di attivita' professionali o
impiegatizie  al  possesso  di  requisiti  di idoneita', salvo che si
tratti  di  requisiti  privi di significato in relazione al contenuto
delle  attivita'  stesse,  cio'  che sarebbe da escludere nel caso di
specie.  Ne'  il  rischio di perdita della clientela per i consulenti
gia'   investiti  dell'attivita'  di  assistenza  fiscale  di  minore
importanza,  e  sforniti  dei  requisiti richiesti per l'attivita' di
certificazione  tributaria, sarebbe idoneo a determinare il contrasto
con l'art. 4 della Costituzione.
    La  censura  relativa  alla  violazione degli artt. 35 e 77 della
Costituzione,  in  quanto  enunciata  ma  non  accompagnata da alcuna
esplicazione, sarebbe manifestamente inammissibile.
    Quanto  al  lamentato contrasto con l'art. 76 della Costituzione,
nella  memoria  si  esclude  la  sussistenza  di  eccesso  di delega,
osservandosi  che  la  esigenza, perseguita dalla legge di delega, di
valorizzare le strutture intermedie sarebbe pienamente perseguita dal
legislatore  delegato,  e non sarebbe fuorviante rispetto all'intento
della  stessa  legge  di  delega  la  scelta di demandare l'attivita'
certificatoria di cui all'art. 36 impugnato solo a soggetti muniti di
particolari  requisiti  professionali,  scelta  che  solo in punto di
fatto pregiudicherebbe la posizione dei consulenti tributari, potendo
determinare   lo   spostamento   della  clientela  da  una  struttura
intermedia ad un'altra.
    Infondata sarebbe, infine, la censura di violazione del principio
di  buona  amministrazione  per  la  coincidenza nella stessa persona
della  figura  del  certificatore  e  del  soggetto  che ha tenuto la
contabilita', ove si consideri che la normativa impugnata non attiene
alla   organizzazione  dei  pubblici  uffici,  ma  detta  regole  per
l'espletamento  di  un  funzione  pubblicistica  delegata  a soggetti
terzi. Del resto, nell'attivita' del certificatore resterebbe escluso
il giudizio valutativo e di veridicita' dell'elemento certificato che
presupporrebbe  poteri  di  accertamento, propri dell'amministrazione
finanziaria, non attribuiti ai certificatori.
    5.  -  Nell'imminenza della data fissata per la pubblica udienza,
hanno depositato memorie sia l'Avvocatura, sia la L.A.P.E.T.
    La  prima, nel ribadire le conclusioni rassegnate, pone l'accento
sul  fatto che la certificazione tributaria costituisce attuazione di
uno   dei   fini  essenziali  della  legge  di  delega,  e  cioe'  la
riorganizzazione  del  lavoro  degli  uffici finanziari, agevolandone
l'operato  quanto  al  controllo  delle dichiarazioni fiscali, senza,
peraltro,  previsione  di  alcuna  preclusione  alla effettuazione di
controlli  sia  sulla  correttezza dell'operato del contribuente, sia
sulla  legittimita' della certificazione rilasciata. Per altro verso,
proprio  in  ragione  dei  particolari  effetti riconducibili a detta
certificazione,  la  relativa attivita' non potrebbe essere rimessa a
qualsiasi  soggetto  che  sia  in  grado  di  tenere la contabilita',
imponendosi,  invece,  secondo  l'Avvocatura generale dello Stato, la
necessita'  di prescriverne l'affidamento a persone che, appartenendo
alle  categorie  professionali  abilitate, siano anche in possesso di
determinati requisiti che, sulla base di una scelta appartenente alla
sfera  di  discrezionalita'  del  legislatore,  lo stesso ha ritenuto
comprovare un'idonea esperienza e capacita' professionale.
    Anche    la   L.A.P.E.T.,   nel   dedurre   la   inammissibilita'
dell'intervento  del  Consiglio nazionale dei dottori commercialisti,
per  non  essere  lo stesso parte nel giudizio a quo e per non essere
neppure  portatore  di  un  interesse giuridicamente qualificato, non
essendo  centro  di  imputazione  rappresentativo degli interessi dei
soggetti  abilitati  a  rilasciare  la  certificazione tributaria, ha
concluso   per  la  rilevanza  della  questione,  osservando  che  la
eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma  impugnata
inciderebbe   sul   decreto  ministeriale  attuativo,  nel  senso  di
comportarne  la  caducazione proprio nella parte in cui, con la norma
di   cui   costituisce   attuazione,   condiziona  la  certificazione
tributaria  alla  tenuta  della  contabilita',  in tal modo rifluendo
positivamente  sull'ambito  di  attivita'  che i consulenti tributari
assumono  essere  stata  loro  illegittimamente preclusa. Nel merito,
l'Associazione  insiste  nelle proprie conclusioni, sottolineando, in
particolare,   i   contenuti   e   gli   effetti   dell'attivita'  di
certificazione,  che  indirizzerebbe i controlli dell'amministrazione
finanziaria   verso  le  componenti  di  reddito  diverse  da  quelle
certificate.    L'amministrazione,    infatti,   nella   ipotesi   di
certificazione tributaria, conserverebbe la facolta' di esercitare il
potere  di controllo solo adducendo una congrua motivazione in ordine
alle  ragioni  per  cui intende discostarsi dalla regola procedendo a
controllo  sovraordinato  rispetto  a  quello del certificatore: tali
ragioni vengono individuate nella presenza di indizi di irregolarita'
o   di   elementi   di   riscontro   (circolare  dell'amministrazione
finanziaria   n. 55   del   24 marzo   2000).   In  tale  situazione,
sussisterebbe  l'eccesso  di  delega lamentato dal collegio a quo, in
quanto  la  legge  di  delega  imponeva  al  legislatore  delegato di
attenersi  alla  previsione  di disposizioni riguardanti modalita' di
presentazione  delle  dichiarazioni,  individuando soggetti intermedi
che  consentissero una maggiore semplificazione di dette modalita' ed
effettuassero   controlli  formali  ed  automatici,  e  non  gia'  un
controllo intrinseco sull'operato del contribuente.
    Infine,   la   previsione   del  collegamento  dell'attivita'  di
certificazione  tributaria  con la tenuta della contabilita' e con la
predisposizione  della dichiarazione dei redditi determinerebbe da un
lato  una  confusione  di  interessi  tra  controllato e controllore,
dall'altro  posizioni  ingiustificate  di esclusiva o di vantaggio in
relazione  ad  attivita'  sempre  espletate  liberamente  nel  libero
mercato.

                       Considerato in diritto

    1. - La questione sottoposta, in via incidentale, all'esame della
Corte  riguarda  l'art. 36  del  decreto  legislativo  9 luglio 1997,
n. 241  (Norme  di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti
in  sede  di  dichiarazione  dei  redditi  e  dell'imposta sul valore
aggiunto,  nonche'  di  modernizzazione del sistema di gestione delle
dichiarazioni),   nel   testo   risultante  dall'art. 1  del  decreto
legislativo  28 dicembre  1998,  n. 490 (Disposizioni integrative del
decreto  legislativo  9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione
della  disciplina  dei  centri di assistenza fiscale), nella parte in
cui  introduce  la  "certificazione tributaria", conferendo il potere
del  relativo  rilascio  in  via esclusiva a determinate categorie di
professionisti, cioe' ai revisori contabili iscritti da almeno cinque
anni  negli  albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti
commerciali  e dei consulenti del lavoro, a condizione che gli stessi
abbiano  tenuto le scritture contabili dei contribuenti nel corso del
periodo di imposta cui si riferisce la certificazione.
    E' denunciata la violazione:
        degli  artt. 76  e  77  della  Costituzione,  per  eccesso di
delega,   in   quanto,   nell'ambito   della  delegazione  attribuita
dall'art. 3,  comma  134,  della  legge  23 dicembre 1996, n. 662, il
legislatore   delegato   si   sarebbe   dovuto   limitare  a  dettare
disposizioni   riguardanti   le   modalita'  di  presentazione  delle
dichiarazioni,    senza   affidare   a   determinate   categorie   di
professionisti  controlli  di  natura  diversa  da  quelli  meramente
formali  ed  automatici,  e in ogni caso non avrebbe dovuto conferire
esclusiva di attivita' a determinate categorie professionali;
        degli   artt. 3,   4   e   35   della  Costituzione,  per  la
ingiustificata  limitazione  alla  scelta  lavorativa  ed  al  libero
svolgimento  di  attivita'  lavorative  nei confronti di soggetti che
legittimamente potrebbero esercitarle;
        dell'art. 97 della Costituzione, perche' sarebbe contrario ad
ogni principio di buona amministrazione che il soggetto certificatore
e  controllore  in  luogo  del  fisco  sia  colui  che  ha  tenuto la
contabilita'.
    2. - Preliminarmente devono essere affrontati i profili attinenti
alla  ammissibilita'  dell'intervento  del  Presidente  del Consiglio
nazionale  dei  commercialisti  e  le  eccezioni  di inammissibilita'
sollevate nei riguardi delle questioni sollevate.
    L'intervento   del   Presidente   del   Consiglio  nazionale  dei
commercialisti,  sia  in  proprio  sia  nella  qualita',  deve essere
dichiarato  inammissibile,  sia  perche'  egli  non e' stato parte in
causa  nel  giudizio  a  quo  (v.,  per tutte, l'ordinanza n. 289 del
1999),  sia  perche'  e'  portatore,  nella  duplice  qualita', di un
interesse  meramente  riflesso  ed  eventuale  rispetto alla presente
controversia  (cfr.  ordinanza  letta  in  udienza  20 febbraio 2001,
allegata alla sentenza n. 189 del 2001).
    In  ordine  alla ammissibilita' delle questioni, sotto il profilo
della  rilevanza,  l'eccezione  sollevata dalla difesa dello Stato e'
priva  di  fondamento  in  quanto  il  giudice  a  quo  fornisce  una
motivazione  plausibile  della rilevanza stessa, valevole per tutti i
profili  denunciati,  che  porterebbero in astratto alla pronuncia di
illegittimita' della disposizione regolamentare impugnata avanti allo
stesso  giudice, come conseguenza della illegittimita' costituzionale
della  norma  di  legge  denunciata,  cui  lo  stesso regolamento da'
attuazione  e  su  cui  si  basa. Di fronte a tale motivazione non e'
consentito  in  questa  sede  un  ulteriore  sindacato sull'effettivo
interesse  nel  giudizio  a  quo ad un annullamento - e sull'ampiezza
dello  stesso  annullamento - degli atti impugnati avanti al Tar, per
effetto  di  una  caducazione  della  norma  di legge denunciata, che
costituisce  la  base  ed  il presupposto degli stessi atti impugnati
avanti al giudice amministrativo.
    3. - La questione non e' fondata.
    Quanto  alla  ampiezza,  al  contenuto  e  ai limiti della delega
legislativa, e' necessario risalire alla sua ratio che trova conferma
nel  collegamento  con  l'insieme  organico di misure ispirate ad una
medesima    logica,   vale   a   dire   la   semplificazione   e   la
razionalizzazione     del     sistema    tributario,    l'adeguamento
dell'efficacia  e  delle  capacita'  di  intervento degli strumenti e
dell'attivita'    dell'amministrazione   finanziaria   (Relazione   V
Commissione Camere n. 2372 A 1).
    Il legislatore delegante (legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3,
comma   134,  primo  periodo,  lettera  d)  numero  4),  al  fine  di
semplificare  gli  adempimenti  e  di  riorganizzare  il lavoro degli
uffici, intendeva utilizzare "strutture intermedie" (tra contribuente
e  amministrazione finanziaria), con il proposito di avvalersene, non
solo  per una assistenza fiscale a favore e nell'interesse prevalente
del  contribuente-imprenditore,  ma  anche per l'affidamento, a dette
"strutture"  qualificate  (individuate  entro  fasce di soggetti), di
adempimenti - correlati ad assunzioni di responsabilita' - nel quadro
di   un   alleggerimento   del   lavoro  degli  stessi  uffici.  Cio'
all'evidente  scopo di consentire controlli e verifiche, piu' agevoli
e  concentrati,  degli  uffici  finanziari su dati in vario modo gia'
oggetto   di  elaborazione  e  riscontro  da  parte  delle  anzidette
strutture intermedie, che ne assumevano responsabilita' concorrente.
    In altri termini, si puntava ad addossare a soggetti qualificati,
estranei  all'apparato  degli  uffici,  compiti di collaborazione nel
campo  suindicato,  con  affidamento di svariati oneri e adempimenti,
che  venivano  svolti  nell'interesse prevalente dell'amministrazione
(acquisizione   delle   dichiarazioni,  trasferimento  con  procedure
telematiche,   predisposizione  per  l'informatizzazione,  assistenza
fiscale   e   adempimenti   vari,   con   assunzione  delle  relative
responsabilita' ecc.). La delega lasciava al Governo spazio di scelta
sia  tra  le  varie  possibili  tipologie  di utilizzazione di centri
autorizzati  di  assistenza fiscale, di associazioni di categoria per
gli  associati  e  di  studi professionali per i clienti, sia tra gli
adempimenti   (da   demandare   ai   predetti   soggetti)  e  tra  le
responsabilita'  da  imporre,  nell'ambito  ampio  di "adeguamento al
nuovo sistema".
    Questo  rapporto  collaborativo si inquadra in una metodologia di
riorganizzazione dell'attivita' amministrativa rivolta principalmente
a  verifica  e  a  riscontro di dati ed elementi raccolti e basati su
dichiarazioni  e  asseverazioni, con assunzione di responsabilita' da
parte del soggetto dichiarante.
    Gli  adempimenti, suscettibili di essere demandati alle strutture
intermedie  (art. 3,  comma  134,  lettera  d  numero  4, della legge
23 dicembre  1996, n. 662), non erano per niente limitati a controlli
meramente  formali  ed  automatici  (sarebbe  bastata  la consolidata
assistenza  fiscale  tradizionale  con alcune innovazioni), ancorche'
relativi   alla   presentazione   delle   dichiarazioni  (e  relative
modalita),  ma  potevano  coinvolgere  anche profili sostanziali, con
opportune  garanzie  attitudinali  e  di responsabilita' dei soggetti
abilitati.
    4.  -  La  discrezionalita'  del  legislatore  delegato  e' stata
esercitata nei limiti della delega, che prevedeva - tra l'altro - che
adempimenti potessero essere affidati a "studi professionali", con il
presupposto   necessario   della   iscrizione   in  determinati  albi
professionali.
    D'altro   canto   non   vi  era  esigenza  di  uniformita'  degli
adempimenti   da  demandare,  che  potevano  variare  dalla  semplice
assistenza (tradizionale assistenza con controlli meramente formali),
al  visto  di  conformita',  e  ad  altri  adempimenti, essendo molto
diversificate   le   posizioni,  i  compiti  (fino  ad  un  controllo
sostanziale    delle    dichiarazioni   dei   clienti   degli   studi
professionali)  e soprattutto le capacita' attitudinali delle diverse
"strutture   intermedie"  utilizzabili  (centri  assistenza  fiscale,
associazioni  di  categoria, studi professionali). Nello stesso tempo
si  trattava  di  adempimenti  nuovi  rispetto a quelli in precedenza
configurati,  con  liberta'  di  avvalersene  o  meno  da  parte  del
contribuente titolare di redditi di impresa in determinate situazioni
(incentivato da alcune garanzie e benefici procedurali).
    Pertanto   non   puo'   configurarsi   sul  piano  giuridico  una
sottrazione  di  attivita',  anche perche' la garanzia del diritto al
lavoro  non  comporta  la  indistinta  liberta' di svolgere qualsiasi
attivita'  professionale,  spettando  al  legislatore  la  scelta  di
requisiti  attitudinali  di  preparazione,  di esperienza e capacita'
professionale (sentenza n. 441 del 2000).
    Ne'  puo'  ritenersi  arbitraria  la  scelta, operata nel decreto
legislativo  delegato,  di  attribuire  a  professionisti  muniti  di
particolari  requisiti  attitudinali (revisori contabili, iscritti in
determinati  e  specifici  albi  professionali,  con  una  anzianita'
professionale  di 5 anni) la facolta' di rilasciare la certificazione
tributaria,  prescrivendo  la  esistenza  di determinati presupposti,
collegati  alla  delicatezza  della operazione e alla effettivita' di
conoscenza  e  riscontro della regolarita' degli adempimenti imposti,
richiedendo  particolari  doti professionali e prevedendo correlative
responsabilita',  a  garanzia degli interessi dell'amministrazione ad
un  corretto svolgimento dell'adempimento. Ed e' evidente il rapporto
tra  tali  scelte  e  le  esigenze di buon andamento ed imparzialita'
dell'amministrazione,    necessariamente    collegate   a   requisiti
attitudinali dei soggetti (professionisti) utilizzabili.
    Giova  sottolineare che l'alleggerimento delle verifiche da parte
dell'amministrazione,    in    conseguenza    del    rilascio   della
certificazione  tributaria,  non  comporta  abdicazione  ai poteri di
controllo  della  stessa  amministrazione,  non  essendo  escluso  un
ineliminabile  controllo  sovraordinato,  accompagnato  da  opportuna
indicazione  delle  ragioni,  in  presenza di indizi di anomalie o di
elementi di riscontro o irregolarita' nella certificazione.
    5. - Sulla base delle predette considerazioni deve escludersi che
sussista  il  vizio dedotto di eccesso di delega legislativa, nonche'
la   denunciata   violazione   degli   artt. 3,  4,  35  e  97  della
Costituzione.