ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli  artt. 14, comma 4, nella sua formulazione originaria, e 92 del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione  del  testo  unico delle imposte sui redditi), promosso
con  ordinanza  emessa il 30 marzo 2001 dalla Corte di cassazione sui
ricorsi  riuniti  tra  il Ministero delle finanze e l'Aviofer S.p.a.,
iscritta  al  n. 626  del  registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica,  1a  serie  speciale,  n. 35
dell'anno 2001.
    Visti l'atto di costituzione della MECFIN - Meccanica Finanziaria
S.p.a. (incorporante Aviofer S.p.a.) nonche' l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  23 aprile  2002  il  giudice
relatore Massimo Vari;
    Uditi   l'avvocato   Giovanni   Puoti   per  MECFIN  -  Meccanica
Finanziaria  S.p.a.  (incorporante Aviofer S.p.a.) e l'avvocato dello
Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. -  La Corte di cassazione, con ordinanza del 30 marzo 2001, ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 76  e  3 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 4, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione  del testo unico delle imposte sui redditi), "nella sua
formulazione originaria, rimasta in vigore per il solo 1988".
    L'ordinanza   e'  stata  emessa  nel  corso  di  un  giudizio  di
legittimita'  promosso  dal  Ministero  delle  finanze e dall'Aviofer
Breda  s.p.a.,  con distinti ricorsi successivamente riuniti, avverso
la  sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio in data
12 dicembre  1997,  la  quale  aveva riconosciuto, in favore di detta
societa',   il   diritto   al   rimborso   per  un  credito  di  lire
8.311.477.000,  "calcolato sulla base di quanto dichiarato per l'anno
1988, sul presupposto che per un errore contenuto nel modello 760 non
era  stato  possibile  operare  una  compensazione tra il suo credito
d'imposta derivante da ritenute su utili ricevuti e perdite pregresse
di esercizio".
    1.1.  -  Secondo  il  giudice a quo, la disposizione censurata si
porrebbe  in contrasto con la Costituzione sia sotto il profilo della
violazione  dei  limiti  della  delega  in  base  alla quale e' stata
emanata, sia sotto quello della lesione del principio di eguaglianza,
avendo  "modificato  per un solo anno (1988) la regola precedente che
consentiva   la  compensazione  fra  credito  di  imposta  e  perdite
pregresse  (regola  giustamente  poi  ripristinata  con effetto dal 1
gennaio 1989 dalla legge n. 165 del 1990)".
    In  tal senso deporrebbero, ad avviso del rimettente, le seguenti
circostanze:
        la   legge   16 dicembre   1977,   n. 904,  aveva  stabilito,
all'art. 2,  che  "il  credito d'imposta fosse computato, in aggiunta
agli  utili,  nella determinazione del reddito imponibile del socio e
che  fosse ammesso in detrazione dalla relativa imposta", sicche', in
forza  "di  tale  norma  di  carattere  generale", la possibilita' di
operare  una  compensazione  tra  credito  d'imposta  e  perdite  dei
pregressi  esercizi  era  "stata sempre riconosciuta come un elemento
caratterizzante  il  sistema ... fino all'entrata in vigore del Testo
unico delle imposte sui redditi";
        l'art. 14,  comma  4, nel testo originario, e cioe' in quello
oggetto di censura, ha previsto, invece, che "l'ammontare del credito
di imposta" sia "computato in aumento del reddito complessivo netto",
si'  da  innovare la precedente disciplina, "senza che la legge n. 68
del 12 aprile 1984 contenesse una delega implicita o esplicita per un
mutamento  sostanziale  in  materia,  e  senza  che si fossero create
condizioni giuridiche, economiche, politiche e sociali che rendessero
necessario un tale cambiamento";
        proprio  al  fine di eliminare l'incongruenza determinata sul
punto  dal  d.P.R.  n. 917 del 1986, l'art. 1 del d.l. n. 90 del 1990
(convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  n. 165 del 1990), ha
successivamente  "ripristinato il sistema precedente", prevedendo che
il   credito   di  imposta  sia  computato  in  aumento  del  reddito
complessivo; norma questa che, pero', "ha avuto effetti a partire dal
1  gennaio  1989, cosicche' e' rimasta in vigore per il solo 1988" la
disciplina anomala gia' prevista dal Testo unico del 1986.
    1.2.  -  Tanto  premesso,  il giudice a quo ricorda che la delega
conferita  dall'art. 17  della  legge  9 ottobre 1971, n. 825, per la
formulazione  dei  testi unici in materia tributaria, ha conferito al
Governo  la  facolta'  di  introdurre le modifiche "necessarie per il
migliore  coordinamento  delle  diverse  disposizioni e per eliminare
ogni   eventualecontrasto  con  i  principi  e  i  criteri  direttivi
stabiliti  in  quella  legge  fondamentale".  Dal canto suo, l'art. 1
della legge n. 68 del 1984, nel prorogare i termini per la formazione
dei  testi  unici,  ha  contemplato  "la  possibilita'  di  apportare
modifiche  per  attuare  tra  le  norme  un coordinamento sistematico
secondo principi unitari".
    Ne  discende,  ad  avviso  del  rimettente,  il  difetto,  per il
denunciato  art. 14,  comma  4,  del  d.P.R.  n. 917  del 1986 (quale
disposizione   "innovativa   rispetto   al  passato"),  di  qualsiasi
fondamento,   espresso  o  tacito,  nella  volonta'  del  legislatore
delegante. La norma, non inquadrandosi "neanche nei principi generali
contenuti  nel  sistema costruito fino al 31 dicembre 1987", sarebbe,
in  definitiva,  tale  da  "stravolgere  un  meccanismo  studiato per
risolvere al meglio il problema del credito di imposta vantato da chi
ha gia' subito una ritenuta".
    A  cio'  andrebbe  aggiunta,  secondo  l'ordinanza, la violazione
anche  dell'art. 3  della  Costituzione, a causa della ingiustificata
disparita'  di  trattamento  posta in essere a danno dei contribuenti
che, nell'anno 1988, avevano crediti d'imposta da compensare.
    2. - Si  e'  costituita la MECFIN - Meccanica Finanziaria S.p.a.,
quale  incorporante  la  Aviofer  S.p.a. (gia' Aviofer Breda S.p.a.),
parte    nel   giudizio   a   quo,   la   quale   ha   concluso   per
l'incostituzionalita' della norma denunciata.
    3. - E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o "quanto
meno palesemente infondata".
    La     difesa     erariale,    nell'eccepire,    preliminarmente,
l'incompiutezza  della  pronuncia  sulla  rilevanza  della questione,
osserva,  nel  merito, che l'art. 2 della legge n. 904 del 1977 aveva
stabilito  che  "il  credito  di imposta fosse computato, in aggiunta
agli  utili, nella determinazione del reddito imponibile"; "utili" da
intendere,  nell'ambito  di detta disposizione, come "risultato netto
dell'esercizio",  mentre  le parole "nella determinazione del reddito
imponibile"  non  consideravano  "il  caso  del  sussistere di ancora
utilizzabili perdite pregresse, alias di esercizi precedenti".
    In  sostanza,  il testo unico del 1986 avrebbe inteso "inserire a
sistema"  le disposizioni della legge del 1977 ed avrebbe utilizzato,
nel  denunciato art. 14, comma 4, "l'espressione "reddito complessivo
netto  , verosimilmente non per errore tecnico ... ma avendo presente
la  anzidetta  parola  "utili  ";  con  cio', sarebbe "indimostrata e
superficiale"  l'opinione  del  rimettente,  e  cioe' che la modifica
apportata  dal  decreto-legge n. 90 del 1990 "avrebbe ripristinato la
disciplina in vigore anteriormente al Testo unico".
    Osserva,  ancora,  la  difesa erariale che il menzionato art. 14,
comma  4,  sarebbe "tutt'altro che irrazionale", atteso che - "per il
congiunto  operare  del  testo novellato del comma 4 e delle norme in
tema   di  riporto  delle  perdite"  -  il  contribuente  puo',  ora,
trasformare   la   perdita   pregressa   in  credito  d'imposta,  con
possibilita',  dunque,  di  rimborso, ottenendo "un risultato ... non
voluto  dalla  pur  generosa  legge del 1977 e comunque estraneo alla
disciplina del riporto delle perdite".
    Nell'evidenziare, poi, che, a seguito delle modifiche di cui agli
artt. 26,  comma  3,  e 27, comma 1, del decreto-legge n. 69 del 1989
(convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  n. 154 del 1989), le
norme  contenute  negli  artt. 8,  comma  3,  e  102  del testo unico
consentono  di  computare  le  perdite  di  un  periodo  di imposta a
diminuzione dei redditi conseguiti nei cinque periodi successivi, per
l'intero  importo  che  trova  capienza  nel  reddito  complessivo di
ciascuno  di  essi,  la memoria sostiene che "la segnalata nozione di
capienza sia poco coerente con la valorizzazione di perdite pregresse
per  produrre,  tramite  il  credito  d'imposta  per i dividendi, una
dichiarazione a credito e quindi una pretesa di rimborso".
    Donde  l'insussistenza  della  ipotizzata violazione dell'art. 76
della Costituzione.
    4. - Nell'imminenza   dell'udienza   hanno   depositato   memorie
illustrative  sia  la  MECFIN S.p.a., sia il Presidente del Consiglio
dei ministri.
    4.1.  -  La  MECFIN S.p.a. osserva che a fronte delle distorsioni
create  dalla  disposizione  denunciata  -  distorsioni  superate con
l'art. 1,  comma  1,  lettera  c),  del decreto-legge n. 90 del 1990,
soltanto  dal  periodo  di  imposta  1989  -  non  e'  dato  invocare
quell'orientamento  della  giurisprudenza costituzionale che vede nel
fluire  del  tempo  un  "idoneo  elemento  di  differenziazione delle
situazioni   soggettive".   Orientamento   inidoneo  non  soltanto  a
"giustificare  le  discriminazioni originate ... all'interno del solo
periodo  di  imposta 1988", ma ad escludere, in un'ottica diacronica,
il  giudizio  di  irrazionalita'  manifesta  dell'art. 14,  comma  4;
giudizio  cui  e',  in  ogni  caso,  soggetta la discrezionalita' del
legislatore   "nel   valutare   la  diversita'  o  l'identita'  delle
situazioni sostanziali in relazione al fattore tempo".
    Secondo  la  parte  privata  lo  stesso  legislatore avrebbe dato
dimostrazione  "ex  ore  suo"  dell'irragionevolezza della disciplina
stabilita   per   l'anno  di  imposta  1988,  ripristinando,  per  il
successivo  periodo,  "tal  quale  la  disciplina  in  vigore sino al
31 dicembre 1987".
    Ad   avviso   della   MECFIN   S.p.a.,   l'innovazione  contenuta
nell'art. 14,  comma  4, del d.P.R. n. 917 del 1986 si pone in palese
contrasto  con  la  ratio dell'introduzione dell'istituto del credito
d'imposta  sui  dividendi,  in  quanto  attraverso la preclusione del
computo  di tale credito in aumento del reddito di periodo, impedisce
di  fatto il raggiungimento dell'obiettivo dell'elisione della doppia
imposizione dei dividendi societari.
    Sicche',   se   puo'   reputarsi   discrezionale  la  scelta  del
legislatore   di   concedere   o  meno  il  credito  d'imposta,  "non
altrettanto  discrezionale - una volta operata tale scelta di fondo -
e'  l'opzione  in  merito  alla  qualificazione di tale credito quale
componente  positiva  della  base  imponibile  del  socio al pari del
dividendo",  atteso che solo tale assimilazione consente di pervenire
al predetto obiettivo.
    Quanto,   poi,  al  prospettato  contrasto  con  l'art. 76  della
Costituzione,  la  memoria  sostiene  che  la disposizione denunciata
esula  dall'ambito  della delega, posto che, in base all'art. 1 della
legge  n. 68  del  1984,  il legislatore poteva apportare, tanto alle
norme  delegate  quanto  a  quelle  delle  leggi  ordinarie, solo "le
modificazioni  necessarie  per  attuarne il coordinamento sistematico
secondo principi unitari e per prevenire l'evasione fiscale".
    Osserva,   infine,  la  parte  costituita  che  la  pronuncia  di
incostituzionalita'   potrebbe  essere  evitata  se  la  disposizione
denunciata  fosse  interpretata  nel senso di prevedere l'imputazione
del  credito  di  imposta  sui dividendi al reddito complessivo prima
della   compensazione  di  quest'ultimo  con  le  perdite  pregresse;
interpretazione,  questa,  che sarebbe consentita, tra l'altro, anche
da una lettura sistematica dello stesso testo unico.
    4.2.  -  L'intervenuto  Presidente  del  Consiglio  dei ministri,
nell'evidenziare,  anzitutto,  che  il  mod.  760  per  il periodo di
imposta   1988   "e'   perfettamente   conforme   non  soltanto  alla
disposizione"  denunciata, "ma anche al previgente art. 2 della legge
16 dicembre  1977,  n. 904",  ritiene che il "nucleo della questione"
sia  da  ravvisare  "nella rilevanza fiscale riconosciuta dalla legge
alle perdite di esercizi precedenti".
    A  tal  riguardo  -  dopo aver escluso che le disposizioni di cui
agli  artt. 8, comma 3, e 102, comma 1, del testo unico prevedano che
"le  perdite  pregresse diano luogo ad erogazioni da parte del fisco,
ad  una  sorta  di  imposta  sullo  Stato  a  favore delle imprese in
perdita"   -  si  osserva  che,  tramite  "un  minuscolo  emendamento
(soppressione  della  parola  "netto") alla disciplina del credito di
imposta,  si  e'  voluto,  nel 1990, aprire la strada alla imposta al
contrario".   Un   emendamento   "contrastante,   oltre  che  con  la
razionalita'  del  sistema,  anche  con il principio di eguaglianza",
essendo  favorite  solo  le  imprese  che  "presentano  forti  (e non
altrimenti  recuperabili)  perdite  di  esercizi  precedenti"  e  che
"ricavano dividendi da partecipazioni (quindi soprattutto le societa'
finanziarie)";  un  emendamento,  dunque, "irrazionale", al quale "si
vorrebbe  persino  imprimere  ...  una  retroattivita'  espressamente
esclusa  dall'art. 14,  comma  3,  del  decreto-legge 27 aprile 1990,
n. 90".

                       Considerato in diritto

    1. -  Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte di cassazione solleva
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 4, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione  del testo unico delle imposte sui redditi), "nella sua
formulazione originaria, rimasta in vigore per il solo 1988", secondo
la  quale  "ai fini della determinazione dell'imposta l'ammontare del
credito  di  imposta  e' computato in aumento del reddito complessivo
netto".
    2. - Ad  avviso  del  giudice a quo, la disposizione colliderebbe
con:
        l'art. 76  della  Costituzione,  non  trovando,  quale  norma
"innovativa  rispetto al passato", giustificazione alcuna, espressa o
tacita, nella volonta' del legislatore delegante, e non inquadrandosi
"neanche  nei  principi generali contenuti nel sistema costruito fino
al  31 dicembre  1987",  tanto da "stravolgere un meccanismo studiato
per risolvere al meglio il problema del credito di imposta vantato da
chi ha gia' subito una ritenuta";
        l'art. 3  della  Costituzione,  avendo  creato,  per il fatto
stesso  di  essere  rimasta  in  vigore  per  il solo anno 1988, "una
ingiustificata disparita' di trattamento a danno dei contribuenti che
in quell'anno avevano crediti d'imposta da compensare".
    3. - In  via  preliminare  questa  Corte deve meglio precisare il
thema   decidendum   prospettato  dall'ordinanza  di  rinvio.  A  tal
proposito,  va osservato che il dubbio di costituzionalita' sollevato
dal  rimettente  investe  direttamente l'art. 14, comma 4, del d.P.R.
n. 917  del  1986,  nella  sua originaria formulazione, ma, tuttavia,
tale  disposizione  si rende applicabile alla fattispecie controversa
nel  giudizio  a  quo,  solo  in  virtu'  del  rinvio ad essa operato
dall'art. 92  dello  stesso d.P.R., la quale norma richiama, appunto,
ai  fini  dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  giuridiche,  la
disciplina  del  credito  d'imposta  dettata dal citato art. 14 per i
percettori di redditi soggetti all'I.R.P.E.F.
    La   questione   di  legittimita'  costituzionale  va,  pertanto,
riferita   non  solo  alla  norma  oggetto  di  rinvio,  direttamente
impugnata,  ma  anche,  in  combinato  disposto  con  la  prima, alla
disposizione  dell'art. 92  del d.P.R. n. 917 del 1986; integrazione,
questa,  che  si  rende  possibile  alla  Corte giacche', proprio dal
complessivo   tenore  dell'atto  di  promovimento  dell'incidente  di
costituzionalita',  i  termini della proposta questione risultano con
sufficiente chiarezza nel senso ora indicato.
    4. - Onde  meglio  valutare,  nella  sua  portata,  la  questione
sollevata  dal  rimettente, va rammentato che l'art. 14, comma 4, del
d.P.R.  n. 917 del 1986 ha il suo antecedente nell'art. 1 della legge
16 dicembre   1977,  n. 904,  che,  al  fine  di  evitare  la  doppia
imposizione  sugli  utili  distribuiti  dalle  societa'  commerciali,
introdusse  il  credito  di  imposta  in  favore  dei  percettori dei
dividendi.   Istituto,  questo,  che  ha  formato  oggetto,  poi,  di
ulteriori interventi ad opera della legge 25 novembre 1983, n. 649, e
del   decreto  legislativo  18 dicembre  1997,  n. 467,  al  fine  di
eliminare   taluni  inconvenienti  applicativi  e  di  realizzare  la
corrispondenza   fra   credito  attribuito  ai  soci  percettori  dei
dividendi ed imposta assolta dai soggetti erogatori degli stessi.
    Per  altro  verso, il provvedimento con il quale fu introdotto il
credito d'imposta, e cioe' la legge n. 904 del 1977, considerando che
detto credito si atteggiava come un'entrata in favore del percettore,
dispose  (art. 2)  che esso fosse "computato, in aggiunta agli utili,
nella    determinazione    del   reddito   imponibile   del   socio".
Sull'argomento,  il legislatore e', poi, tornato con l'art. 14, comma
4,  del  d.P.R.  22 dicembre 1986, n. 917, prevedendo, "ai fini della
determinazione  dell'imposta", il computo del credito "in aumento del
reddito  complessivo  netto"  e, successivamente ancora, con l'art. 1
del    decreto-legge   27 aprile   1990,   n. 90,   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  n. 165  del  1990,  che, modificando la
formula  del menzionato art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986,
ha espunto da essa l'aggettivo "netto".
    5. - Tale essendo, in breve sintesi, la normativa che, nel tempo,
e'  venuta  a  riguardare  l'istituto  del  credito  d'imposta, e' da
osservare  che  la  questione  sollevata  dal  rimettente concerne la
relativa  disciplina  non  tanto  in  se',  ma  in quanto destinata a
combinarsi  con  quella  del  riporto  delle  perdite  degli esercizi
precedenti.
    Il  problema  segnalato  dal  giudice  a  quo  attiene,  infatti,
all'ipotesi  in  cui la societa' che percepisce il dividendo intenda,
in  sede  di dichiarazione annuale dei redditi, far valere il credito
d'imposta nell'ambito delle disposizioni che consentono di compensare
il  risultato  positivo di un esercizio con le perdite degli esercizi
precedenti.
    Quanto  a  queste ultime giova ricordare che l'art. 17 del d.P.R.
29 settembre  1973,  n. 598 - in vigore all'epoca dell'emanazione del
predetto  d.P.R.  n. 917  del  1986  ed  analogo,  nel  suo tenore, a
risalenti  disposizioni (art. 25 della legge n. 1 del 1956 e art. 112
del d.P.R. n. 645 del 1958) - consentiva di portare "la perdita di un
periodo  di  imposta  ...  in  diminuzione del reddito dei periodi di
imposta"  successivi,  sia  pure  nei  limiti  del  quinquennio. Tale
disposizione,  recepita  nell'art. 102 del d.P.R. n. 917 del 1986, e'
stata poi modificata dall'art. 27, comma 1, del decreto-legge 2 marzo
1989,  n. 69  (convertito,  con  modificazioni, nella legge 27 aprile
1989,  n. 154), che, invece, ha stabilito che la perdita puo' "essere
computata  in  diminuzione  del  reddito  complessivo  dei periodi di
imposta  successivi, ma non oltre il quinto, per l'intero importo che
trova capienza nel reddito complessivo di ciascuno di essi".
    Nel  contesto  della  disciplina  di  cui sopra, il giudice a quo
lamenta  che  la  norma  censurata - immutando il criterio desumibile
dalla  precedente  legislazione  e,  al  tempo  stesso,  riconfermato
dall'art. 1  del  decreto-legge  n. 90 del 1990,imponga di aggiungere
l'ammontare  del  credito  di  imposta  al  reddito complessivo netto
(art. 89  del  d.P.R.  n. 917  del  1986),  e  cioe'  al reddito gia'
depurato  delle perdite pregresse, con l'effetto di non consentire la
compensazione  di queste ultime, oltre che con il reddito complessivo
di   impresa   (art. 95  del  d.P.R.  n. 917  del  1986),  anche  con
l'ammontare  dell'entrata  corrispondente  al  credito  predetto, che
resta percio' assoggettato a tassazione.
    Donde la asserita illegittimita' del menzionato art. 14, comma 4,
del   d.P.R.  n. 917  del  1986,  per  un  verso,  sotto  il  profilo
dell'eccesso  di  delega  e,  per altro verso, sotto il profilo della
disparita' di trattamento.
    6. - Le censure non sono fondate.
    In tema di leggi delegate questa Corte ha ripetutamente affermato
che  la  determinazione  dei  principi  e  criteri direttivi, a mente
dell'art. 76  della  Costituzione,  se  vale a circoscrivere il campo
della  delega,  si'  da  evitare  che  essa  venga esercitata in modo
divergente dalle finalita' che l'hanno determinata, non osta, invece,
all'emanazione  di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se
del   caso,   anche   un  completamento  delle  scelte  espresse  dal
legislatore (sentenze n. 198 del 1998 e n. 117 del 1997).
    Va  escluso,  infatti,  che  le funzioni del legislatore delegato
siano  limitate  ad una mera "scansione linguistica" delle previsioni
dettate dal delegante (sentenza n. 4 del 1992), essendo consentito al
primo  di  valutare  le  situazioni  giuridiche da regolamentare e di
effettuare  le  conseguenti  scelte,  nella  fisiologica attivita' di
"riempimento"  che  lega  i  due  livelli normativi, rispettivamente,
della  legge di delegazione e di quella delegata (sentenza n. 198 del
1998, gia' citata).
    A  questa  logica  appartiene  anche  la  delegazione legislativa
conferita   al   Governo  per  il  coordinamento  delle  preesistenti
disposizioni,  quale  potere  normativo volto alla riconduzione in un
quadro  di  coerenza  sistematica  di  norme legislative contenute in
precedenti disparati atti.
    Cio'  premesso, occorre considerare che il d.P.R. n. 917 del 1986
rinviene  il  suo  originario  fondamento  nella  delega conferita al
Governo  dall'art. 17,  terzo  comma, della legge n. 825 del 1971 per
l'emanazione  di  testi  unici  in  materia  fiscale, con facolta' di
apportare   anche   "le   modifiche   necessarie   per   il  migliore
coordinamento   delle  diverse  disposizioni  e  per  eliminare  ogni
eventuale  contrasto  con  i  principi e criteri direttivi" stabiliti
dalla stessa legge n. 825 del 1971.
    Tale delega e' stata seguita, come e' noto, da una serie di leggi
che   ne   hanno   comportato  la  proroga,  il  rinnovo  e,  talora,
l'ampliamento,  secondo  indirizzi  in  cui  si  rinviene,  come gia'
rilevato  da  questa  Corte (sentenza n. 38 del 1994), il persistente
riferimento   alle   esigenze  di  coordinamento,  di  correzione  ed
integrazione delle disposizioni via via emanate.
    Per  quanto  riguarda in particolare il denunciato art. 14, comma
4, il cui antecedente e' rappresentato dall'art. 2 della legge n. 904
del  1977,  va  rammentato  che  la  sua  emanazione trova fondamento
nell'art. 1  della legge 12 aprile 1984, n. 68, che, nel differire il
termine  per  l'emanazione  dei  testi  unici gia' previsti nel terzo
comma  dell'art. 17  della  legge  n. 825  del  1971,  fissandolo  al
31 dicembre  1985  (data,  poi, ulteriormente spostata al 31 dicembre
dell'anno  successivo  dall'articolo  unico  della  legge 24 dicembre
1985,  n. 777),  ha ribadito la facolta' per il Governo di apportare,
alle   disposizioni   che  dovevano  essere  raccolte,  non  solo  le
"integrazioni  e  correzioni  di  cui  al secondo comma dell'art. 17"
della  predetta  legge  n. 825  del  1971,  ma pure "le modificazioni
necessarie per attuarne il coordinamento sistematico secondo principi
unitari e per prevenire l'evasione fiscale".
    E  cio' in vista di un obiettivo che, come si evince dagli stessi
lavori   preparatori,   mirava   anche  "ad  eliminare  imperfezioni,
imprecisioni  o  deroghe ai principi generali che rendono possibile o
agevolano  l'erosione,  l'elusione  o l'evasione delle imposte" (Atto
Camera  n. 823  della  IX legislatura, relazione della IV Commissione
permanente).
    Il  richiamo,  da parte del legislatore delegante, alle accennate
esigenze  di coordinamento sistematico, da perseguire, se necessario,
anche  attraverso la modificazione della precedente normativa, induce
a  ritenere  che  il  Governo non abbia esorbitato dai poteri ad esso
spettanti  nel riportare in un unico quadro normativo le preesistenti
disposizioni.
    Tra  tali  disposizioni rientrava, altresi', l'art. 2 della legge
n. 904  del  1977,  che  si  prestava,  secondo  la  non implausibile
ricostruzione della difesa erariale, anche ad essere intesa nel senso
che  il  legislatore  non  avesse  presoin considerazione il caso del
sussistere   di   ancora  utilizzabili  perdite  pregresse.  Da  cio'
derivando  un mancato raccordo tra la normativa del credito d'imposta
e   quella   delle  perdite  pregresse,  tale  da  comportare,  quale
conseguenza  trascendente l'intento del legislatore, l'esclusione, in
ipotesi  come  quella  all'esame  del giudice a quo, della tassazione
dell'entrata   corrispondente  al  credito  d'imposta  medesimo,  con
l'ulteriore  effetto,  in  sede  di  liquidazione  dell'imposta e nel
relativo  conteggio  del  dare  e dell'avere, di una maggiore pretesa
creditoria del percettore degli utili nei confronti del fisco.
    Una conseguenza, dunque, che il legislatore delegato ha mirato ad
escludere  merce'  la  qualificazione  del  credito  di  imposta come
elemento  incrementativo  del  reddito  complessivo  netto.  Con cio'
evitandosi  il  risultato  di  produrre, attraverso la valorizzazione
delle  perdite  pregresse,  una  dichiarazione a credito e quindi una
pretesa di rimborso.
    E'  dato,  percio',  concludere che la disposizione dell'art. 14,
comma  4,  del  d.P.R.  n. 917  del 1986, in quanto espressione di un
potere   di   coordinamento   non   solo   formale  delle  precedenti
disposizioni,  rimane  pur  sempre  nei  confini  delle  possibilita'
applicative desumibili dalla legge di delega.
    7. - Neppure  puo'  dirsi  violato  l'art. 3  della Costituzione,
evocato dal rimettente per lamentare la disparita' di trattamento che
la  medesima  disposizione  dell'art. 14,  comma  4,  per il fatto di
essere  rimasta  in  vigore  per  il solo anno 1988, comporterebbe "a
danno dei contribuenti che in quell'anno avevano crediti d'imposta da
compensare".
    A proposito di tale censura, con la quale la Corte viene chiamata
a   sindacare   la   portata  temporale  della  modifica  legislativa
introdotta  con  la  predetta  norma,  non  puo'  non  rilevarsi  che
l'istituto  del  credito  di  imposta  in  presenza  di soggetti e di
presupposti  impositivi  che  il legislatore avrebbe, volendo, potuto
considerare   distintamente   -   risponde   ad   esigenze   di  mera
opportunita', discrezionalmente valutate dal legislatore medesimo, in
riferimento  sia  all'an  -  sia  al  quomodo  e  cioe'  allo  stesso
meccanismo  operativo  quanto  agli  elementi che lo compongono. Come
parimenti  espressione  di discrezionalita' puo' reputarsi il rilievo
fiscalmente  conferito  dalla  legge  alle  perdite pregresse, il cui
riporto   costituisce  una  deroga  al  principio  per  il  quale  la
tassazione  e'  dovuta  per  periodi  di imposta (ordinanza n. 54 del
1988).
    Il  fatto  che  si  verta  in  una materia che non implica scelte
costituzionalmente  vincolate,  consente, pertanto, al legislatore di
modulare,  diversamente  nel  tempo (sentenze n. 410 del 1995 e n. 18
del  1994),  la relativa disciplina; e cio' tanto piu' in presenza di
esigenze di coordinamento quali quelle innanzi rammentate.