ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo), convertito, con modificazioni, in legge 25 febbraio 2000, n. 35, promosso con ordinanza emessa il 12 aprile 2000 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di G.R. ed altri, iscritta al n. 777 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, 1a serie speciale, dell'anno 2001. Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 25 febbraio 2000, n. 35 - recte: del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art. 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo), convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35 - il quale, nel disciplinare l'applicazione dei principi dettati dalla normativa costituzionale in tema di "giusto processo" ai procedimenti penali in corso, consente la valutazione delle dichiarazioni rese nell'ambito delle indagini preliminari da chi si e' sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore, se tali dichiarazioni sono state gia' acquisite al fascicolo per il dibattimento (sempre che la loro attendibilita' sia "confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalita'"); che, ad avviso del rimettente, la disposizione impugnata - riconoscendo alle anzidette dichiarazioni la valenza di una "semiplena probatio" - si porrebbe in contrasto con l'art. 111, quarto comma, Cost., il quale, con norma da ritenere "immediatamente precettiva, e non programmatica", esclude che le dichiarazioni medesime possano assumere un valore anche soltanto indiziario; che la norma oggetto di censura non potrebbe considerarsi legittimata neppure dall'art. 2 della legge costituzionale n. 2 del 1999, che demanda al legislatore ordinario di regolare l'applicazione dei principi dettati dalla stessa legge costituzionale nei procedimenti in corso, in quanto tale previsione non consentirebbe comunque di introdurre deroghe o limiti ai predetti principi; che sarebbe altresi' compromesso il principio di uguaglianza, a fronte della disparita' di trattamento - resa possibile dalla disposizione denunciata - tra imputati anche nel medesimo procedimento, in correlazione al dato, puramente accidentale, dell'avvenuta acquisizione o meno al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari. Considerato che il dubbio di costituzionalita' sollevato dal tribunale rimettente trova la sua premessa logico-giuridica - quanto all'asserito contrasto della norma impugnata con l'art. 111, quarto comma, Cost., come novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - nell'assunto per cui all'interno del nuovo art. 111 Cost. sarebbe dato rinvenire precetti di valore differenziato, rispetto ai quali il principio del contraddittorio assumerebbe un ruolo gerarchicamente sovraordinato, rimanendo come tale insuscettibile di deroghe o limitazioni anche da parte della legge ordinaria che detta la disciplina transitoria correlata all'introduzione nella Carta costituzionale dei principi sul "giusto processo"; che, in realta' - come gia' evidenziato da questa Corte pronunciando su identica questione (cfr. sentenza n. 381 del 2001) - la legge costituzionale n. 2 del 1999, nel demandare espressamente alla "legge" il compito di regolare l'applicazione dei predetti principi nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, ha inteso prefigurare "un sistema di "passaggio che, per un verso, non si limitasse a sancire la conservazione, sia pure medio tempore del pregresso sistema, nella parte in cui questo fosse incompatibile con i nuovi principi e le nuove regole, e che, per un altro verso, sul piano logicamente reciproco, non vanificasse totalmente l'attivita' probatoria gia' espletata, rendendo meccanicisticamente operante un diverso modello processuale"; che la norma oggetto dello scrutinio di costituzionalita' - consentendo la valutazione delle "dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, da chi, per libera scelta, si e' sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore ... se gia' acquisite al fascicolo per il dibattimento", ma "solo se la loro attendibilita' e' confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalita'" - ha pienamente assolto la funzione dianzi evidenziata; che essa ha prefigurato, infatti, un composito meccanismo a fronte del quale "la compressione della dialettica nel momento di assunzione della prova dichiarativa e' contemperata - nel momento della valutazione - dal concorrere di emergenze probatorie "esterne , che a loro volta si qualificano non solo sul piano dei relativi risultati ma - anche e soprattutto - per le diverse modalita' di assunzione o di formazione" (cfr. la gia' citata sentenza n. 381 del 2001); che risulta parimenti insussistente la dedotta violazione dell'art. 3 Cost., in quanto la possibile diversita' di trattamento processuale, prospettata a fondamento della censura, costituisce - come gia' chiarito da questa Corte - una disparita' di mero fatto, inevitabilmente conseguente a qualsiasi disciplina transitoria che, in funzione dell'adeguamento di sistemi normativi diversi, "necessariamente si salda ad un determinato momento o fatto processuale, da individuare quale linea di demarcazione a partire dalla quale il regime stesso e' chiamato ad operare" (cfr. sentenza n. 381 del 2001); che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.