ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9 e 62 della
legge  3 maggio  1982,  n. 203 (Norme sui contratti agrari), promosso
con  ordinanza  emessa  il  30 gennaio  2001 dal Tribunale di Pesaro,
sezione  specializzata  agraria,nel  procedimento civile vertente tra
Mari  Rossana  e  Bacchiocchi  Ino,  iscritta  al n. 296 del registro
ordinanze   2001   e   pubblicata   nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica, 1a serie speciale, n. 17 dell'anno 2001.
    Visto l'atto di costituzione di Mari Rossana;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  21 maggio  2002  il  giudice
relatore Annibale Marini;
    Udito l'avvocato Giulio Catelani per Mari Rossana.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  emessa e depositata il 30 gennaio 2001, il
Tribunale  di Pesaro, sezione specializzata agraria, ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3,  42 e 44 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 9 e 62 della legge 3 maggio
1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari).
    Espone  il  rimettente  che  il  giudizio  a quo ha ad oggetto la
domanda  di  fissazione del canone di affitto di un fondo agricolo in
una  misura maggiore  di  quella  corrisposta  dall'affittuario,  con
condanna  di  quest'ultimo  al pagamento delle differenze a decorrere
dall'annata  agraria  1994/1995.  Tale  domanda - secondo il medesimo
rimettente  -  dovrebbe  allo  stato  essere  rigettata,  in  base al
combinato  disposto  degli  artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982,
secondo cui per la determinazione del canone deve essere preso a base
il  reddito  dominicale  stabilito  a  norma  del regio decreto-legge
4 aprile  1939, n. 589 (Revisione generale degli estimi dei terreni),
mentre  risulterebbe  meritevole  di  accoglimento nel caso in cui la
proposta questione di legittimita' costituzionale venisse accolta.
    Cio'  posto,  secondo  il  giudice  a  quo,  le  norme  impugnate
sarebbero,   innanzitutto,   in   contrasto   con   il  principio  di
eguaglianza,   in   quanto   -   stante   la  possibilita',  prevista
dall'art. 45  della stessa legge, che le organizzazioni professionali
agricole  stipulino  contratti  collettivi  in  materia  di contratti
agrari  (anche in deroga alle norme della medesima legge, ex art. 58)
-  situazioni  omogenee  risulterebbero  diversamente disciplinate in
dipendenza  del  fatto  che  esistano  o  meno,  in ciascuna regione,
siffatti contratti collettivi.
    Le  stesse  norme - stabilendo che il canone vada calcolato sulla
base  del  reddito dominicale e che il reddito dominicale da prendere
in   considerazione   sia   ancora  quello  stabilito  con  il  regio
decreto-legge  n. 589  del  1939,  nonostante l'intervenuta revisione
degli  estimi  -  violerebbero  poi  la  garanzia  costituzionale del
diritto di proprieta', in quanto condurrebbero alla determinazione di
canoni  di  affitto  irrisori  ed  addirittura  simbolici,  impedendo
altresi', in tal modo, l'instaurazione di equi rapporti sociali.
    Precisa  il  rimettente  di  non  ignorare  che questa Corte, con
sentenza  n. 139  del  1984,  ha  dichiarato  non fondata una analoga
questione  di  legittimita'  costituzionale. Rileva, peraltro, che in
quella  stessa  sentenza  la  Corte ebbe ad osservare che l'ulteriore
protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio
non avrebbe potuto razionalmente giustificarsi e sottolinea come, nel
frattempo,  tali  dati catastali abbiano ancor piu' perso idoneita' a
rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli.
    2.  -  Si  e'  costituita in giudizio Rossana Mari, attrice nella
causa   pendente  dinanzi  al  giudice  rimettente,  concludendo  per
l'accoglimento   della   questione  sulla  scorta  di  argomentazioni
analoghe a quelle esposte nell'ordinanza di rimessione.
    In  particolare,  la parte privata insiste perche', attraverso la
caducazione  dell'art. 62 della legge n. 203 del 1982, sia restituita
alle  parti "la facolta' di procedere alla contrattazione diretta del
canone che sia conforme ai prezzi di mercato".

                       Considerato in diritto

    1.  - Il Tribunale di Pesaro dubita, in riferimento agli artt. 3,
42  e  44 della Costituzione, della legittimita' costituzionale degli
artt. 9  e  62 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti
agrari),  in  quanto  prevedono  un  meccanismo di determinazione del
canone  di  equo  affitto  ancora  basato  - nonostante l'intervenuta
revisione degli estimi catastali - sul reddito dominicale stabilito a
norma  del  regio  decreto-legge  4 aprile  1939,  n. 589  (Revisione
generale degli estimi dei terreni), convertito, con modificazioni, in
legge 29 giugno 1939, n. 976.
    Ad  avviso  del rimettente, la normativa impugnata si porrebbe in
contrasto  con  il  principio di eguaglianza, potendo essere derogata
solamente    mediante    accordi    collettivi   tra   organizzazioni
professionali  agricole,  operanti su base regionale, con conseguente
disparita'  di trattamento tra i proprietari di terreni situati nelle
regioni ove siffatti accordi siano stati stipulati e i proprietari di
terreni situati nelle altre regioni.
    Le   stesse   norme,   inoltre,   violerebbero   il  criterio  di
ragionevolezza  facendo riferimento a dati catastali ormai inidonei a
rappresentare le caratteristiche effettive dei terreni e, comportando
la  fissazione  di  canoni di affitto irrisori, violerebbero anche la
tutela  costituzionale  del  diritto  di proprieta' e precluderebbero
l'instaurazione di equi rapporti sociali.
    2. - La questione e' fondata, nei termini di seguito precisati.
    3. - Il canone di equo affitto dei fondi rustici e' individuato -
secondo  il  sistema  delineato dalle norme impugnate, in riferimento
all'art. 3  della  legge  10 dicembre  1973,  n. 814  -  mediante  la
moltiplicazione  del reddito dominicale per coefficienti, determinati
dalla   commissione   tecnica  provinciale  nelle  apposite  tabelle,
compresi   tra   un   minimo  ed  un  massimo  fissati,  attualmente,
dall'art. 9 della legge n. 203 del 1982.
    In  assenza  delle  suddette tabelle il canone e' determinato, in
via   provvisoria,  ai  sensi  dello  stesso  art. 9,  comma  quarto,
moltiplicando il reddito dominicale per settanta.
    Nell'uno  e nell'altro caso il reddito dominicale di riferimento,
secondo  l'art. 62  della  predetta  legge n. 203 del 1982, e', "sino
all'entrata  in vigore di una nuova legge che disciplini la materia",
quello  stabilito  a  norma  del  regio  decreto-legge 4 aprile 1939,
n. 589,  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  29 giugno 1939,
n. 976,  e  cio'  "ancorche'  intervenga  la  revisione  degli estimi
catastali".
    Giova  ricordare  che le previgenti discipline del canone di equo
affitto  -  pur  esse basate sul reddito dominicale stabilito a norma
del   regio  decreto-legge  n. 589  del  1939  -  furono  colpite  da
declaratorie  di  illegittimita'  costituzionale, con sentenze n. 155
del   1972  e  n. 153  del  1977,  nella  parte  in  cui  prevedevano
coefficienti  di  moltiplicazione  del  suddetto  reddito  dominicale
assolutamente   inadeguati   ad   assicurare  una  remunerazione  non
irrisoria del capitale fondiario.
    Intervenuta,  a  seguito della seconda delle richiamate sentenze,
la  vigente  legge n. 203 del 1982, questa Corte ritenne non fondate,
con  la  sentenza  n. 139  del  1984,  le  questioni  di legittimita'
costituzionale   sollevate,   sotto   i  medesimi  profili,  riguardo
all'art. 9   della   suddetta   legge,   recante   appunto   i  nuovi
coefficienti,  rilevando  come  il  legislatore  avesse  questa volta
inteso,  "almeno  in linea di tendenza", accogliere i rilievi da essa
formulati nelle due precedenti sentenze, attenendosi cosi' al dettato
costituzionale,  ed  in  particolare  all'art. 44 della Costituzione,
secondo  il  quale,  relativamente alla proprieta' terriera, la legge
deve  tendere  all'obiettivo "di conseguire il razionale sfruttamento
del suolo e di stabilire equi rapporti sociali".
    Nella  medesima  sentenza  si riconosceva, tuttavia, l'esistenza,
nel   sistema,   di   "insufficienze  e  disarmonie",  principalmente
derivanti  dal  fatto  che,  a  base della determinazione del canone,
erano  ancora  presi  in  considerazione i dati catastali del 1939, i
quali,  per  il  lungo  periodo  trascorso,  perdevano sempre piu' la
idoneita'  a  rappresentare  le effettive caratteristiche dei terreni
agricoli.  Considerata  la  ormai  imminente  (all'epoca)  entrata in
vigore  dei  nuovi  dati catastali, questa Corte avvertiva, pertanto,
come non fosse razionalmente giustificabile l'ulteriore protrarsi del
ricorso  ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio e la mancata
utilizzazione   di   elementi   che   risultavano   invece  idonei  a
rappresentare  la  realta'  attuale  e  quindi a porre i rapporti tra
concedente e affittuario su un piano ad essa piu' rispondente.
    Deve,  a  questo  punto, rilevarsi che le modificazioni derivanti
dalla  prima  revisione  del  catasto  terreni del 1939, disposta con
decreto  ministeriale  13 dicembre  1979  (Revisione  generale  degli
estimi  dei terreni), cui si faceva riferimento nella sentenza n. 139
del 1984, hanno acquistato effetto a decorrere dal 1 gennaio 1988, in
virtu'   dell'art. 4   del   decreto-legge   4 agosto   1987,  n. 326
(Disposizioni  urgenti  per  la revisione delle aliquote dell'imposta
sugli  spettacoli  per  i  settori  sportivo  e  cinematografico, per
assicurare  la  continuita' della riscossione delle imposte dirette e
dell'attivita'  di  alcuni  uffici  finanziari, per il rilascio dello
scontrino  fiscale,  nonche'  norme per il differimento di termini in
materia   tributaria),   convertito   in  legge,  con  modificazioni,
dall'art. 1,  comma  1, della legge 3 ottobre 1987, n. 403, e che una
ulteriore  revisione  generale  delle  zone  censuarie, delle tariffe
d'estimo,   della   qualificazione,   della   classificazione  e  del
classamento   dei   terreni   e  dei  relativi  criteri  e'  prevista
dall'art. 3,  comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di   razionalizzazione   della  finanza  pubblica),  come  modificato
dall'art. 26,   comma   1,   della   legge  18 febbraio  1999,  n. 28
(Disposizioni     in    materia    tributaria,    di    funzionamento
dell'Amministrazione   finanziaria   e   di  revisione  generale  del
catasto).
    Non  e',  invece,  sin  qui intervenuta la nuova disciplina della
materia    dei   contratti   agrari,   pur   espressamente   prevista
dall'art. 62, primo comma, della legge n. 203 del 1982.
    In tale situazione, il meccanismo di determinazione del canone di
equo  affitto  di  cui agli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982,
basato  sul  reddito  dominicale  risultante  dal catasto terreni del
1939,  rivalutato  in  base  a  meri coefficienti di moltiplicazione,
risulta  privo,  ormai,  come  gia'  evidenziato  da questa Corte, di
qualsiasi   razionale  giustificazione,  sia  perche'  esistono  dati
catastali  piu'  recenti  ed  attendibili ai quali fare eventualmente
riferimento  sia  perche'  in  ogni  caso,  a  distanza  di  oltre un
sessantennio  dal  suo  impianto,  quel  catasto  ha  perso qualsiasi
idoneita'  a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei
terreni  agricoli, cosicche' non puo' sicuramente essere posto a base
di  una  disciplina  dei  contratti  agrari rispettosa della garanzia
costituzionale   della   proprieta'   terriera   privata  e  tale  da
soddisfare,  nello  stesso tempo, la finalita' della instaurazione di
equi rapporti sociali, imposta dall'art. 44 della Costituzione.
    Esula,  evidentemente, dai poteri di questa Corte la scelta di un
diverso  criterio  di  calcolo  del canone di equo affitto, in quanto
riservata  per  sua natura alla discrezionalita' del legislatore, ne'
puo'  d'altro canto ipotizzarsi la caducazione del solo art. 62 della
legge,  contenente  il  rinvio  al  catasto  del  1939,  atteso che i
coefficienti  di  moltiplicazione  previsti  dall'art. 9  sono  stati
individuati  dal  legislatore  proprio in funzione della vetusta' del
catasto di riferimento, cosicche' sarebbe del tutto ingiustificata la
pura   e   semplice  applicazione  di  quei  coefficienti  ai  valori
risultanti dalla piu' recente revisione degli estimi.
    Va percio' dichiarata l'illegittimita' costituzionale di entrambe
le  norme  denunciate,  restando  assorbita  ogni  ulteriore  censura
sollevata dal rimettente.