Ricorso  per  la  Regione  Toscana,  in  persona  del  Presidente
protempore  della  giunta  regionale,  autorizzato  con deliberazione
n. 596 del 10 giugno 2002, rappresentato e difeso, come da mandato in
calce  al  presente  atto, dagli avv. Lucia Bora, Vito Vacchi e Fabio
Lorenzoni,  presso  il  cui studio elegge domicilio, in Roma, via del
Viminale 43, ricorrente;
      Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente  pro tempore; il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio pro tempore, resistenti;
    Per  l'annullamento,  del decreto ministeriale 22 aprile 2002 del
Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio, pervenuto alla
Regione in data 10 maggio 2002 (doc. 1), con cui e' stato nominato il
Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano.

                              F a t t o

    Con  il  decreto  ministeriale  del  22  aprile 2002, il Ministro
dell'ambiente  e della tutela del territorio ha provveduto (art. 1) a
nominare il Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco
Emiliano nella persona del dott. Tarcisio Zobbi.
    Tale   decreto   fa  seguito  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 21 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250
del  26  ottobre  2001,  recante:  "Istituzione  del  Parco nazionale
dell'Appennino  Tosco  Emiliano".  In particolare, l'art. 2, comma 2,
del  medesimo  decreto  del Presidente della Repubblica disciplina la
nomina  degli  organi  dell'Ente  parco,  da  effettuarsi  secondo le
disposizioni  e  le  modalita' previste dall'art. 9 commi 3, 4, 5, 10
della  legge  6  dicembre  1991, n. 394 e successive modificazioni ed
integrazioni.
    La  procedura  concernente  la  nomina  in  questione,  di cui al
menzionato  art. 9, comma 3, prevede il meccanismo dell'intesa tra il
Ministero  dell'ambiente  e  i  Presidenti  delle  regioni,  nel  cui
territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale.
    Cio'  premesso,  il  Ministro  dell'ambiente  e  della tutela del
territorio,    rispettivamente    con    nota    5   dicembre   2001,
Prot.GAB/2002/13776/B07     (doc. 2),     e    7    dicembre    2001,
Prot.GAB/2001/13940/B07,  ha  richiesto  al  Presidente della Regione
Toscana  e  al  Presidente della Regione Emilia-Romagna l'intesa alla
nomina  del  dott.  Tarcisio  Zobbi  quale Presidente dell'Ente parco
nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano.
    Successivamente,  in  data  4  gennaio  2002 (doc. 3), la Regione
Toscana   e   la  Regione  Emilia-Romagna,  in  relazione  alla  nota
ministeriale  del  5  dicembre  2001,  hanno  trasmesso  al  Ministro
on. Altero  Matteoli  una  nota  congiunta per richiedere un incontro
urgente,  anche  con  la  partecipazione  del  Presidente  e del Vice
Presidente  della  stessa  comunita'  del Parco (di cui si comunicava
l'insediamento   avvenuto   in   data  12  dicembre  2001,  ai  sensi
dell'art. 10  della  legge  n. 394/1991), dott. Andrea Tagliasacchi e
dott.  Roberto  Ruini,  allo scopo di ricercare l'intesa sulla nomina
del Presidente dell'Ente in questione, per la quale non sussistevano,
allo stato, le condizioni.
    Il   Ministro   ha   inspiegabilmente   ignorato  tale  legittima
richiesta.
    Essa,  peraltro,  come  si evince dal quarto capoverso della nota
del  12 marzo  2002  dei  Presidenti  delle Regioni Toscana ed Emilia
Romagna  (doc. 4),  e' stata reiterata in un colloquio intercorso tra
gli  assessori  regionali  dell'ambiente  dell'Emilia Romagna e della
Toscana  ed  il Ministro, il giorno 15 febbraio 2002, a margine della
conferenza  indetta  da  quest'ultimo per l'emergenza smog, ottenendo
l'impegno  a convocare entro breve tempo un incontro specificatamente
rivolto a discutere della nomina in oggetto.
    Ad ogni modo, di tale nota, 4 gennaio 2001, non si fa menzione in
alcuno dei successivi atti compiuti dal Ministro. Anzi, nella lettera
inviata   dal  Ministro  Matteoli  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica   sen.   Marcello   Pera,   in   data  19  febbraio  2002,
Prot.GAB/2002/1982/B07,  per  sottoporre  al  parere  parlamentare la
nomina  in  questione,  ai  sensi  dell'art. 1 della legge 24 gennaio
1978,  n. 14,  si  arriva  addirittura  a  sostenere  che "la Regione
Toscana  e  la  Regione Emilia Romagna non hanno provveduto a fornire
alcun   riscontro   alla   richiesta   d'intesa   inviata   in   data
rispettivamente  5  e  7  dicembre  2001"  (doc. 5). E sulla base del
riferimento,  come  si  vedra'  erroneo,  all'art. 35, comma 7, della
legge 394/91 si afferma che "sembrerebbe potersi ritenere maturato il
silenzio  assenso da parte delle Regioni interessate" (laddove, l'uso
del   condizionale  rende  evidente  la  perplessita'  dell'autorita'
procedente in merito a tale aspetto della questione).
    In  data  1  marzo,  Prot.  104/8557/12.02.01  (doc. 6), inoltre,
appreso che il Ministro on. Altero Matteoli, con nota del 19 febbraio
2002, aveva inviato al Parlamento la comunicazione citata, la Regione
Toscana  e  la  Regione  Emilia-Romagna,  con lettere separate, hanno
reiterato il loro diniego all'intesa per la nomina del dott. Tarcisio
Zobbi   a   Presidente   dell'Ente   parco  nazionale  dell'Appennino
Tosco-Emiliano  ed  hanno rinnovato la richiesta per l'incontro, gia'
proposto infruttuosamente fin dal 4 gennaio 2002.
    Da  ultimo,  in  data  5 marzo 2002, la Regione Toscana, venuta a
conoscenza  che  le  commissioni  competenti, secondo quanto previsto
dalla  legge,  stavano  esaminando  la  proposta  di nomina del dott.
Tarcisio  Zobbi a Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino
Tosco  Emiliano, e a fronte del diniego espresso con la lettera del 1
marzo  2002,  Prot.  104/8557/12.02.01,  ha  inviato  una  lettera al
Parlamento,   Prot.   104/8888/12.02.01   (doc. 7),  nella  quale  e'
espressamente richiesto di poter rappresentare le proprie valutazioni
in  riferimento agli atti compiuti dal Ministero dell'ambiente per la
nomina in questione, direttamente in sede di commissione.
    Con  la  richiamata  nota  del  12 marzo 2002 (doc. 4) le Regioni
Toscana   ed   Emilia  Romagna  congiuntamente  hanno  comunicato  ai
Presidenti  delle  commissioni ambiente, territorio e lavori pubblici
di  Camera  e  Senato  le  proprie posizioni, chiedendo che le stesse
fossero   tenute   in  considerazione  prima  della  conclusione  del
procedimento.
    A questo punto e' fin troppo evidente che i tentativi fatti dalle
Regioni  Toscana  ed  Emilia-Romagna  per  addivenire all'intesa sono
stati plurimi.
    In  totale  spregio  della  legalita',  invece, in data 22 aprile
2002,  come gia' anticipato, il Ministro dell'ambiente e della tutela
del  territorio  ha  provveduto,  unilateralmente,  alla  nomina  del
Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano.
    Il  provvedimento e' gravemente pregiudizievole per gli interessi
dell'amministrazione  regionale in quanto viola, come meglio si dira'
in  seguito, le competenze costituzionalmente garantite alla regione,
nelle  materie  del governo del territorio (ove rientra la difesa del
suolo   e   quindi   l'attivita'  di  difesa  idrogeologica  prevista
all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica istitutivo del
Parco  21 maggio  2001, nonche' la disciplina urbanistica ed edilizia
degli   interventi  all'interno  del  parco),  dell'agricoltura,  del
turismo, della caccia.
    La  regione  intende,  quindi, proporre conflitto di attribuzione
avverso  tale  decreto.  A conforto della ammissibilita' del presente
ricorso, e' possibile svolgere le seguenti considerazioni.
    Secondo il costante orientamento di questa Corte, il conflitto di
attribuzione  puo'  essere  proposto  non  solo  per  rivendicare  la
titolarita'  di  attribuzioni  costituzionalmente conferite, ma anche
per  la  difesa  di  proprie competenze, di natura costituzionale che
vengono  menomate  o impedite in seguito all'esercizio illegittimo di
poteri  altrui. In altri termini, e' stato ammesso anche il conflitto
c.d.  da  menomazione,  consentendo cioe' di ricorrere allo strumento
del conflitto anche quando si lamenta non l'appartenenza di un potere
o di una competenza, ma solo il cattivo uso dello stesso da parte del
suo legittimo titolare che viene ad incidere o a creare turbativa nei
confronti  di  poteri o competenze costituzionalmente riconosciute al
ricorrente.
    A  nulla  vale  eccepire,  quindi,  che  nel caso non si versa in
un'ipotesi  di  vindicatio potestatis avendo la Corte costituzionale,
in  piu'  occasioni  e  in  termini assai precisi, affermato che: "la
figura  dei  conflitti  di  attribuzione  non  si restringe alla sola
ipotesi  di  contestazione  circa l'appartenenza del medesimo potere,
che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi a se', ma si estende
a  comprendere  ogni  ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un
potere  altrui  consegua  la menomazione di una sfera di attribuzioni
costituzionalmente   assegnate   all'altro   soggetto"  (Corte  cost.
n. 432/1994; si vedano, altresi', le sentenze nn. 444 e 126 del 1994,
132  del 1993, 473 e 245 del 1992, 204 del 1991). Situazione, questa,
che  ricorre  pienamente in relazione alla domanda prospettata con il
ricorso   in   esame,  dove  la  lesione  della  sfera  di  autonomia
costituzionalmente garantita alle regioni nelle materie summenzionate
consegue   alla  nomina  del  Presidente  dell'Ente  parco  nazionale
dell'Appennino  Tosco-Emiliano,  alla quale il Ministro ha provveduto
in assenza dell'intesa prescritta dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394
(legge quadro sulle aree protette), art. 9, comma 3.
    Si  contesta,  com'e'  evidente,  non la titolarita' del suddetto
potere in capo al Ministro, quanto piuttosto il cattivo esercizio che
ne  e'  stato  fatto. Dagli atti, infatti, traspare con evidenza, che
nella  fattispecie  manca una reale richiesta di partecipazione delle
regioni  interessate  al  procedimento  di  formazione  dell'atto ne'
risulta una effettiva volonta' da parte del Ministro di addivenire ad
una  definizione concordata del contenuto dell'atto stesso. L'intesa,
in  questa  materia,  e'  stata  chiaramente  posta dal legislatore a
salvaguardia  di  prerogative  regionali costituzionalmente garantite
nelle  materie del governo del territorio, dell'agricoltura, turismo,
caccia,  edilizia.  La sua violazione, quindi, non puo' non integrare
una fattispecie idonea a far sorgere un conflitto di attribuzioni. La
stessa Corte, difatti, ha espressamente affermato che il conflitto di
attribuzione  "e'  ammissibile non soltanto se ricorra l'invasione di
competenza  ma  anche quando l'ordinamento richieda la collaborazione
di  una  pluralita'  di  enti  e,  per  contro,  uno di essi provveda
autonomamente, senza tener conto della potesta' altrui" (sent. n. 286
del 1985).
    Il  provvedimento,  pertanto,  lede  le competenze costituzionali
garantite alle regioni per i seguenti motivi di:

                            D i r i t t o

    I)  Violazione  del  principio  di  leale  cooperazione  e  degli
artt. 5, 117 e 118 della Costituzione.
    I.A)  Il  decreto impugnato e' stato assunto in totale violazione
dell'art. 9,  comma  3, della legge n. 394/91 il quale statuisce: "Il
presidente  e'  nominato  con  decreto  del  Ministro  dell'ambiente,
d'intesa con i presidenti delle regioni (...)".
    Il Ministro ha degradato l'intesa con le regioni a un mero parere
non  vincolante,  violando  cosi'  la  norma  che  invece prevede una
modalita'  di codeterminazione del contenuto dell'atto a tutela delle
competenze regionali.
    E'  invece  indubbio che l'intesa sia istituto totalmente diverso
dal parere.
    Questo  discende  gia'  dalla  legge  n. 394/1991  che  distingue
chiaramente  i casi in cui e' necessaria l'intesa con le regioni (per
gli  atti  fondamentali  quali,  oltre  alla  nomina  del Presidente,
l'approvazione  del regolamento del parco: art. 11, comma 6) dai casi
in cui e' sufficiente il solo parere delle regioni stesse (ad es. per
la  nomina  dei  componenti  del Consiglio direttivo dell'ente parco:
art. 9,  comma  4 e per le misure di salvaguardia: art. 34, commi 3 e
9).  La  legge  n. 394/1991, ove prevede l'intesa con le regioni, non
stabilisce  che  in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa
prescindere da questa e provvedere unilateralmente.
    Se  la  legge  utilizza  termini  diversi,  non e' giuridicamente
consentito attribuire agli stessi il medesimo significato.
    Considerazione  questa  tanto piu' rilevante ove si consideri che
la Corte Costituzionale ha si' riconosciuto piena discrezionalita' al
legislatore  "nella  determinazione  delle  forme  piu'  opportune di
collaborazione    in    relazione    all'esercizio   di   un   potere
indiscutibilmente  spettante allo Stato, purche', ovviamente, risulti
realmente soddisfatto l'interesse inerente alle materie di competenza
regionale  coinvolte,  che  ha  indotto a prevedere la partecipazione
delle regioni al procedimento statale" (sent. n. 1031 del 1988).
    Ogni  interpretazione  del  dato normativo considerato diversa da
quella  prospettata,  pertanto,  dovrebbe  assurdamente  fondarsi sul
presupposto che quella del legislatore sia stata una scelta meramente
casuale.  E'  doveroso riienere, invece, che il legislatore del 1991,
nel   richiamare  l'intesa  nella  procedura  de  qua,  abbia  inteso
rispettare quei criteri di ragionevolezza piu' volte richiamati dalla
Corte  costituzionale  al  fine  di  tutelare al meglio le competenze
regionali coinvolte (sent. citata n. 1031 del 1988).
    Ma  l'intesa  si  differenzia  dal parere, oltre che per il sopra
rilevato  aspetto  letterale,  soprattutto  sul  piano  sostanziale e
concettuale.
    In  merito  la  dottrina e' orientata a sussumere le intese nella
categoria  degli  accordi  preliminari al provvedimento, operando una
sostanziale equiparazione con la figura del concerto (Roffi "Concerto
e  intesa  nell'attivita'  amministrativa:  spunti  ricostruttivi, in
Giur. it. 1988, IV, 416).
    Com'e'  noto,  e' poi stata la Corte costituzionale a chiarire il
significato dell'intesa nei rapporti Stato-regioni.
    In  particolare,  la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato
che  l'intesa  rappresenta  lo  strumento  essenziale  per assicurare
l'attuazione  del  principio  di  leale  cooperazione,  che  trova un
esplicito  fondamento  nell'art.  5  della  Costituzione  e  che deve
presiedere  e  regolare  l'esercizio delle competenze interferenti di
Stato  e regioni, consentendo di conciliare gli interessi di cui sono
portatori tali enti dotati entrambi di rilevanza costituzionale.
    Cosi'  la  Corte  costituzionale  ha  definito  l'intesa  come lo
strumento  che  si  esplica  "in  una  paritaria codeterminazione del
contenuto  dell'atto  sottoposto  ad  intesa" (sent. n. 351/1991), e,
ancora,  come "una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto
comporta  che  i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano
in  relazione  alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima
deve  risultare  come  il  prodotto  di  un accordo e, quindi, di una
negoziazione   diretta   fra   il   soggetto   cui  la  decisione  e'
giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve concorrere alla
decisione  stessa"  (Corte  cost.  n. 337/1989 e, nello stesso senso,
sentt. nn. 116/1994; 21/1991; 220/1990; 747/1988).
    Dunque  la  caratteristica fondamentale dell'istituto dell'intesa
e'  data  dal  fatto  che,  a  fronte  di  materie  interferenti e di
competenze   concorrenti,   e'   necessario  che  si  addivenga  alla
codeterminazione  paritaria del contenuto finale da parte dello Stato
e  delle  regioni  e  cio'  perche',  altrimenti,  i  poteri  statali
comprimerebbero     eccessivamente     le     competenze    regionali
costituzionalmente garantite. La conseguenza del suddetto significato
dell'intesa  c.d.  "in senso forte" e' che la mancata intesa inibisce
il proseguimento del procedimento.
    La  suddetta giurisprudenza della Corte costituzionale, elaborata
durante  la  vigenza  del  previgente art. 117 della Costituzione, e'
maggiormente   valida  oggi,  a  seguito  dell'avvenuta  riforma  del
Titolo V  della parte seconda della Costituzione, operata dalla legge
costituzionale n. 3/2001.
    Com'e' noto tale riforma ha valorizzato l'autonomia regionale; ha
notevolmente  ampliato,  con  la nuova formulazione dell'art. 117, le
materie    attribuite    alla   potesta'   legislativa   concorrente,
riconoscendo  in tali materie allo Stato solo il compito di dettare i
principi   fondamentali;   ha  riservato  alla  potesta'  legislativa
esclusiva delle Regioni la disciplina delle materie non statali e non
ricomprese  nell'ambito  della  legislazione  concorrente (cosi' sono
oggi soggette alla legislazione esclusiva regionale rilevanti materie
quali  l'agricoltura, il turismo, l'industria alberghiera, la caccia,
la    pesca,    l'artigianato,   solo   per   citarne   alcune);   ha
costituzionalizzato  all'art. 118 il principio di sussidarieta' quale
regola di allocazione delle funzioni amministrative.
    L'accresciuta  autonomia regionale e la posizione di parita' e di
equiordinazione riconosciuta allo Stato e alle Regioni rendono quindi
ancora   piu'   necessario  rispetto  al  passato  che  l'intesa  sia
interpretata  ed  applicata  nel  significato  sopra  evidenziato  di
strumento per la codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto.
    Tali  argomentazioni  sono gia' sufficienti a rendere superfluo e
non  piu' pertinente l'eventuale rilievo volto ad evidenziare che, in
genere,  la  Corte  costituzionale  ha  usato la nozione di intesa in
senso  folle  in  ordine  alle  regioni  a  statuto  speciale  e alle
provincie  autonome,  supponendo, spesso, l'esistenza, in materia, di
competenze  legislative primarie. Trattasi di un rilievo che gia' per
il  passato e' stato smentito da alcune significative decisioni della
Corte.  Si  veda,  tra  le altre, la sent. n. 351 del 1991. In questa
decisione  la Corte ha ribadito (richiamando, tra l'altro, proprio la
sent.  n. 21  del  1991)  che  lo  strumento di leale cooperazione si
estrinseca  in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto
"da  realizzare  e  ricercare,  laddove occorra, attraverso reiterate
trattative   volte   a  superare  le  divergenze  che  ostacolino  il
raggiungimento   dell'accordo".   Tuttavia,  nonostante  la  parziale
analogia  di argomentazione sulla natura dello strumento di raccordo,
la sent. n. 351 del 1991 assume una valenza ben diversa ed assai piu'
ampia  rispetto  alla sent. n. 21 del 1991. Essa, infatti, estende la
nozione  di  intesa,  come  trattativa  flessibile  e  bilaterale, ai
rapporti  tra  Stato  e  regioni  ordinarie  in  relazione ad un atto
statale  che  si  collega all'esercizio di una competenza legislativa
ripartita.
    Cio'  chiaramente significa che le regioni, ivi comprese quelle a
statuto  ordinario,  non  possono  essere  costrette  ad  emettere un
semplice  parere,  quando  sia  invece  prevista un'intesa, ma devono
partecipare in modo effettivo alla determinazione dell'atto.
    Inoltre  va  rilevato  che  il  mutato  quadro costituzionale non
consente  piu' di operare una distinzione netta, come per il passato,
tra regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale.
    Oggi  infatti le regioni a statuto ordinario sono titolari di una
potesta'  legislativa  esclusiva  in  materie,  rilevanti nel caso in
esame,  come  l'agricoltura,  la  caccia,  il  turismo,  ed  anche la
potesta' legislativa concorrente e' configurata con maggiore ampiezza
e  piu'  autonomia, dovendo rispettare gli stessi limiti che incontra
il legislatore statale ed i soli principi della legge nazionale.
    Nelle  materie  di  competenza  regionale,  sia  concorrente  che
esclusiva,  ex  art. 117, terzo e quarto comma Cost., spetta poi alle
regioni  -  nel  dettare  la  disciplina  legislativa  -  allocare le
funzioni  amministrative  in  capo  agli enti locali, individuando il
livello   di   governo   piu'   adeguato   in   base  ai  criteri  di
sussidiarieta',  adeguatezza e differenziazione dettati dall'art. 118
Cost.
    Percio' la violazione dell'intesa nella nomina del Presidente del
parco in oggetto arreca una grave lesione delle competenze regionali.
    Il  Presidente, infatti, e' l'organo fondamentale che rappresenta
il  parco e ne coordina l'attivita'; fa parte del Consiglio direttivo
che  adotta  lo statuto dell'ente, delibera i bilanci, il regolamento
ed il piano del parco.
    In sostanza il Presidente del parco determina in modo incisivo le
scelte  dell'ente  parco e tali scelte inevitabilmente interferiscono
sulle   competenze   regionali.   Infatti   il  parco  dell'Appennino
Tosco-Emiliano   e'  stato  istituito  (con  il  citato  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  21 maggio 2001) per la conservazione e
valorizzazione   del   patrimonio   naturale,   per   la   difesa   e
ricostituzione  degli  equilibri  idraulici  ed idrogeologici, per la
promozione  sociale ed economica. E ancora, in base all'art. 11 della
legge  n. 394/1991,  il  regolamento del parco dovra' disciplinare le
attivita'  consentite  nel  parco, con riferimento, tra l'altro, alla
tipologia  e  alle  modalita' di costruzione di opere e di manufatti,
alle    attivita'    artigianali,    commerciali,    alle   attivita'
agro-silvo-pastorali,   sportive   e   ricreative.  Non  puo'  quindi
dubitarsi che la regolamentazione dell'ente parco (di cui, si ripete,
il  Presidente e' l'organo fondamentale) verra' ad interferire con le
potesta'  costituzionalmente garantite alle regioni nelle materie del
governo  del  territorio  (ove  rientra, la difesa del suolo e quindi
l'attivita'  di  difesa idrogeologica prevista all'art. 1 del decreto
del  Presidente della Repubblica istitutivo del parco 21 maggio 2001,
nonche'  la  disciplina  urbanistica,  ed  edilizia  degli interventi
all'interno del parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia.
    E,  come sopra gia' sottolineato, molte e rilevanti materie sulle
quali  la nomina in oggetto, direttamente o indirettamente, andra' ad
interferire,   sono   state   riservate   alla  competenza  regionale
esclusiva.
    Pertanto  l'incidenza  del  ruolo  del  Presidente  del parco con
molteplici  competenze  regionali costituzionalmente garantite impone
di  interpretare  l'intesa  richiesta  dall'art. 9  terzo comma della
legge  n. 394/1991  come  forma  di  codeterminazione  paritaria  del
contenuto dell'atto, come tale necessaria ed inibente la nomina di un
Presidente che non sia individuato a seguito della prescritta intesa.
    Tale  tesi  e'  confermata  dal fatto che, come gia' rilevato, la
legge  n. 394/1991,  quando  richiede  l'intesa  con  le regioni, non
stabilisce  che  in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa
prescindere  da  questa  e  provvedere,  unilateralmente,  mentre  il
legislatore,  quando  ha  voluto  assegnare  allo  Stato il potere di
provvedere anche in mancanza di intesa, lo ha espressamente previsto:
si  veda  in  proposito  l'art. 3 del decreto legislativo n. 281/1997
ove,  nel  disciplinare  le  intese  con  la  Conferenza Stato-Citta'
autonomie   locali,  e'  stato  stabilito  che  se  l'intesa  con  la
Conferenza  non  e'  raggiunta  entro trenta giorni, il Consiglio dei
ministri  puo'  provvedere  in  mancanza dell'intesa, previa adeguata
motivazione.
    Al  riguardo,  va, altresi', rilevato che la Corte costituzionale
ha  affermato che l'intesa "proprio in quanto ispirata ad esigenze di
leale  cooperazione,  non deve condurre a situazioni paralizzanti ne'
tradursi   in   una   lesione   del   principio   di  buon  andamento
dell'amministrazione,  quale quella che si verrebbe a determinare ove
il procedimento non dovesse concludersi entro termini ragionevoli. Ma
questo giusto rilievo - se rende certamente auspicabile la previsione
da  parte  del legislatore, nelle ipotesi di intesa, di termini certi
per   la   conclusione   del   procedimento,  nonche'  di  meccanismi
sostitutivi    destinati    a    superare   eventuali   atteggiamenti
ostruzionistici  -  non  puo',  dall'altro  canto,  giustificare,  in
assenza  di  tali  termini  e  di  tali  meccanismi, un declassamento
dell'attivita'  di  codeterminazione  connessa all'intesa in una mera
attivita'  consultiva  non  vincolante" (sentt. n. 351 del 1991 e 747
del 1988).
    Del resto, non bisogna dimenticare che e' proprio la possibilita'
di  fermare  l'azione  statale; non accettando la proposta di intesa,
che   consente   alle   regioni   di  condizionare  i  contenuti  del
provvedimento  finale,  facendo  si'  che,  tra  i  vari strumenti di
raccordo  procedimentale  tra  i due livelli di governo, l'intesa sia
l'unico che consente un coordinamento effettivamente paritario.
    Pertanto  il  Ministro  non avrebbe potuto procedere alla nomina,
con evidente illegittimita' del provvedimento impugnato.
    I.B)  Potrebbe  essere  obiettato  che la Corte costituzionale ha
affermato talvolta che l'intesa puo' connotarsi in modo meno incisivo
a  fronte  di  un  pericolo  di pregiudizio per l'interesse nazionale
(c.d. intesa in senso debole).
    In  merito si contesta l'applicabilita' di tale principio al caso
in  esame sia perche' non e' ravvisabile un imminente pregiudizio per
un  prevalente  interesse  nazionale,  sia  perche'  quelle  pronunce
costituzionali   non   appaiono   piu'  conformi  al  mutato  sistema
costituzionale,  introdotto  con  la  modifica  del  titolo  V  della
Costituzione.
    Come  sopra  rilevato  gli  accresciuti poteri regionali previsti
dall'art. 117 Cost., la totale parita' Stato-Regioni introdotta dalla
legge  costituzionale  n. 3/2001,  con l'eliminazione nelle norme del
titolo  V  ad ogni riferimento all'interesse nazionale come possibile
limite alle potesta' regionali, non giustificano piu' le c.d. "intese
in  senso  debole"  che  si  fondavano,  si  ripete,  su riconosciuti
preminenti  interessi  nazionali.  Considerato che le c.d. "intese in
senso  debole"  si  risolvono  in  un  mero  aggravio procedurale, di
intensita'  solo  di  poco superiore al parere obbligatorio, e' ovvio
che  questa  figura non puo' piu' costituire una garanzia sufficiente
per l'autonomia regionale.
    Comunque,  in denegata ipotesi, va rilevato che anche nei casi in
cui  l'intesa  e'  stata interpretata nella sua veste piu' debole, la
Corte  ha,  comunque,  ravvisato la necessita' di una "trattativa che
superi,  per  la  sua flessibilita' e bilateralita', il rigido schema
della  sequenza  non coordinata di atti unilaterali" (sent. n. 21/91)
(cioe' la semplice emissione di un parere o di una proposta).
    In  altri termini, la Corte pur sottolineando che "l'intesa (...)
deve  intendersi come paradigma di concertazione, cui tuttavia non e'
possibile  attribuire  un  contenuto  di  uguale spessore nelle varie
ipotesi".  (Corte  cost.,  sent.  n. 302 del 1994) ha sempre ritenuto
necessari,  quale che sia la formalita' o la modalita' di espressione
osservata,   una   negoziazione  e  un  contatto  tra  le  parti;  la
concordanza  della volonta' delle parti interessate (sent. 514/1988);
un  atteggiamento  ispirato  alla correttezza e all'apertura verso le
posizioni  altrui  (sent.  379/1992);  una  lealta' del comportamento
tenuto  (sent. 116/1994), perche' "l'intesa non puo' consistere in un
mero  onere  di  informazione  da  parte  dello  Stato" (sent. citata
116/1994).
    In  definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase di
dialogo  fra le due parti e che si realizzi un contatto tra i diversi
interessi  ed  una  dialettica  leale  e costruttiva fra i differenti
soggetti di rilevanza costituzionale.
    E'  evidente  che  nel  caso in esame non sono stati rispettati i
suddetti  criteri  perche'  nella  condotta del Ministero non e' dato
riscontrare  alcuna  apertura  verso la controparte e le sue istanze,
come invece sarebbe stato necessario.
    Prova  di  cio'  e'  data  dal fatto che le richieste di incontro
avanzate  dalle  regioni  (per  iscritto  e  direttamente  a  voce al
Ministro)  sono  state  totalmente  ignorate.  Non solo: il Ministro,
nella  lettera  inviata  al Presidente del Senato il 19 febbraio 2002
(doc.  5) afferma che le regioni Toscana ed Emilia Romagna "non hanno
provveduto a fornire alcun riscontro alla richiesta d'intesa" quando,
invece, il Ministro aveva ricevuto la lettera ufficiale del 4 gennaio
2002  (doc. 3)  con  cui  le  due  regioni  chiedevano  uno specifico
incontro  e  cio'  proprio  a  seguito  della  nota  del Ministro del
5 dicembre 2001 di richiesta dell'intesa. Appare quindi davvero arduo
sostenere  che nel caso in esame l'Autorita' statale abbia rispettato
la  leale  cooperazione ed abbia attuato una efficace trattativa e un
costruttivo confronto con le amministrazioni regionali, visto che non
ha neppure risposto ad una precisa richiesta di incontro.
    II)  Ulteriore  violazione  del principio di leale cooperazione e
degli artt. 5, 117 e 118 Cost.
    La  giurisprudenza  costituzionale, nei casi in cui ha esposto la
tesi  dell'intesa  in  senso  debole,  ha chiarito che gli interventi
statali effettuati in sostituzione di una mancata intesa o in assenza
di  un  parere richiesto, sono contrari a Costituzione se il Governo,
nell'adottare  il  provvedimento in ordine al quale non e' intercorsa
l'intesa  o non e' stato espresso il parere, non fornisca un'adeguata
motivazione,  volta  a manifestare "le ragioni di interesse nazionale
che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente"
(Corte cost., sent. n. 116 del 1994).
    La  Corte  ha,  altresi', riconosciuto che "non e' necessario che
tale obbligo sia previsto in ogni disposizione che richiede il parere
o  l'intesa,  giacche'  esso  e'  connaturato  al  principio di leale
cooperazione  al  quale  si  deve ispirare il sistema complessivo dei
rapporti  tra Stato e Regioni" (Corte cost., sentt. nn. 338 del 1994,
116 del 1994, 204 del 1993).
    L'obbligo   di   perseguire   l'intesa   risulterebbe,   infatti,
totalmente   vanificato   se   l'autorita'   statale  potesse,  senza
motivazione  alcuna, semplicemente restare sulle proprie posizioni ed
adottare  il  provvedimento  prescindendo  dal mancato accordo con le
regioni.  Attesa  la valenza di siffatto obbligo di motivazione anche
in  questa  materia,  non si puo' fare a meno di censurare il decreto
impugnato sotto quest'ulteriore profilo.
    Infatti il decreto si limita ad affermare che e' necessario e non
differibile  procedere  alla  nomina  del Presidente: e' evidente che
questa  affermazione  e' talmente vaga e generica da non poter essere
considerata  sufficiente  alla  luce  dei  parametri  contenuti nella
giurisprudenza  costituzionale.  In  particolare,  si  tratta  di una
motivazione  di  puro  stile,  che  non  chiarisce le pretese ragioni
d'interesse   nazionale   che   hanno  determinato  l'emanazione  del
provvedimento  in  via  unilaterale. La carenza di questa parte della
motivazione  e'  particolarmente  grave.  In  tal  modo, il ministro,
infatti,  e  pervenuto all'emanazione dell'atto non solo senza tenere
conto  delle  posizioni della controparte, ma soprattutto al di fuori
di   qualsiasi  possibilita'  di  controllo  sulla  legittimita'  del
comportamento tenuto.
    Le  precedenti  argomentazioni  evidenziano che comunque l'intesa
non  e'  un  parere.  Va,  quindi,  altresi'  rilevato che il decreto
impugnato  e' erroeamente motivato con riferimento all'art. 35, comma
7  della  legge  394/1991  il  quale  dispone:  "Ove non diversamente
previsto,  il  termine  per  l'espressione  di  pareri da parte delle
regioni   ai  fini  della  presente  legge  e'  stabilito  in  giorni
quarantacinque".
    Il Ministro, quindi, ha ritenuto di applicare alla fattispecie in
esame  il  termine  di  quarantacinque  giorni che la legge fissa per
l'espressione   dei  pareri,  ma  che  e'  chiaramente  inapplicabile
all'istituto dell'intesa previsto per la nomina del Presidente.
    In  considerazione  della  differenza terminologica e concettuale
che  esiste  tra  i pareri e l'intesa - per tutti i motivi esposti ai
precedenti  punti  I.A  e  I.B,  cui  si  rinvia - e' evidente che il
decreto   ha   erroneamente   applicato   la  disposizione  contenuta
nell'art. 35,  comma  7,  della  legge  394/1991:  cio' determina una
ulteriore   lesione   dell'autonomia   regionale   costituzionalmente
garantita  dagli artt. 117 e l 18 Cost., per violazione del principio
di leale collaborazione tra Stato e regioni.