Ricorso per la Regione Toscana, in persona del Presidente protempore della giunta regionale, autorizzato con deliberazione n. 596 del 10 giugno 2002, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dagli avv. Lucia Bora, Vito Vacchi e Fabio Lorenzoni, presso il cui studio elegge domicilio, in Roma, via del Viminale 43, ricorrente; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore; il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio pro tempore, resistenti; Per l'annullamento, del decreto ministeriale 22 aprile 2002 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, pervenuto alla Regione in data 10 maggio 2002 (doc. 1), con cui e' stato nominato il Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano. F a t t o Con il decreto ministeriale del 22 aprile 2002, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha provveduto (art. 1) a nominare il Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano nella persona del dott. Tarcisio Zobbi. Tale decreto fa seguito al decreto del Presidente della Repubblica 21 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 26 ottobre 2001, recante: "Istituzione del Parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano". In particolare, l'art. 2, comma 2, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica disciplina la nomina degli organi dell'Ente parco, da effettuarsi secondo le disposizioni e le modalita' previste dall'art. 9 commi 3, 4, 5, 10 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 e successive modificazioni ed integrazioni. La procedura concernente la nomina in questione, di cui al menzionato art. 9, comma 3, prevede il meccanismo dell'intesa tra il Ministero dell'ambiente e i Presidenti delle regioni, nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale. Cio' premesso, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, rispettivamente con nota 5 dicembre 2001, Prot.GAB/2002/13776/B07 (doc. 2), e 7 dicembre 2001, Prot.GAB/2001/13940/B07, ha richiesto al Presidente della Regione Toscana e al Presidente della Regione Emilia-Romagna l'intesa alla nomina del dott. Tarcisio Zobbi quale Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano. Successivamente, in data 4 gennaio 2002 (doc. 3), la Regione Toscana e la Regione Emilia-Romagna, in relazione alla nota ministeriale del 5 dicembre 2001, hanno trasmesso al Ministro on. Altero Matteoli una nota congiunta per richiedere un incontro urgente, anche con la partecipazione del Presidente e del Vice Presidente della stessa comunita' del Parco (di cui si comunicava l'insediamento avvenuto in data 12 dicembre 2001, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 394/1991), dott. Andrea Tagliasacchi e dott. Roberto Ruini, allo scopo di ricercare l'intesa sulla nomina del Presidente dell'Ente in questione, per la quale non sussistevano, allo stato, le condizioni. Il Ministro ha inspiegabilmente ignorato tale legittima richiesta. Essa, peraltro, come si evince dal quarto capoverso della nota del 12 marzo 2002 dei Presidenti delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna (doc. 4), e' stata reiterata in un colloquio intercorso tra gli assessori regionali dell'ambiente dell'Emilia Romagna e della Toscana ed il Ministro, il giorno 15 febbraio 2002, a margine della conferenza indetta da quest'ultimo per l'emergenza smog, ottenendo l'impegno a convocare entro breve tempo un incontro specificatamente rivolto a discutere della nomina in oggetto. Ad ogni modo, di tale nota, 4 gennaio 2001, non si fa menzione in alcuno dei successivi atti compiuti dal Ministro. Anzi, nella lettera inviata dal Ministro Matteoli al Presidente del Senato della Repubblica sen. Marcello Pera, in data 19 febbraio 2002, Prot.GAB/2002/1982/B07, per sottoporre al parere parlamentare la nomina in questione, ai sensi dell'art. 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, si arriva addirittura a sostenere che "la Regione Toscana e la Regione Emilia Romagna non hanno provveduto a fornire alcun riscontro alla richiesta d'intesa inviata in data rispettivamente 5 e 7 dicembre 2001" (doc. 5). E sulla base del riferimento, come si vedra' erroneo, all'art. 35, comma 7, della legge 394/91 si afferma che "sembrerebbe potersi ritenere maturato il silenzio assenso da parte delle Regioni interessate" (laddove, l'uso del condizionale rende evidente la perplessita' dell'autorita' procedente in merito a tale aspetto della questione). In data 1 marzo, Prot. 104/8557/12.02.01 (doc. 6), inoltre, appreso che il Ministro on. Altero Matteoli, con nota del 19 febbraio 2002, aveva inviato al Parlamento la comunicazione citata, la Regione Toscana e la Regione Emilia-Romagna, con lettere separate, hanno reiterato il loro diniego all'intesa per la nomina del dott. Tarcisio Zobbi a Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano ed hanno rinnovato la richiesta per l'incontro, gia' proposto infruttuosamente fin dal 4 gennaio 2002. Da ultimo, in data 5 marzo 2002, la Regione Toscana, venuta a conoscenza che le commissioni competenti, secondo quanto previsto dalla legge, stavano esaminando la proposta di nomina del dott. Tarcisio Zobbi a Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano, e a fronte del diniego espresso con la lettera del 1 marzo 2002, Prot. 104/8557/12.02.01, ha inviato una lettera al Parlamento, Prot. 104/8888/12.02.01 (doc. 7), nella quale e' espressamente richiesto di poter rappresentare le proprie valutazioni in riferimento agli atti compiuti dal Ministero dell'ambiente per la nomina in questione, direttamente in sede di commissione. Con la richiamata nota del 12 marzo 2002 (doc. 4) le Regioni Toscana ed Emilia Romagna congiuntamente hanno comunicato ai Presidenti delle commissioni ambiente, territorio e lavori pubblici di Camera e Senato le proprie posizioni, chiedendo che le stesse fossero tenute in considerazione prima della conclusione del procedimento. A questo punto e' fin troppo evidente che i tentativi fatti dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna per addivenire all'intesa sono stati plurimi. In totale spregio della legalita', invece, in data 22 aprile 2002, come gia' anticipato, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha provveduto, unilateralmente, alla nomina del Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano. Il provvedimento e' gravemente pregiudizievole per gli interessi dell'amministrazione regionale in quanto viola, come meglio si dira' in seguito, le competenze costituzionalmente garantite alla regione, nelle materie del governo del territorio (ove rientra la difesa del suolo e quindi l'attivita' di difesa idrogeologica prevista all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica istitutivo del Parco 21 maggio 2001, nonche' la disciplina urbanistica ed edilizia degli interventi all'interno del parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia. La regione intende, quindi, proporre conflitto di attribuzione avverso tale decreto. A conforto della ammissibilita' del presente ricorso, e' possibile svolgere le seguenti considerazioni. Secondo il costante orientamento di questa Corte, il conflitto di attribuzione puo' essere proposto non solo per rivendicare la titolarita' di attribuzioni costituzionalmente conferite, ma anche per la difesa di proprie competenze, di natura costituzionale che vengono menomate o impedite in seguito all'esercizio illegittimo di poteri altrui. In altri termini, e' stato ammesso anche il conflitto c.d. da menomazione, consentendo cioe' di ricorrere allo strumento del conflitto anche quando si lamenta non l'appartenenza di un potere o di una competenza, ma solo il cattivo uso dello stesso da parte del suo legittimo titolare che viene ad incidere o a creare turbativa nei confronti di poteri o competenze costituzionalmente riconosciute al ricorrente. A nulla vale eccepire, quindi, che nel caso non si versa in un'ipotesi di vindicatio potestatis avendo la Corte costituzionale, in piu' occasioni e in termini assai precisi, affermato che: "la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi a se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto" (Corte cost. n. 432/1994; si vedano, altresi', le sentenze nn. 444 e 126 del 1994, 132 del 1993, 473 e 245 del 1992, 204 del 1991). Situazione, questa, che ricorre pienamente in relazione alla domanda prospettata con il ricorso in esame, dove la lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni nelle materie summenzionate consegue alla nomina del Presidente dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano, alla quale il Ministro ha provveduto in assenza dell'intesa prescritta dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), art. 9, comma 3. Si contesta, com'e' evidente, non la titolarita' del suddetto potere in capo al Ministro, quanto piuttosto il cattivo esercizio che ne e' stato fatto. Dagli atti, infatti, traspare con evidenza, che nella fattispecie manca una reale richiesta di partecipazione delle regioni interessate al procedimento di formazione dell'atto ne' risulta una effettiva volonta' da parte del Ministro di addivenire ad una definizione concordata del contenuto dell'atto stesso. L'intesa, in questa materia, e' stata chiaramente posta dal legislatore a salvaguardia di prerogative regionali costituzionalmente garantite nelle materie del governo del territorio, dell'agricoltura, turismo, caccia, edilizia. La sua violazione, quindi, non puo' non integrare una fattispecie idonea a far sorgere un conflitto di attribuzioni. La stessa Corte, difatti, ha espressamente affermato che il conflitto di attribuzione "e' ammissibile non soltanto se ricorra l'invasione di competenza ma anche quando l'ordinamento richieda la collaborazione di una pluralita' di enti e, per contro, uno di essi provveda autonomamente, senza tener conto della potesta' altrui" (sent. n. 286 del 1985). Il provvedimento, pertanto, lede le competenze costituzionali garantite alle regioni per i seguenti motivi di: D i r i t t o I) Violazione del principio di leale cooperazione e degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. I.A) Il decreto impugnato e' stato assunto in totale violazione dell'art. 9, comma 3, della legge n. 394/91 il quale statuisce: "Il presidente e' nominato con decreto del Ministro dell'ambiente, d'intesa con i presidenti delle regioni (...)". Il Ministro ha degradato l'intesa con le regioni a un mero parere non vincolante, violando cosi' la norma che invece prevede una modalita' di codeterminazione del contenuto dell'atto a tutela delle competenze regionali. E' invece indubbio che l'intesa sia istituto totalmente diverso dal parere. Questo discende gia' dalla legge n. 394/1991 che distingue chiaramente i casi in cui e' necessaria l'intesa con le regioni (per gli atti fondamentali quali, oltre alla nomina del Presidente, l'approvazione del regolamento del parco: art. 11, comma 6) dai casi in cui e' sufficiente il solo parere delle regioni stesse (ad es. per la nomina dei componenti del Consiglio direttivo dell'ente parco: art. 9, comma 4 e per le misure di salvaguardia: art. 34, commi 3 e 9). La legge n. 394/1991, ove prevede l'intesa con le regioni, non stabilisce che in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa prescindere da questa e provvedere unilateralmente. Se la legge utilizza termini diversi, non e' giuridicamente consentito attribuire agli stessi il medesimo significato. Considerazione questa tanto piu' rilevante ove si consideri che la Corte Costituzionale ha si' riconosciuto piena discrezionalita' al legislatore "nella determinazione delle forme piu' opportune di collaborazione in relazione all'esercizio di un potere indiscutibilmente spettante allo Stato, purche', ovviamente, risulti realmente soddisfatto l'interesse inerente alle materie di competenza regionale coinvolte, che ha indotto a prevedere la partecipazione delle regioni al procedimento statale" (sent. n. 1031 del 1988). Ogni interpretazione del dato normativo considerato diversa da quella prospettata, pertanto, dovrebbe assurdamente fondarsi sul presupposto che quella del legislatore sia stata una scelta meramente casuale. E' doveroso riienere, invece, che il legislatore del 1991, nel richiamare l'intesa nella procedura de qua, abbia inteso rispettare quei criteri di ragionevolezza piu' volte richiamati dalla Corte costituzionale al fine di tutelare al meglio le competenze regionali coinvolte (sent. citata n. 1031 del 1988). Ma l'intesa si differenzia dal parere, oltre che per il sopra rilevato aspetto letterale, soprattutto sul piano sostanziale e concettuale. In merito la dottrina e' orientata a sussumere le intese nella categoria degli accordi preliminari al provvedimento, operando una sostanziale equiparazione con la figura del concerto (Roffi "Concerto e intesa nell'attivita' amministrativa: spunti ricostruttivi, in Giur. it. 1988, IV, 416). Com'e' noto, e' poi stata la Corte costituzionale a chiarire il significato dell'intesa nei rapporti Stato-regioni. In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che l'intesa rappresenta lo strumento essenziale per assicurare l'attuazione del principio di leale cooperazione, che trova un esplicito fondamento nell'art. 5 della Costituzione e che deve presiedere e regolare l'esercizio delle competenze interferenti di Stato e regioni, consentendo di conciliare gli interessi di cui sono portatori tali enti dotati entrambi di rilevanza costituzionale. Cosi' la Corte costituzionale ha definito l'intesa come lo strumento che si esplica "in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto sottoposto ad intesa" (sent. n. 351/1991), e, ancora, come "una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione e' giuridicamente imputata e quello la cui volonta' deve concorrere alla decisione stessa" (Corte cost. n. 337/1989 e, nello stesso senso, sentt. nn. 116/1994; 21/1991; 220/1990; 747/1988). Dunque la caratteristica fondamentale dell'istituto dell'intesa e' data dal fatto che, a fronte di materie interferenti e di competenze concorrenti, e' necessario che si addivenga alla codeterminazione paritaria del contenuto finale da parte dello Stato e delle regioni e cio' perche', altrimenti, i poteri statali comprimerebbero eccessivamente le competenze regionali costituzionalmente garantite. La conseguenza del suddetto significato dell'intesa c.d. "in senso forte" e' che la mancata intesa inibisce il proseguimento del procedimento. La suddetta giurisprudenza della Corte costituzionale, elaborata durante la vigenza del previgente art. 117 della Costituzione, e' maggiormente valida oggi, a seguito dell'avvenuta riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, operata dalla legge costituzionale n. 3/2001. Com'e' noto tale riforma ha valorizzato l'autonomia regionale; ha notevolmente ampliato, con la nuova formulazione dell'art. 117, le materie attribuite alla potesta' legislativa concorrente, riconoscendo in tali materie allo Stato solo il compito di dettare i principi fondamentali; ha riservato alla potesta' legislativa esclusiva delle Regioni la disciplina delle materie non statali e non ricomprese nell'ambito della legislazione concorrente (cosi' sono oggi soggette alla legislazione esclusiva regionale rilevanti materie quali l'agricoltura, il turismo, l'industria alberghiera, la caccia, la pesca, l'artigianato, solo per citarne alcune); ha costituzionalizzato all'art. 118 il principio di sussidarieta' quale regola di allocazione delle funzioni amministrative. L'accresciuta autonomia regionale e la posizione di parita' e di equiordinazione riconosciuta allo Stato e alle Regioni rendono quindi ancora piu' necessario rispetto al passato che l'intesa sia interpretata ed applicata nel significato sopra evidenziato di strumento per la codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto. Tali argomentazioni sono gia' sufficienti a rendere superfluo e non piu' pertinente l'eventuale rilievo volto ad evidenziare che, in genere, la Corte costituzionale ha usato la nozione di intesa in senso folle in ordine alle regioni a statuto speciale e alle provincie autonome, supponendo, spesso, l'esistenza, in materia, di competenze legislative primarie. Trattasi di un rilievo che gia' per il passato e' stato smentito da alcune significative decisioni della Corte. Si veda, tra le altre, la sent. n. 351 del 1991. In questa decisione la Corte ha ribadito (richiamando, tra l'altro, proprio la sent. n. 21 del 1991) che lo strumento di leale cooperazione si estrinseca in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto "da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento dell'accordo". Tuttavia, nonostante la parziale analogia di argomentazione sulla natura dello strumento di raccordo, la sent. n. 351 del 1991 assume una valenza ben diversa ed assai piu' ampia rispetto alla sent. n. 21 del 1991. Essa, infatti, estende la nozione di intesa, come trattativa flessibile e bilaterale, ai rapporti tra Stato e regioni ordinarie in relazione ad un atto statale che si collega all'esercizio di una competenza legislativa ripartita. Cio' chiaramente significa che le regioni, ivi comprese quelle a statuto ordinario, non possono essere costrette ad emettere un semplice parere, quando sia invece prevista un'intesa, ma devono partecipare in modo effettivo alla determinazione dell'atto. Inoltre va rilevato che il mutato quadro costituzionale non consente piu' di operare una distinzione netta, come per il passato, tra regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale. Oggi infatti le regioni a statuto ordinario sono titolari di una potesta' legislativa esclusiva in materie, rilevanti nel caso in esame, come l'agricoltura, la caccia, il turismo, ed anche la potesta' legislativa concorrente e' configurata con maggiore ampiezza e piu' autonomia, dovendo rispettare gli stessi limiti che incontra il legislatore statale ed i soli principi della legge nazionale. Nelle materie di competenza regionale, sia concorrente che esclusiva, ex art. 117, terzo e quarto comma Cost., spetta poi alle regioni - nel dettare la disciplina legislativa - allocare le funzioni amministrative in capo agli enti locali, individuando il livello di governo piu' adeguato in base ai criteri di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione dettati dall'art. 118 Cost. Percio' la violazione dell'intesa nella nomina del Presidente del parco in oggetto arreca una grave lesione delle competenze regionali. Il Presidente, infatti, e' l'organo fondamentale che rappresenta il parco e ne coordina l'attivita'; fa parte del Consiglio direttivo che adotta lo statuto dell'ente, delibera i bilanci, il regolamento ed il piano del parco. In sostanza il Presidente del parco determina in modo incisivo le scelte dell'ente parco e tali scelte inevitabilmente interferiscono sulle competenze regionali. Infatti il parco dell'Appennino Tosco-Emiliano e' stato istituito (con il citato decreto del Presidente della Repubblica 21 maggio 2001) per la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale, per la difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici ed idrogeologici, per la promozione sociale ed economica. E ancora, in base all'art. 11 della legge n. 394/1991, il regolamento del parco dovra' disciplinare le attivita' consentite nel parco, con riferimento, tra l'altro, alla tipologia e alle modalita' di costruzione di opere e di manufatti, alle attivita' artigianali, commerciali, alle attivita' agro-silvo-pastorali, sportive e ricreative. Non puo' quindi dubitarsi che la regolamentazione dell'ente parco (di cui, si ripete, il Presidente e' l'organo fondamentale) verra' ad interferire con le potesta' costituzionalmente garantite alle regioni nelle materie del governo del territorio (ove rientra, la difesa del suolo e quindi l'attivita' di difesa idrogeologica prevista all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica istitutivo del parco 21 maggio 2001, nonche' la disciplina urbanistica, ed edilizia degli interventi all'interno del parco), dell'agricoltura, del turismo, della caccia. E, come sopra gia' sottolineato, molte e rilevanti materie sulle quali la nomina in oggetto, direttamente o indirettamente, andra' ad interferire, sono state riservate alla competenza regionale esclusiva. Pertanto l'incidenza del ruolo del Presidente del parco con molteplici competenze regionali costituzionalmente garantite impone di interpretare l'intesa richiesta dall'art. 9 terzo comma della legge n. 394/1991 come forma di codeterminazione paritaria del contenuto dell'atto, come tale necessaria ed inibente la nomina di un Presidente che non sia individuato a seguito della prescritta intesa. Tale tesi e' confermata dal fatto che, come gia' rilevato, la legge n. 394/1991, quando richiede l'intesa con le regioni, non stabilisce che in caso di suo mancato raggiungimento lo Stato possa prescindere da questa e provvedere, unilateralmente, mentre il legislatore, quando ha voluto assegnare allo Stato il potere di provvedere anche in mancanza di intesa, lo ha espressamente previsto: si veda in proposito l'art. 3 del decreto legislativo n. 281/1997 ove, nel disciplinare le intese con la Conferenza Stato-Citta' autonomie locali, e' stato stabilito che se l'intesa con la Conferenza non e' raggiunta entro trenta giorni, il Consiglio dei ministri puo' provvedere in mancanza dell'intesa, previa adeguata motivazione. Al riguardo, va, altresi', rilevato che la Corte costituzionale ha affermato che l'intesa "proprio in quanto ispirata ad esigenze di leale cooperazione, non deve condurre a situazioni paralizzanti ne' tradursi in una lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione, quale quella che si verrebbe a determinare ove il procedimento non dovesse concludersi entro termini ragionevoli. Ma questo giusto rilievo - se rende certamente auspicabile la previsione da parte del legislatore, nelle ipotesi di intesa, di termini certi per la conclusione del procedimento, nonche' di meccanismi sostitutivi destinati a superare eventuali atteggiamenti ostruzionistici - non puo', dall'altro canto, giustificare, in assenza di tali termini e di tali meccanismi, un declassamento dell'attivita' di codeterminazione connessa all'intesa in una mera attivita' consultiva non vincolante" (sentt. n. 351 del 1991 e 747 del 1988). Del resto, non bisogna dimenticare che e' proprio la possibilita' di fermare l'azione statale; non accettando la proposta di intesa, che consente alle regioni di condizionare i contenuti del provvedimento finale, facendo si' che, tra i vari strumenti di raccordo procedimentale tra i due livelli di governo, l'intesa sia l'unico che consente un coordinamento effettivamente paritario. Pertanto il Ministro non avrebbe potuto procedere alla nomina, con evidente illegittimita' del provvedimento impugnato. I.B) Potrebbe essere obiettato che la Corte costituzionale ha affermato talvolta che l'intesa puo' connotarsi in modo meno incisivo a fronte di un pericolo di pregiudizio per l'interesse nazionale (c.d. intesa in senso debole). In merito si contesta l'applicabilita' di tale principio al caso in esame sia perche' non e' ravvisabile un imminente pregiudizio per un prevalente interesse nazionale, sia perche' quelle pronunce costituzionali non appaiono piu' conformi al mutato sistema costituzionale, introdotto con la modifica del titolo V della Costituzione. Come sopra rilevato gli accresciuti poteri regionali previsti dall'art. 117 Cost., la totale parita' Stato-Regioni introdotta dalla legge costituzionale n. 3/2001, con l'eliminazione nelle norme del titolo V ad ogni riferimento all'interesse nazionale come possibile limite alle potesta' regionali, non giustificano piu' le c.d. "intese in senso debole" che si fondavano, si ripete, su riconosciuti preminenti interessi nazionali. Considerato che le c.d. "intese in senso debole" si risolvono in un mero aggravio procedurale, di intensita' solo di poco superiore al parere obbligatorio, e' ovvio che questa figura non puo' piu' costituire una garanzia sufficiente per l'autonomia regionale. Comunque, in denegata ipotesi, va rilevato che anche nei casi in cui l'intesa e' stata interpretata nella sua veste piu' debole, la Corte ha, comunque, ravvisato la necessita' di una "trattativa che superi, per la sua flessibilita' e bilateralita', il rigido schema della sequenza non coordinata di atti unilaterali" (sent. n. 21/91) (cioe' la semplice emissione di un parere o di una proposta). In altri termini, la Corte pur sottolineando che "l'intesa (...) deve intendersi come paradigma di concertazione, cui tuttavia non e' possibile attribuire un contenuto di uguale spessore nelle varie ipotesi". (Corte cost., sent. n. 302 del 1994) ha sempre ritenuto necessari, quale che sia la formalita' o la modalita' di espressione osservata, una negoziazione e un contatto tra le parti; la concordanza della volonta' delle parti interessate (sent. 514/1988); un atteggiamento ispirato alla correttezza e all'apertura verso le posizioni altrui (sent. 379/1992); una lealta' del comportamento tenuto (sent. 116/1994), perche' "l'intesa non puo' consistere in un mero onere di informazione da parte dello Stato" (sent. citata 116/1994). In definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase di dialogo fra le due parti e che si realizzi un contatto tra i diversi interessi ed una dialettica leale e costruttiva fra i differenti soggetti di rilevanza costituzionale. E' evidente che nel caso in esame non sono stati rispettati i suddetti criteri perche' nella condotta del Ministero non e' dato riscontrare alcuna apertura verso la controparte e le sue istanze, come invece sarebbe stato necessario. Prova di cio' e' data dal fatto che le richieste di incontro avanzate dalle regioni (per iscritto e direttamente a voce al Ministro) sono state totalmente ignorate. Non solo: il Ministro, nella lettera inviata al Presidente del Senato il 19 febbraio 2002 (doc. 5) afferma che le regioni Toscana ed Emilia Romagna "non hanno provveduto a fornire alcun riscontro alla richiesta d'intesa" quando, invece, il Ministro aveva ricevuto la lettera ufficiale del 4 gennaio 2002 (doc. 3) con cui le due regioni chiedevano uno specifico incontro e cio' proprio a seguito della nota del Ministro del 5 dicembre 2001 di richiesta dell'intesa. Appare quindi davvero arduo sostenere che nel caso in esame l'Autorita' statale abbia rispettato la leale cooperazione ed abbia attuato una efficace trattativa e un costruttivo confronto con le amministrazioni regionali, visto che non ha neppure risposto ad una precisa richiesta di incontro. II) Ulteriore violazione del principio di leale cooperazione e degli artt. 5, 117 e 118 Cost. La giurisprudenza costituzionale, nei casi in cui ha esposto la tesi dell'intesa in senso debole, ha chiarito che gli interventi statali effettuati in sostituzione di una mancata intesa o in assenza di un parere richiesto, sono contrari a Costituzione se il Governo, nell'adottare il provvedimento in ordine al quale non e' intercorsa l'intesa o non e' stato espresso il parere, non fornisca un'adeguata motivazione, volta a manifestare "le ragioni di interesse nazionale che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente" (Corte cost., sent. n. 116 del 1994). La Corte ha, altresi', riconosciuto che "non e' necessario che tale obbligo sia previsto in ogni disposizione che richiede il parere o l'intesa, giacche' esso e' connaturato al principio di leale cooperazione al quale si deve ispirare il sistema complessivo dei rapporti tra Stato e Regioni" (Corte cost., sentt. nn. 338 del 1994, 116 del 1994, 204 del 1993). L'obbligo di perseguire l'intesa risulterebbe, infatti, totalmente vanificato se l'autorita' statale potesse, senza motivazione alcuna, semplicemente restare sulle proprie posizioni ed adottare il provvedimento prescindendo dal mancato accordo con le regioni. Attesa la valenza di siffatto obbligo di motivazione anche in questa materia, non si puo' fare a meno di censurare il decreto impugnato sotto quest'ulteriore profilo. Infatti il decreto si limita ad affermare che e' necessario e non differibile procedere alla nomina del Presidente: e' evidente che questa affermazione e' talmente vaga e generica da non poter essere considerata sufficiente alla luce dei parametri contenuti nella giurisprudenza costituzionale. In particolare, si tratta di una motivazione di puro stile, che non chiarisce le pretese ragioni d'interesse nazionale che hanno determinato l'emanazione del provvedimento in via unilaterale. La carenza di questa parte della motivazione e' particolarmente grave. In tal modo, il ministro, infatti, e pervenuto all'emanazione dell'atto non solo senza tenere conto delle posizioni della controparte, ma soprattutto al di fuori di qualsiasi possibilita' di controllo sulla legittimita' del comportamento tenuto. Le precedenti argomentazioni evidenziano che comunque l'intesa non e' un parere. Va, quindi, altresi' rilevato che il decreto impugnato e' erroeamente motivato con riferimento all'art. 35, comma 7 della legge 394/1991 il quale dispone: "Ove non diversamente previsto, il termine per l'espressione di pareri da parte delle regioni ai fini della presente legge e' stabilito in giorni quarantacinque". Il Ministro, quindi, ha ritenuto di applicare alla fattispecie in esame il termine di quarantacinque giorni che la legge fissa per l'espressione dei pareri, ma che e' chiaramente inapplicabile all'istituto dell'intesa previsto per la nomina del Presidente. In considerazione della differenza terminologica e concettuale che esiste tra i pareri e l'intesa - per tutti i motivi esposti ai precedenti punti I.A e I.B, cui si rinvia - e' evidente che il decreto ha erroneamente applicato la disposizione contenuta nell'art. 35, comma 7, della legge 394/1991: cio' determina una ulteriore lesione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita dagli artt. 117 e l 18 Cost., per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni.