IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha   pronunciato   la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi  riuniti
nn. 766/1997  e  730/2000 proposti dalla S.p.a. Fenice in persona del
legale  rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dal l'avv.
Giuseppe Minieri e con lo stesso elettivamente domiciliato in Potenza
presso lo studio dell'avv. Piervito Bardi, sito alla via Crispi n.37,
quanto  al  primo ricorso e presso lo studio dell'avv. Luigi Petrone,
sito al Corso XVIII agosto n.2;
    Contro:   la   Regione   Basilicata   in   persona   del   legale
rappresentante  pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Franco
Giampietro   e  Mirella  Viggiani  e  con  gli  stessi  elettivamente
domiciliato  in  Potenza presso la sede dell'ufficio legale dell'ente
sito alla via Anzio;
        il consiglio regionale della Basilicata in persona del legale
rappresentante pro tempore, n.c. (per il solo ricorso n.766/1997);
        il   dirigente  dell'ufficio  compatibilita'  ambientale  del
dipartimento  ambiente  e  territorio  della Regione Basilicata, n.c.
(per il solo ricorso n .730/2000);
        il  comitato tecnico Regionale per lo smaltimento dei rifiuti
l.r.  n.223/1986  in  persona  del legale rappresentante pro tempore,
n.c. (per il solo ricorso n.730/2000);
Per l'annullamento: quanto al ricorso n.766/1997:
        della  deliberazione del consiglio regionale della Basilicata
n.596 del 13 maggio 1997 avente ad oggetto: "Parere di cui all'art. 3
punto   b)   del  dispositivo  della  delibera  di  Giunta  Regionale
n.2202/1995... ;
        della  deliberazione  della Giunta Regionale della Basilicata
n. 6015  del  5  settembre  1997  avente  ad  oggetto:  "decreto  del
Presidente  della  Republica  n. 915/1982 e legge n.441/1987 - Fenice
S.p.a.  -  Presa  d'atto  della  d.c.r.  n. 596 del 13 maggio 1997 in
ordine  al  parere  di cui all'art. 3, punto b) del dispositivo della
d.g.r. n. 2202/1995. Realizzazione di un impianto di termodistruttore
di  rifiuti con recupero di energia in localita' San Nicola di Melfi.
Approvazione progetto";
        nonche'  ove  occorra,  oltre  alla  deliberazione della g.r.
della  Basilicata  n. 2202/1995  (in  quanto  richiamata  negli  atti
impugnati):
        della  nota,  allo stato non conosciuta, del coordinatore del
dipartimento  ambiente,  prot.  n. 9247/65A  del  6  novembre 1995 di
trasmissione  della  deliberazione  g.r. n. 2202/1995 alla Presidenza
del consiglio regionale;
        della  nota,  allo stato non conosciuta, della Presidenza del
consiglio  Regionale  prot.  n.7314/C  dell'8 novembre 1995 in ordine
alla  pretesa competenza del consiglio regionale sugli adempimenti di
cui   all'art.   3.b   del   dispositivo   della  deliberazione  g.r.
n.2202/1995;
        del  parere negativo, allo stato non conosciuto, emesso dalla
IV  commissione  consiliare sulla riserva di cui al suddetto art. 3.b
del dispositivo della deliberazione g.r. n. 2202/1995;
    Quanto al ricorso n.730/2000:
        della determinazione dirigenziale prot. n. 75F/2000/D/498 del
19  ottobre  2000  a  firma del dirigente dell'ufficio compatibilita'
ambientale   -  Dipartimento  ambiente  e  territorio  della  regione
Basilicata,   avente   ad   oggetto   "Fenice   S.p.a.   impianto  di
termodistruzione di rifiuti con recupero energia sito in localita' S.
Nicola di Melfi - Autorizzazione all'esercizio";
        ove  occorra,  del  parere  espresso  con  voto  549  del  14
settembre  2000 dal comitato tecnico regionale per lo smaltimento dei
rifiuti  di cui all'art. 14 l.r. 4 settembre 1986, n. 22, nella parte
in  cui  si richiede la trasmissione di documentazione gia' agli atti
della  Regione  Basilicata,  si prevede il divieto di importazione di
rifiuti  extraregionali e si prescrive che in caso di superamento dei
valori  limite di emissione prescritti o concordati venga disposta la
sospensione o la revoca dell'autorizzazione all'esercizio;
        ove  occorra,  della nota prot. n. 18683/75F del 21 settembre
2000  con  la quale e' stato richiesto di acquisire la documentazione
richiesta  dal  comitato  tecnico  regionale  per  lo smaltimento dei
rifiuti  di  cui  all'art.  14  l.r. 4 settembre 1986, n. 22 con voto
n. 549.
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visti   gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  della  Regione
Basilicata;
    Viste,  quanto  al  ricorso  n. 766/1997  le  seguenti  ordinanze
cautelari: 11 febbraio 1999, n.65 di rigetto, 6 aprile 2000 n. 104 di
accoglimento, n. 432 del 30 novembre 2000 di accoglimento;
    Vista  l'ordinanza  cautelare  n. 433  del  30  novembre  2000 di
accoglimento  dell'istanza  incidentale  di sospensione cautelare del
provvedimento impugnato (sul ricorso n. 730/2000);
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi  gli  avvocati come da verbale alla pubblica udienza del 17
gennaio 2002 - relatore il magistrato Pennetti -;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F a t t o

    A)  Col  ricorso  n. 766/1997  l'istante  premette che la Regione
Basilicata  con  delibera  di  g.r.  n. 2202  del  2 maggio  1995  ha
approvato  il suo progetto di impianto di termodistruzione di rifiuti
con recupero di energia in localita' S. Nicola di Melfi ma riservando
ogni  determinazione  circa  il  trattamento  nel forno rotante d'una
quota  di  rifiuti speciali e di un'altra di rifiuti tossici e nocivi
all'esito  delle  valutazioni  che  avrebbe  effettuato la competente
                       commissione consiliare.
    Successivamente  detta  clausola,  posta  all'art. 3 punto b) del
dispositivo,  e'  stata  annullata  da  questo tribunale con sentenza
n.278/1997.
    Col  presente gravame, notificato il 30 ottobre 1997 e depositato
il  27  novembre  1997, si impugnano adesso i provvedimenti regionali
con  i  quali,  a  scioglimento  della  citata  riserva, il Consiglio
Regionale  prima  e  la  Giunta  Regionale  poi  (a recepimento della
pronuncia  consiliare) hanno escluso la possibilita' che, nell'ambito
delle  tipologie  e quantita' di rifiuti da smaltire nel citato forno
rotante,   possano   essere  compresi  pure  rifiuti  di  provenienza
extraregionale  (ancorche'  di  provenienza  FIAT,  come previsto nel
decreto ministeriale di V.I.A.).
    Si deducono al riguardo i seguenti motivi:
        1)  Invalidita'  derivata - violazione e/o falsa applicazione
dell'art. 3-bis  della  legge  n. 441/1987,  dell'art. 27  del d.lgs.
n. 22/1998,  dell'art. 5  del  d.l.  n. 530/1994  e  d.m. ambiente 29
settembre  1994,  dell'art. 38  della  legge 22 febbraio 1994, n. 146
(legge   comunitaria   1993)   e   della   direttiva   del  Consiglio
n. 91/156/CEE,  dell'art. 8  della legge n. 474/1988, del d.P.C.m. 10
agosto  1988,  n. 377  - eccesso di potere per sviamento - difetto di
istruttoria  - carenza e/o insufficienza della motivazione. Si assume
che  gli  atti  impugnati sono illegittimi per invalidita' derivata e
per   gli   stessi   motivi  gia'  rilevati  col  precedente  ricorso
n. 861/1995  dato  che  nel  procedimento  e' stata inserita una fase
procedimentale  non  prevista  dalla  legge  col  coinvolgimento  del
Consiglio  regionale  in valutazioni attinenti a materie per le quali
non ha competenza e per di piu' non motivate;
        2)  violazione  e/o  falsa applicazione dell'art. 3-bis della
legge n. 441/1987 sotto un ulteriore profilo, dell'art. 27 del d.lgs.
n. 22/1998,  del  d.P.C.m.  10  agosto  1988,  n. 377  e  dell'art. 8
(valutazione  di  compatibilita' ambientale) della legge n. 475/1988,
difetto di istruttoria, carenza di motivazione.
    Ne'  il  consiglio  ne'  la giunta, dopo la V.I.A. effettuata dal
Ministero  dell'ambiente  avevano  titolo  a  fare  valutazioni sulla
compatibilita'  con l'ambiente del progetto in questione e quindi non
potevano   introdurre   limitazioni   capaci   di   portare   ad   un
ridimensionamento dell'impianto;
        3)  Illegittimita'  per  violazione  e/o  falsa  applicazione
dell'art. 5  del  d.l.  7  settembre  1994,  n.530,  d.m. ambiente 29
settembre  1994, art. 38 della legge 22 settembre 1994, n. 146 (legge
comunitaria  1993)  e della direttiva del consiglio n. 91/156/CEE. Il
diniego  relativo  anche allo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi
trascura  di  considerare  che  l'impianto  e'  anche  destinato alla
produzione di energia elettrica. In base alle norme in rubrica, anzi,
neppure occorre chiedere una specifica autorizzazione;
        4)  violazione  e falsa applicazione dell'art. 38 della legge
22  settembre  1994 n. 146 (legge comunitaria 1993) e della direttiva
del  Consiglio  n. 91/156/CEE.  Le limitazioni territoriali contenute
negli    atti    impugnati    sono    illegittime    in    dipendenza
dell'inammissibilita'  d'un intervento della conferenza regionale e/o
della   stessa   giunta  in  ordine  alla  compatibilita'  ambientale
dell'impianto  che e' di competenza ministeriale. Inoltre il concetto
di  autosufficienza  e di prossimita' di cui al citato art. 38 e alla
predetta direttiva a cui pure la regione si era vincolata, sono stati
erroneamente  applicati  dato  che essi favoriscono le localizzazioni
nell'ottica  dell'autosmaltimento  da  intendersi a livello di gruppo
industriale e non di singolo stabilimento.
    Si    e'   costituita   la   Regione   che   resiste   e   deduce
l'inammissibilita' e l'infondatezza del gravame.
    Con  ordinanza  n. 69/1999  e'  stata  rigettata la prima istanza
incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
    Con  ordinanze  nn. 104  e  432  del  2000 sono state accolte due
successive domande di sospensione cautelare.
    Alla  pubblica  udienza  del  17 gennaio 2002 il ricorso e' stato
ritenuto per la decisione.
    B)   Col  ricorso  n. 730/2000  la  ricorrente  societa'  impugna
l'autorizzazione  all'esercizio  rilasciata  dal competente dirigente
della Regione Basilicata nella parte in cui:
        a)   ribadisce  il  divieto  di  smaltimento  di  rifiuti  di
provenienza  extraregionale nell'impianto in questione ai sensi della
l.r. n. 59/1995;
        b)  impone che il programma di monitoraggio gia' approvato si
svolga   secondo  modalita'  operativa  rispettose  della  tempistica
definita nelle autorizzazioni gia' concesse per l'effettuazione delle
prove a caldo;
        c)  stabilisce  che  per  le  tipologie  di  rilevazioni  non
comprese in tali provvedimenti, le modalita' di acquisizione dei dati
saranno definite, d'intesa con la Fenice, entro e non oltre 30 giorni
dalla  data  della  presente  determinazione  e  che, in caso mancato
accordo, le operazioni di smaltimento saranno sospese;
        d)   chiarito   che  l'attivita'  di  termodistruzione  sara'
interrotta  nei  casi  di cui al d.m. n. 124/2000 e dalle altre norme
applicabili   si  stabilisce  che,  in  caso  di  superamento,  anche
temporaneo,  di  uno  o piu' parametri compresi nell'allegato "A", la
ripresa  dell'attivita'  sara'  autorizzata solo dopo la verifica dei
dati rilevati ed il ripristino della condizione di normalita'.
    Si deducono i seguenti motivi:
        1) incompetenza - invalidita' derivata - violazione e/o falsa
applicazione  dell'art. 3-bis della legge n. 441/1987, degli artt. 5,
11,  18,  26,  27  e 28 del d.lgs. n. 22/1997, dell'art. 5 del d.l. 7
settembre 1994, n.530 e d.m. Ambiente 29 settembre 1994, dell'art. 38
della   legge   n. 146/1994   e   della   direttiva   del   Consiglio
n. 91/156/CEE,  dell'art. 8  della legge n. 475/1988, del d.P.C.m. 10
agosto  1988,  n.377,  degli artt. 1 e 2 della legge n. 241/1990, del
d.lgs.  n. 152/1999  -  eccesso  di potere per sviamento - difetto di
istruttoria - carenza e/o insufficienza della motivazione - contrasto
con gli artt. 3, 11, 32, 41, 117 e 120 Costituzione.
        Si  sostiene  che  la  norma  regionale  applicata  e'  stata
abrogata  dalla  riforma  di cui c.d. decreto Ronchi del 1997 che non
prevede  il  potere di limitare lo smaltimento di rifiuti industriali
in ambito regionale. In subordine si osserva che la deroga al divieto
prevista  dall'art. 4  della  citata  legge  regionale in relazione a
determinazioni  di  autorita'  statali si applica all'impianto de quo
dato  che  nel 1991 il C.I.P.E. ha approvato il relativo contratto di
programma  e  che  inoltre sussistono le autorizzazioni dei Ministeri
dell'ambiente (decreto V.I.A.) e dei beni culturali.
        Inoltre  tale  legge  regionale non potrebbe comunque colpire
impianti  autorizzati  prima della sua entrata in vigore e progettati
in funzione di esigenze di piu' ampia scala.
    Ancora  piu'  in subordine si solleva eccezione di illegittimita'
costituzionale della legge regionale in questione per contrasto con:
        -  gli  articoli  41  e  120  della  Costituzione  in  quanto
limiterebbe   immotivatamente   ed   illogicamente   la  liberta'  di
iniziativa economica privata;
        - i principi fondamentali della legislazione statale fissati,
ai  sensi  dell'art.  117  della  Costituzione ed in attuazione delle
norme  comunitarie, dagli artt. 5, 11, 18, e 26 del d.lgs. n. 22/1997
che prescrivono che lo smaltimento dei rifiuti si realizzi attraverso
un sistema integrato e in uno degli impianti appropriati piu' vicini;
        -  l'art. 11  della Costituzione per effetto del contrasto di
cui al punto precedente;
        -   l'art. 3   della   Costituzione  perche'  la  limitazione
graverebbe  sulle  sole  imprese  esercitanti  lo  smaltimento  nella
regione Basilicata;
        -  l'art. 32  della Costituzione per il danno alla salute che
puo'  scaturire  dall'inosservanza  del principio della "prossimita'"
nello smaltimento.
        Si  richiama poi la giurisprudenza costituzionale al riguardo
e  si precisa che la possibilita' di deroga al divieto prevista nella
stessa  legge regionale in questione non la rende costituzionale dato
che  in  tal modo l'esercizio d'una attivita' imprenditoriale viene a
dipendere  dalla  mera  facolta'  della  p.a. svincolata da qualunque
criterio  predefinito  e  con  e  videnti  profili,  quindi,  pure di
irrazionalita'.
        2)   illegittimita'   delle   previsioni   dei  provvedimenti
impugnati  in  tema  di attivita' di monitoraggio. Benche' in tema di
monitoraggio  fossero gia' state definite le procedure, il dirigente,
pur  senza  avere competenza in merito, ha imposto una tempistica dei
rilevamenti   in   contrasto  con  le  delibere  di  giunta,  con  le
valutazioni  dell'apposito  comitato  e  le  intese  assunte  con  la
ricorrente.  Sarebbe  pure illegittima l'ultima parte del punto 6 del
dispositivo  in  quanto  generica,  priva  di  fondamento giuridico e
meramente potestativa;
        3)  illegittimita'  delle  previsioni  in tema di sospensione
dell'autorizzazione  all'esercizio.  Quest'ultima  previsione  non e'
prevista   dalla   legge   ed  e'  comunque  palesemente  illogica  e
contraddittoria   dato   che   rende  responsabile  l'impianto  anche
dell'eventuale superamento dei limiti di immissione oltre a quelli di
emissione   gia'  previsti  dalla  V.I.A.  e  dal  d.m.  n. 124/2000.
Illegittimo  sarebbe  pure  il procedimento dettato in relazione alle
conseguenze  dei  superamenti  dei  suddetti  limiti dato che tende a
sovrapporsi  e  a rinnovare la valutazione di impatto ambientale gia'
operata.  Infine,  quanto  al  superamento  dei  limiti inerenti agli
scarichi  idrici,  col  provvedimento  si  trascura che la legge gia'
prevede  le  conseguenze  dell'eventuale  superamento  dei  limiti di
emissione.
        4)  illegittimita'  per contraddittorieta' ed irrazionalita',
contrasto con l'art. 97 Cost. Le limitazioni apposte all'importazione
di  rifiuti da fuori regione contraddice la logica che ha presieduto,
col concorso della volonta' statale, alla progettazione dell'impianto
in    questione,   dimensionato   nell'ottica   delle   esigenze   di
autosmaltimento  del  gruppo  FIAT  con spese di realizzazione a tale
finalita'   proporzionate,  ivi  incluso  il  finanziamento  pubblico
conseguito;
        5)  illegittimita'  per  contraddittorieta',  irrazionalita',
contrasto  con  l'interesse  pubblico,  violazione dell'art. 97 Cost.
sotto  ulteriore  profilo.  Si rileva che le limitazioni in questione
rischiano  di  far  perdere alla ricorrente il finanziamento pubblico
ricevuto  e  subordinato all'esito del precedente contenzioso in atto
con  la Regione. Si e' costituita la regione Basilicata che resiste e
chiede  il rigetto del gravame previo, in subordine, eventuale rinvio
d'ufficio della citata legge regionale alla Corte costituzionale. Con
ordinanza   collegiale   n. 433/2000   e'   stata  accolta  l'istanza
incidentale  di  sospensione  cautelare  del provvedimento impugnato.
Alla  pubblica  udienza  del  17 gennaio  2002  il  ricorso  e' stato
ritenuto per la decisione.

                            D i r i t t o

    A)  Preliminarmente  occorre  disporre la riunione dei ricorsi in
epigrafe stante l'evidente connessione fra gli stessi.
    B)  In  ambedue i ricorsi in esame viene censurata la previsione,
contenuta  sia  negli atti impugnati col ricorso n. 766/1997 e sia in
quelli  impugnati  col ricorso n. 730/2000, con cui l'Amministrazione
Regionale  ha  vietato alla societa' ricorrente di effettuare, presso
l'impianto  in  questione (forno rotante), lo smaltimento dei rifiuti
(per  una  parte  speciali  e  per  altra  parte tossici e nocivi non
alogenati)   di   provenienza   extraregionale   (stabilimenti   FIAT
dell'Italia    meridionale)    ancorche'   consentiti   dal   decreto
ministeriale  di  V.I.A.  del  17  dicembre  1993 (pur recepito dalla
Regione) che ha giudicato l'impianto stesso idoneo a smaltire in modo
ambientalmente   compatibile   detti  rifiuti  nei  quantitativi  ivi
stabiliti.
    Le   predette  previsioni  lesive  della  sfera  giuridica  della
ricorrente  sono  state  adottate  nel  vigore  della legge regionale
31 agosto  1995, n. 59 ("Normativa sullo smaltimento dei rifiuti") il
cui articolo 1 recita:
    "In attuazione del principio di prossimita' di cui alla direttiva
n. 91/156  CEE  nonche'  dei  poteri di organizzazione dei servizi di
smaltimento  dei  rifiuti  attribuiti  alla  Regione  dal decreto del
Presidente  della  Repubblica  n. 915/1983, dalla legge n. 441/1987 e
dalla  legge  n. 475/1988  e'  fatto  divieto  a chiunque conduca sul
territorio  della  Regione  Basilicata impianti di smaltimento e/o di
stoccaggio  di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli
impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni".
    Nei   successivi   articoli,   oltre  a  sanzioni  a  carico  dei
trasgressori del divieto (artt. 5, 6 e 7, quest'ultimo comportante la
revoca   dell'autorizzazione   all'esercizio)   si  prevede  pure  la
possibilita'  di  deroga  al  predetto divieto "previa autorizzazione
della giunta regionale, sentita la provincia ed il comune interessato
e previo parere della commissione consiliare competente" (art. 3).
    L'articolo  4,  comma 1 prevede che la deroga in questione "puo'"
essere concessa nei seguenti casi:
        -  "attuazione  di  specifici accordi tra la regione ed altre
pubbliche amministrazioni, enti ed imprese";
        -  "per determinazioni di autorita' statali a cio' competenti
nei casi previsti dalla legge".
    Il  secondo  comma  infine  dispone  che  dette  deroghe  non  si
applicano alle discariche.
    Per   mera  completezza  va  aggiunto  che  successivamente,  con
l'art. 2,  comma 2, della legge regionale della Basilicata 2 febbraio
2001,  n. 6  (disciplina  delle  attivita' di gestione dei rifiuti ed
approvazione  del  relativo piano) - estranea ai giudizi de quibus e'
stata fatta salva la disciplina di cui alla legge regionale 31 agosto
1995, n. 59".
    Cio'   precisato,   il  collegio  ritiene  che  la  guestione  di
costituzionalita'  dell'art. 1,  sopracitato  che,  con  la  presente
ordinanza,  si  solleva,  d'ufficio  per il ricorso piu' anziano e in
accoglimento  dell'eccezione  sollevata  dalla  ricorrente nell'altro
ricorso,  sia  rilevante in ambedue i giudizi dato che, ad avviso del
collegio, l'unico fondamento giuridico del divieto di importazione di
rifiuti  extraregionali  sancito  negli  atti impugnati e' costituito
appunto da detta norma regionale la cui eliminazione dall'ordinamento
avrebbe  come  conseguenza  il pieno accoglimento del primo gravame e
l'accoglimento  del  secondo nella parte in cui si censura appunto la
autonoma clausola lesiva recante il divieto.
    Giova  comunque precisare che solo gli atti impugnati col ricorso
piu' recente sono stati adottati nel vigore del decreto legislativo 5
febbraio  1997,  n.22  (pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale del 28
novembre 1997).
    Il requisito della rilevanza della questione di costituzionalita'
appare evidente in relazione al ricorso n. 766/1997 dato che, come si
evince dalle censure riportate nei motivi riportati in fatto, nessuna
di  esse  potrebbe  trovare  accoglimento  se  non venisse rimossa la
normativa  regionale  di  legge  in  parola. A tal proposito non puo'
condurre   a   conclusioni  diverse  la  circostanza  dell'essere,  i
provvedimenti  impugnati  con  detto  gravame,  privi  d'un esplicito
richiamo  alla  legge  regionale  n. 59/1995,  dato  che il vigore di
guest'ultima,  considerata  la  portata  dei  precetti  nella  stessa
contenuti,  rendeva  sostanzialmente  vincolato il pronunciamento del
consiglio  regionale  e della giunta regionale sulla questione, a suo
tempo  stralciata  e  rimasta  in sospeso in sede di approvazione del
progetto,  della  possibilita'  per  la  ricorrente  di smaltire pure
rifiuti di provenienza extra-regionale.
    La  rilevanza della questione d'incostituzionalita' sussiste pure
in  relazione al ricorso n. 730/2000, avuto riguardo all'infondatezza
delle  censure  relative  al  primo  motivo descritte in fatto (pagg.
8-9).
    Quanto  alla prospettata abrogazione della normativa regionale de
qua  da  parte del c.d. decreto Ronchi, a parere del collegio la pura
assenza  di  esplicita  previsione,  in  detto decreto, del potere di
limitare  lo  smaltimento dei rifiuti industriali in ambito regionale
non  comporta  di  per  se'  l'esistenza d'un divieto alle regioni di
introdurre  norme  limitative  della  movimentazione, all'interno del
territorio regionale, di tali tipologie di rifiuti.
    Inoltre,  non  vale  sostenere l'applicabilita' dell'art. 4 della
legge regionale in questione - che prevede deroghe al divieto in caso
di  "determinazioni  di  autorita' statali a cio' competenti nei casi
previsti   dalla  legge"  -  dato  che  la  deroga  va  appositamente
richiesta,  circostanza  questa  non  verificatasi nella specie; cio'
senza contare che comunque detta deroga scaturisce a conclusione d'un
procedimento   autorizzatorio  a  carattere  discrezionale  che  vede
l'apporto  consultivo della provincia, del comune interessato e della
competente commissione consiliare.
    Neppure  infine puo' sostenersi l'illegittima applicazione in via
retroattiva,  nella  specie,  del  divieto di legge regionale, atteso
che,  come  si  evince  dal  tenore letterale del citato art. 1, esso
colpisce  l'attivita'  di  smaltimento e/o di stoccaggio di rifiuti e
quindi  con  riferimento pure agli impianti gia' esistenti al momento
della sua entrata in vigore.
    C)  In punto di diritto deve essere premesso che, gia' col d.P.R.
n. 915/1982,  il  Legislatore,  nel  dare  attuazione  alle direttive
emanate  dal  consiglio  delle  Comunita'  europee (in particolare la
n. 75/442  del  15  luglio  1975  relativa  ai rifiuti e la n. 78/319
relativa  ai  rifiuti tossici e nocivi) ha sancito all'articolo 1 che
lo  smaltimento  dei  rifiuti  (urbani,  speciali  e tossici e nocivi
indicati  nell'articolo  2)  e'  "attivita'  di  pubblico  interesse"
assoggettata  alle disposizioni dello stesso decreto e all'osservanza
di  alcuni  principi  generali  fra  i quali occorre ricordare quelli
inerenti  l'esigenza  di  evitare ogni danno o pericolo per la salute
umana,  per l'ambiente e il paesaggio nonche', non meno rilevante, la
promozione  di sistemi tendenti a riciclare, riutilizzare i rifiuti o
recuperare da essi materiali ed energia.
    Lo stesso decreto poi, nel ripartire fra lo Stato e le regioni le
competenze  in  materia, assegna al primo, in particolare, compiti di
indirizzo,  promozione,  consulenza  e  coordinamento delle attivita'
connesse con, l'attuazione di detta normativa nonche' la delineazione
di   criteri  generali  sui  metodi  di  smaltimento  sulle  zone  di
ubicazione degli impianti, in ordine al rilascio delle autorizzazioni
per  lo  smaltimento dei rifiuti tossici nocivi e all'assimilabilita'
dei  rifiuti  speciali  a  quelli urbani nonche' il coordinamento dei
piani regionali di smaltimento dei rifiuti (art. 4).
    Alle   regioni   compete   invece  l'elaborazione  dei  piani  di
organizzazione   dei  servizi  di  smaltimento  dei  rifiuti  recanti
previsione,  fra  l'altro,  di  tipi,  e  quantitativi  di rifiuti da
smaltire,   dei  metodi  di  trattamento,  le  zone,  le  piattaforme
specializzate   per   i   rifiuti  tossici  e  nocivi,  etc.  nonche'
l'emanazione  di  norme  integrative  e di attuazione del decreto per
l'organizzazione  dei  servizi  di  smaltimento  e  le  procedure  di
controllo e di autorizzazione (art.6).
    La  successiva  direttiva n. 91/156/CEE del 18 marzo 1991 si e' a
sua  volta  mossa  da un lato nel senso d'una conferma delle linee di
tendenza del citato d.P.R. (per quel che piu' concerne la fattispecie
di causa rilevano gli articoli 3 e 4 che, fra l'altro, favoriscono il
recupero  di  rifiuti  o  l'uso  di  rifiuti  come fonte di energia e
ribadiscono  la  necessita' che recupero o smaltimento non comportino
pericolo per la salute o pregiudizio per l'ambiente).
    Dall'altro  lato, con l'articolo 5, si e' stabilito che gli stati
mirino  a  creare  una  rete  integrata  ed  adeguata  di impianti di
smaltimento che tenga conto delle tecnologie piu' perfezionate e cio'
al fine di consentire alla comunita' di raggiungere l'autosufficienza
in  materia  di  smaltimento  di rifiuti e ai singoli Stati membri di
mirare  al  conseguimento  di  tale  obiettivo,  "tenendo  conto  del
contesto  geografico o della necessita' di impianti specializzati per
determinati  tipi  di  rifiuti"  inoltre tale rete dove permettere lo
smaltimento  "in  uno  degli  impianti appropriati piu' vicini grazie
all'utilizzazione  dei  metodi  e  delle  tecnologie  piu'  idonei  a
garantire  un  alto  grado di protezione dell'ambiente e della salute
pubblica". L'articolo 7 dispone poi che, per realizzare gli obiettivi
predetti, le autorita' designate dallo Stato per attuare la direttiva
devono elaborare "quanto prima" piani di gestione dei rifiuti.
    Con  la  successiva  entrata  in  vigore  del decreto legislativo
n. 22/1997   si  e'  data  attuazione,  nell'esercizio  della  delega
conferita, alla gia' menzionata direttiva n. 91/156 ed alla n. 91/689
sui  rifiuti  pericolosi stabilendo che le regioni avrebbero regolato
la  materia  disciplinata nel decreto nel rispetto delle disposizioni
in   esso   contenute   costituenti  "principi  fonda  mentali  della
legislazione   statale   ai   sensi  dell'art. 117,  comma  1,  della
Costituzione" (art. 1 comma 2).
    Dopo  avere  ribadito  all'art. 2  le  finalita'  indicate  nella
direttiva  e  nel  decreto  del  Presidente della Repubblica del 1982
(gestione   dei   rifiuti   come  attivita'  di  pubblico  interesse,
perseguimento  d'una  elevata  protezione dell'ambiente tenendo conto
della  specificita'  dei rifiuti pericolosi; assenza, nel corso dello
smaltimento  o del recupero, di pericoli e rischi per la salute e per
l'ambiente)  l'articolo  5  dispone  al comma 3 che lo smaltimento e'
attuato mediante una rete integrata ed adeguata di impianti che tenga
conto  delle  tecnologie  piu'  perfezionate  a  disposizione che non
comportino costi eccessivi onde:
        a) realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti
urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali;
        b)   permettere   lo   smaltimento  in  uno  degli  "impianti
appropriati  piu'  vicini, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti
stessi,  tenendo  conto del contesto geogratico o della necessita' di
impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti";
        c)  utilizzare metodi e tecnologie piu' idonei a garantire un
alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
    Negli  articoli  18 e 19 si conferma poi il riparto di competenze
fra  lo  Stato e le regioni gia' delineato col decreto del Presidente
della  Repubblica  n. 915/1982  e anzi, si sottolinea che spetta allo
stato  la definizione dei criteri generali e delle metodologie per la
gestione   integrata   dei   rifiuti,  nonche'  l'individuazione  dei
fabbisogni  per lo smaltimento dei rifiuti sanitari, anche al fine di
ridurne la motivazione (art. 18, comma 1, lett. b d.lgs. n. 22/1997).
    Gli  artt. 11 e 26 hanno poi a loro volta previsto un catasto dei
rifiuti,  preordinato  ad agevolare la pianificazione delle attivita'
di  gestione ed un osservatorio nazionale, a sua volta impiegato, tra
l'altro, per elaborare ed aggiornare criteri ed obiettivi d'azione.
    Infine, l'art. 22, nel disciplinare i piani regionali di gestione
dei  rifiuti  stabilisce  che,  fra  l'altro, gli stessi prevedono il
complesso  delle  attivita' e dei fabbisogni degli impianti necessari
"...ad  assicurare  lo  smaltimento  dei  rifiuti  speciali in luoghi
prossimi  a  quelli  di  produzione  al fine di favorire la riduzione
delle movimentazioni dei rifiuti" (comma 3, lett. c).
    D)   La   norma  regionale  della  cui  costituzionalita'  questo
tribunale  dubita  si  presta  a piu' censure, sia con riferimento al
periodo precedente al decreto Ronchi, sia dopo l'entrata in vigore di
quest'ultima legislazione statale.
    E'  anzitutto  ipotizzabile  il  contrasto  con  l'art. 117 della
Costituzione   per,   violazione   dei  principi  fondamentali  della
legislazione  statale contenuti prima negli artt. 1, 4 e 6 del d.P.R.
n. 915/1982  e  poi  negli  artt.  1,  5, 11, 18, 19 e 26 del decreto
Ronchi;  a  cio'  puo'  aggiungersi  la violazione dell'art. 11 della
Costituzione  dato  che i predetti principi fondamentali scaturiscono
dal recepimento di norme comunitarie.
    Il  Collegio  non  trascura  di  considerare  che,  in  corso  di
giudizio,  e'  entrata  in  vigore la legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n. 3  recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione"  la  quale,  all'art. 3.  ha  sostituito l'intero testo
dell'art. 117 della Costituzione.
    Ora, in base al nuovo testo del comma 2 di quest'ultimo articolo,
la "tutela dell'ambiente" e "dell'ecosistema" e' stata riservata alla
potesta'   legislativa   esclusiva   dello   Stato,   con  definitiva
impossibilita'  per  le  regioni  di  poter  legiferare in materia di
tutela  dell'ambiente  dal  rischio  di inquinamento come si e' fatto
appunto con la normativa regionale de qua in relazione ai rifiuti.
    Le   regioni   hanno   infatti,   alla  luce  della  nuova  norma
costituzionale,  conservato  potesta'  legislativa  concorrente,  con
riferimento    all'ambiente,   esclusivamente   in   relazione   alla
"valorizzazione" dei beni "ambientali".
    L'eccezione  de qua deve pertanto essere sollevata in relazione a
tale  nuovo parametro costituzionale la cui portata - anche sul piano
letterale  -  assolutamente univoca e' evidentemente tale da condurre
ad  un  giudizio  di  non  manifesta  infondatezza della questione di
illegittimita'  costituzionale  della  norma  regionale atteso che in
subiecta  materia  risulta  sottratta  alla Regione anche la potesta'
regolamentare, salvo delega da parte dello Stato.
    In  ogni  caso,  ritiene  il  collegio  che,  la  giuirisprudenza
costituzionale ormai formatasi nella materia dei divieti, imposti con
leggi  regionali,  di  smaltimento  in ambito regionale di rifiuti di
provenienza  extra-regionale  (cfr.  n. 96/1998  in  tema  di rifiuti
urbani;  n. 281/2000  in  tema  di rifiuti speciali tossici e nocivi;
n. 335/2001  in tema di rifiuti speciali) ha ormai chiarito che, alla
luce  del  principio  dell'autosufficienza  (cfr.  art.  5  direttiva
n. 91/156  e  art. 5  comma  3  lett.  a) del decreto n. 22/1997), il
divieto  in questione e' applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi
nonche' ai rifiuti speciali assimilabili ai primi.
    Rispetto  a  tali  tipologie  di  rifiuti  "l'ambito territoriale
ottimale  per  lo smaltimento" e' considerato "logicamente limitato e
predeterminabile  in relazione ai luoghi di produzione" e coincide di
regola  col  territorio  provinciale,  onde  garantire al suo interno
l'autosufficienza dello smaltimento (cfr. artt. 22 comma 3 lett. b) e
c) e 23 d.lgs. n.22/1997).
    Viceversa,  con le due piu' recenti richiamate pronunce, la Corte
ha chiarito che il principio dell'autosmaltimento locale col connesso
divieto di conferimento di rifiuti extraregionali non puo' valere ne'
per  quelli  "pericolosi" (ivi inclusi quelli che gia' il decreto del
Presidente della Repubblica del 1982 definiva "tossici e nocivi") ne'
per  quelli  "speciali" non pericolosi (che nella fattispecie oggetto
dei giudizi in epigrafe hanno natura industriale).
    Quanto  ai  primi  e'  indubbio  che,  alla  luce  del  principio
desumibile  dai citati artt. 5 della direttiva e 5, comma 3, lett. b)
e  c)  del  decreto  n. 22,  le  caratteristiche  della pericolosita'
prevalgano  su  quelle  del  luogo  di produzione per cui per il loro
smaltimento  e'  prioritaria  l'esigenza  di  impianti  appropriati e
specializzati  e  di  tecnologie  idonee  che mal si concilia con una
rigida  predeterminazione  di  ambiti  territoriali ottimali e con la
previsione di autosufficienza locale nello smaltimento.
    Con  la  sentenza  n. 281/2000  e'  stato rilevato che non appare
logicamente  predeterminabile  in  questo caso un ambito territoriale
ottimale,   quale  per  esempio  quello  regionale,  sia  perche'  la
produzione  di  rifiuti  pericolosi,  di  norma derivante da processi
industriali,  si  lega  a  localizzazioni  spesso  disomogenee  e non
facilmente   prevedibili;   inoltre   impianti   cosi'  specializzati
comportano problematiche di scelta di siti idonei e oneri, non ultimi
quelli  economici, particolarmente gravosi per la loro costruzione in
ispecie,  per  stare  al  caso in esame, per effetto delle tecnologie
utilizzate la cui complessita' e' in gran parte connessa proprio alla
soddisfazione    delle    doverose   esigenze   di   rispetto   della
compatibilita' ambientale dell'impianto.
    Non a caso del resto lo Stato, in questa materia, si e' riservata
la  competenza  a  definire i criteri generali e le norme tecniche di
gestione  (art. 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982
e l8 comma 1 lett. b comma 2 lett. a).
    Il  criterio  della prossimita' (richiamato nella norma regionale
della  cui  costituzionalita'  si  dubita), in questo ordine di idee,
finisce  per  integrare  si'  quello  della  specializzazione  ma  in
un'ottica  piu'  relativa,  nel senso cioe' che la movimentazione dei
rifiuti  -  di  per se' certo non consigliabile - puo' essere ridotta
solo nei limiti del possibile.
    Cio'  detto  e  avuto riguardo anche alla prioritaria esigenza di
protezione  della  salute  pubblica  e  dell'ambiente nel corso della
gestione  dei  rifiuti  recepita nelle sopraenunciate disposizioni di
legge  statale  puo'  quindi,  secondo  il  collegio, dubitarsi della
legittimita'  costituzionale  della  norma  regionale de qua anche in
relazione  alla  lesione del diritto alla salute, da intendersi anche
come  diritto alla salubrita' dell'ambiente, di cui all'art. 32 della
Costituzione, dato che la chiusura dei confini regionali favorisce la
possibilita' che rifiuti pericolosi di altre regioni trovino forme di
smaltimento  non ambientalmente compatibili ovvero vengano accumulati
o depositati in aree inidonee.
    Relativamente  ai  rifiuti  speciali,  come risulta dalla recente
sentenza   costituzionale   n. 335   del  19  ottobre  2001,  possono
estendersi quasi integralmente le medesime considerazioni spese per i
rifiuti   pericolosi  in  rapporto  ai  gia'  illustrati  profili  di
possibile incostituzionalita'.
    Infatti, l'estrema varieta' tipologica dei rifiuti speciali (cfr.
art.     7     decreto     n. 22/1997),    strettamente    dipendente
dall'eterogeneita'  delle  attivita'  che  li originano, rendendo non
omogenea  sul  territorio, ne' predeterminabile, la distribuzione sul
territorio   degli  stessi  ne'  le  caratteristiche  di  qualita'  e
quantita',  finisce  per  imporre  anche in questo caso la necessita'
dell'impiego  di  impianti  di  smaltimento appropriati o addirittura
specializzati,  come si evince dal citato art. 5 comma 3 lett. b) del
decreto  n. 22/1997 che sul punto ha confermato il precedente decreto
del Presidente della Repubblica n. 915/1982.
    Poiche'  anche  in  questo  caso  ne' le norme statali ne' quelle
comunitarie  hanno  predeterminato  un  ambito  territoriale ottimale
preordinato  ad un obiettivo di autosmaltimento, il divieto regionale
in  esame  appare quindi illogico potendo limitare il conferimento di
detti  rifiuti  agli  impianti appropriati piu' vicini come richiesto
dal  gia'  citato  art.  5,  comma  3  lett.  b  del decreto Ronchi e
dall'art. 5 della direttiva n. 91/156/CEE.
    Il  fatto  poi che la legge regionale della Basilicata n. 59/1995
preveda,  in altri articoli, limitate possibilita' di deroga (fra cui
una  legata  a  "specifici  accordi" tra la Regione ed Imprese, altri
enti   ed   altre   pubbliche   amministrazioni)  al  divieto  dietro
autorizzazione della Giunta, non sembra attenuare il contrasto con la
Costituzione  dato  che tali, limitate aperture - oltretutto soggette
alla  mera  discrezionalita'  dell'amministrazione  regionale - ad un
ordinario regime di blocco delle importazioni da altre regioni per di
piu'  posto  in  essere in assenza d'un piano di gestione dei rifiuti
diversi  da  quelli urbani (cfr. art. 6 del d.P.R. n. 915/1982 e art.
22  d.lgs.  n. 22/1997) - non incrinano la sostanziale sottrazione di
principio  del  territorio regionale al perseguimento, da parte dello
Stato,   delle  finalita'  indicate  prima  nell'art.  1  del  d.P.R.
n. 915/1982  e  poi  dall'art.  2  del  decreto  Ronchi,  e cio' onde
assicurarne  la  soddisfazione,  in virtu' d'una organizzazione anche
nazionale  delle  attivita' di smaltimento (art. 4 lett. h) e 6 lett.
b)  del  d.P.R.  n. 915/1982 e 5, 11, 18 e 26 del decreto Ronchi), in
modo  uniforme sull'intero territorio nazionale, senza penalizzazioni
per  quelle  regioni  produttrici di rifiuti in misura superiore alle
proprie capacita' di smaltimento.
    Sempre  infine  -  e  conclusivamente  -  quanto  alla violazione
dell'art. 117 Cost. non puo' trascurarsi che il divieto colpisce pure
impianti, come quello de quo, che, attraverso la termodistruzione dei
rifiuti,  recuperano  energia  e  cio' in contrasto col diffuso favor
rinvenibile, nelle norme statali di principio sopra indicate, proprio
per la produzione energetica cosi' conseguita.
    Ulteriori  profili  di  illegittimita' costituzionale, secondo il
collegio,  devono  poi  essere sollevati in relazione ai parametri di
cui  agli  artt. 3,  41  e 120 della Costituzione atteso che la norma
regionale censurata, rispettivamente:
        introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti
l'attivita'  di  smaltimento  dei  rifiuti  nella  Regione Basilicata
rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale;
        restringe  la  liberta' di iniziativa economica in assenza di
concrete  possibilita'  di danno alla sicurezza, alla liberta' e alla
dignita'  umana  che  dall'attivita'  di  smaltimento  controllato  e
ambientalmente  compatibile dei rifiuti puo' scaturire; anzi, essendo
lo  smaltimento  di  rifiuti,  al  contempo,  attivita'  di  pubblico
interesse ed attivita' economica d'impresa si impedisce che la stessa
possa essere indirizzata e coordinata pienamente a fini sociali;
        introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le
regioni,  senza  che  sussistano  ragioni giustificatrici, neppure di
ordine sanitario ambientale (cfr. Corte cost. 19 ottobre 2001 n.335),
e   cio'   in  contrasto  pure  con  la  normativa  comunitaria  che,
considerando  il  rifiuto  pur sempre un "prodotto" ritiene che debba
fruire,  in  via  di  principio  e  salvo specifiche eccezioni, della
generale  liberta'  di  circolazione  delle  merci  (cfr. Corte cost.
n. 335/2001 cit.).
    Nell'ottica  di  quanto prima osservato in relazione all'art. 117
Cost.,  l'eccezione  va  sollevata  pure  in relazione al nuovo testo
dell'art. 120 entrato nel frattempo in vigore con la recente modifica
costituzionale.
    Quest'ultimo  (introdotto  con l'art. 6 della riforma) ha infatti
ribadito  tutte  le  disposizioni comprese nel testo previgente e, in
piu',  ha previsto per il Governo il potere di sostituirsi anche agli
organi  delle  regioni  "nel caso di mancato rispetto della normativa
comunitaria  ovvero  ...  quando  lo richiedono la tutela dell'unita'
giuridica  o  dell'unita'  economica  ...  prescindendo  dai  confini
territoriali dei governi locali".