IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 766/1997 e 730/2000 proposti dalla S.p.a. Fenice in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dal l'avv. Giuseppe Minieri e con lo stesso elettivamente domiciliato in Potenza presso lo studio dell'avv. Piervito Bardi, sito alla via Crispi n.37, quanto al primo ricorso e presso lo studio dell'avv. Luigi Petrone, sito al Corso XVIII agosto n.2; Contro: la Regione Basilicata in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Franco Giampietro e Mirella Viggiani e con gli stessi elettivamente domiciliato in Potenza presso la sede dell'ufficio legale dell'ente sito alla via Anzio; il consiglio regionale della Basilicata in persona del legale rappresentante pro tempore, n.c. (per il solo ricorso n.766/1997); il dirigente dell'ufficio compatibilita' ambientale del dipartimento ambiente e territorio della Regione Basilicata, n.c. (per il solo ricorso n .730/2000); il comitato tecnico Regionale per lo smaltimento dei rifiuti l.r. n.223/1986 in persona del legale rappresentante pro tempore, n.c. (per il solo ricorso n.730/2000); Per l'annullamento: quanto al ricorso n.766/1997: della deliberazione del consiglio regionale della Basilicata n.596 del 13 maggio 1997 avente ad oggetto: "Parere di cui all'art. 3 punto b) del dispositivo della delibera di Giunta Regionale n.2202/1995... ; della deliberazione della Giunta Regionale della Basilicata n. 6015 del 5 settembre 1997 avente ad oggetto: "decreto del Presidente della Republica n. 915/1982 e legge n.441/1987 - Fenice S.p.a. - Presa d'atto della d.c.r. n. 596 del 13 maggio 1997 in ordine al parere di cui all'art. 3, punto b) del dispositivo della d.g.r. n. 2202/1995. Realizzazione di un impianto di termodistruttore di rifiuti con recupero di energia in localita' San Nicola di Melfi. Approvazione progetto"; nonche' ove occorra, oltre alla deliberazione della g.r. della Basilicata n. 2202/1995 (in quanto richiamata negli atti impugnati): della nota, allo stato non conosciuta, del coordinatore del dipartimento ambiente, prot. n. 9247/65A del 6 novembre 1995 di trasmissione della deliberazione g.r. n. 2202/1995 alla Presidenza del consiglio regionale; della nota, allo stato non conosciuta, della Presidenza del consiglio Regionale prot. n.7314/C dell'8 novembre 1995 in ordine alla pretesa competenza del consiglio regionale sugli adempimenti di cui all'art. 3.b del dispositivo della deliberazione g.r. n.2202/1995; del parere negativo, allo stato non conosciuto, emesso dalla IV commissione consiliare sulla riserva di cui al suddetto art. 3.b del dispositivo della deliberazione g.r. n. 2202/1995; Quanto al ricorso n.730/2000: della determinazione dirigenziale prot. n. 75F/2000/D/498 del 19 ottobre 2000 a firma del dirigente dell'ufficio compatibilita' ambientale - Dipartimento ambiente e territorio della regione Basilicata, avente ad oggetto "Fenice S.p.a. impianto di termodistruzione di rifiuti con recupero energia sito in localita' S. Nicola di Melfi - Autorizzazione all'esercizio"; ove occorra, del parere espresso con voto 549 del 14 settembre 2000 dal comitato tecnico regionale per lo smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 14 l.r. 4 settembre 1986, n. 22, nella parte in cui si richiede la trasmissione di documentazione gia' agli atti della Regione Basilicata, si prevede il divieto di importazione di rifiuti extraregionali e si prescrive che in caso di superamento dei valori limite di emissione prescritti o concordati venga disposta la sospensione o la revoca dell'autorizzazione all'esercizio; ove occorra, della nota prot. n. 18683/75F del 21 settembre 2000 con la quale e' stato richiesto di acquisire la documentazione richiesta dal comitato tecnico regionale per lo smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 14 l.r. 4 settembre 1986, n. 22 con voto n. 549. Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Basilicata; Viste, quanto al ricorso n. 766/1997 le seguenti ordinanze cautelari: 11 febbraio 1999, n.65 di rigetto, 6 aprile 2000 n. 104 di accoglimento, n. 432 del 30 novembre 2000 di accoglimento; Vista l'ordinanza cautelare n. 433 del 30 novembre 2000 di accoglimento dell'istanza incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato (sul ricorso n. 730/2000); Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Uditi gli avvocati come da verbale alla pubblica udienza del 17 gennaio 2002 - relatore il magistrato Pennetti -; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o A) Col ricorso n. 766/1997 l'istante premette che la Regione Basilicata con delibera di g.r. n. 2202 del 2 maggio 1995 ha approvato il suo progetto di impianto di termodistruzione di rifiuti con recupero di energia in localita' S. Nicola di Melfi ma riservando ogni determinazione circa il trattamento nel forno rotante d'una quota di rifiuti speciali e di un'altra di rifiuti tossici e nocivi all'esito delle valutazioni che avrebbe effettuato la competente commissione consiliare. Successivamente detta clausola, posta all'art. 3 punto b) del dispositivo, e' stata annullata da questo tribunale con sentenza n.278/1997. Col presente gravame, notificato il 30 ottobre 1997 e depositato il 27 novembre 1997, si impugnano adesso i provvedimenti regionali con i quali, a scioglimento della citata riserva, il Consiglio Regionale prima e la Giunta Regionale poi (a recepimento della pronuncia consiliare) hanno escluso la possibilita' che, nell'ambito delle tipologie e quantita' di rifiuti da smaltire nel citato forno rotante, possano essere compresi pure rifiuti di provenienza extraregionale (ancorche' di provenienza FIAT, come previsto nel decreto ministeriale di V.I.A.). Si deducono al riguardo i seguenti motivi: 1) Invalidita' derivata - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3-bis della legge n. 441/1987, dell'art. 27 del d.lgs. n. 22/1998, dell'art. 5 del d.l. n. 530/1994 e d.m. ambiente 29 settembre 1994, dell'art. 38 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993) e della direttiva del Consiglio n. 91/156/CEE, dell'art. 8 della legge n. 474/1988, del d.P.C.m. 10 agosto 1988, n. 377 - eccesso di potere per sviamento - difetto di istruttoria - carenza e/o insufficienza della motivazione. Si assume che gli atti impugnati sono illegittimi per invalidita' derivata e per gli stessi motivi gia' rilevati col precedente ricorso n. 861/1995 dato che nel procedimento e' stata inserita una fase procedimentale non prevista dalla legge col coinvolgimento del Consiglio regionale in valutazioni attinenti a materie per le quali non ha competenza e per di piu' non motivate; 2) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3-bis della legge n. 441/1987 sotto un ulteriore profilo, dell'art. 27 del d.lgs. n. 22/1998, del d.P.C.m. 10 agosto 1988, n. 377 e dell'art. 8 (valutazione di compatibilita' ambientale) della legge n. 475/1988, difetto di istruttoria, carenza di motivazione. Ne' il consiglio ne' la giunta, dopo la V.I.A. effettuata dal Ministero dell'ambiente avevano titolo a fare valutazioni sulla compatibilita' con l'ambiente del progetto in questione e quindi non potevano introdurre limitazioni capaci di portare ad un ridimensionamento dell'impianto; 3) Illegittimita' per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 5 del d.l. 7 settembre 1994, n.530, d.m. ambiente 29 settembre 1994, art. 38 della legge 22 settembre 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993) e della direttiva del consiglio n. 91/156/CEE. Il diniego relativo anche allo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi trascura di considerare che l'impianto e' anche destinato alla produzione di energia elettrica. In base alle norme in rubrica, anzi, neppure occorre chiedere una specifica autorizzazione; 4) violazione e falsa applicazione dell'art. 38 della legge 22 settembre 1994 n. 146 (legge comunitaria 1993) e della direttiva del Consiglio n. 91/156/CEE. Le limitazioni territoriali contenute negli atti impugnati sono illegittime in dipendenza dell'inammissibilita' d'un intervento della conferenza regionale e/o della stessa giunta in ordine alla compatibilita' ambientale dell'impianto che e' di competenza ministeriale. Inoltre il concetto di autosufficienza e di prossimita' di cui al citato art. 38 e alla predetta direttiva a cui pure la regione si era vincolata, sono stati erroneamente applicati dato che essi favoriscono le localizzazioni nell'ottica dell'autosmaltimento da intendersi a livello di gruppo industriale e non di singolo stabilimento. Si e' costituita la Regione che resiste e deduce l'inammissibilita' e l'infondatezza del gravame. Con ordinanza n. 69/1999 e' stata rigettata la prima istanza incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato. Con ordinanze nn. 104 e 432 del 2000 sono state accolte due successive domande di sospensione cautelare. Alla pubblica udienza del 17 gennaio 2002 il ricorso e' stato ritenuto per la decisione. B) Col ricorso n. 730/2000 la ricorrente societa' impugna l'autorizzazione all'esercizio rilasciata dal competente dirigente della Regione Basilicata nella parte in cui: a) ribadisce il divieto di smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale nell'impianto in questione ai sensi della l.r. n. 59/1995; b) impone che il programma di monitoraggio gia' approvato si svolga secondo modalita' operativa rispettose della tempistica definita nelle autorizzazioni gia' concesse per l'effettuazione delle prove a caldo; c) stabilisce che per le tipologie di rilevazioni non comprese in tali provvedimenti, le modalita' di acquisizione dei dati saranno definite, d'intesa con la Fenice, entro e non oltre 30 giorni dalla data della presente determinazione e che, in caso mancato accordo, le operazioni di smaltimento saranno sospese; d) chiarito che l'attivita' di termodistruzione sara' interrotta nei casi di cui al d.m. n. 124/2000 e dalle altre norme applicabili si stabilisce che, in caso di superamento, anche temporaneo, di uno o piu' parametri compresi nell'allegato "A", la ripresa dell'attivita' sara' autorizzata solo dopo la verifica dei dati rilevati ed il ripristino della condizione di normalita'. Si deducono i seguenti motivi: 1) incompetenza - invalidita' derivata - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3-bis della legge n. 441/1987, degli artt. 5, 11, 18, 26, 27 e 28 del d.lgs. n. 22/1997, dell'art. 5 del d.l. 7 settembre 1994, n.530 e d.m. Ambiente 29 settembre 1994, dell'art. 38 della legge n. 146/1994 e della direttiva del Consiglio n. 91/156/CEE, dell'art. 8 della legge n. 475/1988, del d.P.C.m. 10 agosto 1988, n.377, degli artt. 1 e 2 della legge n. 241/1990, del d.lgs. n. 152/1999 - eccesso di potere per sviamento - difetto di istruttoria - carenza e/o insufficienza della motivazione - contrasto con gli artt. 3, 11, 32, 41, 117 e 120 Costituzione. Si sostiene che la norma regionale applicata e' stata abrogata dalla riforma di cui c.d. decreto Ronchi del 1997 che non prevede il potere di limitare lo smaltimento di rifiuti industriali in ambito regionale. In subordine si osserva che la deroga al divieto prevista dall'art. 4 della citata legge regionale in relazione a determinazioni di autorita' statali si applica all'impianto de quo dato che nel 1991 il C.I.P.E. ha approvato il relativo contratto di programma e che inoltre sussistono le autorizzazioni dei Ministeri dell'ambiente (decreto V.I.A.) e dei beni culturali. Inoltre tale legge regionale non potrebbe comunque colpire impianti autorizzati prima della sua entrata in vigore e progettati in funzione di esigenze di piu' ampia scala. Ancora piu' in subordine si solleva eccezione di illegittimita' costituzionale della legge regionale in questione per contrasto con: - gli articoli 41 e 120 della Costituzione in quanto limiterebbe immotivatamente ed illogicamente la liberta' di iniziativa economica privata; - i principi fondamentali della legislazione statale fissati, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione ed in attuazione delle norme comunitarie, dagli artt. 5, 11, 18, e 26 del d.lgs. n. 22/1997 che prescrivono che lo smaltimento dei rifiuti si realizzi attraverso un sistema integrato e in uno degli impianti appropriati piu' vicini; - l'art. 11 della Costituzione per effetto del contrasto di cui al punto precedente; - l'art. 3 della Costituzione perche' la limitazione graverebbe sulle sole imprese esercitanti lo smaltimento nella regione Basilicata; - l'art. 32 della Costituzione per il danno alla salute che puo' scaturire dall'inosservanza del principio della "prossimita'" nello smaltimento. Si richiama poi la giurisprudenza costituzionale al riguardo e si precisa che la possibilita' di deroga al divieto prevista nella stessa legge regionale in questione non la rende costituzionale dato che in tal modo l'esercizio d'una attivita' imprenditoriale viene a dipendere dalla mera facolta' della p.a. svincolata da qualunque criterio predefinito e con e videnti profili, quindi, pure di irrazionalita'. 2) illegittimita' delle previsioni dei provvedimenti impugnati in tema di attivita' di monitoraggio. Benche' in tema di monitoraggio fossero gia' state definite le procedure, il dirigente, pur senza avere competenza in merito, ha imposto una tempistica dei rilevamenti in contrasto con le delibere di giunta, con le valutazioni dell'apposito comitato e le intese assunte con la ricorrente. Sarebbe pure illegittima l'ultima parte del punto 6 del dispositivo in quanto generica, priva di fondamento giuridico e meramente potestativa; 3) illegittimita' delle previsioni in tema di sospensione dell'autorizzazione all'esercizio. Quest'ultima previsione non e' prevista dalla legge ed e' comunque palesemente illogica e contraddittoria dato che rende responsabile l'impianto anche dell'eventuale superamento dei limiti di immissione oltre a quelli di emissione gia' previsti dalla V.I.A. e dal d.m. n. 124/2000. Illegittimo sarebbe pure il procedimento dettato in relazione alle conseguenze dei superamenti dei suddetti limiti dato che tende a sovrapporsi e a rinnovare la valutazione di impatto ambientale gia' operata. Infine, quanto al superamento dei limiti inerenti agli scarichi idrici, col provvedimento si trascura che la legge gia' prevede le conseguenze dell'eventuale superamento dei limiti di emissione. 4) illegittimita' per contraddittorieta' ed irrazionalita', contrasto con l'art. 97 Cost. Le limitazioni apposte all'importazione di rifiuti da fuori regione contraddice la logica che ha presieduto, col concorso della volonta' statale, alla progettazione dell'impianto in questione, dimensionato nell'ottica delle esigenze di autosmaltimento del gruppo FIAT con spese di realizzazione a tale finalita' proporzionate, ivi incluso il finanziamento pubblico conseguito; 5) illegittimita' per contraddittorieta', irrazionalita', contrasto con l'interesse pubblico, violazione dell'art. 97 Cost. sotto ulteriore profilo. Si rileva che le limitazioni in questione rischiano di far perdere alla ricorrente il finanziamento pubblico ricevuto e subordinato all'esito del precedente contenzioso in atto con la Regione. Si e' costituita la regione Basilicata che resiste e chiede il rigetto del gravame previo, in subordine, eventuale rinvio d'ufficio della citata legge regionale alla Corte costituzionale. Con ordinanza collegiale n. 433/2000 e' stata accolta l'istanza incidentale di sospensione cautelare del provvedimento impugnato. Alla pubblica udienza del 17 gennaio 2002 il ricorso e' stato ritenuto per la decisione. D i r i t t o A) Preliminarmente occorre disporre la riunione dei ricorsi in epigrafe stante l'evidente connessione fra gli stessi. B) In ambedue i ricorsi in esame viene censurata la previsione, contenuta sia negli atti impugnati col ricorso n. 766/1997 e sia in quelli impugnati col ricorso n. 730/2000, con cui l'Amministrazione Regionale ha vietato alla societa' ricorrente di effettuare, presso l'impianto in questione (forno rotante), lo smaltimento dei rifiuti (per una parte speciali e per altra parte tossici e nocivi non alogenati) di provenienza extraregionale (stabilimenti FIAT dell'Italia meridionale) ancorche' consentiti dal decreto ministeriale di V.I.A. del 17 dicembre 1993 (pur recepito dalla Regione) che ha giudicato l'impianto stesso idoneo a smaltire in modo ambientalmente compatibile detti rifiuti nei quantitativi ivi stabiliti. Le predette previsioni lesive della sfera giuridica della ricorrente sono state adottate nel vigore della legge regionale 31 agosto 1995, n. 59 ("Normativa sullo smaltimento dei rifiuti") il cui articolo 1 recita: "In attuazione del principio di prossimita' di cui alla direttiva n. 91/156 CEE nonche' dei poteri di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti attribuiti alla Regione dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1983, dalla legge n. 441/1987 e dalla legge n. 475/1988 e' fatto divieto a chiunque conduca sul territorio della Regione Basilicata impianti di smaltimento e/o di stoccaggio di rifiuti, anche in via provvisoria, di accogliere negli impianti medesimi rifiuti provenienti da altre regioni o nazioni". Nei successivi articoli, oltre a sanzioni a carico dei trasgressori del divieto (artt. 5, 6 e 7, quest'ultimo comportante la revoca dell'autorizzazione all'esercizio) si prevede pure la possibilita' di deroga al predetto divieto "previa autorizzazione della giunta regionale, sentita la provincia ed il comune interessato e previo parere della commissione consiliare competente" (art. 3). L'articolo 4, comma 1 prevede che la deroga in questione "puo'" essere concessa nei seguenti casi: - "attuazione di specifici accordi tra la regione ed altre pubbliche amministrazioni, enti ed imprese"; - "per determinazioni di autorita' statali a cio' competenti nei casi previsti dalla legge". Il secondo comma infine dispone che dette deroghe non si applicano alle discariche. Per mera completezza va aggiunto che successivamente, con l'art. 2, comma 2, della legge regionale della Basilicata 2 febbraio 2001, n. 6 (disciplina delle attivita' di gestione dei rifiuti ed approvazione del relativo piano) - estranea ai giudizi de quibus e' stata fatta salva la disciplina di cui alla legge regionale 31 agosto 1995, n. 59". Cio' precisato, il collegio ritiene che la guestione di costituzionalita' dell'art. 1, sopracitato che, con la presente ordinanza, si solleva, d'ufficio per il ricorso piu' anziano e in accoglimento dell'eccezione sollevata dalla ricorrente nell'altro ricorso, sia rilevante in ambedue i giudizi dato che, ad avviso del collegio, l'unico fondamento giuridico del divieto di importazione di rifiuti extraregionali sancito negli atti impugnati e' costituito appunto da detta norma regionale la cui eliminazione dall'ordinamento avrebbe come conseguenza il pieno accoglimento del primo gravame e l'accoglimento del secondo nella parte in cui si censura appunto la autonoma clausola lesiva recante il divieto. Giova comunque precisare che solo gli atti impugnati col ricorso piu' recente sono stati adottati nel vigore del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 novembre 1997). Il requisito della rilevanza della questione di costituzionalita' appare evidente in relazione al ricorso n. 766/1997 dato che, come si evince dalle censure riportate nei motivi riportati in fatto, nessuna di esse potrebbe trovare accoglimento se non venisse rimossa la normativa regionale di legge in parola. A tal proposito non puo' condurre a conclusioni diverse la circostanza dell'essere, i provvedimenti impugnati con detto gravame, privi d'un esplicito richiamo alla legge regionale n. 59/1995, dato che il vigore di guest'ultima, considerata la portata dei precetti nella stessa contenuti, rendeva sostanzialmente vincolato il pronunciamento del consiglio regionale e della giunta regionale sulla questione, a suo tempo stralciata e rimasta in sospeso in sede di approvazione del progetto, della possibilita' per la ricorrente di smaltire pure rifiuti di provenienza extra-regionale. La rilevanza della questione d'incostituzionalita' sussiste pure in relazione al ricorso n. 730/2000, avuto riguardo all'infondatezza delle censure relative al primo motivo descritte in fatto (pagg. 8-9). Quanto alla prospettata abrogazione della normativa regionale de qua da parte del c.d. decreto Ronchi, a parere del collegio la pura assenza di esplicita previsione, in detto decreto, del potere di limitare lo smaltimento dei rifiuti industriali in ambito regionale non comporta di per se' l'esistenza d'un divieto alle regioni di introdurre norme limitative della movimentazione, all'interno del territorio regionale, di tali tipologie di rifiuti. Inoltre, non vale sostenere l'applicabilita' dell'art. 4 della legge regionale in questione - che prevede deroghe al divieto in caso di "determinazioni di autorita' statali a cio' competenti nei casi previsti dalla legge" - dato che la deroga va appositamente richiesta, circostanza questa non verificatasi nella specie; cio' senza contare che comunque detta deroga scaturisce a conclusione d'un procedimento autorizzatorio a carattere discrezionale che vede l'apporto consultivo della provincia, del comune interessato e della competente commissione consiliare. Neppure infine puo' sostenersi l'illegittima applicazione in via retroattiva, nella specie, del divieto di legge regionale, atteso che, come si evince dal tenore letterale del citato art. 1, esso colpisce l'attivita' di smaltimento e/o di stoccaggio di rifiuti e quindi con riferimento pure agli impianti gia' esistenti al momento della sua entrata in vigore. C) In punto di diritto deve essere premesso che, gia' col d.P.R. n. 915/1982, il Legislatore, nel dare attuazione alle direttive emanate dal consiglio delle Comunita' europee (in particolare la n. 75/442 del 15 luglio 1975 relativa ai rifiuti e la n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi) ha sancito all'articolo 1 che lo smaltimento dei rifiuti (urbani, speciali e tossici e nocivi indicati nell'articolo 2) e' "attivita' di pubblico interesse" assoggettata alle disposizioni dello stesso decreto e all'osservanza di alcuni principi generali fra i quali occorre ricordare quelli inerenti l'esigenza di evitare ogni danno o pericolo per la salute umana, per l'ambiente e il paesaggio nonche', non meno rilevante, la promozione di sistemi tendenti a riciclare, riutilizzare i rifiuti o recuperare da essi materiali ed energia. Lo stesso decreto poi, nel ripartire fra lo Stato e le regioni le competenze in materia, assegna al primo, in particolare, compiti di indirizzo, promozione, consulenza e coordinamento delle attivita' connesse con, l'attuazione di detta normativa nonche' la delineazione di criteri generali sui metodi di smaltimento sulle zone di ubicazione degli impianti, in ordine al rilascio delle autorizzazioni per lo smaltimento dei rifiuti tossici nocivi e all'assimilabilita' dei rifiuti speciali a quelli urbani nonche' il coordinamento dei piani regionali di smaltimento dei rifiuti (art. 4). Alle regioni compete invece l'elaborazione dei piani di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti recanti previsione, fra l'altro, di tipi, e quantitativi di rifiuti da smaltire, dei metodi di trattamento, le zone, le piattaforme specializzate per i rifiuti tossici e nocivi, etc. nonche' l'emanazione di norme integrative e di attuazione del decreto per l'organizzazione dei servizi di smaltimento e le procedure di controllo e di autorizzazione (art.6). La successiva direttiva n. 91/156/CEE del 18 marzo 1991 si e' a sua volta mossa da un lato nel senso d'una conferma delle linee di tendenza del citato d.P.R. (per quel che piu' concerne la fattispecie di causa rilevano gli articoli 3 e 4 che, fra l'altro, favoriscono il recupero di rifiuti o l'uso di rifiuti come fonte di energia e ribadiscono la necessita' che recupero o smaltimento non comportino pericolo per la salute o pregiudizio per l'ambiente). Dall'altro lato, con l'articolo 5, si e' stabilito che gli stati mirino a creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento che tenga conto delle tecnologie piu' perfezionate e cio' al fine di consentire alla comunita' di raggiungere l'autosufficienza in materia di smaltimento di rifiuti e ai singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo, "tenendo conto del contesto geografico o della necessita' di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti" inoltre tale rete dove permettere lo smaltimento "in uno degli impianti appropriati piu' vicini grazie all'utilizzazione dei metodi e delle tecnologie piu' idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica". L'articolo 7 dispone poi che, per realizzare gli obiettivi predetti, le autorita' designate dallo Stato per attuare la direttiva devono elaborare "quanto prima" piani di gestione dei rifiuti. Con la successiva entrata in vigore del decreto legislativo n. 22/1997 si e' data attuazione, nell'esercizio della delega conferita, alla gia' menzionata direttiva n. 91/156 ed alla n. 91/689 sui rifiuti pericolosi stabilendo che le regioni avrebbero regolato la materia disciplinata nel decreto nel rispetto delle disposizioni in esso contenute costituenti "principi fonda mentali della legislazione statale ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Costituzione" (art. 1 comma 2). Dopo avere ribadito all'art. 2 le finalita' indicate nella direttiva e nel decreto del Presidente della Repubblica del 1982 (gestione dei rifiuti come attivita' di pubblico interesse, perseguimento d'una elevata protezione dell'ambiente tenendo conto della specificita' dei rifiuti pericolosi; assenza, nel corso dello smaltimento o del recupero, di pericoli e rischi per la salute e per l'ambiente) l'articolo 5 dispone al comma 3 che lo smaltimento e' attuato mediante una rete integrata ed adeguata di impianti che tenga conto delle tecnologie piu' perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi onde: a) realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali; b) permettere lo smaltimento in uno degli "impianti appropriati piu' vicini, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geogratico o della necessita' di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti"; c) utilizzare metodi e tecnologie piu' idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica. Negli articoli 18 e 19 si conferma poi il riparto di competenze fra lo Stato e le regioni gia' delineato col decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982 e anzi, si sottolinea che spetta allo stato la definizione dei criteri generali e delle metodologie per la gestione integrata dei rifiuti, nonche' l'individuazione dei fabbisogni per lo smaltimento dei rifiuti sanitari, anche al fine di ridurne la motivazione (art. 18, comma 1, lett. b d.lgs. n. 22/1997). Gli artt. 11 e 26 hanno poi a loro volta previsto un catasto dei rifiuti, preordinato ad agevolare la pianificazione delle attivita' di gestione ed un osservatorio nazionale, a sua volta impiegato, tra l'altro, per elaborare ed aggiornare criteri ed obiettivi d'azione. Infine, l'art. 22, nel disciplinare i piani regionali di gestione dei rifiuti stabilisce che, fra l'altro, gli stessi prevedono il complesso delle attivita' e dei fabbisogni degli impianti necessari "...ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione delle movimentazioni dei rifiuti" (comma 3, lett. c). D) La norma regionale della cui costituzionalita' questo tribunale dubita si presta a piu' censure, sia con riferimento al periodo precedente al decreto Ronchi, sia dopo l'entrata in vigore di quest'ultima legislazione statale. E' anzitutto ipotizzabile il contrasto con l'art. 117 della Costituzione per, violazione dei principi fondamentali della legislazione statale contenuti prima negli artt. 1, 4 e 6 del d.P.R. n. 915/1982 e poi negli artt. 1, 5, 11, 18, 19 e 26 del decreto Ronchi; a cio' puo' aggiungersi la violazione dell'art. 11 della Costituzione dato che i predetti principi fondamentali scaturiscono dal recepimento di norme comunitarie. Il Collegio non trascura di considerare che, in corso di giudizio, e' entrata in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" la quale, all'art. 3. ha sostituito l'intero testo dell'art. 117 della Costituzione. Ora, in base al nuovo testo del comma 2 di quest'ultimo articolo, la "tutela dell'ambiente" e "dell'ecosistema" e' stata riservata alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato, con definitiva impossibilita' per le regioni di poter legiferare in materia di tutela dell'ambiente dal rischio di inquinamento come si e' fatto appunto con la normativa regionale de qua in relazione ai rifiuti. Le regioni hanno infatti, alla luce della nuova norma costituzionale, conservato potesta' legislativa concorrente, con riferimento all'ambiente, esclusivamente in relazione alla "valorizzazione" dei beni "ambientali". L'eccezione de qua deve pertanto essere sollevata in relazione a tale nuovo parametro costituzionale la cui portata - anche sul piano letterale - assolutamente univoca e' evidentemente tale da condurre ad un giudizio di non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale della norma regionale atteso che in subiecta materia risulta sottratta alla Regione anche la potesta' regolamentare, salvo delega da parte dello Stato. In ogni caso, ritiene il collegio che, la giuirisprudenza costituzionale ormai formatasi nella materia dei divieti, imposti con leggi regionali, di smaltimento in ambito regionale di rifiuti di provenienza extra-regionale (cfr. n. 96/1998 in tema di rifiuti urbani; n. 281/2000 in tema di rifiuti speciali tossici e nocivi; n. 335/2001 in tema di rifiuti speciali) ha ormai chiarito che, alla luce del principio dell'autosufficienza (cfr. art. 5 direttiva n. 91/156 e art. 5 comma 3 lett. a) del decreto n. 22/1997), il divieto in questione e' applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi nonche' ai rifiuti speciali assimilabili ai primi. Rispetto a tali tipologie di rifiuti "l'ambito territoriale ottimale per lo smaltimento" e' considerato "logicamente limitato e predeterminabile in relazione ai luoghi di produzione" e coincide di regola col territorio provinciale, onde garantire al suo interno l'autosufficienza dello smaltimento (cfr. artt. 22 comma 3 lett. b) e c) e 23 d.lgs. n.22/1997). Viceversa, con le due piu' recenti richiamate pronunce, la Corte ha chiarito che il principio dell'autosmaltimento locale col connesso divieto di conferimento di rifiuti extraregionali non puo' valere ne' per quelli "pericolosi" (ivi inclusi quelli che gia' il decreto del Presidente della Repubblica del 1982 definiva "tossici e nocivi") ne' per quelli "speciali" non pericolosi (che nella fattispecie oggetto dei giudizi in epigrafe hanno natura industriale). Quanto ai primi e' indubbio che, alla luce del principio desumibile dai citati artt. 5 della direttiva e 5, comma 3, lett. b) e c) del decreto n. 22, le caratteristiche della pericolosita' prevalgano su quelle del luogo di produzione per cui per il loro smaltimento e' prioritaria l'esigenza di impianti appropriati e specializzati e di tecnologie idonee che mal si concilia con una rigida predeterminazione di ambiti territoriali ottimali e con la previsione di autosufficienza locale nello smaltimento. Con la sentenza n. 281/2000 e' stato rilevato che non appare logicamente predeterminabile in questo caso un ambito territoriale ottimale, quale per esempio quello regionale, sia perche' la produzione di rifiuti pericolosi, di norma derivante da processi industriali, si lega a localizzazioni spesso disomogenee e non facilmente prevedibili; inoltre impianti cosi' specializzati comportano problematiche di scelta di siti idonei e oneri, non ultimi quelli economici, particolarmente gravosi per la loro costruzione in ispecie, per stare al caso in esame, per effetto delle tecnologie utilizzate la cui complessita' e' in gran parte connessa proprio alla soddisfazione delle doverose esigenze di rispetto della compatibilita' ambientale dell'impianto. Non a caso del resto lo Stato, in questa materia, si e' riservata la competenza a definire i criteri generali e le norme tecniche di gestione (art. 4 decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982 e l8 comma 1 lett. b comma 2 lett. a). Il criterio della prossimita' (richiamato nella norma regionale della cui costituzionalita' si dubita), in questo ordine di idee, finisce per integrare si' quello della specializzazione ma in un'ottica piu' relativa, nel senso cioe' che la movimentazione dei rifiuti - di per se' certo non consigliabile - puo' essere ridotta solo nei limiti del possibile. Cio' detto e avuto riguardo anche alla prioritaria esigenza di protezione della salute pubblica e dell'ambiente nel corso della gestione dei rifiuti recepita nelle sopraenunciate disposizioni di legge statale puo' quindi, secondo il collegio, dubitarsi della legittimita' costituzionale della norma regionale de qua anche in relazione alla lesione del diritto alla salute, da intendersi anche come diritto alla salubrita' dell'ambiente, di cui all'art. 32 della Costituzione, dato che la chiusura dei confini regionali favorisce la possibilita' che rifiuti pericolosi di altre regioni trovino forme di smaltimento non ambientalmente compatibili ovvero vengano accumulati o depositati in aree inidonee. Relativamente ai rifiuti speciali, come risulta dalla recente sentenza costituzionale n. 335 del 19 ottobre 2001, possono estendersi quasi integralmente le medesime considerazioni spese per i rifiuti pericolosi in rapporto ai gia' illustrati profili di possibile incostituzionalita'. Infatti, l'estrema varieta' tipologica dei rifiuti speciali (cfr. art. 7 decreto n. 22/1997), strettamente dipendente dall'eterogeneita' delle attivita' che li originano, rendendo non omogenea sul territorio, ne' predeterminabile, la distribuzione sul territorio degli stessi ne' le caratteristiche di qualita' e quantita', finisce per imporre anche in questo caso la necessita' dell'impiego di impianti di smaltimento appropriati o addirittura specializzati, come si evince dal citato art. 5 comma 3 lett. b) del decreto n. 22/1997 che sul punto ha confermato il precedente decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982. Poiche' anche in questo caso ne' le norme statali ne' quelle comunitarie hanno predeterminato un ambito territoriale ottimale preordinato ad un obiettivo di autosmaltimento, il divieto regionale in esame appare quindi illogico potendo limitare il conferimento di detti rifiuti agli impianti appropriati piu' vicini come richiesto dal gia' citato art. 5, comma 3 lett. b del decreto Ronchi e dall'art. 5 della direttiva n. 91/156/CEE. Il fatto poi che la legge regionale della Basilicata n. 59/1995 preveda, in altri articoli, limitate possibilita' di deroga (fra cui una legata a "specifici accordi" tra la Regione ed Imprese, altri enti ed altre pubbliche amministrazioni) al divieto dietro autorizzazione della Giunta, non sembra attenuare il contrasto con la Costituzione dato che tali, limitate aperture - oltretutto soggette alla mera discrezionalita' dell'amministrazione regionale - ad un ordinario regime di blocco delle importazioni da altre regioni per di piu' posto in essere in assenza d'un piano di gestione dei rifiuti diversi da quelli urbani (cfr. art. 6 del d.P.R. n. 915/1982 e art. 22 d.lgs. n. 22/1997) - non incrinano la sostanziale sottrazione di principio del territorio regionale al perseguimento, da parte dello Stato, delle finalita' indicate prima nell'art. 1 del d.P.R. n. 915/1982 e poi dall'art. 2 del decreto Ronchi, e cio' onde assicurarne la soddisfazione, in virtu' d'una organizzazione anche nazionale delle attivita' di smaltimento (art. 4 lett. h) e 6 lett. b) del d.P.R. n. 915/1982 e 5, 11, 18 e 26 del decreto Ronchi), in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, senza penalizzazioni per quelle regioni produttrici di rifiuti in misura superiore alle proprie capacita' di smaltimento. Sempre infine - e conclusivamente - quanto alla violazione dell'art. 117 Cost. non puo' trascurarsi che il divieto colpisce pure impianti, come quello de quo, che, attraverso la termodistruzione dei rifiuti, recuperano energia e cio' in contrasto col diffuso favor rinvenibile, nelle norme statali di principio sopra indicate, proprio per la produzione energetica cosi' conseguita. Ulteriori profili di illegittimita' costituzionale, secondo il collegio, devono poi essere sollevati in relazione ai parametri di cui agli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione atteso che la norma regionale censurata, rispettivamente: introduce un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti l'attivita' di smaltimento dei rifiuti nella Regione Basilicata rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale; restringe la liberta' di iniziativa economica in assenza di concrete possibilita' di danno alla sicurezza, alla liberta' e alla dignita' umana che dall'attivita' di smaltimento controllato e ambientalmente compatibile dei rifiuti puo' scaturire; anzi, essendo lo smaltimento di rifiuti, al contempo, attivita' di pubblico interesse ed attivita' economica d'impresa si impedisce che la stessa possa essere indirizzata e coordinata pienamente a fini sociali; introduce un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario ambientale (cfr. Corte cost. 19 ottobre 2001 n.335), e cio' in contrasto pure con la normativa comunitaria che, considerando il rifiuto pur sempre un "prodotto" ritiene che debba fruire, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale liberta' di circolazione delle merci (cfr. Corte cost. n. 335/2001 cit.). Nell'ottica di quanto prima osservato in relazione all'art. 117 Cost., l'eccezione va sollevata pure in relazione al nuovo testo dell'art. 120 entrato nel frattempo in vigore con la recente modifica costituzionale. Quest'ultimo (introdotto con l'art. 6 della riforma) ha infatti ribadito tutte le disposizioni comprese nel testo previgente e, in piu', ha previsto per il Governo il potere di sostituirsi anche agli organi delle regioni "nel caso di mancato rispetto della normativa comunitaria ovvero ... quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica ... prescindendo dai confini territoriali dei governi locali".