ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge
della   Regione   Lombardia   9 maggio  1992,  n. 20  (Norme  per  la
realizzazione  di  edifici  di  culto  e  di attrezzature destinate a
servizi  religiosi), promosso con ordinanza emessa il 4 dicembre 2001
dal  Tribunale  amministrativo regionale della Lombardia, iscritta al
n. 88  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 11 dell'anno 2002.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 giugno 2002 il giudice
relatore Valerio Onida.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  promosso dalla Congregazione
cristiana dei Testimoni di Geova per l'annullamento del provvedimento
del  17 agosto  1995  con  il quale il comune di Cremona aveva negato
alla  ricorrente  l'assegnazione  di  contributi previsti dalla legge
della   Regione   Lombardia   9 maggio  1992,  n. 20  (Norme  per  la
realizzazione  di  edifici  di  culto  e  di attrezzature destinate a
servizi  religiosi),  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Lombardia, con ordinanza depositata il 4 dicembre 2001 e pervenuta il
4 febbraio    2002,    ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale,  in riferimento agli artt. 8, primo comma, e 19 della
Costituzione, dell'art. 1 della legge regionale indicata, nella parte
in   cui   subordina   la   corresponsione   dei  contributi  per  la
realizzazione  di  attrezzature  destinate  a  servizi religiosi alla
condizione  che  la confessione interessata abbia chiesto ed ottenuto
la  regolamentazione  dei  propri rapporti con lo Stato sulla base di
una intesa ai sensi dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione.
    Premette  il  giudice a quo che la Congregazione dei Testimoni di
Geova  aveva  avanzato  l'istanza al comune di Cremona richiamando il
principio, affermato da questa Corte nella sentenza n. 195 del 1993 -
che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale di analoga norma
contenuta  nella  legge della Regione Abruzzo 16 marzo 1988, n. 29 -,
secondo  il  quale  la corresponsione dei contributi in questione non
puo'  essere subordinata dalle leggi regionali alla condizione che le
confessioni  religiose  che  ne facciano richiesta abbiano regolato i
loro  rapporti  con  lo  Stato mediante intese, ai sensi dell'art. 8,
terzo comma, Cost. L'amministrazione comunale aveva pero' respinto la
domanda,  escludendo  che  il principio affermato in quella sentenza,
resa  in riferimento alla legge n. 29 del 1988 della Regione Abruzzo,
in  difetto  di  espressa  statuizione della Corte potesse applicarsi
alla legge della Regione Lombardia, rilevante nel caso in esame.
    L'autorita'  remittente,  dopo  aver  delineato  i  caratteri del
sistema  di controllo di costituzionalita' delle leggi definito dagli
artt. 134  e  138  (recte:  137)  della  Costituzione,  1 della legge
costituzionale  9 febbraio  1948,  n. 1,  nonche'  dall'art. 27 della
legge   11 marzo  1953,  n. 87,  ha  escluso  di  poter  essa  stessa
disapplicare  -  come  richiesto  dalla  ricorrente  -  per motivi di
giustizia  sostanziale  o  di economia processuale, norme legislative
vigenti,    ancorche'   palesemente   in   contrasto   con   precetti
costituzionali,    contrasto   emergente   dalla   gia'   intervenuta
dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale  di  disposizioni
analoghe  a quelle da applicare nel giudizio a quo, essendo riservata
a  questa  Corte  la declaratoria di illegittimita' costituzionale in
via  consequenziale  anche  delle  disposizioni  analoghe, esecutive,
confermative, applicative o ripetitive.
    La questione e' rilevante, ad avviso del giudice a quo, in quanto
il  giudizio  in  corso, avendo ad oggetto la sussistenza del diritto
soggettivo  della  ricorrente  alla  corresponsione dei contributi in
discorso,  non puo' essere deciso indipendentemente dalla risoluzione
del  dubbio  di  costituzionalita'  che  investe l'art. 1 della legge
della Regione Lombardia n. 20 del 1992, direttamente applicabile alla
fattispecie.
    Ne'  rileverebbe  la  circostanza  che  la  ricorrente  invochi a
sostegno  della  propria  pretesa  il  fatto  che  altri comuni della
Regione    Lombardia   abbiano   riconosciuto   i   contributi   alla
Congregazione  dei  Testimoni di Geova, disapplicando la disposizione
della  legge  regionale,  dal  momento  che nella specie non potrebbe
configurarsi  una  illegittimita'  del  provvedimento  impugnato  per
contrasto con precedenti provvedimenti, sia perche' si tratta di atti
emanati  da  amministrazioni diverse, sia in quanto l'errore compiuto
in  passato  non potrebbe essere invocato per giustificare altri atti
illegittimi o per invocare una pretesa disparita' di trattamento.
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza della questione, secondo
il  remittente  essa  si  ricaverebbe  ictu oculi da quanto affermato
dalla  citata  sentenza di questa Corte n. 195 del 1993. Il principio
costituzionale   di  eguaglianza  e  di  liberta'  delle  confessioni
religiose,  introdotto  dall'art. 8, primo comma, della Costituzione,
impedirebbe  di  emanare  norme  che  escludano  da  contribuzioni le
confessioni  religiose che non abbiano regolato i propri rapporti con
lo  Stato  mediante  le  intese  di cui al successivo terzo comma. Si
richiamano,  della  predetta sentenza costituzionale, le affermazioni
secondo cui "tutte le confessioni religiose" di cui all'art. 8, primo
comma  "sono  idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro
appartenenti",    e   la   circostanza   dell'avvenuta   stipulazione
dell'intesa  con  lo  Stato "non puo' quindi costituire l'elemento di
discriminazione  nell'applicazione  di  una  disciplina, posta da una
legge  comune,  volta  ad  agevolare  l'esercizio  di  un  diritto di
liberta'  dei  cittadini";  e,  ancora,  "gli interventi pubblici" in
questione  "vengono  ad incidere positivamente proprio sull'esercizio
in  concreto  del  diritto  fondamentale e inviolabile della liberta'
religiosa ed in particolare sul diritto di professare la propria fede
religiosa"  e  di  "esercitarne  in  privato o in pubblico il culto",
conseguendone  che  "qualsiasi  discriminazione  in  danno dell'una o
dell'altra  fede  religiosa  e'  costituzionalmente  inammissibile in
quanto  contrasta  con  il  diritto di liberta' e con il principio di
uguaglianza";  "finalita'  ed effetto" della legge essendo quelli "di
facilitare  l'esercizio  del  culto,  l'agevolazione  non puo' essere
subordinata  alla  condizione  che  il  culto  si  riferisca  ad  una
confessione   religiosa   la   quale  abbia  chiesto  e  ottenuto  la
regolamentazione   dei   propri   rapporti  con  lo  Stato  ai  sensi
dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione".
    Il  fatto che una confessione religiosa non abbia concluso con lo
Stato  una  siffatta intesa, pertanto, non potrebbe costituire motivo
di discriminazione, dal momento che la differenziazione violerebbe il
principio  della  parita'  di  trattamento e della eguale liberta' di
culto   sancito  dallo  stesso  art. 8  della  Costituzione,  recando
pregiudizio  all'esercizio  del  diritto fondamentale e inviolabile a
professare  la  propria  fede religiosa, stabilito dall'art. 19 della
Costituzione.
    2.  -  Non  vi  e' stata costituzione di parti ne' intervento del
Presidente della giunta regionale.

                       Considerato in diritto

    1.   -   La  questione  sollevata  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Lombardia  investe  l'art. 1  della legge regionale
della  Lombardia  9 maggio 1992, n. 20 (Norme per la realizzazione di
edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi). La
disposizione in esame indica come finalita' della legge la promozione
della  "realizzazione  di  attrezzature di interesse comune destinati
[rectius:  destinate]  a  servizi  religiosi, da effettuarsi da parte
degli  enti  istituzionalmente  competenti  in materia di culto della
Chiesa cattolica, e delle altre confessioni religiose, i cui rapporti
con  lo  Stato  siano  disciplinati  ai  sensi dell'articolo 8, terzo
comma,  della  Costituzione"  -  vale  a  dire da leggi sulla base di
intese  con  le  relative  rappresentanze  -  "e che gia' abbiano una
presenza  organizzata  nell'ambito  dei  comuni  ove  potranno essere
realizzati  gli interventi" previsti. I successivi articoli precisano
quali  attrezzature di interesse comune per servizi religiosi possono
essere  finanziate  (immobili destinati al culto o all'abitazione dei
ministri  del  culto  e  del personale di servizio, o ad attivita' di
formazione  religiosa; immobili adibiti, nell'esercizio del ministero
pastorale,  ad  attivita' educative, culturali, sociali, ricreative e
di ristoro, che non abbiano fini di lucro: art. 2); prevedono che gli
strumenti  urbanistici  generali  individuino  le  aree  destinate ad
attrezzature religiose, riservando ad esse una dotazione di aree pari
almeno   al   25   per  cento  di  quella  complessiva  destinata  ad
attrezzature  di interesse comune (art. 3); disciplinano l'erogazione
di contributi, a valere su un apposito fondo alimentato da una quota,
pari  almeno  all'8  per  cento,  delle  somme  riscosse per oneri di
urbanizzazione  secondaria,  contributi  che  sono  ripartiti  fra le
confessioni  religiose  che  ne  facciano richiesta "e che abbiano le
caratteristiche di cui al precedente articolo 1" (art. 4).
    La  disposizione  impugnata e' censurata invocando le ragioni che
condussero  questa  Corte  a  dichiarare,  con la sentenza n. 195 del
1993,  la  illegittimita' costituzionale parziale di un'analoga legge
della  Regione  Abruzzo  (sentenza  che,  correttamente, il Tribunale
amministrativo  regionale esclude possa estendere i suoi effetti alla
legge lombarda): il condizionare l'erogazione dei contributi a favore
delle  confessioni religiose al requisito dell'avere queste stipulato
un'intesa  con  lo  Stato  ai  sensi  dell'art. 8, terzo comma, della
Costituzione  e'  in contrasto, secondo il remittente, con i principi
di  eguale  liberta' delle confessioni (art. 8, primo comma, Cost.) e
di  liberta'  di  esercizio del culto (art. 19 Cost.), liberta' sulla
quale gli interventi pubblici in questione incidono positivamente.
    La  censura  investe  dunque,  piu'  precisamente,  quella  parte
dell'art. 1  della  legge  impugnata  che  pone  come  requisito, che
debbono possedere le confessioni religiose per ottenere i contributi,
l'essere  i  loro  rapporti  con  lo  Stato  "disciplinati  ai  sensi
dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione".
    2. - La questione e' fondata.
    Gia'  nella  sentenza  n. 195  del  1993 questa Corte, giudicando
sulla legittimita' costituzionale di una legge della Regione Abruzzo,
dichiaro' che "un intervento generale ed autonomo dei pubblici poteri
che  trova  la  sua ragione e giustificazione - propria della materia
urbanistica - nell'esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed
armonico  dei  centri  abitativi e nella realizzazione dei servizi di
interesse  pubblico  nella  loro  piu' ampia accezione, che comprende
percio' anche i servizi religiosi", ed ha l'effetto di facilitare "le
attivita'  di culto, che rappresentano un'estrinsecazione del diritto
fondamentale  ed  inviolabile  della  liberta'  religiosa",  non puo'
introdurre  come  elemento  di  discriminazione  fra  le  confessioni
religiose  che  aspirano ad usufruirne, avendone gli altri requisiti,
l'esistenza  di  un'intesa  per  la  regolazione  dei  rapporti della
confessione con lo Stato.
    Tale  ragione di incostituzionalita' trova applicazione anche nel
presente  giudizio.  Le  intese  di cui all'art. 8, terzo comma, sono
infatti  lo  strumento previsto dalla Costituzione per la regolazione
dei rapporti delle confessioni religiose con lo Stato per gli aspetti
che  si  collegano  alle specificita' delle singole confessioni o che
richiedono  deroghe al diritto comune: non sono e non possono essere,
invece,  una  condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni
per  usufruire  della  liberta'  di  organizzazione e di azione, loro
garantita  dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8, ne' per
usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose.
    Cio'  e'  tanto  piu'  vero in una situazione normativa in cui la
stipulazione  delle  intese e' rimessa non solo alla iniziativa delle
confessioni   interessate   (le  quali  potrebbero  anche  non  voler
ricorrere ad esse, avvalendosi solo del generale regime di liberta' e
delle  regole  comuni  stabilite  dalle  leggi),  ma anche, per altro
verso,  al  consenso  prima del Governo - che non e' vincolato oggi a
norme  specifiche  per  quanto riguarda l'obbligo, su richiesta della
confessione,  di  negoziare  e  di  stipulare  l'intesa  -  e poi del
Parlamento,  cui  spetta  deliberare  le  leggi che, sulla base delle
intese, regolano i rapporti delle confessioni religiose con lo Stato.
    Vale  dunque  in proposito il divieto di discriminazione, sancito
in generale dall'art. 3 della Costituzione e ribadito, per quanto qui
interessa,   dall'art. 8,  primo  comma.  Ne  risulterebbe,  in  caso
contrario,  violata  anche  l'eguaglianza  dei  singoli nel godimento
effettivo  della  liberta'  di  culto, di cui l'eguale liberta' delle
confessioni  di  organizzarsi  e di operare rappresenta la proiezione
necessaria   sul  piano  comunitario,  e  sulla  quale  esercita  una
evidente, ancorche' indiretta influenza la possibilita' delle diverse
confessioni  di  accedere  a  benefici economici come quelli previsti
dalla legge in esame.
    3.   -  Nemmeno  si  potrebbe  ritenere  che  -  data  l'assenza,
nell'ordinamento,  di  criteri  legali  precisi  che  definiscano  le
"confessioni  religiose"  -  il riferimento all'esistenza dell'intesa
possa   valere   come  elemento  oggettivo  di  qualificazione  delle
organizzazioni   richiedenti,   atto  a  distinguere  le  confessioni
religiose   da   diversi   fenomeni  di  organizzazione  sociale  che
pretendessero tuttavia di accedere ai benefici.
    E'  bensi'  vero  che siffatto problema di qualificazione si pone
sia   in   sede  di  applicazione  dell'art. 8,  terzo  comma,  della
Costituzione, ai fini di identificare i soggetti che possono chiedere
di stipulare le intese, sia in sede di applicazione, amministrativa o
giurisprudenziale, di ogni altra norma che abbia come destinatarie le
confessioni  religiose. Ma cio' non significa che si possa confondere
tale  problema qualificatorio - che puo' essere, in concreto, di piu'
o   meno  difficile  soluzione  -  con  un  requisito,  quello  della
stipulazione   di  intese,  che  presuppone  bensi'  la  qualita'  di
confessione religiosa, ma non si identifica con essa.
    Nella  specie,  da un lato, possono valere i diversi criteri, non
vincolati  alla semplice autoqualificazione (cfr. sentenza n. 467 del
1992),   che   nell'esperienza   giuridica   vengono  utilizzati  per
distinguere  le confessioni religiose da altre organizzazioni sociali
(ed  e'  ben noto come vi siano confessioni, pur prive di intesa, che
hanno  pero'  ottenuto diverse forme di riconoscimento: cfr. sentenza
n. 195  del  1993  e ordinanza n. 379 del 2001); dall'altro lato, dal
punto  di  vista  pratico,  vale  la  considerazione che il beneficio
previsto  riguarda comunque (e continuera' a riguardare anche dopo la
dichiarazione   di   parziale   incostituzionalita'  derivante  dalla
presente  pronunzia)  solo  le  confessioni che "abbiano una presenza
organizzata nell'ambito dei comuni ove potranno essere realizzati gli
interventi  previsti"  dalla  legge  stessa, e potra' essere concesso
solo in relazione alla realizzazione delle "attrezzature di interesse
comune per servizi religiosi", definite nell'art. 2 della legge.
    4.  -  La norma impugnata, nella parte che introduce il requisito
della  disciplina  sulla  base di intesa, ai sensi dell'art. 8, terzo
comma,  della  Costituzione,  dei rapporti con lo Stato delle singole
confessioni  religiose,  ai  fini  di  poter  usufruire  dei benefici
previsti,    deve   essere   dunque   dichiarata   costituzionalmente
illegittima. Non e' necessario invece estendere tale dichiarazione di
illegittimita'  al  disposto  dell'art. 4, comma 2, della legge, che,
facendo rinvio alle "caratteristiche di cui al precedente art. 1" per
identificare  le confessioni richiedenti aventi titolo ai contributi,
si  conforma  automaticamente alla nuova portata dell'art. 1 medesimo
risultante dalla presente pronunzia.