ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 6, commi 1
e   1-bis,  della  legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione  del
patrocinio  a  spese dello Stato per i non abbienti), come modificati
dalla  legge  29 marzo  2001,  n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio
1990,  n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato
per  i  non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 2001
dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il Tribunale di
Brescia,  iscritta al n. 790 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 40, 1a serie speciale,
dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 maggio 2002 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.
    Ritenuto  che  il  giudice  per le indagini preliminari presso il
Tribunale  di  Brescia  - chiamato, in sede di udienza preliminare, a
decidere  su  un'istanza  di  ammissione  al patrocinio a spese dello
Stato  presentata  da  un  imputato  del  reato  di  bancarotta - con
ordinanza  in  data  7 giugno 2001, ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 97 e 111, primo (recte: sesto) comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 6,  commi  1 e
1-bis, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio
a  spese dello Stato per i non abbienti), come modificati dalla legge
29 marzo  2001,  n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217,
recante  istituzione  del  patrocinio  a  spese dello Stato per i non
abbienti),  "nella  parte  in  cui  stabiliscono,  a pena di nullita'
assoluta  ai  sensi  dell'art. 179,  comma 2, del codice di procedura
penale,   che   il  giudice  decida  sull'istanza  di  ammissione  al
patrocinio a spese dello Stato anche quando lo stesso ha richiesto le
informazioni  di  cui  all'art. 1,  commi 9-bis e 9-ter, della stessa
legge";
        che il remittente, dopo avere precisato di avere disposto, ai
sensi  del  comma  9-bis,  dell'art. 1  della  legge n. 217 del 1990,
introdotto  dalla  legge  n. 134 del 2001, accertamenti a mezzo della
Guardia  di  finanza  in ordine alle condizioni personali e familiari
dell'istante,  osserva  che  il  comma 1-bis, dell'art. 6 della legge
n. 217  del 1990, pure introdotto dalla legge n. 134 del 2001, impone
anche   in  questo  caso,  a  pena  di  nullita'  assoluta  ai  sensi
dell'art. 179, comma 2, cod. proc. pen., di provvedere in ordine alla
istanza  di  ammissione  al  beneficio  nei dieci giorni successivi a
quello  in cui e' presentata o pervenuta, ovvero immediatamente se la
stessa e' presentata in udienza e, quindi, prima di conoscere l'esito
delle  richieste  informazioni,  fatta  salva  la possibilita' per il
giudice  di  revocare  il  provvedimento ammissivo una volta che tali
accertamenti  dimostrino  che le condizioni economiche e patrimoniali
dell'istante siano incompatibili con l'ottenuto beneficio;
        che, ad avviso del giudice a quo, la previsione della massima
sanzione processuale quale conseguenza dell'inosservanza da parte del
giudice dei termini citati violerebbe il canone della ragionevolezza,
poiche',  da  un  lato,  le disposizioni censurate non preciserebbero
quali  siano gli atti che tale inosservanza renderebbe insanabilmente
nulli,  e,  dall'altro,  per  altre  ipotesi (ad es., quelle previste
dagli  artt. 299,  commi  3  e  4,  e 392 cod. proc. pen.) di mancato
rispetto   di   termini   fissati   dalla  legge  per  l'adozione  di
provvedimenti  giudiziari che inciderebbero su valori ed interessi di
rango  ben piu' elevato rispetto a quelli tutelati dalla legge n. 217
del 1990, non sarebbe prevista alcuna sanzione;
        che   il   remittente   ravvisa   un   ulteriore  profilo  di
irragionevolezza   nella  ingiustificata  disparita'  di  trattamento
rispetto  alla ipotesi disciplinata dall'art. 5, comma 5, della legge
n. 217  del  1990,  come  modificato  dalla  legge  n. 134  del 2001,
disposizione  che,  prevedendo  la  possibilita'  per  il  giudice di
invitare  l'istante  a  produrre  la  documentazione  necessaria  per
accertare   la   veridicita'   delle  dichiarazioni  contenute  nella
richiesta  di  ammissione al patrocinio a spese dello Stato, andrebbe
interpretata nel senso che, in questa evenienza, il giudice, prima di
provvedere,  potrebbe  attendere  di  ricevere  la  documentazione ed
esaminarla  senza  essere  vincolato  al  rispetto dei termini di cui
all'art. 6, comma 1;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate
sarebbero  in  contrasto  anche  con  l'art. 111,  sesto comma, della
Costituzione,  in  quanto  il giudice, essendo tenuto a rispettare il
termine  perentorio  impostogli  anche nel caso in cui abbia disposto
accertamenti,  si  troverebbe  di  fatto  nella  condizione di potere
valutare  soltanto  l'ammissibilita' dell'istanza, mentre, per quanto
attiene  al  merito,  non  potrebbe che recepire acriticamente quanto
attestato  dall'istante, e, in tal modo non soltanto non potrebbe mai
adottare  un provvedimento di rigetto, ma in caso di accoglimento non
potrebbe corredare la sua decisione di una idonea motivazione;
        che,  infine,  la  disciplina  dettata  dalle norme impugnate
violerebbe  l'art. 97 della Costituzione, in quanto, in caso di esito
positivo  delle  verifiche disposte dal giudice ai sensi dell'art. 1,
commi  9-bis  e  9-ter  della  legge  n. 217  del  1990, "all'effetto
immediato  della revoca del decreto con il quale era stato ammesso il
patrocinio  a  spese  dello Stato" si aggiungerebbe "quello indiretto
della vanificazione di tutte le attivita' che a quello erano seguite,
quali  la  liquidazione  dei  compensi  e  il  parere  del  consiglio
dell'ordine in ordine alla richiesta di liquidazione";
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  e  ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e
comunque non fondata;
        che, ad avviso della difesa erariale, anche dopo l'entrata in
vigore  della legge n. 134 del 2001, non sarebbe venuto meno il ruolo
centrale  dell'autocertificazione dell'interessato nella procedura di
ammissione  al  patrocinio a spese dello Stato, in quanto il giudice,
anche  quando ha disposto verifiche o richiesto informazioni ai sensi
dei   commi  9-bis  e  9-ter  dell'art. 1,  e'  tenuto,  comunque,  a
provvedere  sulla  relativa istanza in tempi brevi, incompatibili con
controlli  e  indagini  di  una qualche durata sull'effettivo reddito
dell'istante, fatta salva la possibilita' di revocare successivamente
il beneficio con diritto di ripetizione delle somme corrisposte;
        che,  secondo l'Avvocatura dello Stato, la scelta operata dal
legislatore  risponderebbe  all'esigenza  di  non  privare l'imputato
dell'assistenza  difensiva  nel  periodo  necessario per accertare la
veridicita' delle condizioni economiche dichiarate;
        che,  in  particolare,  sarebbe inammissibile la questione di
legittimita' costituzionale delle disposizioni censurate sollevata in
riferimento  all'art. 3  della  Costituzione  e avente per oggetto la
previsione   della  sanzione  di  nullita'  degli  atti  in  caso  di
inosservanza  del termine a provvedere, in quanto non "immediatamente
rilevante  ai  fini  della decisione da assumere circa l'ammissione o
meno dell'interessato al chiesto beneficio";
        che,  in  ogni  caso,  prosegue  la  difesa  dello  Stato, la
previsione  di  questa  sanzione non potrebbe dirsi irragionevole, in
considerazione   della   "esigenza  di  configurare  un  procedimento
effettivamente  celere e di non frapporre di fatto ostacoli o ritardi
all'attuazione  della  garanzia  di  cui  al terzo comma dell'art. 24
Cost.",  ne'  rileverebbe,  ai  fini  del  giudizio  di  legittimita'
costituzionale,  che un'analoga previsione sanzionatoria non sussista
relativamente all'inosservanza di termini stabiliti per provvedere in
ordine ad altre istanze, non accostabili a quella in esame;
        che  l'interpretazione, fatta propria dal remittente, in base
alla   quale   l'art. 5,   comma  5,  della  legge  n. 217  del  1990
prevederebbe  una  deroga  alla perentorieta' dei termini fissati per
l'ammissione  al  beneficio dall'art. 6, comma 1, della stessa legge,
sarebbe  errata, in quanto si fonderebbe sull'inesatto rilievo che il
comma  1-bis  dell'art. 6 confermi l'obbligo di decisione nei termini
di  cui  al  comma  1  "solo"  allorche'  siano  state  richieste  le
informazioni  di  cui  all'art. 1,  commi  9-bis e 9-ter, mentre tale
obbligo sarebbe testualmente ribadito "anche" (e non "solo") per tale
caso,  sicche'  non  sussisterebbe la diversita' di disciplina che il
giudice a quo ritiene ingiustificata;
        che,  quanto  alla  asserita  violazione dell'art. 111, sesto
comma,   Cost.,   che   impone  l'obbligo  della  motivazione  per  i
provvedimenti giurisdizionali, l'Avvocatura dello Stato, premesso che
il  carattere  vincolato  dell'oggetto  della  decisione  non esclude
l'obbligo  di motivare in ordine al ricorrere di tutte le circostanze
legalmente  stabilite,  osserva  che la motivazione del provvedimento
deve comunque essere adeguata al tipo di verifica rimessa al giudice,
che  di  norma, nella materia di cui si discute, sarebbe di carattere
formale  e  dovrebbe  essere condotto alla stregua delle prescrizioni
dell'art. 5,  che  si  fondano essenzialmente sull'autocertificazione
dell'interessato;
        che,  infine,  secondo  la  difesa  erariale, l'art. 97 della
Costituzione  non sarebbe riferibile all'attivita' giurisdizionale e,
in  ogni  caso, la questione di legittimita' costituzionale sollevata
in  riferimento  a  questo  parametro  sarebbe irrilevante, in quanto
atterrebbe  alla circostanza, meramente eventuale, che l'accertamento
della  Guardia  di finanza giustifichi la revoca del provvedimento di
ammissione al patrocinio a spese dello Stato, della cui emanazione si
discute nel giudizio a quo.
    Considerato  che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'
stato  emanato  e pubblicato sul supplemento ordinario alla "Gazzetta
Ufficiale"  del  15 giugno  2002  (n. 126/L)  il  decreto legislativo
30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia di spese di giustizia), il quale ha disposto dalla data della
sua  entrata  in  vigore  (1  luglio  2002) l'abrogazione della legge
30 luglio  1990,  n. 217,  come modificata dalla legge 28 marzo 2001,
n. 134 (art. 299);
        che   le   disposizioni  censurate  sono  state  parzialmente
trasfuse,  con  alcune  modificazioni,  nell'articolo  96  del citato
decreto  legislativo,  mentre  nell'art. 79,  comma  3,  dello stesso
decreto  e'  stato  riprodotto e modificato il contenuto dell'art. 5,
comma 5, della abrogata legge n. 217 del 1990, assunto dal remittente
a termine di riferimento nel giudizio di eguaglianza;
        che  il mutato quadro normativo impone di restituire gli atti
al giudice remittente, perche' valuti se la questione sollevata possa
ritenersi tuttora rilevante.