ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 500, comma 2,
del  codice  di  procedura penale, come modificato dall'art. 16 della
legge  1 marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di
procedura  penale  in materia di formazione e valutazione della prova
in  attuazione  della  legge  costituzionale di riforma dell'art. 111
della  Costituzione), promossi con ordinanze emesse il 25 giugno 2001
dal Tribunale di Rossano, il 14 giugno 2001 dal Tribunale militare di
Torino  ed  il  28 settembre  2001  dal  Tribunale  di Castrovillari,
rispettivamente iscritte ai nn. 931 e 939 del registro ordinanze 2001
ed  al  n. 26 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale  della Repubblica 1a serie speciale, nn. 47 e 48, dell'anno
2001 e n. 5, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 maggio 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  due  ordinanze di identico contenuto, emesse,
rispettivamente,  il  25 giugno  2001  (r.o.  n. 931  del 2001) ed il
28 settembre  2001  (r.o. n. 26 del 2002), il Tribunale di Rossano ed
il  Tribunale  di  Castrovillari  hanno  sollevato, in relazione agli
artt. 3,  24,  primo  comma,  111,  primo e quarto comma, e 112 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 500,
comma  2,  del  codice  di  procedura penale, "nella parte in cui non
prevede  che  le  dichiarazioni  lette  per  la contestazione possano
essere  acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate come prova
dei fatti affermati";
        che  la  norma  censurata  violerebbe, innanzitutto, l'art. 3
Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza dell'attuale sistema di
assunzione  e  di  valutazione  della  prova  nel processo penale, in
quanto  farebbe  dipendere  le  risultanze  probatorie  da  "fenomeni
soggettivi  extraprocessuali  (come  la capacita' o meno di ricordare
del teste)";
        che  sarebbe  altresi' compromesso il diritto di difesa della
persona  offesa,  con  violazione  dell'art. 24,  primo comma, Cost.,
risultando  inconsistente  l'effettivita'  della  tutela  dei diritti
della  parte  civile  costituita, per le ipotesi di testi reticenti o
che  affermano di non ricordare il contenuto delle dichiarazioni rese
nella fase delle indagini preliminari;
        che  risulterebbe violato, ancora, l'art. 111, primo e quarto
comma, Cost., sotto il profilo del contrasto con il "principio di non
dispersione  dei  mezzi  di  prova"  -  affermato da questa Corte con
sentenza  n. 255  del  1992  -  anch'esso costituente espressione del
"giusto  processo": e cio' in quanto la dichiarazione resa nella fase
delle   indagini   preliminari,   attraverso   il   meccanismo  delle
contestazioni,  diverrebbe  oggetto  di  pieno contraddittorio tra le
parti  e,  dunque,  "parte  essenziale  di un procedimento probatorio
ispirato al modello costituzionale";
        che la norma censurata contrasterebbe, infine, con l'art. 112
Cost., in quanto, introducendo limitazioni probatorie di portata tale
da privare di efficacia la legge penale, vanificherebbe il diritto di
azione   "privando   di   effettiva   tutela  i  diritti  inviolabili
riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale";
        che,  con ordinanza emessa il 14 giugno 2001 (r.o. n. 939 del
2001),  il  Tribunale militare di Torino ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3  e  101  della  Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 500,  comma  2,  del  codice  di  procedura
penale,  "nella  parte  in cui non prevede che le dichiarazioni lette
per   le   contestazioni   possano  essere  valutate  ai  fini  della
credibilita'  del  teste e come prova dei fatti in esse affermati, se
sussistono altri elementi che ne confermano la attendibilita'";
        che,  a parere del rimettente, la norma censurata si porrebbe
in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole
diseguaglianza  di  trattamento  tra imputati in relazione al tipo di
processo  prescelto dall'indagato, poiche' nel caso di opzione per il
rito  abbreviato tutte le dichiarazioni rese nel corso delle indagini
preliminari avrebbero piena utilizzazione probatoria, a differenza di
quanto  previsto  per il rito ordinario: con la possibilita', quindi,
"di  decisioni  giudiziali opposte, in presenza degli stessi elementi
di fatto conosciuti dal giudice";
        che  sarebbe  altresi'  compromesso  il  principio del libero
convincimento  del  giudice  espresso nell'art. 101 Cost., atteso che
l'organo giudicante, anche quando si convinca della veridicita' delle
dichiarazioni   rese   in  fase  di  indagini,  non  puo'  pienamente
utilizzarle a fini probatori e, dunque, si vede costretto a formulare
in   sentenza   "affermazioni   del   tutto   contrarie   al  proprio
convincimento motivatamente raggiunto";
        che  nei  giudizi  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che le
questioni siano dichiarate infondate.
    Considerato  che  le  ordinanze di rimessione sollevano questioni
fra loro del tutto analoghe e che, pertanto, i relativi giudizi vanno
riuniti per essere definiti con un'unica decisione;
        che,  al di la' della varieta' dei parametri invocati e delle
singole  scansioni  argomentative,  tutti  i  profili investiti dalle
questioni  in  esame  risultano  gia' ampiamente scrutinati da questa
Corte con l' ordinanza n. 36 del 2002;
        che   in  tale  pronuncia  questa  Corte  ha  in  particolare
rimarcato  "come  l'art. 111  della  Costituzione abbia espressamente
attribuito  risalto  costituzionale al principio del contraddittorio,
anche  nella  prospettiva  della impermeabilita' del processo, quanto
alla  formazione  della  prova,  rispetto  al  materiale  raccolto in
assenza    della    dialettica    delle   parti":   con   conseguente
predisposizione,   per   la  fase  del  dibattimento,  di  meccanismi
normativi  idonei  alla  salvaguardia  "da  contaminazioni probatorie
fondate  su  atti  unilateralmente  raccolti nel corso delle indagini
preliminari" (cfr., oltre la gia' citata ordinanza n. 36 del 2002, la
sentenza n. 32 del 2002);
        che,  in  tale prospettiva, appare quindi pienamente coerente
con   i  principi  sanciti  dalla  citata  norma  costituzionale  che
l'istituto   delle  contestazioni  non  operi  "quale  meccanismo  di
acquisizione  illimitato ed incondizionato" di dichiarazioni raccolte
prima  ed  al di fuori del contraddittorio: esigenza, questa, che "la
composita  disciplina  dettata  dall'art. 500  del  codice di rito ha
soddisfatto  con  l'attuale  formulazione, prevedendo, da un lato, un
parametro    di   valutazione   oggettivamente   circoscritto   delle
dichiarazioni  lette  per  le contestazioni e, dall'altro, ipotesi di
eccezionale utilizzabilita' pleno iure";
        che pertanto la norma censurata, espressione di una precisa e
ragionevole  opzione  del  legislatore  in  attuazione  dei  principi
sanciti  nel  novellato  art. 111  della  Costituzione,  non  risulta
neppure  in  contrasto  -  come  parimenti  evidenziato  nella citata
ordinanza  n. 36  del  2002  - con gli altri parametri invocati dagli
odierni  rimettenti:  non  con  quello  del  libero convincimento del
giudice,  poiche'  detto principio "non puo' che riferirsi alle prove
legittimamente   formate   ed   acquisite";   non  con  quelli  della
obbligatorieta'  dell'azione  penale e dell'effettivita' della tutela
giurisdizionale  dei diritti, poiche' essi non possono ritenersi lesi
da  limiti  di  utilizzazione  probatoria che si configurano "come la
naturale  e coerente conseguenza di scelte sistematiche, in linea con
i   principi  costituzionali";  non  con  quello  di  eguaglianza  in
relazione  al  diverso  regime  di  utilizzazione probatoria nel rito
abbreviato,  avuto  riguardo  alle evidenti peculiarita' di tale rito
speciale;  e  neppure,  infine,  con  il  principio  dell'obbligo  di
motivazione,  essenzialmente  inteso  come  esigenza  di  un prodotto
argomentativo  coerente  e  privo  di  vizi logici: invero, "i limiti
probatori  relativi alle dichiarazioni lette per le contestazioni non
incidono  affatto  sulla coerenza intrinseca della motivazione che il
giudice  e' chiamato a svolgere [...] posto che, ove cosi' non fosse,
[...]  qualsiasi prova non utilizzabile (perche', ad esempio, assunta
contro  i divieti previsti dalla legge) comprometterebbe l'obbligo di
motivazione, per il sol fatto di essere apparsa "persuasiva" nel foro
interno del giudicante";
        che, pertanto, le questioni proposte devono essere dichiarate
manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.